STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

 

 

Prima scheda profughi

 

I VENETI SI RIPARANO NELLE ISOLE LAGUNARI

 

L'IRRUZIONE DI ATTILA

 

Nel 452 d.C. Attila e il suo popolo invasero il nord dell'Italia. Da Aquileia, da Padova, dai centri minori, le genti venete dovettero cercare scampo nelle isolette della laguna, che da quel momento divenne un centro abitativo, politico e alla fine anche militare per la difesa del litorale adriatico dalle ricorrenti invasioni

 

 

 

In una torrida giornata di agosto del 410 d.C. Alarico re dei Goti conquistava, saccheggiandola, la città di Roma. Il re barbaro muovendo dalle lontane pianu­re danubiane, era riuscito là dove per mille anni nessun altro esercito o popolo straniero aveva osato: con­quistare la città che per secoli aveva retto e determinato le sorti del mondo allora conosciuto. Di fronte ad un popolo agguerrito e così lontano per lingua e costumi, le popolazioni della penisola cercano scampo nella fuga. Ed è proprio a seguito di quelle drammatiche circostanze che le genti dell’entroterra veneto trovarono probabilmente per la prima volta rifugio nelle antistanti isole lagunari nell’attesa e nella speranza che la situazione si normaliz­zasse e poter far quindi ritorno alle proprie case. L’area lagunare, tuttavia, non era una zona del tutto sco­nosciuta ai profughi. Già nei primi secoli dell’mpero i centri dell’immediato entroterra – Oderzo, Cavarzere, Altino, Concordia –, vi proiettavano infatti le loro imbarca­zioni costituendo molto probabilmente, una discreta rete di traffici e di scambi commerciali tra la zona meridiona­le gravitante attorno a Ravenna e la parte più settentrio­nale dell’area lagunare facente capo a Grado ed Aquileia.

 

 

Sicuramente abitata in epoca romana, per esempio, era l’isola di Torcello (Dorceum) posta sull’importante via marittima di transito verso il porto di Altino, come lascie­rebbero pensare alcuni resti archeologici datati attorno al I-II secolo d.C. Qui, probabilmente, sorgevano anche alcune ville dei patrizi altinati ricordate anche dal poeta Marziale (l sec.). La lenta decadenza dei municipi romani nel corso del ID secolo e i mutamenti naturali che interes­sarono l’intera area con estesi processi d’impaludamento specie nel settore centro meridionale, portarono proba­bilmente ad un lento abbandono della zona dove, tutta­via, il caso di Torcello doveva comunque rappresentare un’eccezione più che la regola. Difficilmente si può infatti pensare a forme di insediamenti duraturi ed organizzati nelle isole lagunari prima del V-VI secolo. Sicura appare invece, prima di quell’epoca, la presenza di stazioni di transito su punti ben specifici o nuclei provvisori di pesca­tori ed estrattori di sale come lasciano ben immaginare alcune testimonianze quali la lettera di Cassiodoro ai tri­buni marittimi (535 circa) o la più antica testimonianza di Servio.

 

Cassiodoro in particolare, descrive un mondo, quello lagunare appunto, abitato da gente umile ma labo­riosa che conduce una vita simile “a quella degli uccelli palustri” in case modeste, spesa per lo più nella pesca e nell’estrazione del sale. Questi insediamenti appaiono già ben radicati ed organizzati al tempo di Cassiodoro per non ipotizzare una loro più antica origine precedente quindi alle migrazioni dei profughi nel V-VIsecolo. Queste, piuttosto, andranno pensate piuttosto come ad un ripopolamento su vasta scala delle isole, un ripopola­mento che da transitorio acquisterà nel tempo un caratte­re definitivo.

 

Le migrazioni di interi popoli

 

Infatti, le straordinarie vittorie riportate inizialmente sui Goti dal generale Stilicone che avevano fatto ben sperare, vennero invece ben presto vanificate dallo stesso giovane ed inetto imperatore d’Occidente Onorio che con­dannando a morte per tradimento il valoroso generale, aveva irrimediabilmente segnato le sorti del suo stesso impero e della sua gente. Alarico conquistando Roma aveva ormai aperto la strada ad altri eserciti, ad altri popoli “barbarici” che da decenni premevano irrequieti ai confini dell’impero. E così, dopo i Goti, sarà la volta degli Unni, dei Sarmati, dei Vandali, che ad ondate successive si riverseranno nella penisola diventata, ormai, facile terra di conquista.

