QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Novembre 1980 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume XII
[da pag. 642 a pag. 644]


7 LUGLIO 1945

di E. Trivellato

 

 


L’argomento appartiene storicamente al travagliato periodo del dopoguerra, tuttavia, per un insieme di motivi, mi è sembrato doveroso e corretto ricordare nei Quaderni, sia pure in breve, anche quel tragico avvenimento che è noto come l’”eccidio di Schio”. A parte alcune considerazioni ed interrogativi personali, i fatti qui riportati sono stati desunti da vari rendiconti giornalistici del tempo e dalla sentenza della Corte di Assise di Milano del 13 novembre 1952.

 

 


Nella notte dal 6 al 7 luglio 1945 una squadra di almeno dodici uomini armati e mascherati, partigiani di Schio e della zona, in precedenza riunitisi segretamente per concretare l’azione, penetrarono nelle carceri mandamentali di Schio, prima in 3 poco dopo le ore 22, poi in un secondo gruppo, infine in un terzo poco prima della mezzanotte. Quella sera nelle carceri stavano rinchiusi un centinaio di detenuti: 8 di essi (tra cui due donne) erano incarcerati per reati comuni, mentre gli altri (tra i quali 25 donne) erano stati arrestati dopo il 29 aprile 1945, il giorno della Liberazione di Schio.

 

Bloccati i custodi ed i loro familiari nell’appartamento al piano superiore, preso visione nell’ufficio matricola dell’elenco dei detenuti, chiamati fuori i “comuni” (8) ed alcuni “politici” (3), pochi minuti dopo la mezzanotte veniva aperto il fuoco a raffiche di armi automatiche nella camerata del piano superiore e quasi contemporaneamente in quella a pianterreno. Restarono subito uccise 47 persone, mentre altre 6 morirono all’Ospedale di Schio nei giorni successivi; altre 15 persone rimanevano più o meno gravemente ferite, altre 2 leggermente, mentre una dozzina scamparono illesi perché coperti dalla massa dei colpiti o riparatisi in qualche altro modo.

 

 

L’intervento del Comando alleato, responsabile superiore dell’ordine pubblico, portò all’identificazione dei partecipanti, ma solo 5 vennero tratti in arresto, perché altri 8 restarono latitanti, riparando in Jugoslavia. Per disposizione del Governatore militare delle Venezie la Corte militare alleata si riunì il 6 settembre 1945 a Palazzo Porto in Vicenza ed a conclusione del processo i 5 arrestati furono condannati, chi alla pena di morte e chi all’ergastolo; poi, per commutazioni di pena, furono scarcerati dopo 10 anni.

 

In seguito, in conseguenza dell’arresto alla frontiera italo-jugoslava di uno dei latitanti, fu istruito un secondo processo, di cui vi è la sentenza del 13 novembre 1952 della Corte di Assise di Milano, avverso alla quale vi fu un ricorso in appello l’anno dopo: vennero comunque erogati 29 anni al latitante-arrestato e 30 anni agli altri latitanti.

 

In sede di ricorso, la prima sezione penale della Corte di Cassazione nel 1954stabilì che, nel caso in esame, si trattava di un “reato politico” In proposito a Milano la difesa degli imputati sosteneva trattarsi di omicidio commesso nella lotta contro il Fascismo, l’accusa di un delitto comune a colorito politico, mentre la Corte di Assise sentenziò per “movente indubbiamente politico”.

 

 

Il lungo iter legale, documentato negli archivi giudiziari italiani, fornirà il materiale più importante per una ricostruzione dei fatti e per la discussione dei moventi che portarono alla tragica notte del 7 luglio 1945, tenendo tuttavia presente il clima politico nel quale si svolsero i processi. 

 

Non è invece noto se gli atti della Corte militare alleata, qualora ancora esistenti, si trovino in Gran Bretagna o in U.S.A. (Sono qui pubblicati gli atti di provenienza USA, nota di G.M.).

 

Potranno essere utili anche gli eventuali archivi dei numerosi legali di accusa e di difesa che intervennero nei processi ed infine gli eventuali memoriali di sopravvissuti, di familiari delle vittime, di persone coinvolte più o meno direttamente nella vicenda oppure gli eventuali memoriali degli stessi partecipanti all’azione. Attualmente per un’informazione di massima si possono consultare i resoconti giornalistici dei vari processi, riportati nella stampa nazionale e locale. (Invece in questo sito c’è parte di documentazione alleata, ecc.)

 

 

Non mi risulta che da allora siano emersi elementi così nuovi ed importanti da potere riproporre l’argomento in un’ottica diversa o perlomeno elementi tali da consentire delle risposte sicure agli interrogativi rimasti in sospeso a quel tempo per le cause più varie (assenza degli atti della Corte militare alleata, mancata presenza ai processi dei latitanti, possibile reticenza o meno nelle responsabilità collaterali).

