STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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FAMAGOSTA: INIZIANO I PRIMI CEDIMENTI

 

SI MUOVONO ANCHE LE DONNE

 

Dopo molti mesi di duro assedio, i cannoneggiamenti dei turchi aprono le prime brecce sulle ciclopiche mura di Famagosta. Per la città è solo questione di giorni ...

 

 

Con i viveri e i rifornimenti di munizioni presso­ché finiti, il comandante Baglioni e il capitano Bragadin non poterono a fine luglio che constata­re amaramente come i lunghi mesi di resistenza all’assedio turco fossero stati praticamente inutili.

 

Dopo i primi rifornimenti, infatti, dall’orizzonte non erano più spuntate navi cristiane. Resistere ancora in quelle condi­zioni era un atto senza speranza. Eppure fino all’ultimo nulla venne lasciato di intentato sperando sempre nell’ar­rivo dei rinforzi navali che avrebbero preso i turchi alle spalle, creando le condizioni per schiacciarli in un’opera­zione a tenaglia.

 

Ma le navi cristiane non comparivano e mai sarebbero comparse, anche se Bragadin non poteva certo saperlo. Non restava così che contare solo ed esclusi­vamente sui superstiti, quelli che si reggevano ancora in piedi, visto che ormai da settimane in città non era rima­sto più niente da mangiare, se non pane e qualche legu­me. I turchi, resi ancor più determinati e feroci dal lungo e inconcludente assedio, sferrarono infine il loro attacco generale, riuscendo infatti a poco a poco a conquistare parte delle possenti mura difensive. La prima torre ad essere conquistata fu la Morata, rivolta al mare. Sotto l’alta torre i turchi piazzarono ben 24 cannoni con i quali riuscirono a sbaragliare i pochi difensori e a procedere oltre, coperti alle spalle dal fuoco di copertura delle navi della loro flotta ancorata di fronte alla città.

 

L’assedio è sempre più stretto, sia dal mare che da terra, e anche all’interno si fanno sentire le malattie e la fame... Il lato verso il mare risultava così per i cristiani ormai del tutto indifendibile. Non restava che concentrarsi sugli altri versanti specie quello settentrionale dove s’in­nalzava la torre detta dell’Oca. La torre era già stata presa di mira più volte dalle artiglierie turche senza suc­cesso per l’astuta e ferrea difesa approntata dai veneziani che costrinsero alla fine i turchi ad abbandonare l’impre­sa o per lo meno a rimandarla.

 

Nelle settimane e negli ultimi giorni che precedettero la resa gli abitanti della città fecero l’impossibile per opporsi al destino già deli­neatosi. I momenti di sconforto, dovuti anche all’apparire­di numerose e gravissime malattie che uccidevano o fiac­cavano i sopravvissuti, si erano alternati a momenti di viva speranza e di frenetica attività. A gennaio i difensori erano riusciti, dopo una serie di fortunate sortite nel campo nemico, a ricevere i primi rifornimenti e i primi rinforzi di 1400 soldati italiani guidati da Luigi Martinengo che portava con sé anche 16 nuovi cannoni.

 

Quegli aiuti riaccesero per un istante la speranza di poter continuare a resistere all’assedio in attesa dell’ arrivo della flotta. Ma con la primavera erano arrivati anche ai turchi i rifornimenti e i rinforzi: circa 100 nuove galee e di un gran numero di uomini, in tutto circa 50.000 soldati freschi e pronti a combattere fino alla morte di fronte ai quali i 1400 soldati italiani non potevano che scomparire.

 

L’ultima fase della resistenza della città...

 

Iniziava così la fase più eroica e drammatica della resi­stenza di Famagosta, sempre nella cocciuta speranza che prima o poi il grosso della flotta cristiana sarebbe finalmente arrivato. In quelle ultime, lunghissime setti­mane che separavano i turchi dalla vittoria finale, i due comandanti, Baglioni e Bragadin, furono i veri protagoni­sti della situazione, organizzando, incoraggiando, dispo­nendo di continuo le difese.

 

L’apice dei loro sforzi fu rag­giunto probabilmente a fine giugno, quando i turchi piaz­zarono una grossa quantità d’esplosivo sotto una delle fortificazioni. All’alba del 29 giugno appiccarono il fuoco a questa potente mina. Un fragore spaventoso scosse l’inte­ra città. I turchi erano riusciti a squarciare in quel punto la cinta muraria. Sembrò cosa fatta. Da lì sarebbero facil­mente penetrati all’interno della città, ma non appena questa eventualità si rese palese agli occhi degli assediati, gli uomini del Bragadin si diedero a combattere con tale accanimento dall’alto dello squarcio che dopo sei ore di scontro il nemico non poté far altro che ritirarsi.

 

La ritirata, tuttavia, sarebbe stata comunque solo momentanea, giusto il tempo di riorganizzarsi per dar il via ad un nuovo assalto. Gli uomini impegnati in quei durissimi e drammatici frangenti in prima linea a difendere le mura e con esse la città, potevano contare sull’aiuto generoso delle donne che alle loro spalle lavora­vano instancabilmente per procurar loro acqua, cibo e rifornimenti lanciando là dove fosse loro possibile, anche delle grosse pietre sul nemico.

 

Sassi che dovevano essere impiegati nel tentativo di rabberciare le sempre più numerose e ampie brecce che le artiglierie turche apriva­no sulle mura. Niente e nessuno purtroppo poteva più mutare il destino della città e della sua gente che così coraggiosamente ed ostinatamente aveva resistito per tutti quei lunghi mesi. Niente e nessuno avrebbe potuto mutare l’orribile destino che attendeva di lì a pochi giorni il valente comandante Baglioni e soprattutto il capitano veneziano Marcantonio Bragadin.