STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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LA REPUBBLICA SI SALVA E CONTRATTACCA

 

IL DOGE CONTARINI INCORAGGIA I VENEZIANI

 

C’è qualcosa di grandioso nei momenti di pericolo, è lì che vengono messi a dura prova gli uomini e a Venezia, assediata dai genovesi, si ebbe la fortuna di trovarne molti che dettero prova di grande valore e dedizione alla repubblica ...

 

 

Così narrano le cronache: “Alla fé di Dio, Signori Veneziani, non havrete mai pace dal Signore di Padova né dal nostro Comune di Genova, si pri­mamente non mettemo le briglie a quelli vostri cavalli sfrenati che sono su la Reza del vostr’Evangelista S.Marco”.

 

Questa fu la tremenda ed impietosa risposta dell’ammiraglio genovese Pietro Doria alla richiesta del governo veneziano di trattare la pace. L’obbiettivo, ormai evidente, era la conquista di Venezia. Chioggia, dunque, era solo il primo passo di un piano che avrebbe portato i gonfaloni di Genova a sventolare in Piazza S.Marco.

 

Il doge Contarini, in quella disperata situazione e ormai certo di dove puntassero i genovesi, aveva fatto il suo estremo tentativo di salvare la patria chiedendo di aprire dopo la caduta di Chioggia, le trattative per siglare la pace.

 

La pace, al contrario, doveva rivelarsi ancora molto lontana per Venezia che affannosamente si preparava all’ultimo, disperato tentativo per fermare l’ondata nemi­ca. Non c’erano purtroppo ancora notizie di Carlo Zeno e della sua flotta, ma nel frattempo si era ripristinato nelle sue funzioni di comandante Vittor Pisani.

 

La decisione, che trovava concorde il popolo ed il governo veneziani, fu presa tuttavia dal Senato con una certa riluttanza dato che il suo candidato Taddeo Giustinian era stato clamoro­samente respinto. Le circostanze tuttavia, erano di una tale gravità che non lasciavano certo il tempo per inutili e controproducenti discussioni. Si doveva al contrario e prontamente agire e così Vittor Pisani si ritrovò riabilita­to nel suo ruolo in un momento estremamente delicato per l’intera città. il Pisani dichiarò di non portare alcun rancore verso la Repubblica – aveva in fondo subìto ingiu­stamente l’umiliazione del carcere –, e di essere pronto invece, a sacrificare la propria vita per la salvezza della patria.

 

Vittor Pisani dimentica i torti subìti

 

Il comandante ora c’era, mancavano però ancora le navi. E così, nell’Arsenale si lavorò giorno e notte a ritmi massacranti per costruire nuove imbarcazioni tanto che nel giro di pochi giorni ben 40 galee erano pron­te a prendere il largo. In sole due settimane venne eretto, inoltre, un muro difensivo lungo il Lido, mentre una bar­riera fatta di tronchi d’albero venne stesa all’estremità occidentale del Canal Grande.

 

Un’altra palizzata venne fatta partire dalla chiesa di S.Niccolò di Lido e fatta pas­sare attraverso la laguna dietro le isole di S.Servolo e della Giudecca giungendo fino alla terraferma. Tutto que­sto febbrile lavorio era segno di una mutata atmosfera nella città che, dalla paura e dall’incredulità iniziali, stava riacquistando progressivamente la fiducia e la spe­ranza.

 

Tutto questo fu in gran parte merito di Vittor Pisani e dei suoi uomini che seppero infondere coraggio alla popolazione atterrita correndo anche di qua e di là nella laguna per sorvegliare, controllare e incrementare le difese poste alla città.

 

Anche il vecchio doge Andrea Contarini tuttavia, svolse un ruolo importante e determi­nante in quei giorni terribili. I genovesi erano sbarcati ormai a Malamocco, l’altra grande isola della Venezia mettendo praticamente piede nel cuore della laguna.

 

La situazione a quel punto era ormai a dir poco disperata. Non restava che attendere l’attacco finale del nemico. Eppure qualcosa nelle fila genovesi provvidenzialmente si era inceppato. il comandante Pietro Doria temporeg­giava invece di attaccare la città, suscitando le ire di Francesco da Carrara favorevole invece ad un attacco immediato, oltre che dei suoi uomini costretti a guardare ancora da lontano le leggendarie e favolose ricchezze di Venezia.

 

Questa incertezza, o forse la semplice volontà di voler evitare lo scontro diretto coi veneziani puntando a prendere la città per fame, costò comunque cara al comandante genovese consentendo invece alla comunità lagunare d’organizzarsi ed approntare le necessarie dife­se.

 

E così, ad attaccare per primi, furono paradossalmen­te proprio i veneziani. Giovanni Barbarigo era piombato su tre navi genovesi incendiandole mentre Jacopo de Cavalli avanzando verso sud lungo i lidi era riuscito a recuperare Malamocco. Era l’inizio della riscossa venezia­na. L’inverno, poi, si stava avvicinando e questo signifi­cava per Pietro Doria ritirarsi inevitabilmente con le navi a Chioggia per svernare con la pesante situazione di dover mantenere tante navi coi relativi equipaggi molti mesi lontano da Genova.

 

I rifornimenti inoltre potevano passare solo attraverso tre canali: Pellestrina e i due ingressi al porto di Brondolo che portavano direttamente in laguna, facilmente ostruibili con dei massi data la loro relativa profondità. Gli altri due accessi alla laguna, quel­li da nord, potevano essere invece pattugliati da delle milizie. E così venne allestita la squadra destinata ad andare ad ostruire i canali vicino a Chioggia.

 

Il doge Andrea Contarini nella Piazza del gonfalone ducale inco­raggiò calorosamente il popolo veneziano incitandolo a reagire in difesa della patria. Alle parole segui presto anche l’esempio. il doge infatti, malgrado la veneranda età di oltre 80 anni, scelse d’imbarcarsi con le milizie comandate da Vittor Pisani salendo sulla nave di Luca Contarini.

 

La piccola flotta di tre, forse quattro imbarca­zioni, salpò da Venezia il 21 dicembre del 1379 portando con sè a rimorchio due carichi di pietrame. All’alba la squadra era già in prossimità di Chioggia scatenando l’immediato allarme delle vedette genovesi. Malgrado l’i­nevitabile scontro presso Brondolo, le carcasse con le pie­tre erano state affondate nei punti prestabiliti. In poche ore tutte le uscite da Chioggia venivano in tal modo ostruite. I genovesi con la loro flotta si ritrovavano improvvisamente chiusi in trappola!