STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA
AD OGNI SCONTRO SALE L’ENTUSIASMO
SI GIURA PRIMA DELLA BATTAGLIA
Molte sono le occasioni per i comandanti veneziani di esibire contro i turchi tutte le loro doti umane e militari. Gli equipaggi quanto a coraggio non sono da meno...
Dopo la vittoria navale da parte dei veneziani nelle acque di Paros, molti altri furono gli episodi eroici che si registrarono anche negli anni successivi. Nel 1654 venne chiamato nuovamente quale capitano generale della flotta veneta Luigi Leonardo Mocenigo. Prima che questi raggiungesse il resto della flotta di stanza nell’Egeo, accadde tuttavia un fatto memorabile nello stretto dei Dardanelli.
Il breve e stretto braccio di mare era da sempre un passaggio obbligato e per questo strategico nei traffici e negli scambi fra Oriente ed Occidente. Mettendo in comunicazione il Mar Egeo con il Mar di Marmara, tra Asia Minore (Turchia) e la penisola di Gallipoli, il tratto di mare serviva nello specifico ai turchi per ricevere i rifornimenti e gli aiuti necessari per sostenere l’assedio a Candia e i conflitti navali con i veneziani.
Da quell’imbuto e dal suo controllo dipendevano dunque, le fortune della flotta turca. Ora, lo stretto era saldamente in mano degli Ottomani anche se in più di un’occasione i veneziani tentarono di ostruirne il passaggio, come per esempio pochi anni prima fecero le navi di Tomaso Morosini. Nel 1654 si ritentò l’impresa. Il comandante Giuseppe Dolfin si portò infatti in quell’anno con le sue navi verso i Dardanelli. Sedici navi, due galeazze e otto galee veneziane riuscirono così a chiudere l’imboccatura dello stretto di Dolfin del resto, apparteneva ad una delle più antiche famiglie veneziane che la tradizione voleva fra le 23 grandi famiglie ducali. Nel Seicento e nel secolo successivo, in particolare, poi, molti esponenti di questa famiglia si distinsero in imprese militari e navali. Fra essi lo stesso Giuseppe, per l’appunto.
L’audacia di Dolfin rasenta l’inverosimile ma...
Questi, dunque si era portato nello stretto senza però rendersi conto della trappola nella quale in realtà si era cacciato. Se da un lato infatti, riuscì a bloccare momentaneamente lo stretto, dall’altro si ritrovò di fronte le navi turche di Amurat Pascià: 42 galee e 24 navi alle quali si aggiunsero le 22 galee di Beì.
Se le navi del primo comandante turco si trovarono effettivamente intrappolate dai veneti nello stretto, ben presto le galee del secondo portandosi alle spalle dei legni veneziani, chiusero queste ultime, a loro volta, nello stretto braccio di mare. Non tutto però era ancora perduto, c’era spazio per una battaglia onorevole. Il16 luglio le navi turche presero a muoversi. Intanto i veneziani si erano già preparati per colpirle al momento del loro passaggio.
Alcune delle loro imbarcazioni levata troppo presto l’ancora, vennero però risucchiate dalla corrente, al di fuori dello stretto, trascinandosi dietro sei galee e riducendo così ulteriormente la già esigua flotta veneziana. Erano infatti rimaste la capitana, tre navi e due galeazze, una delle quali cadde presto in mano nemica. Il primo vero scontro coinvolse poi la nave di Daniele Morosini che, sulle prime, sembrò reggere l’impatto. Ma la superiorità numerica dei turchi alla fine travolse non solo la nave del Morosini, ma anche quella comandata da Sebastiano Molino.
I turchi non avevano fatto i conti con il coraggio dei veneziani ...
Restava ancora la terza nave, l’ultima a disposizione dei veneziani oltre la capitana del comandante Dolfin. Quest’ultima unitamente alla galea del capitano del Golfo, fu la vera protagonista della successiva battaglia. Stretta da quattro navi turche, il suo comandante non si diede comunque facilmente per vinto.
La sua nave era stata ormai colpita in più punti. Aveva gli alberi spezzati e molte falle aperte nello scafo che imbarcava continuamente acqua. Il comandante veneziano cercava di porre rimedio con tutti i mezzi ancora a disposizione alla disperata situazione. Faceva rabberciare le falle, spegnere gli incendi che si sviluppavano a bordo, riuscendo alla fine ad uscire momentaneamente dallo stretto giusto il tempo di tirare il fiato.
Riassettato infatti il timone e preso nuovo coraggio, Dolfin anziché ripiegare e fare ritorno in patria date le evidenti, sfavorevoli condizioni, reimboccò invece il canale per affrontare un nuovo scontro. Prima però, aveva fatto giurare ai suoi uomini che avrebbero combattuto fino all’ultimo e nell’estremaeventualità appiccato il fuoco alla polvere da sparo piuttosto che cadere in mano nemica.
Tutti, naturalmente, giurarono. Lo scontro poteva allora incominciare. La nave veneziana continuando a far fuoco coi propri cannoni prese a muoversi puntando su di un unico obbiettivo: la capitana dei turchi. Contro ogni previsione la nave nemica venne dopo un durissimo scontro conquistata. Intanto sulle altre due navi veneziane uscite ormai dallo stretto con la certezza negli equipaggi che per il Dolfin fosse finita male, scoppiò incontenibile la gioia quando invece videro apparire improvvisamente la nave malconcia del loro comandante generale.
Il bilancio per i veneziani data anche l’inferiorità numerica e le condizioni delle loro imbarcazioni, era tutto sommato più che positivo. Millecinquecento turchi avevano perso la vita nello scontro, due dei loro vascelli erano stati incendiati mentre 5 galee rese inagibili e la loro capitana così malconcia da dover riparare a Istanbul. Non era proprio una grande vittoria da un punto di vista quantitativo e neppure quella decisiva o fondamentale, ma Giuseppe Dolfin poteva ritenersi personalmente soddisfatto e con lui tutta Venezia!