STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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DOPO DIECI ANNI DI DURISSIME GUERRE

 

FINALMENTE LA PACE!

 

La Lega di Cambrai era stata organizzata nel 1508 per distruggere Venezia. Le guerre che ne derivarono devastarono per dieci anni le città veneto-lombarde. La Serenissima aveva dovuto affrontare alcuni fra gli eserciti più forti d’Europa, ma alla fine era lei la vera vincitrice...

 

 

A desiderare la pace, comunque non era solo Venezia. Il 10 gennaio del 1515 moriva il re francese Luigi XII, liberando il trono per il suo successore, cugino e cognato, Francesco I. L’ascesa al trono del nuovo sovrano poteva far ben spera­re in una cessazione del conflitto che da anni vedeva Venezia, con alterni alleati, fronteggiare gli eserciti con­giunti della Lega di Cambrai.

 

Tuttavia il nuovo e giovane sovrano al momento dell’incoronazione assunse anche il titolo di “duca di Milano", come aveva fatto del resto in precedenza lo stesso Luigi, lasciando chiaramente capire quali fossero i suoi reali propositi. Ancora una volta gli interessi francesi si indirizzavano verso la nostra peniso­la, in particolare su Milano ed il suo Ducato. E cosi, nell’e­state di quell’anno il re francese, riunito un esercito di 50.000 cavalieri e di 60.000 fanti al comando di La Palisse era pronto a muoversi alla volta dell’Italia.

 

Di fronte a tanta potenza offensiva vennero mobilitati ben quattro eserciti da parte dei membri della Lega. Quello pontificio agli ordini del fratello del papa Leone X de Medici, Giuliano, quello spagnolo comandato dal solito Ramon de Cardona, quello milanese agli ordini dello stes­so Massimiliano Sforza ed infine anche un grosso contin­gente di soldati svizzeri che ormai controllavano di fatto la città di Milano.

 

Mentre gli spagnoli puntarono su Verona per impedire all’esercito veneziano di ricongiun­gersi con quello francese – Venezia era ancora alleata della Francia –, gli svizzeri si attestarono sui due passi alpini del Moncenisio e. del Monginevro da dove molto presumibil­mente sarebbero transitate le truppe francesi per scende­re in Italia. I pezzi erano ancora una volta ben dislocati sulla scacchiera bellica in attesa del primo segnale che desse inizio all’ennesima, sanguinosa partita.

 

Tuttavia il secondo comandante francese, Trivulzio, milanese di ori­gine e veterano delle guerre italiane, aveva fatto i suoi conti e scelse di puntare direttamente sul milanese attra­versando un’altra valle. Gli svizzeri vennero così presi di sorpresa e si avvidero dello scacco quando ormai le truppe francesi erano già alle porte di Milano. Trivulzio decise a quel punto di attendere i veneziani spostandosi più a sud della città, verso Marignano (oggi Melegnano) con la spe­ranza che le truppe veneziane riuscissero ad aggirare quelle spagnole, cosa che puntualmente si verificò.

 

Intanto gli svizzeri tentarono una contromossa contro i francesi con un attacco lampo ed improvviso. Ma i france­si tuttavia riuscirono a rintuzzarlo e ad uscire vincitori da questa grossa battaglia grazie ad un validissimo contin­gente di arcieri e artiglieria pesante, praticamente sco­nosciuta all’esercito svizzero, costituito in prevalenza da contadini specializzati nel corpo a corpo.

 

A tradire gli sviz­zeri fu anche il loro equipaggiamento, assai leggero che consentiva sì una grande mobilità ma che presentava d’altro canto problemi assai gravi di vulnerabilità. Massacrati a centinaia, tuttavia, gli svizzeri non si arrese­ro, tanto che si decise di interrompere concordemente lo scontro e di rimandarlo all’indomani data ormai la notte inoltrata.

 

Fu proprio con le luci dell’alba del nuovo giorno che giunsero al campo francese le truppe veneziane gui­date da Bartolomeo D’Alviano. Con l’arrivo inaspettato di questi uomini freschi, e pronti a combattere, la sorte degli svizzeri apparve definitivamente segnata, tanto che non ci fu neppure una nuova battaglia.

 

Solo la sera prima era stata data notizia al pontefice della vittoria degli elvetici ­tanta era la fama della potenza ed invincibilità delle trup­pe svizzere – e Leone X in persona si premurò di portare con gran piacere la notizia all’ambasciatore veneziano presso la Santa Sede, Marino Zorzi. Non dovette passare una gran bella notte il diplomatico veneziano, ma alla mattina arrivò rassicurante la notizia su come effettiva­mente si fosse conclusa la vicenda di Milano. Pare che fosse lo stesso Zorzi, questa volta, a voler informare – con grande piacere! – il pontefice sui fatti. La partita era pari, anzi, Venezia ne usciva a testa alta.

 

Quello di Merignano tuttavia doveva essere comun­que l’ultimo scontro di una certa rilevanza che chiu­deva la lunga sequenza delle annose guerre che avevano visto l’Italia del nord quale triste teatro. Con il trattato di Noyon, Francia e Spagna, la Spagna del futuro imperato­re Carlo V, si accordarono sulla spartizione della penisola, ma anche Venezia ottenne qualcosa.

 

L’imperatore Massimiliano, infatti, in cambio di denaro contante – l’e­terno problema dell’ormai anziano imperatore! –, rinun­ciava a tutte le terre promessegli con la lega di Cambrai, compresa la strategica Verona che tornava ai veneziani seppur per contorte vie diplomatiche che nulla tolsero di sostanza alla realtà dei fatti. E la cruda realtà era che a otto anni dalla fondazione della Lega di Cambrai che aveva lo scopo principale di distruggere la potenza vene­ziana, Venezia si ritrovava in possesso di tutti i suoi terri­tori di allora.

 

Otto anni di sanguinose, ininterrotte guerre che l’avevano vista affrontare spesso da sola, i più forti eserciti d’Europa, non avevano sostanzialmente compor­tato per la repubblica profondi cambiamenti. Anzi, Venezia aveva dimostrato a tutti ancora una volta la sua abilità diplomatica e la sua forza militare.

 

Malgrado gli enormi sacrifici sopportati – economici ed umani –, Venezia poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo. Il 18 febbraio del 1517 venne pubblicato nella città il tratta­to della raggiunta pace. Era domenica, una giornata di sole, narrano le cronache. Il doge Leonardo Loredan salì sulla poltrona ducale e, portato a spalla da quattro operai dell’Arsenale, uscì da Palazzo Ducale. Lo seguivano gli ambasciatori di altri stati e città. Dopo aver assistito alla Messa in S.Marco, il corteo passando dal cortile del palaz­zo ducale e dalla porta della Carta, ritornò in piazza, fer­mandosi vicino alla colonna dei bandi. Lì il segretario del senato, Alberto Tealdini, lesse a gran voce il proclama della pace, mentre la gente inneggiava a S.Marco. Finalmente, dopo tanti anni di guerre dagli incerti esiti, nel cielo della Serenissima tornava il sereno.