Alberto Sartori, l’uomo dalle mille versioni
Dalle Prealpi vicentine all’Africa. La storia avventurosa di un giovane contraddittorio e complicato, “fuggito” dall’Italia nel 1938 con molti dubbi sulle sue reali intenzioni sul futuro.
Ricerca di Giorgio Marenghi
Una cosa certa è la sua data di nascita. Alberto Sartori nasce a Stradella, in provincia di Pavia, il giorno 18 di marzo del 1917, figlio di Giovanni e di Castagna Giovanna. La famiglia nel dopoguerra si sposta a Rotzo e successivamente a S.Pietro Valdastico (entrambe le località in provincia di Vicenza).
Lo stesso Sartori ci tiene a sottolineare che “l’ambiente era di tipico sottoproletariato veneto”. Il padre, “muratore nullatenente”, presto abbandonò moglie e figli (un fratello e una sorella) e la madre si accollò tutto il peso familiare. Colta e sensibile – nota Sartori – educò religiosamente i suoi figliuoli e lo stesso Alberto, che aveva dimostrato predisposizione per lo studio e la letteratura, fu inviato in un collegio di religiosi.
Ma dopo la terza ginnasio Alberto Sartori abbandona il collegio e gli studi e, a 15 anni, si trova un lavoro da manovale. Ma questa esperienza all’improvviso si interrompe, poiché un parente, Nino Dolfin, segretario federale fascista a Vicenza, lo favorisce aprendogli le porte del Collegio Baggio dove viene impiegato come precettore.
Anche qui non ci resta molto, poiché dà dimostrazione della sua irrequietezza giovanile, e – come afferma lui stesso nelle sue memorie – si mette in luce abbracciando le teorie repubblicane di Giuseppe Mazzini, divenendo un appassionato divulgatore dei “Doveri dell’uomo”, testo “rivoluzionario” nel contesto risorgimentale.
1935
Siamo già negli anni Trenta del Novecento, il fascismo è saldo al potere e pensa a costruire il suo “Impero” nelle pietraie africane.
A detta di Sartori, già dal 1935, i Carabinieri iniziano a seguire questo strano giovane, abbastanza colto (autodidatta), ma instabile, che li preoccupa un po’ (ci scappa pure una diffida).
La conferma di questa “sorveglianza” ci arriva dall’apparizione, proprio nel 1935, di un fascicolo a suo nome della “Direzione Generale di Pubblica Sicurezza” (Divisione Affari Generali e Riservati); documenti annotati e pronti per il Casellario Politico, in data successiva, il 16 febbraio 1936.
Sartori ormai ha quasi raggiunto i diciotto anni e il Collegio Baggio gli sta sempre più stretto, mentre nuove idee si affacciano alla sua mente. Probabilmente non sa che pesci pigliare, ma lentamente la voglia di fare esperienze diverse prende il sopravvento.
E’ iscritto, come tutti, al Fascio Giovanile (di S.Pietro Val d’Astico), tessera A.XV, n°707560 (iscrizione del 24.V.1935 – IX^ Leva) ma avverte la necessità di fare delle scelte radicali.
1937
Quando compie i vent’anni ottiene il rilascio della carta di identità, dalla burocrazia di Vicenza, l’11 maggio del 1937.
Verso la fine dell’anno non trova di meglio che indirizzare a Sua Eccellenza il Cavalier Benito Mussolini, Capo del Governo, una lettera traboccante amor patrio e dedizione alla “causa fascista”, specificando che metteva “la propria cultura e le capacità non comuni” al servizio del Duce.
La Regia Prefettura di Vicenza in una lettera all’On. Ministero dell’Interno (in data 3 dicembre 1938) così ricordava questo episodio dipingendo Sartori nei seguenti termini: “Di carattere chiuso, misantropo ed alquanto esaltato…”.
1938
Poiché Sartori non ha prestato servizio militare, perché dichiarato “rivedibile” dalla Commissione di Leva di Vicenza il 6 aprile 1936, incontra qualche difficoltà burocratica nella pratica per il rilascio del passaporto.
“Con enormi difficoltà riuscii ad ottenere il passaporto per la Francia”- ricorda Sartori - ma alla fine la Questura di Vicenza il 29 aprile 1938 gli concede il documento tanto ambito.
Passato anche questo “strano momento” - nel frattempo lascia il Collegio Baggio di Vicenza causando “grande scandalo tra i parenti” - il 19 maggio del 1938 Alberto Sartori esordisce all’Albergo “Croce Bianca” di Chiusa, in Val Gardena dove conosce Angelina Rossati, di Lastebasse, anch’essa in Alto Adige per motivi di lavoro.
La Divisione Polizia Politica l’anno seguente informerà la Divisione Affari Generali e Riservati (Roma, 27 giugno 1939) di questo intermezzo sentimentale-lavorativo, scavando nel rapporto epistolare che Alberto Sartori aveva iniziato con la giovane cameriera.
Dopo il periodo altoatesino (il breve soggiorno all’Albergo di Chiusa) che Sartori nelle sue memorie del dopoguerra amplifica alquanto (“Mi premeva conoscere a fondo l’ambiente operaio…”) passano alcuni mesi, durante i quali il giovane di Valdastico chiarisce a sé stesso cosa vuole fare.
Dato che nelle motivazioni allegate alla domanda per il rilascio del passaporto il Sartori ha elencato sia i motivi di studio e di perfezionamento nella lingua francese, e poiché non c’è nessun ostacolo che gli impedisca di uscire dal Regno, nel mese di agosto 1938 passa la frontiera e si dirige direttamente a Parigi.
Qui, ovviamente, deve cercarsi un lavoro ed un alloggio ed infatti pensa di usufruire della sua preparazione culturale per guadagnare del denaro con ripetizioni di latino. L’episodio che raccontiamo accade proprio nei primi mesi del suo soggiorno parigino ed è emblematico di una certa “confusione” che si agitava nella testa del Sartori.
Una lettera chiarificatrice?
Una lettera inviata dagli Uffici del Consolato Generale d’Italia ricostruisce gli avvenimenti accaduti al Sartori, interpretati e valutati da una “informatrice” (probabilmente dell’O.V.R.A. o di organizzazione simile), tale “fiduciaria MONNA”.
E’ il 7 di ottobre del 1938, Sartori è a Parigi dal mese di agosto e quindi conosce poco o quasi nulla della città, ha ovviamente bisogno di agganci, di conoscenze, almeno nell’ambiente degli italiani.
E dove sceglie di cercare aiuto, per poter sopravvivere? Lo troviamo, in questo 7 di ottobre, in un luogo un po’ strano per un giovane emigrato in cerca di quattrini.
Infatti “L’Informateur Italien”, rue de Rivoli n.°55, è un posto « pericoloso », poichè è la sede del Bollettino antifascista, quindi un obiettivo sorvegliato dalla polizia parigina che vuole evitare incidenti tra militanti italiani di opposte tendenze politiche.
Ma Alberto Sartori, che ha trovato alloggio in rue Michelet n.°30, comune di Pantin, alla periferia della “grande Parigi”, non ci bada proprio. Incontra la “fiduciaria”, che si aggirava all’interno dei locali del circolo antifascista, la Monna, e le chiede, senza tanti preamboli, se poteva trovargli delle ripetizioni o lezioni di Latino poiché era in miseria.
