STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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DOPO LA PRESA DI NICOSIA DA PARTE DEI TURCHI

 

MEGLIO MORIRE!

 

Nel 1570 Nicosia cade in mano ai turchi. Come da triste e disgustosa usanza è la strage fra coloro che tentarono di resistere o di restare fino all’ultimo. Fra il bottino raccolto dagli Ottomani, anche le più giovani e belle matrone veneziane della città fra le quali BellisandraMaraviglia, eroina suo malgrado ...

 

 

Quando la notizia della caduta di Nicosia rag­giunse il comandante Zane in rotta verso Cipro, lo sconforto per i veneziani fu totale. Per mesi si erano lasciati trascinare dai presunti alleati, gli spagnoli, inutili discussioni. Era ormai chia­ro che gli spagnoli non avevano risposto con entusiasmo all’appello di Venezia per sostenere la difesa di Cipro.

 

Le navi messe a disposizione dal re Filippo II, una cinquanti­na in tutto, erano infatti malauguratamente comandate da Gian Andrea Doria, genovese, acerrimo nemico dei veneziani. E così mentre le altre navi, le cinque pontificie e quelle ducali presero a muoversi nella primavera del 1570, quelle spagnole del Doria si attestarono con tutta calma in Sicilia, con il pretesto di non aver ricevuto ordini tali da farle procedere oltre!

 

Ci volle tutta l’autorità del papa perché Filippo II inviasse l’ordine al suo comandan­te di proseguire verso Creta. Era già l’8 agosto e ci vollero ancora dieci giorni di viaggio prima che le navi spagnole raggiungessero quelle pontificie nel porto pugliese di Otranto, da dove finalmente presero il largo verso Creta. Lì, impaziente e ormai snervato dall’attesa, c’era il comandante Girolamo Zane con il resto della flotta vene­ziana.

 

A quel punto l’animosità del Doria e l’astio nutrito da questi verso i veneziani, ebbero modo d’esprimersi nelle forme più disonorevoli oltre che inopportune. Con i turchi che minacciavano sempre più da vicino l’isola di Cipro, il Doria non perse infatti occasione per tentare di sabotare l’impresa sollevando obiezioni di ogni genere, concludendo che lui con la sua flotta, possibilmente intat­ta, doveva per forza tornarsene nel Mediterraneo Occidentale entro la fine del mese al più tardi, per non trovarsi in pieno inverno e così lontano dalla Spagna ad affrontare le navi nemiche molto meglio equipaggiate di quelle veneziane. In realtà mancavano ben due mesi all’i­nizio dell’inverno e c’era dunque tutto il tempo per affron­tare la flotta turca.

 

Le tre flotte cristiane, poi, se riunite potevano contare su 205 navi mentre il nemico secondo le ultime stime non doveva averne neppure la metà. Zane a quel punto si dimostrò risoluto. Si doveva assolutamente attaccare e difendere l’isola a tutti i costi. il Doria a quel punto accettò a patto che alle sue navi fosse concesso di restare svincolate dal resto della flotta in modo da potersi defilare quando lo avessero ritenuto opportuno!

 

Era trop­po, ma allo Zane non restò che accettare. Così iniziava la sciagurata impresa che avrebbe dovuto difendere l’isola di Cipro, dove, nel frattempo, fra una discussione e l’altra dei cristiani, i turchi erano sbarcati, riuscendo nel giro di pochi giorni a conquistare la capitale Nicosia. La spedi­zione riunita di navi spagnole, veneziane e pontificie era naufragata nelle chiacchiere, fallendo ancora prima di salpare ed ora i frutti di quel fallimento erano flotto gli occhi distratti ed indifferenti dell’intera cristianità. Pietro Pisani assieme agli altri rettori dell’isola e agli ultimi cit­tadini veneziani, combatté per circa due ore fino a quan­do a dar man forte ai turchi sopraggiunse anche la caval­leria del Pascià di Aleppo.

 

Il Pisani, Niccolò Dandolo, governatore dell’isola e il vescovo Francesco Contarini, vistisi perduti si ritirarono a quel punto nel palazzo accet­tando poco dopo l’offerta di resa fatta loro dai turchi vitto­riosi. L’accettazione era ovviamente condizionata dalla promessa di aver salva lavita, cosa che infatti venne garanti­ta macome spesso accadeva non certo mantenuta.

 

Le promesse dei turchi disonorano chi le fa...

 

Dopo che il Dandolo fece deporre le armi a quei pochi soldati rimasti, i turchi entrati nel palazzo trucida­rono immediatamente e senza pietà i tre personaggi e con loro tutti quelli del seguito. Ancora una volta la promessa di aver salva la vita fatta dai turchi si rivelò nei fatti una semplice, tragica trappola per i malcapitati cristiani.

 

E anche quello che ne segui era ormai un tristemente noto copione: saccheggi, stragi, stupri e violenze di ogni sorta sconvolsero in poche ore la vita di quella città e dei suoi inermi abitanti. Alcuni storici riferiscono che in quella cir­costanza perirono all’incirca 20.000 cittadini di Nicosia. Molti altri invece vennero catturati e tradotti schiavi a Costantinopoli. Fra questi preferibilmente giovani fan­ciulli e giovani donne che vennero imbarcati su tre navi affinché giungessero nella capitale ottomana al Sultano Selim quale segno dell’avvenuta vittoria.

 

Fu in quelle drammatiche circostanze che si verificò uno dei più alti e coraggiosi atti di eroismo che vide come protagonista una nobildonna veneziana. Il suo nome era BellisandraMaraviglia, sorella di Giovanni, segretario del senato veneziano e moglie di Pietro Albrino, Gran Cancelliere di Cipro, scomparso nella strage consumatasi nella capitale. La donna invece, assieme a molte altre, venne catturata ed imbarcata quale bottino di guerra su una delle tre navi dirette a Istanbul.

 

La nave era comandata da Meemet Pascià e trasportava, quale nave ammiraglia, molte altre matrone catturate a Nicosia e destinate al fio­rente mercato di schiave. Di fronte a questa triste e ver­gognosa prospettiva, certo insopportabile per una nobil­donna veneziana, Bellisandra fece con le sue sfortunate compagne la sua scelta. E così, la notte che precedette lo sbarco nel porto di Istanbul, la donna diede fuoco ad una miccia nel deposito delle munizioni facendo esplodere la nave con tutto il suo carico umano. L’esplosione fu di una tale violenza che investì anche le altre due navi minori. Si salvarono alla fine solo lo scrivano e sei turchi. L’atto estremo di Bellisandra Maraviglia seppur risparmiò a lei e alle sue compagne sventurate una triste sorte, non ridusse minimamente la gravità della perdita dell’impor­tante città da parte dei veneziani, preludio alla totale e definitiva perdita dell’isola.