 

E da una remota terra stretta tra il fiume Volga e il corso settentrionale del Danubio, mosse­ro gli Unni di Attila, nel 452, alla volta dell’Italia dopo aver devastato con le loro scorrerie i Balcani e aver costretto la stessa Bisanzio ad una umiliante pace. Al seguito del potente re guerriero si muoveva un’orda com­posita di tribù germaniche e slave che penetrando nell’Illiria e nella Gallia, dove furono finalmente battuti dal generale Ezio, ebbero giusto il tempo di saccheggiare orribilmente gran parte dell’Italia settentrionale semi­nandovi terrore e desolazione. Abili e feroci guerrieri a cavallo – sul cavallo combattevano, ma anche dormivano, e mangiavano quasi esclusivamente carne cruda o appe­na fatta macerare tra la sella e il corpo dello stesso ani­male –, gli Unni tuttavia, non conoscevano la navigazione marittima, indicando alle popolazioni venete terrorizza­te, una possibilità di salvezza: il mare e le sue isole.

 

E così gli abitanti di Aquileia, distrutta e saccheggiata, trovaro­no scampo a Grado mentre la medesima via prendevano anche le altre popolazioni dell’area. L’insediamento dei diversi gruppi di fuggiaschi non dev’essere avvenuto, tut­tavia, in modo del tutto casuale e disordinato. I profughi probabilmente, si muovevano dalla terra ferma in gruppi già ben definiti, sicuramente quelli parentelari, preferen­do dirigersi verso zone comunque non troppo lontane o del tutto sconosciute. Ecco così gli aquilensi veleggiare verso Grado, gli abitanti di Concordia verso l’isola di Caprula, quelli di Altino a Torcello e i Padovani a Malamocco e a RivusAltus (Rialto), il futuro cuore politi­co e commerciale di Venezia. Le relazioni con i centri di terraferma restavano ancora ben salde, dato che il trasfe­rimento non aveva ancora assunto un carattere definiti­vo. Ma altri eserciti, altri popoli dovevano ancora scon­trarsi da lì a pochi anni nella penisola e la laguna allora, rappresenterà un sicuro e definitivo rifugio. Quanto ad Attila, ci volle tutto il carisma e l’autorità di un Papa come Leone I per bloccarne la discesa verso Roma. L’ondata devastatrice finalmente si ritirava.

 

 

I BIZANTINI INTERPELLANO IL GOVERNO VENETO

NARSETE CHIEDE AIUTO AI TRIBUNI

 

Cresciuto in popolazione ma anche in capacità di autodifesa e a volte di vera iniziativa militare, l'agglomerato veneto in laguna divenne centro di riferimento per le forze bizantine in Italia. E per ottenere libertà di movimento i generali di Bisanzio dovettero chiedere aiuto agli abitanti delle isole...

 

 

 

Stabilitisi nelle isole lagunari i nuovi abitanti assi­stevano impotenti, ma almeno al sicuro, allo sfa­celo dell’Impero. il governo dell’Italia era caduto nelle mani dei generali barbari mentre la trage­dia si consumava nel più totale disinteresse dell’impera­tore d’Oriente. Nel 476 Odoacre re degli Eruli, dimetteva l’ultimo imperatore fantoccio d’Occidente, Romolo Augusto, rimettendo all’imperatore di Costantinopoli le insegne imperiali. Era la fine ufficiale dell’Impero romano dei Cesari. Anche i “barbari” riconoscevano ormai un’uni­ca autorità, quella appunto di Bisanzio. E così, nella più totale anarchia, le popolazioni lagunari provvedevano ad organizzarsi con l’individuazione in ciascuna isola di un proprio rappresentante, il tribuno. Ogni isola, del resto, costituirà almeno fino all’XI-XII secolo una realtà auto­noma e svincolata dalle isole vicine. Erano dei piccoli cen­tri, quasi dei piccoli municipi che trovavano nel tribuno il loro locale rappresentante ed amministratore. La forte indipendenza goduta dalle singole isole, trova conferma nelle stesse modalità con cui i nuovi arrivati potevano impiantarsi nelle varie zone prescelte. il diritto di pro­prietà, non ancora regolato da alcuna autorità centrale era diretta conseguenza di quella occupazione. Gruppi di fuggiaschi, per lo più legati da vincoli famigliari o di ami­cizia, approdavano a questo o a quel lido occupandolo e diventando tra loro “consorti” (compagnones) e vicini di quel fondamento. Erano forse dodici le isole in quegli anni con un loro tribuno che aveva il compito principale di amministrare la giustizia civile e penale nella propria isola. Formalmente e ancora di fatto dipendenti dall’im­pero bizantino attraverso il controllo dell’esarca raven­nate che vi aveva provveduto a far eleggere un duca, le isole lagunari andavano intanto gradatamente organiz­zandosi.