Scrive l’indirizzo della sua abitazione di suo pugno, carta che per la fascista Monna è preziosa perché potrebbe servire all’OVRA per “eventuali confronti calligrafici”. Il bigliettino sparisce all’istante nella borsetta della “spia” italiana.
Dovremmo anche domandarci perché Sartori, di tutta la gente che occupava gli spazi dell’Ufficio del Bollettino antifascista, abbia scelto proprio la Monna, in odore di servizi segreti.
Ma questa sarà una costante del nostro Sartori e per il momento conviene restare ai fatti nudi e crudi.
La Monna accoglie l’invito del giovane emigrato, che fra l’altro si dichiara “fervente antifascista”, e corre ad informarsi sui trascorsi politici del nuovo conoscente, non trovando peraltro alcun precedente negli atti d’ufficio del suo servizio di informazioni.
Ma non c’è solo questo episodio nella lettera della Monna, anzi la “fiduciaria” racconta con molti particolari lo “show” interpretato da Alberto Sartori lo scorso mese di settembre, giusto 35 giorni prima dell’incontro nei locali del Bollettino.
Se il 7 ottobre 1938 Alberto Sartori si dichiara “fervente antifascista” occorre fare attenzione a quanto dichiara la Monna dei fatti di un mese prima.
“In data 2 settembre scorso il Sartori si è presentato al locale Consolato Generale dichiarando che un certo Mosconi (che si ritiene sia il noto sovversivo Mosconi Vincenzo di Alessandro nato a Vergherero il 12/5/1897, abitante nel comune di Pantin, lo aveva condotto alla redazione della “Voce degli Italiani””.
Dunque Sartori si accompagna a un elemento di sinistra, antifascista, di Pantin per giunta, dove abita lui ed entra tranquillamente nei locali del “covo sovversivo” assieme al Mosconi.
Il seguito della relazione della “fiduciaria” è ancora più interessante.
“Il Sartori affermava di avere dichiarato a tutti la sua fede Fascista ma alla “Voce” gli avevano detto di ripassare il giorno dopo perché lo avrebbero fatto parlare con il noto Giuseppe Di Vittorio, il quale lo avrebbe interrogato e certamente convinto circa le falsità delle teorie Fasciste”.
“Il Sartori ha dichiarato di non volersi più recare al predetto giornale, covo di rinnegati, che invece si sarebbe presentato al locale Fascio. Ha detto di abitare a Pantin al n.30 della rue Michelet, presso un certo Greselin Demetrio da Arsiero (Vicenza), ristoratore, attivo antifascista e sostenitore della “Voce degli Italiani”.”
Sartori aggiunge in questa occasione di essere iscritto al Fascio Giovanile di S.Pietro Val d’Astico (Rotozo) ed esibisce la relativa tessera (la n°707560 del 24.V.1935 – IX^Leva)
Poi in un crescendo di confusione, forse indignato per essere stato preso in giro dai “sovversivi”, si presenta al Regio Ufficio del Consolato Generale d’Italia di Parigi e denuncia il cennato Greselin Demetrio “quale attivo propagandista antifascista e sostenitore del libello “La Voce degli Italiani””.
Tutta questa commedia accade il 2 settembre 1938, con un Sartori fresco fresco di arrivo nella capitale francese.
Nella lettera (al Ministero) non viene chiarito come ci sia rimasto il cennato Mosconi Vincenzo, che aveva accompagnato Sartori al giornale antifascista.
Ci sarebbe da chiarire anche se il Sartori sia poi ritornato nella tana dei “sovversivi” e se sia stato indottrinato dal cennato Giuseppe Di Vittorio, pezzo da 90 della comunità italo-parigina (comunista).
In ogni caso in appena 35 giorni abbiamo individuato un Sartori “fascista” (2 settembre) che si trasforma in un Sartori “fervente antifascista” (7 ottobre) quando incontra o reincontra la “fiduciaria” Monna.
Dalla lettera non sembra che la “spia” italiana sia rimasta colpita favorevolmente dalle uscite del Sartori tanto è vero che considera (nella relazione che poi giunge sui tavoli della Divisione Affari Generali e Riservati a Roma) le mosse del giovane emigrato “poco chiare”, e chiede ulteriori informazioni sul suo conto “specie dal lato politico”.
Intanto la segnalazione di Sartori al Consolato Generale d’Italia sul conto del povero Greselin Demetrio produce i suoi effetti. In risposta ai solleciti della Polizia italiana del 17 dicembre 1938 la Prefettura di Vicenza fornisce informazioni particolareggiate sull’”antifascista”, ma in fondo il profilo che ne esce è quello di un normale emigrato, di tendenze “sovversive” ma “non pericoloso”.
Anche la moglie, tirata dentro il tritacarne dell’inchiesta di polizia risulta una normale donna di Rotzo e di Arsiero che “ha sempre serbato buona condotta morale e politica ed a suo carico non risultano precedenti né pendenze penali”.
Ora, con questo comportamento schizoide (sempre che non sia stata tutta una messinscena stile OVRA), non si capisce come Alberto Sartori, nelle memorie del dopoguerra, possa parlare di “impegno antifascista” e di come abbia potuto ottenere responsabilità di dirigente nella locale sezione di Pantin dell’Unione Popolare Italiana, associazione che raggruppava semplici lavoratori italiani assieme agli antifascisti in esilio a Parigi.
L’impressione che si ha da questi fatti così contraddittori e ambigui è che ne sia passata di acqua sotto i ponti da quel giorno in cui Sartori chiese alla fiduciaria fascista di segnalargli chi fra gli studenti avesse avuto bisogno di ripetizioni di latino.
In quei giorni, solo pochi mesi addietro, Sartori non nascondeva il suo impellente stato di necessità. Nel mese di gennaio del 1939 è già un “antifascista” riconosciuto e integrato nei gruppi italiani. Tanto che prende carta e penna e scrive alla “cara sorella Rosetta” una lettera affettuosa ma condita di una retorica inutile e fuori luogo.
Ad una sorella non si scrive con il tono di un manifesto politico a meno che non si voglia lasciare una traccia, che deve essere interpretata.
Vale la pena riportare integralmente questo primo exploit di Alberto Sartori nei panni del fratello “antifascista”:
La lettera dal tono profetico
4 aprile 1939. Parigi. Copia del contenuto della lettera su dattiloscritto del Ministero dell’Interno (posta intercettata)
“Rosetta mia cara e buona sorella
Dovessi scrivere a te ogni volta che io ti penso non basterebbe la carta di tutta Parigi. Pure io ti scrivo poco da tempo in qua e tu sapessi come il mio tempo è prezioso! Tu mi vedessi rientrare la notte all’una, alle due, alle tre nella mia piccola e graziosa stanzetta che i compagni mi hanno ammobiliato con mille sacrifici; stanco dopo una giornata di lotte dopo aver faticato tanto per far comprendere a coloro che mi hanno scelto come capo la santa via dell’amore invece di quella del (giusto) odio che hanno scelto.
Tu non potrai mai sapere con precisione come occupo il mio tempo perché mi è impossibile spiegartelo su di una carta: sarebbe nocivo per me e potrebbe essere pericoloso per te pure.
Ti basti sapere che il tuo Alberto è ancora quello che era quando è partito, anzi molto, ma molto migliore, perché passato attraverso il crogiuolo del sacrificio e ricco ora di esperienze.
