QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Gennaio 1978 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.


Volume II
[da pag. 83 a pag. 88]

 

ANTIFASCISMO « MINORE » IN PRETURA

 


di Marco Sessa

 

 

Il fascismo, fin dal suo sorgere, si trovò di fronte a dei fieri, seppur non numerosi, oppositori. Questi personaggi possono essere divisi in due fondamentali categorie: oppositori ideologici e oppositori occasionali. Ai primi appartengono i personaggi « storici », cioè gli antifascisti notori nell’ambiente scledense, che hanno subito arresti, carcere e confino per condanne della commissione politica provinciale o del tribunale speciale a Roma.


Però, accanto a questi oppositori di principio, per antica scelta, emergono fin dai primi anni del regime fascista gli oppositori occasionali. Sono in genere uomini tranquilli, abbastanza alieni dalla vita politica; contadini ed operai appartenenti alle classi popolari, o tuttalpiù piccolo borghesi. Proprio perché provenienti dal popolo, ne hanno tutta la sincerità e nel contempo la saggezza forgiatasi nel corso dei decenni. La loro opposizione al fascismo non nasce da un credo ideologico o da una valutazione razionale della realtà politica, ma istintivamente, per fatti tangibili, personali, che cozzavano contro il buon senso e lo spirito di tolleranza propri del popolo.


È proprio tale tipo di opposizione che si considera in questo studio, in sostanza perché è quello che interessa direttamente il lavoro di una pretura. Come ancor oggi per i reati comuni, così anche allora per quelli politici, la pretura è la sede del giudizio di primo grado, cui competono i reati, per così dire, minori. Gli altri, i reati cioè dei personaggi « storici », saranno di competenza dei tribunali, soprattutto di quello speciale. Ma per un panorama più ampio della storia locale sembra evidente l’importanza anche di uno studio dell’antifascismo a livello di pretura. Infatti l’analisi dei registri della pretura di Schio presenta alcuni dati interessanti, pur ribadendo che la quasi totalità delle denunce inoltrate riguarda proprio i personaggi « minori ».


Durante i primi anni del regime fascista non esistono, comunque, a livello di pretura di Schio, dati significativi per reati politici commessi contro il regime stesso. Ci si trova di fronte, per la maggior parte, ad un certo numero di oltraggi a pubblici ufficiali, che non possono essere considerati reati tipici. Certo, alcuni possono essere di chiara ispirazione antifascista, ma tutto sommato più che contro il regime in particolare erano rivolti contro l’autorità in generale.


Il primo vero reato di natura strettamente politica e antifascista si trova nel 1924 (commesso nel dicembre e giudicato nel luglio dell’anno successivo), con una assoluzione per amnistia. Si trattava di « grida sediziose e canti sovversivi » non meglio precisati, perché assolti grazie all’ amnistia del 1925: il reato era stato commesso da Giuseppe Brigo, Luigi Bortolotto e Giuseppe Ballardin.


Ancora « grida sediziose » (Giuseppe Sbalchiero e Andrea Canova), e « canti sovversivi » (Igino Carpin, Elvino Bertoldi, Giovanni Rigoni, Maria Zordan e Giuseppina Rigoni) nel corso del 1925, anche questi assolti per amnistia. Due, invece le condanne. Pietro Fabrello, un giovane di Posina, che alla visita di leva, durante la prova di alfabetismo, si fingeva analfabeta, per non scrivere la frase che gli era stata ordinata (« evviva Mussolini »); quindi si rifiutava, affermando che non avrebbe scritto evviva a « quel vigliacco e farabutto di Mussolini ». La sua condanna, però, non fu dovuta a questo reato (fu assolto per insufficienza di prove), ma perché durante la perquisizione gli venne trovato in tasca un coltello abusivo: 10 giorni di arresto.


Angelo Taufer, invece, operaio alla De Pretto, di origine svizzera, in un locale pubblico, vedendo entrare un gruppo di fascisti, gridò « abbasso Mussolini » e si mise a cantare in tedesco canzoni in cui i fascisti venivano definiti assassini. Fu arrestato e consegnato ai carabinieri: al processo fu condannato a 10 giorni di arresto.


