STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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DOPO UNA GRAVE SCONFITTA SULLE COSTE ALBANESI

 

IL RIFIUTO DEI PRIGIONIERI VENEZIANI

 

Roberto il Guiscardo, re dei Normanni, riesce grazie al tradimento a sorprendere le navi veneziane di grosso tonnellaggio all’ancora sulla costa albanese. La sconfitta è terribile e le perdite sono molto alte. I superstiti posti di fronte all’invito a militare nell’esercito avversario rifiutano preferendo la morte...

 

 

Alla morte del doge Pietro Orseolo, i Veneziani portarono sul trono il figlio di lui Ottone, già da tempo associato dal padre alla ducea. il potere raggiunto dagli Orseolo con la straordinaria politica di Pietro II stava tuttavia sollevando non poche gelosie, dubbi e rancori tra le grandi famiglie veneziane e tra il popolo da sempre violentemente riluttanti ad ogni forma ereditaria o personalistica del ducato.

 

E così Ottone dovrà ben presto pagare il prezzo dello strapotere raggiunto dalla sua famiglia con la deposizione e l’esilio dalla sua città. Era il 1023 quando Ottone lasciava Venezia e con lui il fratello Orso creato già dal padre patriarca di Grado – il terzo fratello Domenico era invece stato destinato a ricoprire la cattedra vescovile cittadina di Olivolo-Castello –.

 

Con la fuga degli Orseolo tuttavia, la situazione era destinata a precipitare. Rimasta vacante la sede patriarcale di Grado, non mancò infatti di appro­fittarne il patriarca di Aquileia Peppone – le contese e i rancori tra le due sedi patriarcali rivali non si erano mai del tutto riassorbite –, che attaccò niente meno che la stes­sa città di Grado.

 

A quel punto i Veneziani, visto minac­ciato il loro centro spirituale, richiamarono frettolosamen­te dall’esilio il patriarca Orso ed il fratello Ottone che riu­scì con le sue truppe a recuperare prontamente il centro gradense. La nuova vittoria, non fu tuttavia salutata con gande entusiasmo dai Veneziani che sicuramente soddi­sfatti, si ritrovavano nuovamente a fare i conti con gli Orseolo.

 

Ottone venne così costretto ad un altro esilio, questa volta definitivo, a Costantinopoli su pressione della parte avversa agli Orseolo capeggiata in quella cir­costanza da un tal Domenico Flabiano. Al vuoto politico creatosi con la partenza di Ottone per Costantinopoli dove morirà l’anno seguente, i Veneziani rimediarono consegnando le redini del dogato al fratello-patriarca Orso che dopo un breve periodo di reggenza si ritirò defi­nitivamente nella sua sede patriarcale di Grado. Il decli­no degli Orseolo, si era definitivamente compiuto.

 

Era il 1032 e Domenico Flabiano veniva eletto quale nuovo doge. La tendenza delle grandi famiglie veneziane del decimo secolo, dai Partecipazio ai Candiano sino agli Orseolo di rendere ereditario il dogato, venne ufficialmen­te spezzata in virtù di un provvedimento preso immedia­tamente dal nuovo doge. Il decreto stabiliva che il doge non poteva d’ora innanzi, affiancarsi un coreggente come non poteva indicare il suo eventuale successore.

 

La nomi­na ducale doveva restare prerogativa esclusiva del Consiglio mentre al doge vennero affiancati due consiglie­ri. Conclusasi, dopo dieci anni la ducea di Flabiano, venne così eletto nel 1042 Domenico Contarini. Sotto il suo governo ebbero inizio i lavori di costruzione della nuova basilica di S.Marco nelle forme ancora oggi ammirabili. I lavori della fabbrica proseguirono celermente anche sotto il successore del Contarini, Domenico Selvo, o Silvio, eletto nel 1070.

 

Ben altri problemi, tuttavia, dovevano richia­mare l’attenzione del doge e dell’intera flotta ed esercito veneziani. II pericolo per Venezia, questa volta, veniva dalle lontane terre del Nord e si chiamava Normanni. Abili navigatori e coraggiosi guerrieri, i Normanni, dalle originarie sedi scandinave avevano già da tempo trovato stabile dimora in vasti territori dell’Europa settentrionale (Russia, Inghilterra e Francia del nord-Normandia) e poco dopo il Mille, il ramo francese degli Altavilla, era pronto per scendere in Italia.

 

La meta era il sud dell’Italia dove in precedenza truppe normanne si erano distinte nell’intricato groviglio di guerre che vedevano scontrarsi Longobardi, Bizantini, Saraceni e libere città campane. Ottenuti vari territori quali compensi per i servizi resi (contea di Aversa e Melfi), solo con le conquiste di Roberto il Guiscardo (l’Astuto) i Normanni riuscirono ad imporsi quali nuovi Signori del Meridione, venendo riconosciuti come tali dallo stesso Pontefice Leone IX.

 

Roberto il Guiscardo ed il fratello Ruggiero presero a muoversi in due ben precise direzioni di conquista: Puglia e Calabria, ancora bizantine, e la Sicilia occupata dagli Arabi. Il Guiscardo occupò così Bari nel 1071 e nel 1077 entrava invece vittorioso a Salerno. Non soddisfatto, per rendere più sicure le sue conquiste, il Guiscardo occupò successi­vamente anche l’Albania, l’Epiro e l’isola di Malta.

 

La conquista di Durazzo nel 1082 mise in serio allarme il governo veneziano che seguiva con crescente preoccupa­zione l’avanzata travolgente di questi “pirati” nel sud Italia e nei Balcani, i due crocevia strategici per i traffici veneziani con Bisanzio che aveva ormai perso il proprio dominio nella penisola. La confluenza d’interessi tra Bisanzio e Venezia, portò i Veneziani ad appoggiare i pro­positi di rivincita dell’imperatore greco Alessio I Comneno. Dal 1081 i Veneziani iniziarono così a scon­trarsi con i Normanni. La flotta veneziana era riuscita ad occupare Corfù verso la quale faceva ora vela la flotta normanna. Nelle acque dell’isola per ben tre volte vi furo­no accesi scontri.

 

Ma il terzo scontro, si dimostrò fatale per i Veneti. Di quella tragica sconfitta ci resta la preziosa testimonianza della figlia dell’imperatore bizantino Anna Comnena. Sette delle grandi navi veneziane, racconta la principes­sa, vennero affondate e due, forse, prese aIl’arrembaggio dal nemico.

 

Né miglior sorte toccò ai bastimenti più picco­li posti al centro dello schieramento. Le navi, eccessiva­mente alleggerite dei loro carichi e delle loro zavorre al fine di facilitarne gli spostamenti in mare, nel momento della battaglia si sbilanciarono paurosamente diventando instabili per alla fine capovolgersi con tutto il loro carico umano. Anna dice che in questo modo perirono almeno  13.000 veneti mentre 2.700 furono quelli catturati dai Normanni.

 

La principessa greca sottolinea anche le terri­bili torture alle quali furono sottoposti i prigionieri vene­ziani ai quali, secondo la leggenda, il Guiscardo promise salva la vita se avessero accettato di combattere nelle milizie normanne. Alla proposta del re fece riscontro naturalmente, l’eroico rifiuto dei marinai veneziani che si rifiutarono di tradire la propria patria. preferendo per essa morire.