Sono un uomo ora! Ma tale che molti a 50 anni potrebbero imparare qualcosa da me.
Sono un uomo! Ci sono delle rughe ora sulla mia fronte e il mio cuore è temprato alle lotte.
Oh! Tu potessi sapere la mia gioia quando, dopo aver parlato a centinaia di uomini io posso scorgere nei loro occhi la stessa fiamma che mi brucia in petto e frutterà un giorno agli uomini un po’ più di pace e di amore!
Tu sorella, fra tutti coloro che mi rimasero cari dopo che la Mamma ci ha lasciati, sei stata la sola capace di dimostrarmi quel po’ di comprensione che ho cercato invano tra gli uomini: tu dunque potrai capirmi anche se queste righe rappresentano un immenso interrogativo per te.
Tu conosci la mia meta: perciò non ti preoccupare mai anche se per raggiungerla dovessi far spargere del sangue e versare il mio. Io “voglio” una umanità più felicve più buona, “voglio” una Italia più libera e più grande, maestra di civiltà al mondo ed esempio di pace ai popoli.
Forse per questa Umanità e per questa Italia tuo fratello sarà sacrificato un giorno, ma se questo avvenisse non ti dispiaccia il mio sacrificio e quello che tutti coloro che mi precedettero e mi seguiranno non sarà vano; esso frutterà a tanti fratelli che soffrono “per l’egoismo dei pochi” ed ai tuoi figli anche la gioia di non dover soffrire ciò che tutti noi soffrimmo.
Se un giorno – prossimo o lontano non so – (ma quel giorno verrà) sentirai parlare di rivoluzione, pensami alla sua testa a guidarla e frenarla.
Pensami sempre come mi hai conosciuto un anno fa, ma più buono, ma più uomo di allora. E scrivimi spesso, scrivimi presto, è la gioia più grande che mi puoi dare. Dopo l’idea che io servo non mi rimani che tu.
Il tuo Aff.mo A.
(Spero che starai meglio con la malaria. Coraggio! Finirà un giorno e quello sarà un gran giorno!).
Alla lettera per Rosetta nel documento del Ministero dell’Interno si aggiunge un’altra lettera, per il fratello Giovanni emigrato in Etiopia. Alberto Sartori dimostra così di non tenere in alcun conto il rischio che la posta venga intercettata. O almeno vuole farcelo credere.
“Fratello caro,
è necessario che io scriva a te pure per dirti che in tutto questo tempo non ti ho mai dimenticato. Anzi ho pensato molte volte al consiglio che tu mi davi; di tornare piuttosto che servire nell’armata di Francia. Ti giuro che conosco il mio dovere e ad esso non mancherò mai, anche se questo mai mi costasse la vita.
Ma se per dovere tu intendi tornare per mettermi al servizio di un uomo che “vuole” ad ogni costo la guerra, ebbene io allora ti dico che la mia vita la vivo per abbattere quest’uomo: il mondo ha bisogno di pace e lui è la guerra; l’Italia ha bisogno di pane e lui è la fame.
Oggi io conosco la verità, perciò posso scegliere la mia strada. E’ pericolosa questa mia lettera, bruciala appena letta ma te la scrivo perché ho bisogno di sapere se un giorno in cui la guerra sarà imposta al popolo sofferente io ti troverò fra gli oppressi o fra gli oppressori.
Il mio posto è fra i primi e spero di non trovarti fra i secondi.
Poiché la guerra verrà e non sarà l’Italia contro la Francia ma il fascismo contro la democrazia. Io rappresento la seconda, che è il popolo e mi batterò per essa.
Oh potessi parlarti un’ora sola! Dirti ciò che non posso dirti su queste carte. Ma spero che ti fiderai di tuo fratello e ti ricorderai di questa mia un giorno.
Devo finire. A te e Rosetta tutto il mio affetto grande, spero starete meglio, anzi bene. Scrivetemi presto e saluti a Silvia, Angelo e Gigetto e Cerati.
Tuo aff.mo Alberto “.
“Indirizzo sulla busta: Egregio Sig. GIOVANNI SARTORI (Fermo Posta) DEBRE MARCOS (Goggiam) Africa Orientale Italiana
Mittente: M.Alberto Sartori – 63 - Avenue Edouard Vaillant – Pantin (Seine) - France “.
Il Regime, dopo questi ultimi fatti, prende le “distanze” da Sartori: è anche questa una messinscena oppure è il punto di vista (autentico) delle autorità di Polizia italiane? Il dubbio è legittimo e il dispaccio telegrafico può anche voler dire altro…
REGNO D’ITALIA
MINISTERO DELL’INTERNO
DISPACCIO TELEGRAFICO 19969
Regno questore Roma 441 – 011208 punto Qualora entri o venga rintracciato nel Regno tale Sartori Alberto residente Pantin (Francia), non meglio indicato, pregasi disporre fermo, informando Ministero punto Sartori è stato segnalato quale esaltato e capace atti inconsulti punto Prefetture confine sono pregate disporre iscrizione predetto rubrica suppletiva frontiera punto
Al Ministro Bocchini
(timbro: 4 maggio 1939 XVII)
Certo che il giovane Alberto Sartori dai tempi in cui leggeva il libro di Mazzini, “I doveri dell’uomo”, e passava per repubblicano, sorvegliato dai Regi Carabinieri e “schedato” sui Bollettini della Polizia Politica (1935), ne ha fatta di strada, confondendo le idee a chi aveva il compito di seguirne l’evoluzione politica. Emblematica è la lettera al Duce in cui Sartori, come abbiamo visto, raggiunge le vette dell’entusiasmo patriottico e offre “le sue capacità non comuni” al servizio della causa fascista.
Poi carta di identità e passaporto trasformano il nostro giovane di S.Pietro Valdastico in una sorta di “mina vagante”, dal comportamento ondivago e sempre considerato “esaltato”.
Quanti Sartori c’erano a Parigi in quel 1938-1939? Ce n’era uno solo che aveva deciso (come parrebbe dalle lettere ai fratelli) di ribellarsi al regime fascista italiano? O, sotto il polverone ce n’era un altro, con il compito di infiltrarsi nell’ambiente antifascista? E qui avremmo un piccolo aiuto dalla segnalazione del capo dei servizi segreti militari, poi Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Eugenio Henke (anni 1970…) che parla di Sartori con il tono di chi è in possesso di “informazioni riservate”: “In epoca antecedente all’ultimo conflitto mondiale, si reca in Francia per svolgere imprecisati incarichi per conto dell’organizzazione fascista “Fasci italiani all’estero” (una costola dell’OVRA, nota g.m.).
I documenti fin qui esaminati sono poca cosa per risolvere il dilemma, dobbiamo collegarci perciò agli avvenimenti della Guerra, al suo futuro spostamento in Africa del Nord e a tutto quello che succederà fino all’agosto del 1943.
E in questo senso è molto importante segnalare la presenza a Parigi del comunista Velio Spano (e per poco tempo anche di Loris Gallico dal 11 dicembre 1937), che diventerà “la conoscenza” per eccellenza di Alberto Sartori quando metterà piede in Tunisia. La segnalazione dei servizi di informazione italiani è del 20 marzo 1939. Spano viene visto a Marsiglia dove tiene due conferenze ma l’OVRA pensa che sia a Parigi il contatto con gli altri dirigenti comunisti, soprattutto Amendola.
