STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

 

 

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VENEZIANI E MILANESI SI DISPUTANO BRESCIA

 

SI PREPARA UN LUNGO ASSEDIO

 

Filippo Maria Visconti punta la sua attenzione sulla stra­tegica città di Brescia che gli oppone però un’inaspettata e dura resistenza destinata a durare più di un anno con la mobilitazione dell’intera città...

 

 

La guerra tra Venezia e il ducato di Milano intan­to, proseguiva fra alterne vittorie e sconfitte. Il 1438, in particolare, non fu certo un anno favore­vole alle armate veneziane. A seguito delle numerose sconfitte, il Gattamelata si vide costretto a por­tare in salvo verso il Garda le sue truppe lasciando in questo modo, tuttavia, pericolosamente sguarnita la città di Brescia.

 

Le armate del Visconti comandate vittoriosa­mente da Nicolò Piccinino avevano già occupato Verona e 1’8 novembre del 1438 si spostavano minacciose proprio verso Brescia. A difesa della strategica città lombarda stavano Francesco Barbano in qualità di supremo comandante, Cristoforo Donato, rettore, Taddeo d’Este governatore delle armi di Brescia.

 

La parola d’ordine naturalmente, era resistere a tutti i costi. L’improvvisa avanzata verso Brescia, creò non pochi e seri problemi all’esercito veneziano del Gattamelata e alla città stessa. L’unica via per ricevere i rifornimenti durante la stagione invernale – erano i primi di novembre – era quella che costeggiava il lato meridionale del Lago di Garda che metteva in diretta comunicazione Venezia con Brescia, ma allora era praticamente bloccata da un esercito mila­nese.

 

Brescia d’altro canto era il centro nevralgico delle conquiste veneziane occidentali. Se la città fosse caduta in mano del Visconti la strada per Venezia si faceva peri­colosamente sgombra e diretta. Anche per questo motivo il Gattamelata, saggiamente, rinunciò allo scontro cam­pale con l’esercito milanese, molto più forte e meglio rifor­nito, dal momento che dalle sorti della battaglia sarebbe dipeso lo stesso destino di Venezia.

 

Il rischio era troppo alto e le possibilità di vincere troppo esigue. Non restava che ritirarsi e contare sulla capacità di Brescia e dei suoi abitanti – decisamente filo veneziani – di resistere all’asse­dio delle armate lombarde. Iniziò così uno degli assedi più duri e una delle più disperate ed eroiche resistenze della storia di Brescia.

 

Una resistenza al di là delle aspettative

 

Un cronista locale narra che l’intera popolazione in quei lunghi mesi si mobilitò in difesa delle mura: preti, donne, bambini e frati, oltre naturalmente agli uomini di ogni età, si mobilitarono per far fronte ad un esercito assediante che poteva contare su di una ottanti­na di cannoni e su dei sicuri rifornimenti. Dalla possibi­lità di soccorrere in qualche modo la città facendovi arri­vare almeno i rinforzi minimi dipendeva l’esito dell’asse­dio.

 

Intanto Brescia resisteva eroicamente e proprio in quelle lunghi, interminabili settimane si distinse quanto a coraggio e temerarietà la figura di una donna: Brigida Avogadro. La donna se non fossero state le circostanze drammatiche nelle quali si ritrovò improvvisamente la sua città, avrebbe probabilmente continuato a fare la sua vita normalissima di moglie, restando sicuramente nel più totale anonimato.

 

Ma la situazione non era certo di quelle da starsene chiuse in casa e così Brigida, lasciata la pace domestica, decise di scendere in campo in difesa della propria città. Non da sola. Invitò e mobilitò altre donne amiche, conoscenti e familiari, affinché la seguisse­ro nell’esempio, costituendo alla fine una vera e propria squadra di donne-soldato.

 

L’assedio intanto si protraeva e il 13 dicembre le truppe viscontee tentarono un nuovo più violento attacco contro la città. Si avvicinarono infatti alle mura all’alba di quel giorno, ma questa volta le toni e i bastioni crollarono in poco tempo sotto l’urto nemico. Le due parti belligeranti si ritrovarono così a combattersi faccia a faccia, non essendovi più alcuna barriera a divi­derli. Lo scontro fu durissimo. Ogni arma venne usata per trucidare l’avversario: pugnali, balestre, mazze ferrate, dardi, scuri, spiedi e spade.

 

Si usano al massimo le forze in campo

 

Il Piccinino incitava e combatteva furiosamente, ma la sua speranza di risolvere in poco tempo lo scontro, si rivelò vana a causa della tenace resistenza dei Bresciani che combatterono generosamente con tutta la forza della disperazione. Il comandante visconteo, così, decise di attaccare direttamente la città dal Ravarotto con una squadra di cinquecento lancieri scelti comandati da Taliano Furlano.

 

Quando i soldati lombardi giunsero nel punto stabilito facilmente riuscirono ad aver la meglio sui pochi bresciani ormai rimasti a guardia delle mura diroc­cate, riuscendo quasi a entrare in città. Di fronte a quel periodo tuttavia, i bresciani giocarono d’astuzia appiccan­do fuoco ad un deposito di polvere da sparo provocando così una scura cortina di fumo che oscurò la vista ai cin­quecento soldati.

 

Nel frattempo si organizzarono anche in città delle resi­stenze in grado di respingere i soldati nemici. Brigida Avogadro chiamò a raccolta la sua squadra e incitò i pochi cittadini rimasti ancora in città e non impegnati sull’altro versante a combattere e a resistere. Finalmente i soldati lombardi, probabilmente impressionati dalla tenace resistenza dei cittadini bresciani si videro costretti ad abbandonare il campo e a fare ritorno alla base. La città per il momento era salva, e con Brescia anche Venezia tirava un sospiro di sollievo, ma l’assedio era destinato a riprendere.