STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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È GUERRA TRA VENEZIA E FERRARA... A GALLIPOLI

 

LE DONNE DI NUOVO A CASA!

 

Nello scontro tra Ferrara e Venezia ben altri interessi si agitano da quelli del Papa a quelli degli Aragonesi presenti nel sud Italia. Proprio lì Venezia indirizza improvvisamente la sua flotta di guerra...

 

 

Nel 1467 così si esprime Galeazzo Sforza, duca di Milano colloquiando con il segretario della Repubblica di Venezia, tal Giovanni Gonella: “Certo voi veneziani avete gran torto posse­dendo il più bello Stato d’Italia a non contentarvi e turbar la pace e lo Stato altrui. Se sapeste la malavolontà che tutti universalmente hanno contro di voi, vi si rizzerebbe­ro i capelli e lascereste vivere ognuno tranquillo nel suo stato”.

 

Le medesime parole, tuttavia, mantenevano tutta la loro validità anche a distanza di quasi vent’anni quan­do non solo l’odio contro Venezia aumentava mano a mano che la repubblica consolidava i suoi rapporti ami­chevoli con i turchi che nel frattempo mettevano a ferro e fuoco le coste della Puglia, ma divenne oltremodo smisu­rato quando la Serenissima riprese le armi contro una sua tradizionale e in genere benevola vicina: la città di Ferrara.

 

Da molti anni, nel 1481, fra le due città intercor­revano ottimi rapporti. Il duca Ercole d’Este, anzi, si era avvalso nel 1476 dell’aiuto veneziano per contrastare le pretese dinastiche di un suo nipote, affidando anzi la tutela del proprio figlio alla repubblica. Poco prima del 1480, tuttavia, Ercole aveva completamente mutato la sua disposizione nei confronti dei veneziani inaugurando tutta una serie di provocazioni. Innanzitutto iniziò a far costruire numerose saline attorno alle bocche del Po.

 

Questa iniziativa andava direttamente a minacciare il monopolio che ormai da otto secoli Venezia aveva instau­rato, e gelosamente conservato, nella produzione e com­mercializzazione del prezioso minerale. Come se non bastasse, iniziò poco dopo a riaprire la questione dei confi­ni sollevando delle obbiezioni che in realtà avevano ben poca consistenza e che avevano invece tutto il sapore di una vera e propria provocazione.

 

Provocazione che diven­ne aperta sfida quando il console veneziano fece arrestare per debiti di gioco un prete locale ed Ercole si schierò con il prete malgrado la sconfessione inflittagli anche dal vescovo della città. Era chiaro a quel punto dove il duca ferrarese volesse arrivare. Ma perché mai cercava a tutti i costi lo scontro con Venezia? Ercole aveva sposato la figlia del re di Napoli Ferdinando e non è da escludere che il mutato atteggiamento del signore ferrarese verso la Serenissima fosse in realtà dovuto alle pressioni del sovrano aragonese.

 

E così Venezia, pacificata coi turchi, scendeva in campo contro una lega di stati italiani ciascu­no mosso contro la repubblica da egoistici interessi. Milano, Firenze e Napoli si schierarono infatti contro la Serenissima ai quali presto si sarebbe unito anche il pon­tefice Sisto IV, non prima di aver lanciato un appello affinché Venezia deponesse le armi.

 

Troppo tardi. II doge Giovanni Mocenigo non retrocesse, anche se la sua fermezza venne presto pagata con l’interdetto papale che colpì il 25 maggio del 1483 la città di Venezia. Il doge, risoluto, rifiutò d’accettare la condanna pontificia e il Consiglio dei Dieci, deciso a mantenere segreta la cosa, diede ordine che nella città si continuassero normalmente a svolgere le funzioni religiose. Venezia non si fermò qui.

 

Non solo infatti con la sua decisione stava sfidando aper­tamente l’autorità del Papa, ma sola contro tutti gli stati italiani, decise di rivolgersi niente meno che al sovrano francese Carlo VIII, invitandolo niente meno che a scen­dere nella penisola per far valere i suoi diritti sul regno di Napoli. Il re francese per il momento declinò l’invito, ma Venezia era più che mai risoluta a danneggiare in qual­che modo il re Ferdinando ritenuto il principale artefice della lega anti-veneziana.

 

E così, una flotta veneziana guidata da Jacopo Marcello e Domenico Malipiero, prese a muoversi verso le coste pugliesi. Lungo il viaggio, riuni­ta la flotta a Sasseno, si propose di attaccare una delle tre città di Monopoli, Manfredonia e Gallipoli. La scelta fina­le cadde proprio su quest’ultima.

 

La flotta ducale era composta complessivamente da 56 navi fra galee, navi e grippi che trasportavano fino a 9.000 combattenti. Il 17 maggio del 1484 i legni veneziani giungevano così sotto le mura di Gallipoli con 14 galee e 5 navi. Vennero poi inviati dei messaggeri scortati da 90 militi con l’offerta d’immunità per gli abitanti e l’esenzione da ogni aggravio per dieci anni se la città si fosse consegnata immediata­mente ai veneziani.

 

La risposta degli abitanti di Gallipoli non lasciava alcun dubbio sulla loro scelta: sarebbero rimasti fedeli al loro re Ferdinando. E così Venezia si pre­parò all’assalto. Le galee entrarono nel porto e iniziarono a cannoneggiare le mura della città difesa accanitamente dai suoi abitanti. Per ben due volte i veneziani infatti, tentarono l’assalto finale venendo però in entrambi i casi respinti.

 

Il generale Jacopo Marcello anzi, venne mortal­mente colpito da una bombarda nemica in pieno petto mentre incitava i suoi uomini al combattimento. Ci volle­ro ancora due giorni di accaniti e continui combattimenti perché i veneziani alla fine riuscissero a piegare la resi­stenza e ad entrare finalmente a Gallipoli. Solo allora, fra l’altro, venne resa nota la notizia della morte del coman­dante Jacopo Marcello, tenuta segreta per evitare il pani­co e la fuga dei suoi uomini.

 

Venne nominato invece capi­tano Domenico Malipiero affiancato da due provveditori e presto si decise di espugnare definitivamente la rocca. Questa venne infine consegnata ai veneziani dopo l’inti­mazione di resa rivolta al castellano. Conclusa l’operazio­ne gli uomini tornarono alle loro navi mentre, per ordine del Malipiero, tutte le donne fatte prigioniere nelle due chiese cittadine dove erano stare raccolte, vennero fatte ricongiungere alle loro rispettive famiglie e mariti. Non bastò certo questo gesto magnanimo e di alta civiltà a placare i risentimenti e l’odio che una simile sortita aveva incrementato negli animi dei nemici della Serenissima.

 

Prevalse fortunatamente, per ora, il desiderio di pace det­tato più che altro dalle reciproche diffidenze e paure che iniziavano a serpeggiare nel fronte anti-veneziano. Si rag­giunse così l’accordo (Bologna, agosto 1484) dal quale Venezia sorprendentemente usciva favorita accaparran­dosi infatti, la città di Rovigo e altri territori nel delta del Po. La sortita contro Gallipoli aveva prodotto comunque i suoi frutti!