Facciamo ora parlare Sartori in prima persona perché qualcosa forse appare, al di là delle sue dichiarazioni spicce e generiche.
“Bergamo, 5 giugno 1963 – Alla Direzione del P.C.I.
[…] Mi stabilii a Pantin e conobbi presto alcuni compagni: Ramella, Mosconi (quello dello “show” di Sartori che lo aveva accompagnato nel “covo” degli antifascisti – nota g.m.), Di Vittorio, Esule, Cocchi, Bruti, Amendola (a suo dire l’unico che aveva “diffidato” di lui, per di più affibbiandogli un “mattone” (libro) di critica alle posizioni dell’anarchico Bakunin – nota g.m.)”. “Nell’autunno del 38 ero Segretario del’Unione Popolare di Pantin e membro della Segreteria della Regione Est Parigina”.
L’accusa principale contro Sartori
Importante è collegare, a questo punto, dei fogli scritti di pugno da Sartori, negli anni 60 (Arch. Centrale dello Stato) dove, a mio parere, commette un errore. Elenca le “accuse” che ha dovuto sopportare, e fra queste primeggia l’accusa di essere stato “un provocatore dell’OVRA in Francia”. Sartori afferma questo per dimostrare come gli avversari abbiano giocato sporco, invece questo “ricordo” getta luce sul ruolo di Amendola che fin dal primo incontro con Sartori a Parigi ne ha “diffidato”. Di chi parla Sartori, chi è stato a far circolare una accusa così grave fin dal periodo parigino? Amendola, certamente, e forse Mosconi, Greselin, ecc. Certamente qualcuno, più di uno, che ha avuto modo di osservarlo.
Si va verso la guerra
Ritorniamo all’esame dei fatti e dei documenti che li commentano. Ormai siamo agli sgoccioli per quanto riguarda la situazione di tensione internazionale e la possibilità di una guerra europea si profila sempre più nettamente.
Infatti le richieste di chiarimenti sull’identità di Alberto Sartori acquistano una velocità, nella primavera-estate del 1939, che potremmo definire sorprendente.
Intanto il 6 maggio 1939 da Pavia (il capoluogo di provincia a cui si riferisce amministrativamente il comune di Stradella ove è nato Sartori) con “Precedenza assoluta sulle Precedenze assolute” (sic) viene inviato all’Ufficio Cifra del Ministero dell’Interno una circolare telegrafica (n° 19969-441-013208) contenente tutti i dati anagrafici e l’attuale indirizzo francese.
La risposta arriva con “Precedenza assoluta” dal Ministero dell’Interno che chiede ai Prefetti di Vicenza e di Pavia se “Sartori Alberto di Giovanni…abbia un fratello, a nome Giovanni, in Africa Orientale punto […]”. Il timbro è del 16 maggio 1939 – ore 13 – telegramma n.22274.
Vicenza risponde con “Precedenza assoluta” il 18 maggio confermando l’esistenza di un fratello a nome Giovanni, in Africa Orientale Italiana.
Da Pavia il 20 maggio invece commettono lo svarione di negare l’esistenza del fratello: “Non risulta nel comune di Stradella che noto Sartori Alberto abbia fratello di nome Giovanni…”.
Perfino da Bolzano, con “RISERVATISSIMA – RACCOMANDATA URGENTISSIMA”, del 22 maggio, sono in grado di confermare l’identità di Sartori e il famoso pernottamento di due giorni presso l’Albergo “Croce Bianca” di Chiusa (Val Gardena). Non parlano del fratello ma le notizie sono confermate dall’Ispettore Generale di P.S. Commendator PERUZZI dell’OVRA.
Il Capo della Polizia BOCCHINI con dispaccio telegrafico n°23335 oltre a confermare i dati sull’identità del noto Sartori conferma “provvedimento fermo predetto et pregasi Prefetture confine inserire di lui generalità in Rubrica suppletiva frontiera punto”. Timbro Ufficio Telegrafico 22 maggio 1939, ore 19.
La corrispondenza tra le varie istituzioni dello Stato italiano va avanti ancora per un po’, si trattava infatti di chiudere i “buchi” anagrafici del “noto Sartori”.
Arriviamo al 27 giugno 1939 quando la DIVISIONE POLIZIA POLITICA invia un appunto (n.°500/18141) alla Divisione Affari Generali e Riservati di Roma.
Si scomoda nientemeno che l’Ispettore Generale di P.S. Comm. PERUZZI (dell’OVRA) che comunica ai colleghi:
“Sono state revisionate da questo Ufficio due lettere provenienti dalla Francia, a firma “Sartori Alberto”, Avenue Edouard Vaillant Pantin (Seine) 63, ed indirizzate a Rossati Lucia, in data 30 gennaio e 15 maggio corrente anno.
La destinataria, nei cui confronti è stato attuato il controllo della corrispondenza, è una giovane cameriera notata a contatto varie volte col noto comunista Passarini Giuseppe, e si identifica in Rossati Angelina di Augusto e di Disegno Rosa, nata a Lastebasse (Vicenza) il 13 novembre 1913, qui abitante in Via Solari n.34.
Nelle predette lettere, che hanno avuto regolare corso, il Sartori si compiace comunicare alla Rossati, con la quale ha avuto evidentemente rapporti amorosi, che egli si è dato anima e corpo all’antifascismo, e che, addirittura, è diventato un dirigente del movimento antifascista all’estero”. […]
La vicenda burocratica sul “noto Sartori” a partire dal 1° settembre 1939 si spegne progressivamente poiché lo scoppio della guerra con l’invasione della Polonia da parte dell’esercito tedesco cambia tutto il quadro politico e le vite dei singoli, specialmente della comunità degli italiani antifascisti che si trovano esuli in territorio francese. Naturalmente gli agenti dell’OVRA proseguono il loro lavoro continuando ad informare i loro superiori ma ora sono anche consapevoli che operano in territorio nemico.
Il milieu di Sartori
Abbiamo però un problema con Alberto Sartori: visto che ne seguiamo l’evoluzione politica e personale dobbiamo anche capire in quale ambiente sociale e politico lui si muove. La sua evoluzione risente senz’altro della situazione interna francese che a sua volta è condizionata dalla situazione europea.
Sartori entra in Francia nell’agosto 1938, abbiamo detto, e pochi giorni dopo, il 29-30 settembre, si conclude la Conferenza di Monaco che con la vergognosa acquiescenza delle “democrazie” concede ad Hitler il diritto di annettersi la zona dei Sudeti, in Cecoslovacchia, abitata in maggioranza da cittadini tedeschi.
Sartori ci dice, nelle sue svariate e contraddittorie memorie, che era riuscito a diventare il segretario della sezione dell’unione Popolare Italiana di Pantin, alla periferia di Parigi.
Dobbiamo perciò chiederci: cos’era l’U.P.I., e qual’era il suo programma in quel particolare e grave momento storico? Occorre ricordare che in Francia dal censimento del 1936 risultano risiedere 720.000 italiani, di cui 11.000 sono gli esuli che aderiscono ai partiti politici antifascisti. Queste cifre dimostrano che la gran massa degli immigrati italiani tende piuttosto all’integrazione nel tessuto sociale francese e non si cura né dei tentativi dei Fasci italiani di mantenere un legame con la Patria Fascista né degli inviti politicizzati dei gruppi antifascisti.