Se nel 1924 e nel 1925 era possibile passarla liscia, grazie all’amnistia, negli anni successivi simili manifestazioni di ostilità al regime potevano costar care. Nel 1926, Secondo Toniol, Pasquale Toniol, Albano Novello, Giuseppe Casarotto, Antonio Faccin, Domenico Broccardo, Pietro Conzato e Guerrino Borinato si ritrovarono in pretura per grida sediziose (avevano cantato « Bandiera rossa » in un “magazzino” vinicolo a Liviera). Alcuni furono assolti per insufficienza di prove, altri furono condannati a 15 giorni di arresto.


Sorte simile toccò a Giuseppe Valmorbida, Angelo Pianegonda, Domenico Pianegonda, Antonio Pianegonda, Pio Brandellero, Rino Brandellero, Silvio Brandellero, Silvio Busellato e Giorgio Cortiana, che una sera per le vie di Valli del Pasubio ebbero a cantare « Bandiera rossa » (grida sediziose): 12 giorni di arresto il primo, 10 gli altri, e solo l’ultimo assolto per insufficienza di prove.


Dodici giorni di arresto ebbero anche Silvio Pozzo, Pietro Rossaro, Giuseppe Rossaro, Rodolfo Robal, Luigi Paian e Adriano Gios, sempre per aver cantato « Bandiera rossa ».


Piuttosto strana, per le successive assoluzioni, appare una vicenda avvenuta a Staro, sempre nel 1926. Presso un campo di bocce di un’osteria erano Antonio Sbabo, Florindo Sbabo, Domenico Sbabo, Marcello Sbabo, Nicolò Trattenero, Giuseppe Trattenero, Vittorio Tessaro e Maria Filippi. Giunse da Valli un manipolo di fascisti: Ezio Castellani, Clemente Rompato, Livio Rompato, Vittorio Gasparotto e Antonio Franchini. I primi si misero a fischiare, gridando « abbasso il fa-scismo, abbasso Mussolini »; i secondi si scagliarono contro e nacque una zuffa, nella quale alcuni restarono contusi. Quelli di Staro furono assolti dall’accusa (canti sovversivi) per insufficienza di prove. Dei fascisti solo i primi tre furono condannati per percosse e lesioni a 50 lire di ammenda, ma in appello al Tribunale di Vicenza l’anno dopo furono assolti per insufficienza di prove.


Si trovano in questi primi anni di dittatura fascista anche le prime condanne alla vigilanza speciale, con le conseguenti maggiorazioni delle pene previste, nel caso che un vigilato speciale si fosse sottratto agli obblighi imposti: presentarsi giornalmente in caserma, non abbandonare il luogo di residenza senza autorizzazione, e simili. Il primo caso, a Schio, è del 1923, e altri seguono negli anni successivi. Ma di questo argomento, di notevole importanza, verrà fatta una trattazione a parte.


Vi sono anche casi di renitenza alla leva, generalmente assolti per una precedente amnistia, ma non si ritiene questo reato di natura politica e tale da interessare questo studio.


Il 1927 è un anno relativamente tranquillo, forse anche a causa della promulgazione delle leggi « eccezionali » per la difesa dello stato. C’è però una condanna interessante. Si tratta di Artidoro Munari e Francesco Pegoraro, condannati ad un mese di arresto ciascuno, perché una sera, in un’osteria di Schio, avevano gridato: « Eia eia alalà, fascisti venite fuori che vi daremo il baccalà ». Per il resto, niente da segnalare.


Con l’anno successivo le grida ostili nei confronti di Mussolini non sono più considerate « grida sedizione », ma « offese a S.E. il Capo del Governo » oppure, indifferentemente, « offese al primo Ministro ». Ne fa le spese con 9 giorni di reclusione, Giuseppe Santacatterina, per aver detto ad alcuni della Milizia: « Vergogna di portare quella divisa. E Mussolini che ancora el ghe tien. Quando la finiralo sto fiol d’un can d’un farabutto ».