 

Vivere in un ambiente difficile

 

Non dev’essere stato facile per gente abituata a vivere nelle città adattarsi ad un ambiente come quello lagunare. Si doveva arginare, bonificare, canalizzare rivi, prosciugare paludi e i piccoli laghi. C’era da strappare al mare e alle paludi lembi di terra per poterla coltivare mentre si provvedeva a collegare le isole sino ad allora abitate con rudimentali ponti di legno. Alle case di legno e paglia su straducole di terra prive di selciato, iniziavano così ad alternarsi i primi piccoli campi coltivati, i mulini e le saline, segno di una comunità in fervente crescita. L’alto livello organizzativo e l’importanza raggiunti dalla nascente comunità lagunare già alla fine del V secolo, sembrano trovare conferma dalla richiesta scritta ai tri­buni da parte di Cassiodoro per conto del re Teodorico, affinché questi prestassero il loro aiuto ed assistenza nel trasporto di alcune vettovaglie dall’Istria a Ravenna attraverso un percorso reso estremamente pericoloso ed incerto per la presenza dei corsari slavi. il ricorso all’aiuto dei veneti delle isole, lascia ben suppor­re che per quella data le popolazioni lagunari avessero già in qualche modo arginato vittoriosamente le azioni pira­tesche che da sempre infestavano l’alto Adriatico. E anco­ra alle popolazioni delle isole si rivolse il generale bizanti­no Belisario nel 538 quando le sue navi si trovarono invi­schiate nei vasti pantani della zona.

 

Un gran favore a Bisanzio

 

Da tre anni i Goti di Teodorico si scontravano con gli eserciti bizantini per il dominio della penisola in una guerra destinata a durare per circa vent’anni e che porterà con sé morte, carestie e pestilenze nell’intera bassa pada­nia. Ora, l’imperatore Giustiniano aveva provveduto a mandare in Italia un altro suo valente generale, Narsete, per contrastare efficacemente l’azione dei Goti guidati invece da Totila che era riuscito niente meno che a con­quistare Roma.

Questi, per impedire l’avanzata del generale bizantino verso la città di Ravenna sede dell’Esarcato, aveva fatto tagliare tutte le strade e rompere gli argini dei fiumi che allagarono così tutto il territorio di Padova fino ad Adria. Chiusa la via terrestre, a Narsete non restava che tentare la via marittima che richiedeva inevitabilmente l’inter­vento anche dei Veneziani.

Accolto a Rialto, Narsete chiese ai tribuni delle isole le imbarcazioni più adatte all’impresa facendo voto di erige­re due chiese qualora fosse tornato vittorioso sui Goti, fatto che puntualmente si verificò.

Tornato così a Venezia, Narsete provvederà a dare inizio alla promessa costruzione delle due chiese, la prima dedi­cata a S.Teodoro e destinata a venir inglobata nella futu­ra basilica di S.Marco, la seconda dedicata a S.Giminiano sul lato opposto della futura Piazza S.Marco allora ancora tagliata nella sua larghezza da un canale, il Batario, solo più tardi interrato. Questa chiesa, già riedificata successivamente su di un’a­rea notevolmente più arretrata, verrà infine distrutta per poter costruire il palazzo che ancora oggi chiude sul fondo la piazza. Così la tradizione, ma resta il fatto che la comunità lagu­nare attorno agli inizi del VI secolo doveva aver raggiunto già un notevole grado di sviluppo.

 

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