Tuttavia nel 1937, su iniziativa dei comunisti, viene costituita l’Unione Popolare Italiana (U.P.I.) con l’obiettivo di realizzare “l’unione degli italiani immigrati, al di sopra di ogni tendenza particolare o di partito”, rivolgendosi – “oltre il confine antifascista” – “a tutti gli italiani onesti, amici della pace e del progresso”.
L’U.P.I. si avvale anche di un giornale quotidiano, “La Voce degli Italiani”, che, da quello che vi abbiamo narrato fin qui, è la sede antifascista “visitata” in modi esagitati dal giovane immigrato Alberto Sartori quel famoso giorno del 2 settembre 1938.
L’U.P.I., alla vigilia della guerra, arriverà ad avere “oltre 50.000 iscritti, organizzati in quasi 700 sezioni”.(Leonardo Rapone: I fuorusciti antifascisti, la Seconda Guerra Mondiale e la Francia, Persée; p.345).
L’associazione riesce per un certo periodo, dal 1938 al 1939 a interpretare il bisogno dei lavoratori italiani di avere una tutela, questo in concorrenza con i patronati fascisti, mediante iniziative associative e ricreative (Case degli Italiani, filodrammatiche, fratellanze regionali, ecc.).
Iniziano i guai veri per Sartori
Sartori indica Cocchi, comunista, come dirigente della Unione Popolare italiana in cui milita come “indipendente” (fa notare infatti nelle sue memorie che non è iscritto al Partito Comunista).
Ma il nostro giovane emigrato, dai comportamenti inizialmente “confusi”, quando il 23 agosto del 1939 viene firmato il Patto Hitler-Stalin (Germania e Russia si spartiscono la Polonia) si viene a trovare comunque in una situazione drammatica. I comunisti (e i loro “simpatizzanti” e Sartori è uno di questi) vengono da questo momento considerati dei “traditori” da tutti gli altri partiti antifascisti e la polizia francese, su ordine del governo, si mette alla loro ricerca per raggrupparli in campi di concentramento.
Sartori, che aveva invece seguito i consigli dei dirigenti dell’Unione Popolare Italiana, aveva già firmato i documenti per l’arruolamento nelle formazioni dei “Volontari per la durata della guerra”. Arruolato nell’esercito viene inviato a Lione, uno dei centri di reclutamento della Legione Straniera.
Consapevole di essere caduto in un tranello, indica in Cocchi il responsabile di questa situazione, e infatti il Partito Comunista espelle Cocchi a causa della sua posizione appiattita totalmente sull’adesione alla causa francese, soprattutto per quanto riguarda l’arruolamento degli italiani residenti in Francia.
Sartori “deve” in ogni caso partire, mentre la situazione delle associazioni italiane, e in particolare quella riguardante l’Unione Popolare Italiana, si fa sempre più precaria. Quando poi arriva la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia ed all’Inghilterra il 10 giugno 1940, la partita per i lavoratori italiani si chiude definitivamente. In decine di migliaia si arruolano nell’esercito francese, gli “schedati” come fascisti o “sovversivi” finiscono, come accennato, nei campi di concentramento.
Alberto Sartori è inquadrato nella Legione Straniera, tenta di svignarsela ma non c’è niente da fare. Viene trasportato in Africa del Nord (Algeria e Tunisia) e deve attendere lo sviluppo degli avvenimenti politici e militari in Europa.
La guerra sul “Fronte Occidentale”, tra il settembre 1939 e l’aprile 1940 è chiamata anche la “strana guerra” perché nessuna delle parti si muove. Era ovviamente solo un espediente tattico, infatti il 10 maggio l’esercito tedesco sferra la sua Blitzkrieg e travolge gli Alleati procurando loro una sconfitta totale. Lo prova l’armistizio firmato dal governo francese il 22 giugno 1940.
La situazione in Tunisia prima dell’attacco italiano (10/6/1940)
In Italia arrivano in continuazione dispacci e informative sulla situazione della comunità italiana in Tunisia. L’Italia fa sempre pressioni perché gli antifascisti italiani siano tenuti d’occhio e, se del caso, arrestati. Per il momento la polizia francese sorveglia le associazioni e gli individui.
Ne fa fede la “Copia del telespresso N°144/04928 in data 14/3/1940-XVIII del R.Consolato Generale d’Italia a Tunisi, diretto al R.Ministero Affari Esteri, a questo Ministero ed alla R.Ambasciata d’Italia a Parigi”.
“Oggetto: Attività antifascista in Tunisia.
Nel rapporto del 5 ottobre u.s. (1939) questo Consolato Generale faceva presente che dall’inizio delle ostilità ogni attività dell’elemento antifascista italiano era venuta praticamente a cessare nel territorio della Reggenza (così viene chiamato il Protettorato francese di Tunisia, nota g.m.).
A cinque mesi di distanza nessun sintomo di effettivo risveglio può essere segnalato. L’Unione Popolare Italiana, pur continuando nominalmente ad esistere (una sezione sarebbe stata anzi recentemente costiuita a Biserta), non svolge alcuna propaganda degna di nota. D’altra parte le sue origini comuniste non servono certo a metterla in buona luce presso le Autorità locali.
[…] Anche il Comitato Nazionale Italiano che raggruppa, com’è noto, i movimenti antifascisti non aderenti al comunismo, nonostante i migliori rapporti che, si presume, conserva con le Autorità locali, ha dato, negli ultimi tempi, scarsi segni di vita.
Nel novembre scorso (1939) “l’Italiano di Tunisi” sospendeva le pubblicazioni che venivano, tuttavia, riprese la settimana scorsa. Come già nell’autunno passato, anche ora i servizi della censura di stampa obbligano il libello antifascista a tenere un atteggiamento completamente anodino nei confronti del Regime, del Consolato, delle Istituzioni Italiane.
[…] Risulta a questo Consolato Generale che gli elementi italiani i quali si erano segnalati in passato per le loro tendenze comuniste, sono sottoposti a particolare vigilanza da parte delle Autorità Francesi.
Una minaccia di espulsione, tenuta peraltro finora in sospeso, graverebbe sui fratelli Gallico. Il noto Ferruccio Bensasson sarebbe poi stato addirittura tratto in arresto”.
“Il Capo della Sezione I^ - li 2 aprile 1940-XVIII”
Che fa Sartori nel 1940?
Alberto Sartori lo abbiamo lasciato con ancora la divisa francese addosso, di stanza in nord Africa; lui, nelle sue memorie, dice di essere stato smobilitato a Sousse in Tunisia nell’autunno del 1940. Ma è privo di collegamenti, nessun contatto con l’Italia che nel frattempo ha dichiarato guerra alla Francia (10 giugno 1940), e proprio per questo Sartori deve guardarsi dalla Commissione Franco-Italiana d’Armistizio e dal nuovo governo, retto dal Maresciallo Pétain, in quel che resta del territorio metropolitano francese.
Vichy, la Francia di estrema destra
Il governo di Vichy, nato dalla sconfitta militare, diventa per gli antifascisti un grave pericolo poiché, pur rifiutando di appoggiare militarmente la Germania, in concreto applica una politica ostile agli stranieri e agli Alleati.
Le Prefetture francesi del Nord Africa si schierano compatte con il nuovo governo e la polizia francese va alla ricerca dei “volontari antifascisti” per rinchiuderli nei campi di concentramento del Sahara o dell’entroterra algerino e tunisino.