Ma la vicenda più importante avviene a Tonezza. Una sera (1928), durante un ballo, avvengono degli incidenti, sembra tra fascisti ed antifascisti; ma forse solo per questioni di donne. Fatto sta che il maestro, che è anche capo-manipolo della Milizia, Amedeo Dal Masetto, insegue alcuni uomini, sparando diversi colpi di pistola, senza però colpire nessuno. Numerose donne chiedono quindi alle autorità locali l’allontanamento dal paese del maestro; poiché il provvedimento tarda a giungere, in circa 200 donne, capeggiate da tale Veronica Sella, effettuano una pubblica dimostrazione davanti al municipio. Quelle riconosciute (evidentemente quelle più «facinorose» che guidavano il corteo), e cioè la stessa Sella, Anna Canale, Rosa Canale, Santa Canale e Rosa Dalla Via, vengono denunciate. Tutte vengono assolte per insufficienza di prove, eccetto la Sella: la sentenza è di 31 giorni di arresto e 1.100 lire di ammenda.


Sostanzialmente tranquillo l’anno 1929: forse per effetto dei Patti Lateranensi. Condanne contro vigilati speciali e renitenti alla leva. Ripresa di offese e oltraggio al Capo del Governo l’anno successivo. A Valli, certo Massimo Pozzer, venuto a diverbio con tale Emilio Ligato, se la prende con il fratello di quest’ultimo, Giacomo, milite, e se ne esce con una frase tipica del momento: « Quel lazzarone di Mussolini si è messo d’accordo con i preti per meglio buggerare il popolo italiano ». Per lui sono 7 mesi di reclusione e 500 lire di multa.


Margherita Dal Negro, alla quale avevano arrestato il figlio, non si sa per quali motivi, oltre alle offese ai carabinieri, esclama: « Vigliacco, puzzolente, farabutto di Mussolini ». 23 giorni di reclusione, 80 lire di multa e 130 di ammenda.


Giuseppe Berlato conia questa rima: «Mussolini da macacco ha sposato la figlia e ha aumentato il tabacco ». Sono 25 giorni di reclusione, però in questo caso con la condizionale. 


Vittorio Lais, lamentandosi delle eccessive tasse, esclama: « Varda qua quel farabutto vigliacco de Mussolini, cosa che el me fa pagar ». Sono 5 mesi e 6 giorni di detenzione, 300 lire di multa e altrettante di ammenda.


Paolo Crosara, di Monte di Malo, ebbe a venire a litigio con tale Giovanni Lionzo, per vecchi rancori politici, e così gli si rivolse: « Per voi fascisti è finita. Mussolini può andare a guzzare. Ci vorrebbe una caveiola scaldata e mettergliela in culo e strofinargliela in mezzo alle gambe ». 3 mesi di detenzione e 300 lire di multa.


Domenico Bortoloso fu invece assolto per insufficienza di prove dall’accusa di aver imbrattato alcuni ritratti di Mussolini.


Con il 1931 si avverte una certa attenuazione dei reati, e conseguenti denunce, per reati tipicamente politici. Segno che sta arrivando quel « consenso », voluto o subìto, che avrà il suo culmine con la creazione dell’Impero.


Da notare uno sciopero: Vittoria Crosara era stata cacciata dal posto di lavoro per non avere obbedito. E le compagne di lavoro, Eleonora Albanese, Emilia Badi, Elena Lagni, Olga Bressan, Angelina Milan, Maria Maddalena, Maria Adelanti, Maria Schizzarotto, Ernestina Marchioro e Maria Marchioro, effettuarono uno sciopero di solidarietà. La Crosara fu assolta perché il fatto non costituisce reato, mentre le altre furono condannate a 50 lire di multa ciascuna.


In questo stesso anno c’è la notizia, in pretura, di un rinvio di scledensi al tribunale speciale: si tratta di Giuseppe Dalla Pozza e Antonio Facci, imputati di offese a S.E. il Capo del Governo. Sono gli unici imputati di cui si trovi traccia, nella pretura di Schio, del loro rinvio prima al P.M. del tribunale di Vicenza, e poi a quello speciale. Ma non risulta, comunque, il tipo di sentenza.


