STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

sv10media

 

CADUTO IN UN AGGUATO TESOGLI DALLE FAZIONI RIVALI

 

LA MORTE DEL DOGE TRADONICO

 

 

Le faide interne alla popolazione veneta delle isole pro­voca sempre più gravi lutti e danni gravi alla vita in comune e alla solidità dello stato. Venezia ne è minata in profondità e i dogi vengono quasi tutti eliminati fisicamente. Non fa eccezione Pietro Tradonico che cade in un agguato fuori dal tempio di S.Zaccaria il 13 settembre deIl’864...

 

 

 

Non bastò certo un trattato di pace per fermare gli attacchi dei pirati Slavi alle navi veneziane. Approfittando dei continui disordini che agita­vano in quei tempi le isole lagunari, i Narentani ruppero infatti l’accordo da poco stipulato tru­cidando quasi tutti i membri di un mercantile veneziano di ritorno dal ducato di Benevento. Proprio a seguito di quei medesimi disordini, a Venezia veniva nel contempo deposto il doge Giovanni Partecipazio.

 

All’uscita della chiesa di S.Pietro in Castello il doge venne catturato, ton­surato e spedito in un lontano monastero di Grado dove finì i suoi giorni. fu simili circostanze di incertezza e di pericolo tanto all’esterno quanto all’interno delle isole, venne chiamato a ricoprire la carica ducale nell’836 Pietro Tradonico, “vir nobilissimus”.

 

Di origine istriana essendo i genitori venuti da Pola a Jesolo, Pietro, dicono le fonti, abitava ormai da molto tempo a Rialto ed era riu­scito a distinguersi solo grazie a numerose doti e meriti personali. Grazie a questi Pietro riuscirà a reggere ecce­zionalmente per ben trent’anni il dogato che verrà ricor­dato, infatti, come uno dei più lunghi di tutta la storia veneziana.

 

Tra i meriti del nuovo doge spiccava sicura­mente l’abilità guerriera che Pietro ebbe ben presto modo di affermare una volta salito all’alta carica. il suo dogato del resto si caratterizzerà proprio per le continue, inces­santi guerre contro Slavi e Saraceni. Questi ultimi aveva­no conquistato Creta nell’836 e, a seguito della debolezza dell’Impero bizantino, si apprestavano a conquistare anche la Sicilia e i principali centri dell’Italia meridionale. Brindisi, Taranto e Bari caddero in successione nelle mani degli Arabi senza che la flotta imperiale bizantina riuscisse ad opporre una valida resistenza. Nell’840 era così giunto a rialto da Bisanzio il patrizio Teodosio per investire Pietro del titolo di “spatario”.

 

In realtà, la visita aveva il ben più importante scopo di chiedere a Venezia il suo intervento contro i Saraceni. Già una volta la flotta veneziana del doge si era scontrata con le navi arabe presso le coste della Calabria, riportan­do tuttavia in quell’occasione una cocente sconfitta. Ora si trattava di recuperare la città di Taranto e di arginare l’a­vanzata araba nel Mediterraneo.

 

La coalizione di navi imperiali e venete, circa una sessantina, venne tuttavia nuovamente sconfitta dagli Arabi che risalendo questa volta l’Adriatico – Ancona venne messa a ferro e fuoco –, approdarono sino alle foci del Po. Lasciata Adria per non avervi trovato grandi bottini, i Saraceni fecero provviden­zialmente ritorno verso sud il pericolo, tuttavia, non era del tutto scongiurato. Le ripetute sconfitte dei veneziani avevano avuto infatti quale effetto immediato, quello di rinfocolare l’animo dei pirati Slavi che inoltratisi nella laguna assalirono e distrussero Caorle.

 

Dopo una furiosa battaglia i Veneziani riuscirono finalmente a respingere il nemico verso il mare aperto. I ripetuti attacchi dei pirati e le guerre contro i Saraceni, avevano costretto i Veneziani a dotarsi di una vera e propria flotta da guerra quando, sino ad allora, si era provveduto semplicemente a dotare di una qualche difesa i mercantili. A Pietro si deve infatti la costruzione delle prime grandi navi da guerra veneziane, le “zalandriae”, ...” di mirabile lunghez­za e velocità ...” mai viste prima e la cui eco raggiunse anche i paesi transalpini.

 

Un’altra vittima delle faide tra nobili

 

Allontanati dunque i Saraceni e sconfitti per il momento i pirati slavi, tempi duri attendevano tut­tavia il doge Pietro rimasto pericolosamente solo dopo la prematura morte del figlio e coreggente Giovanni nell’863. La turbolenta nobiltà veneziana vedeva infatti ben sei famiglie divise in opposte fazioni, scontrarsi cruentemente nelle calli della città. Il doge si ripromise di perseguire e di far condannare i responsabili di tanto disordine e crudeltà, riuscendo a far bandire tre fra le famiglie veneziane più bellicose. Così facendo, però, il doge non s’avvide di essersi attirato l’odio di un’intera classe sociale, quella appunto nobiliare, che mal tollerava l’intraprendenza dell’energico doge.

 

E proprio dall’ambito dell’antica ma anche della più recente nobiltà lagunare, provenivano alcuni dei congiurati che nell’864 assalirono ed assassinarono il doge. Fra questi spiccava il nome di un Gradenigo, di un Candiano e di un esponente della famiglia Falier. Il doge nell’atto di uscire dalla chiesa di S.Zaccaria, forse il giorno di Pasqua, per altri il 13 set­tembre, venne così aggredito e trucidato.

 

Invano le guar­die del suo seguito opposero resistenza nel disperato quanto inutile tentativo di proteggerlo. Per alcuni giorni le sue spoglie restarono sul selciato non avendo nessuno il coraggio o la pietà di raccoglierle. Infine si mossero le monache del vicino monastero di S.Zaccaria dove final­mente il povero doge trovò il suo definitivo riposo. Disperse ma non rassegnate, le milizie ducali intanto, si erano asserragliate nel Palazzo Ducale con la minaccia di non abbandonarlo se prima non si fosse fatta giustizia punendo i colpevoli dell’efferato omicidio.

 

Istituiti allo scopo tre giudici, si arrivò infine al verdetto che condan­nava all’esilio gran parte dei congiurati, alcuni a Costantinopoli, taluni in Francia. A quella drammatica circostanza, si fa risalire inoltre, la tradizione che vedeva il doge ogni mercoledì di Pasqua recarsi nell’isola di Peglia, sede delle guardie personali del doge, e lì dare un bacio al gastaldo e ai sette anziani dell’isola in segno e in memoria del perdono accordato agli uomini di Pietro Tradonico per la resistenza opposta nel Palazzo Ducale. Grazie a loro, intanto, e al loro coraggioso e generoso gesto, giustizia era fatta, ma Venezia intanto, era ancora una volta senza doge.