Per la mancanza assoluta di documenti sulla vita in Africa di Alberto Sartori, è necessario perciò avvalersi della sua testimonianza diretta.
“Lavorai quale precettore di uno studente francese – racconta il nostro ex legionario - presso la famiglia Crétin a Fouchana (12 Km. Da Tunisi) dopo aver lasciato le miniere del Capo-Bon, dove avevo organizzato alcuni scioperi fra gli arabi. Informato dai gollisti francesi che la Commissione Italiana di armistizio mi dava la caccia, raggiunsi le montagne di Pont – du – Fahs dove organizzai la resistenza fra gli arabi e fra i coloni francesi …[…]. (Aprile 1972 – Relazione sulla attività politica nel P.C.I.)
Anche le carte parlano
Ma anche se mancano riscontri documentali sulle mosse del Sartori non mancano certo dispacci, telegrammi, informative degli enti di Polizia Italiani che riassumono la situazione dei connazionali (sia fascisti che antifascisti) nel Protettorato Francese di Tunisia, tenuto saldamente in pugno dalle autorità del regime di Vichy.
Un primo dispaccio telegrafico del Ministero degli Affari Esteri indirizzato al Ministero dell’Africa Italiana e al Ministero dell’Interno comunica il 10 agosto 1940 che il connazionale GALLICO Ruggero accusato di propaganda comunista è in stato di arresto da parte delle Autorità militari Francesi della Tunisia.
Solo che il Console Generale ARRIVABENE, che trasmette da Biserta (Tunisia), pensa che il Gallico debba essere trasferito in Libia (Africa Italiana) ma è smentito il 26 ottobre 1940 da un telespresso N°34/R 13075 del R.Ministero dell’Interno che riporta pure le generalità complete del connazionale (che a noi interessa poiché entrerà in contatto con Sartori):
S.P. 74-3221 - 26 ottobre 1940
GALLICO RUGGERO VITTORIO di Raffaello, nato a Tunisi il 24.8.1914, originario di Firenze, antifascista.
Nota n.62783/127291 (C.P.C.) del 17 ott. u.s.
“In relazione alla nota suindicata, si ha il pregio di far presente che, dall’elenco n.3, allegato al telespresso di questo R.Ministero n.34/R 12418 del 9 ott. u.s., il Gallico detenuto ad Algeri (non Tunisia ma Algeria, comunque sempre territorio francese; nota g.m.) appare, effettivamente, doversi identificare con il Gallico Ruggero di Raffaello”.
Come appare dal Telespresso considerato nelle comunicazioni tra i vari Ministeri italiani si riporta il nominativo di parecchie decine di connazionali antifascisti incarcerati in Francia e nell’Africa del Nord per reati di natura politica.
E Sartori deve fare attenzione poiché la Commissione d’Armistizio Franco-Italiana è intenzionata a fare piazza pulita degli antifascisti presenti in territorio coloniale francese.
Un contrasto di versioni
Le memorie di Alberto Sartori faticano però ad andare d’accordo con questa ricostruzione. Lui parla della sua smobilitazione nell’autunno del 1940; è verosimile, quel che non quadra è il riferimento a Gallico, Velio Spano, Valensi, personaggi antifascisti (e comunisti) che negli anni 1941-1942 erano impegnati a sopportare o evitare le galere francesi e non erano disponibili a “lavorare” clandestinamente con Sartori.
E poi parla della sua esperienza di “instituteur”, precettore, per un ragazzo francese, figlio di una famiglia “gollista”, di cui abbiamo già parlato.
E’ la polizia francese che precisa
Un punto fermo comunque viene fissato da un telespresso del Regio Consolato di Tunisi, in data 4 dicembre 1941, n°09300, diretto al Ministero degli Esteri, a quello dell’Interno, alla C.I.A.F. Delegazione Generale Algeri – Sottodelegazione Esercito – Tunisi.
“Si ha l’onore di far conoscere che da alcuni giorni la Polizia francese assieme alla gendarmeria, sta procedendo in Tunisi all’arresto di elementi comunisti.
Secondo informazioni confidenziali pervenute a questo Ufficio, gli arrestati sarebbero circa 108.
Fra essi vi sono alcuni noti antifascisti italiani come SILVANO BENSASSON – MAURIZIO VALENSI – i fratelli LORIS e RUGGERO GALLICO e VELIO SPANO.
Al momento dell’arresto degli italiani, la Polizia, a quanto viene riferito, avrebbe giustificato presso gli interessati la misura adottata dicendo che questa era stata imposta dalle Autorità Italiane d’Armistizio”.
Tutti costoro sono gli antifascisti che Sartori indica come già conosciuti alla data del 1941 e che questa ricostruzione contesta, non solo come inesatta ma fuorviante.
Conosciamo anche il luogo dove sono stati imprigionati i “conoscenti” di Sartori.
Lo apprendiamo da un foglio del Ministero dell’Interno italiano – copia dell’appunto della Divisione Polizia Politica in data 28/12/1941, n°500/43299.
“Il COMANDO SUPREMO S.I.M. – Sez. “Bonsignore” (una sezione dei servizi segreti militari italiani, nota g.m.) con lettera n.B/234-617 del 19 corrente comunica:
“La polizia francese in collaborazione con la gendarmeria ha proceduto in Tunisi all’arresto di un centinaio di comunisti.
Fra questi vi sono alcuni antifascisti italiani: Silvano BENSASSON (condannato per direttissima a 5 anni di carcere, MAURIZIO VALENSI, i fratelli LORIS, RUGGERO GALLICO e VELIO SPANO, internati nel campo di concentramento di Gafsa”.
[…] IL DIRETTORE CAPO DIVISIONE POLIZIA POLITICA F/to Leto
E per fugare ogni dubbio sulla volontà della Polizia Francese di Tunisi riportiamo il contenuto di un foglio con indicazione SEGRETO intestato al COMANDO SUPREMO – S.I.M. – Sez. “BONSIGNORE” del 3 marzo 1942 inviata al MINISTERO DELL’INTERNO-Direzione Generale della P.S.- ROMA.
Oggetto: Notizie dalla Tunisia.
Seguito foglio B/234617 del 19 dicembre 1941.
La Corte Marziale di Biserta ha condannato un gruppo di comunisti, tra cui i connazionali:
GALLICO Ruggero a 20 anni di lavori forzati e 20 anni di interdizione di soggiorno;
VALENSI Maurizio ai lavori forzati a vita.
p.IL TEN. COLONNELLO DI S.M. CAPO SEZIONE a p.s.
IL MAGGIORE IN SERVIZIO DI S.M.
(Giulio Fettarappa-Sandri)
Ma non tutte le ciambelle riescono col buco e il 17 marzo 1942 il Regio Consolato d’Italia di Tunisi – DELEGAZIONE CONTROLLO ARMISTIZIO – con Telespresso (per via aerea) 02989 informa i Regi Ministeri italiani che SPANO VELIO è “assente e contumace e non ha alcuna intenzione di “presentarsi entro 10 giorni davanti al tribunale francese (Tribunale Marittimo permanente di Biserta) per rispondere circa l’accusa di contravvenzione ai decreti intesi a reprimere l’attività comunista”.
La latitanza di Spano non è certo un colpo di testa, anzi, visto che l’11 giugno la Sezione Speciale del Tribunale Militare permanente di Tunisi lo condanna a morte (in contumacia).