 

 

Vi fu un’”ideatore” dell’impresa? A mio parere il termine è improprio, perché l’idea di sopprimere molti Fascisti compromessi con la R.S.I. non era nuova, se consideriamo le ucisioni avvenute a caldo ed a volte sommariamente nei giorni della Liberazione, ma anche dopo, in tutto il Veneto. Secondo Pisanò si ebbero in totale quasi 5.000 uccisi: 400 in provincia di Venezia, altrettanti nel Padovano, 800 nel Bellunese, circa 1.000 nel Vicentino, 1.500 in provincia di Treviso, 500 nel Veronese, un centinaio nel Polesine (Rovigo) ed un centinaio fra Bolzano e Trento.

 

 

Nel nostro caso forse vi furono dei Promotori che raccolsero, nel clima teso del momento, un rancore residuo contro i Fascisti che aleggiava come forza d’inerzia ancora a Schio, a due mesi dalla fine della guerra, per varie cause; forse ebbero un ruolo determinante, in essi, alcune motivazioni provenienti da un sofferto passato antifascista e l’idea che, con la Liberazione, non era terminata la lotta contro il Fascismo.

 

Di qui probabilmente la coagulazione di altri Partecipanti in età più giovane, dai 20 ai 23 anni, che acconsentirono all’azione per un insieme di concause: la martellante propaganda antifascista ed antitedesca svolta dagli Alleati e dal C.L.N.A.I. durante i venti mesi del periodo bellico, la frustrazione di alcune speranze coltivate durante la Resistenza ed un sordo malcontento e amarezza nel cozzo contro la realtà dei primi due mesi del dopoguerra, alcune tragiche situazioni locali sfavorevoli ad una pacificazione degli animi: rinvenimento di un sepolto vivo (almeno così si riteneva) in una caserma della G.N.R., eccidio di Pedescala, annuncio della morte a Mauthausen dei deportati scledensi, ventilata liberazione dei Fascisti da parte del Governatore alleato.

 

 

La gravità di questo clima scledense post-bellico non fu recepita, nelle sue possibili conseguenze, dal Governatore alleato di Schio in quelperiodo, malgrado i clamorosi segni di piazza: l’immediato trasferimento dei detenuti, tra l’altro sovraffollati, oppure un presidio militare avrebbero sventato i piani in atto.Perchè non fu recepita?

 

 

Nè la Corte alleata, almeno da quanto risulta pubblicamente, né i tribunali italiani approfondirono accuratamente il comportamento del personaggio in parola, il quale fu subito trasferito a Bassano e rese conto più tardi del suo operato al processo. Marginalmente, sul comportamento personale del Governatore durante la sua permanenza a Schio vi sono testimonianze non del tutto favorevoli. Dopo il fatto vennero arrestate una ottantina di persone per accertare eventuali responsabilità.

 

 

Altri problemi sorgono dall’esame dei Detenuti uccisi o feriti o scampati alla tragica sparatoria del 7 luglio 1945. C’erano il Commissario prefettizio di Schio, il vice-commissario, il Podestà e la Segretaria del Fascio di Torrebelvicino, il Podestà di S.Pietro di Valdastico, i tre Reggenti della Sezione di Schio del P.F.R., alcuni degli 11 componenti del Direttorio. Tra i detenuti si trovavano 27 iscritti al P.F.R. di Schio ed una quindicina di appartenenti alla Polizia stradale o alla G.N.R. o alla Polizia ausiliaria fascista.

 

C’erano tuttavia anche persone che, sotto l’ammanto politico, erano state arrestate per altri motivi. La scarcerazione in via breve o un processo avrebbero chiarito la posizione di ciascuno. Il poco tempo trascorso dall’evento e considerazioni sul piano umano e familiare non consentono un’analisi approfondita nel privato e nel personale, anche se ciò tornerebbe utile a coloro che furono arrestati per motivi politici generici ma sostanzialmente inconsistenti.

 

 

Dal mio punto di vista, sotto il profilo storico, ritengo che tutto l’argomento dell’eccidio di Schio possa essere ripreso con distacco solo in futuro e che debba essere allora affrontato nel modo più analitico ed esteso possibile nei suoi vari aspetti ideologico-politici, ambientali del tempo, privati e riservati, ciò ad evitare che vengano assunte oggi delle posizioni di parte, come succede a volte anche involontariamente, quando si fanno delle “selezioni” o delle predilezioni per alcuni aspetti di un avvenimento, trascurandone altri.

 

 

L’argomento è stato qui accennato in breve al fine di ricordare l’accaduto, di considerare a parte un’azione condotta ad opera di pochi con loro motivazioni, di rammentare le tragiche conseguenze delle guerre e delle esasperazioni politico-ideologiche sia in periodo bellico che in tempo di pace.