Si cerca di vivere nonostante le polizie
E’ una guerra dichiarata quella tra l’Amministrazione Francese e i gruppi del fuoriuscitismo antifascista italiano. Ormai tutti sono in clandestinità, con documenti falsi, vivono precariamente in abitazioni di amici tunisini o francesi simpatizzanti della “FRANCE LIBRE” del generale De Gaulle.
Come si evince dai documenti, fin qui citati, in prima linea a dare la caccia ai gruppetti antifascisti ci si mette ovviamente il Consolato Generale d’Italia che segue il caso di VELIO SPANO, che era stato dato per arrestato e che invece è ancora al 28 ottobre 1942 “assente e contumace”.
I funzionari italiani non demordono nemmeno con le donne di famiglia.
“Coll’occasione si fa presente che la moglie del predetto GALLICO Nadia Carolina...[…] sorella dei noti antifascisti Loris e Ruggero Gallico, è stata, nel febbraio 1942, condannata dal Tribunale Militare Marittimo di Biserta, ad un anno di carcere e 5.000 franchi di multa per partecipazione ad attività comunista”.
Quindi Alberto Sartori nelle sue memorie ha riportato parecchie “inesattezze”, tutte queste persone citate nei documenti dei tribunali francesi e nella sorveglianza occhiuta dell’OVRA italiana erano sempre ricercate o detenute in campi di concentramento.
Il periodo di cui parla Sartori è un periodo di pericolosa clandestinità e lui avrebbe fatto meglio a evitare di parlare a sproposito su “conoscenti” che non poteva frequentare (questo almeno per tutto il 1941-1942).
Capita però che, nonostante la situazione resti sempre precaria e pericolosa, i documenti italiani nel riportare i fatti debbano a volte ammettere qualche insuccesso. Un esempio, che riguarda da vicino il gruppo di antifascisti di Tunisi, è la fuga dal campo di internamento di Kef di Loris GALLICO. La notizia viene data nel novembre 1942.
Da ovest e da est arrivano americani e inglesi
E proprio nel novembre, l’8 per l’esattezza, sbarca in Marocco un corpo di spedizione anglo-americano. E per tutta risposta il 9 novembre sbarca a Tunisi un corpo di spedizione aviotrasportato di forze tedesche. Inizia l’occupazione della Tunisia francese, con forze tedesche a cui si aggiunge un corpo d’armata italiano comandato dal gen. Messe.
Se vogliamo inseguire i movimenti di Alberto Sartori, a causa di queste manovre a tenaglia fra opposti eserciti, dobbiamo aiutarci analizzando la situazione militare sul terreno.
Sartori non poteva spostarsi a est, verso Tunisi a esempio, e gli conveniva restare clandestino ma sempre più ad ovest, da dove stavano giungendo le armate inglesi ed americane. Il pericolo maggiore per i suoi “conoscenti” (che erano in maggioranza ebrei) è la persecuzione antisemita subito messa in atto nella stessa città di Tunisi.
Malgrado che la Gestapo lo avesse tra i suoi obiettivi lo stesso VELIO SPANO è presente a Tunisi presiedendo la 2^ Conferenza di organizzazione del Partito Comunista Tunisino. Spano ribadisce la necessità di stretti rapporti con i nazionalisti di Borguiba.
Intanto la “campagna di Tunisia” prosegue portando le forze alleate (inglesi, americani, francesi gollisti e ex-pétainisti rientrati nel fronte antitedesco) sempre più ad est. Fino a Tunisi nel mese di maggio 1943.
I fonogrammi della disfatta (burocratica)
Nonostante i progressi militari a favore degli Alleati la burocrazia italiana invia fonogrammi fuori della realtà.
Un esempio eclatante è il fonogramma “in partenza” n.4076 del 30 aprile 1943 in cui la “Regia Rappresentanza Tunisi comunica che rendesi necessario allontanamento quella città perché dediti attiva propaganda assai pericolosa attuale momento ebrei comunisti italiani GALLICO Ruggero di Raffaele et di Sinigaglia Caterina nato 24 agosto 1914 Tunisi e VALENSI Maurizio di Amedeo e di Bensanon Pia nato Tunisi 16 novembre 1909 entrambi colà domiciliati……..[…]
Si fa riserva comunicare appena sarà conosciuta data arrivo predetti in Italia”.
Le cifre del crollo
Il 13 maggio 1943 le forze dell’Asse si arrendono agli Alleati: 100.000 tedeschi e circa 150.000 italiani dell’Armata del Generale Messe sono avviati ai campi di concentramento. La “Campagna di Tunisia” è terminata. Tutte le città sono state liberate. A Tunisi la folla è in festa.
Ma al Ministero degli Affari Esteri di Roma hanno sempre in mente GALLICO Ruggero e VALENSI Maurizio. Leggendo questo dispaccio si resta attoniti per la sconfinata mancanza di aderenza alla realtà della burocrazia ministeriale dell’epoca.
Infatti il Telespresso n.5878 – nota n.18452 del 3.6.u.s. – recita:
“In relazione alla nota suindicata si ha il pregio di comunicare che a questo R.Ministero non risulta che i nominati in oggetto siano stati rimpatriati dalla Tunisia, tranne che abbia eventualmente provveduto direttamente al riguardo, negli ultimi giorni che hanno preceduto l’occupazione di Tunisi da parte degli anglo-americani, il Comando Supremo (S.I.M.), o la Polizia dell’Africa Italiana”.
Il ritorno di Sartori
Adesso è arrivato il tempo che esca fuori dal suo nascondiglio anche il nostro giovane emigrato (ed ex legionario), Alberto Sartori.
Sartori ha potuto evitare la repressione della polizia tedesca e italiana, nonché di quella francese passata al servizio dell’Asse. E ora si prepara a raggiungere Tunisi per potersi aggregare ai circoli antifascisti e vedere cosa gli conviene fare per raggiungere l’obiettivo che si era sicuramente prefisso: ritornare in Italia.
Leggendo le sue memorie (clicca qui) si ha l’impressione che lui avesse una “lista” di antifascisti da contattare quasi obbligatoriamente. Troppi i riferimenti ai GALLICO, Nadia, Ruggero e Loris, Maurizio VALENSI, e soprattutto VELIO SPANO, per non pensare che per Sartori non dovessero rappresentare una sorta di “ancora della salvezza”.
Sartori alla liberazione di Tunisi aveva ventisei anni. Era finita l’età dell’emigrazione, i pasticci di Parigi (o le responsabilità nascoste), ora aveva maturato un carattere militare e aveva imparato cosa voleva dire una guerra. Su una cosa non demorde: avvicinarsi al gruppo dei comunisti italiani, i GALLICO, i VALENSI, VELIO SPANO, e una cosa su tutte, diventare un “comunista”, avere la tessera del Partito!
Qui il suo racconto diventa sbrigativo: la tessera del Partito la riceve “senza passare davanti ai quadri”. Cosa vuol dire? Che ha ottenuto probabilmente la promessa da Spano che forse sarebbe entrato ma in quel momento non si poteva. Le direttive di Ercoli (Togliatti) dall’URSS erano chiare. Fare attenzione ai servizi segreti inglesi, infatti il Partito Comunista francese era stato decimato dall’incontro con i servizi segreti alleati. E quell’allampanato giovanotto “mazziniano” non convinceva, forse era in buonafede, forse no, l’importante era salvare la cellula comunista tunisina, già abbastanza provata dalla prigionia nei campi francesi, e ora con la vittoria alleata poteva tirare un sospiro di sollievo ma era esausta.
Il più tonico, e preparato, VELIO SPANO, non a caso il “capo” del gruppo, è colui che, a detta di Sartori, lo conduce nei campi di prigionia dove stanno gli italiani alla ricerca di “comunisti” o di antifascisti anche “badogliani” per organizzare una missione di contatto con i militanti in Italia.
E’ verosimile che fra di loro i “comunisti di Tunisi” ne abbiano parlato e abbiano deciso di non far entrare nessuno nel Partito ma di dare la possibilità a Sartori di “guidare” una missione per l’Italia, targata servizio inglese ma con la “riserva mentale” di contattare alcuni compagni del Piemonte.
La versione di Sartori è molto più “compromettente” e fuorviante: “Nell’agosto del 43 fui paracadutato per conto del Partito in Piemonte quale “Capo-missione” e catturato ad opera degli stessi “Alleati” che avevano scoperto, nel frattempo il mio legame con il Partito che Spano sperava ignorassero quando mi si affidò la missione di riprendere gli interrotti contatti con i compagni in Italia, avvalendomi della “trasmittente” per comunicare su lunghezze d’onda speciali indicatemi da Spano”.
Sartori aggiunge quasi seccato: “Era Amendola che volevano che contattassi”.
E’ difficile immaginarsi una ripresa di contatti con un dirigente così importante come Amendola; era assurdo il modo e la scelta della persona, una operazione così delicata mai sarebbe stata affidata ad un “estraneo”, senza arte né parte, sicurezza esclusa.
Sartori aggiunge anche di aver imparato a memoria una lista di nomi di antifascisti (o di comunisti) che gli sarebbero stati utili per le comunicazioni. A questa lista deve essersi sovrapposta anche un’altra lista (che doveva avere la precedenza) dei referenti del SOE in Piemonte. E’ evidente che il pasticcio era nell’aria. Non conosciamo chi aspettava Sartori tra il Piemonte e la Liguria, con la testa rivolta verso il cielo per cercare di scorgere l’aereo alleato (un dato giorno, ad un’ora precisa).
La rabbia per essere stato arrestato dai Carabinieri (a volte nelle sue memorie indica i fascisti che non potevano esserci perché si era ancora in piena “era badogliana”) provoca in Sartori un odio che deve aver covato contro gli inglesi già da prima. L’atteggiamento è irrazionale, lo si può capire solo se le scelte politiche sono conflittuali già da tempo.
E poi paracadutarsi in tempo di guerra è una scommessa e c’è il 50% di probabilità che venga persa.
In ogni caso non si poteva fare nulla se non si passava per gli Inglesi (o gli americani). E Sartori era stato già contattato da quelli del S.O.E. (Special Operations Executives), il servizio segreto militare inglese.
Il SOE voleva solo gente disposta a combattere, poteva anche sorvolare su alcuni aspetti (stato di servizio militare trascorso), ma questo Servizio era rigido su questo: tutte le missioni erano affidate a combattenti (meglio dire “spie”), inquadrati come militari (o “collaboratori speciali”) al servizio dell’Inghilterra e della sua guerra contro il Terzo Reich. Nient’altro.
Perciò Sartori racconta falsità, monta una saga di amicizie e conoscenze che non reggono. Ammettiamo pure, come racconta lui, che SPANO sia stato disponibile a girare per i campi di prigionia per raccattare due collaboratori per la missione in Italia. Ma SPANO era Spano! Era un comunista, questo lo sapevano bene i Francesi e non credo che quelli del SOE fossero rimbambiti! Quindi tutto il discorso sul fatto di essere stato scoperto come “comunista”, proprio lui che non era neanche iscritto, non regge. E, per ultimo, se anche il SOE avesse scoperto la sua “vera identità di comunista” non avrebbe certo impegnato un aereo per scarrozzare Sartori nei cieli del Mediterraneo!
La storia invece va raccontata in quest’altro modo: da Algeri un bel giorno parte un aereo della RAF (Royal Air Force), che trasporta un uomo solo, Alberto Sartori. E’ logico che il passeggero abbia raggiunto un accordo di ferro con gli Inglesi per ottenere il passaggio (fece pure un corso di paracadutismo). La RAF non era una compagnia turistica e gli Inglesi non davano passaggi a chiunque.
Quindi la famosa “missione Costa” appare fin da subito una “strana” operazione, i due italiani (i militari Alessandro Teagno e Attilio Dalla Bona) che avrebbero dovuto incontrarsi (il loro lancio avvenne più tardi) con Sartori erano agenti del S.I.M. (badogliani) e lui invece era un “civile per una operazione di intelligence”, inquadrato dal SOE britannico.
Tutto il resto è frutto di millanteria, o di altri interessi personali.
La verità, forse, è che Sartori non vedeva l’ora di ritornare in Italia (sarebbe bello sapere il perché) e, vista l’occasione, ha cercato l’appoggio di SPANO che conosceva bene gli agenti del SOE (in particolar modo alcuni ufficiali ebrei) e che probabilmente ha spinto per l’arruolamento di Sartori, sia per cavarselo dai piedi che con la speranza di una eventuale riuscita per la ripresa dei contatti.
Non c’era altro modo. Poi che fra di loro, fra Sartori e Spano abbiano parlato anche di “compagni”, di liste di nomi,ecc., questo è un altro discorso. Resta il fatto che Sartori ha “giurato” di rispettare il patto con il SOE che voleva un informatore al Nord che monitorasse la situazione politica e militare. Per farlo occorreva anche una radio ricetrasmittente e la favola che Sartori, scoperto “comunista” con l’intenzione segreta di approfittare della radio per tenere i contatti con Tunisi, è appunto una favola.
La prova logica dell’invenzione di Sartori, di raccontare di essere stato “scoperto” sta nel fatto che il SOE, che secondo Sartori sapeva già tutto (perché i due del SIM, sempre secondo Sartori, avrebbero spiattellato le intenzioni del collega), non avrebbe mai affidato una radio militare, conoscendo le intenzioni infide, a chicchessia e tanto meno ad un Sartori dipinto già come un traditore!
Il volo parte dunque il 21 agosto 1943, questo almeno è un punto fermo, e l’aereo si alza in volo perché Sartori si è presentato come un “mazziniano” antifascista, aiutato da un funambolo politico come Velio SPANO, uno superiore alla media dei militanti del tempo.
Il resto del racconto sulla presunta soffiata al SOE di Alessandro Teagno e Attilio Dalla Bona, i due militari italiani con lui nella missione (il loro lancio come accennato avvenne più tardi), è probabilmente solo un pretesto inventato per giustificare il “tradimento” (quello sì autentico) di Alberto Sartori nei confronti degli Inglesi.
Al tempo della partenza dell’aereo (21 agosto 1943) le “bande” partigiane avevano ancora da formarsi, non c’era nulla, solo un paese in guerra, poiché l’Armistizio dell’8 settembre 1943 era ancora da arrivare e in Italia c’era il regime militare di Badoglio.
Sartori, quindi, (e questa è una certezza assoluta) ha firmato un “patto” altrimenti non sarebbe partito. Poi, arrivato in Italia, lo ha tradito e si è fatto i fatti suoi. In galera, ma questo è materiale per la seconda parte di questa inchiesta.
Giorgio Marenghi