Negli anni successivi si assiste ad una certa «normalizzazione »: numerose sono le condanne per avere eluso la legge sull’istruzione premilitare: sono soprattutto i genitori a pagare (in genere 100 lire di ammenda), per i figli che avevano « marinato » tale insegnamento.


Nel 1933 un certo Luigi Scorzato viene denunciato per espatrio clandestino, e gli atti inviati al P.M. del tribunale di Vicenza.


Sempre nello stesso anno vengono denunciati alcuni giovani: Elia Marchiori, Luigi Sessegolo, Antonio Santacatterina, Antonio Berlato, Antonio De Marchi, Pri¬mo De Marchi, Fiore Da Meda, Francesco Gavasso, Giuseppe Fochesato, e Girolamo Ballico. Erano imputati di aver organizzato un corteo, con un cartellone, sul quale c’era scritto: «Vogliamo pane e lavoro ». Furono tutti condannati a 10 giorni di arresto e 1.000 lire di ammenda, con la condizionale. Senza condizionale il solo Ballico.


Per gli anni successivi, gli unici dati si riferiscono ancora a contravvenzioni sulla legge dell’istruzione premilitare, o per renitenza alla leva.


Una situazione del tutto particolare si riscontra nel 1936. In quell’anno non esistono denunce per reati politici, ma una serie di « atti relativi » ad operazioni di polizia condotte dai carabinieri. Si tratta di « vane perquisizioni » in abitazioni (e qualcuna anche personale), e « fermi » per ragioni di pubblica sicurezza.


A Schio le perquisizioni vennero effettuate nei confronti delle abitazioni di Francesco Marchioro, Nicola Dal Sante, Nino Sandonà, Ruggero Antonello, Francesco Pietribiasi. A Malo nelle case di Giuseppe Maddalena, dei fratelli Manea, di Silvio Sartori. A Piovene in quelle di Stefano Panozzo, Francesco Facci, Gino Nasi. A Marano da Luigi Campanaro. ad Arsiero da Silvio Rossi; a Valli da Rosa Sbabo; a Pievebelvicino da Giovanni Menegozzo.


Per quanto riguarda i fermi, a Schio furono effettuati nei confronti di Francesco Marzotto, Giovanni Binotto, Rosolino Alberelli, Michele Nagliati, Giuseppe Broccardo, Vittorio Danieli, Serafino Scorzato. A Malo nei riguardi di Vittorio Marchioro e altri nove non noti; a Posina con Galasso Colangelo; ad Arsiero con Antonio Borgo.


Solo renitenza alla leva si riscontra negli anni successivi, anche dopo l’entrata dell’Italia in guerra. Se prima, però, si verificavano assoluzioni anche grazie ad amnistie di vecchia data, o condanne con la condizionale, nei primi anni di guerra la competenza passa dalla pretura al tribunale militare, di Vicenza o di Verona.


Nel 1942 si verifica uno sciopero per fini contrattuali, che è forse una prima avvisaglia dei grandi scioperi politici del 1943 e del 1944. Il 24 marzo 1942 scendono in piazza Celestina Gecchelin, Odilla Gecchelin, Rita Gecchelin, Emma Munari, Caterina Manfron, Maria Manfron, Adelina Casarotto, Palmira Angelini, Irene Cechellero, Irma Reghelin e Vilda Federle. Il processo viene fatto per direttissima ed il dibattimento fissato per il giorno 28 marzo. Ma a questo punto non avviene nulla e non si sa per quali motivi. Con un grosso tratto di penna rossa si trova scritto solo: « Annullato! ». Forse direttive giunte dall’alto hanno fatto capire che era preferibile evitare un processo, dato anche che era precisato che lo sciopero era stato effettuato per fini contrattuali; probabilmente si volle risolvere la questione in altra sede ed in altro modo.


Stranamente, tutto calmo nella pretura di Schio nel 1943, anche nel periodo dal 25 luglio all’8 settembre. I lavori sono sospesi, forse per la particolarità del periodo; ma bisogna notare che in tali mesi i lavori restano fermi anche normalmente per le ferie estive. Comunque, per la pretura, i gravi scossoni della situazione politica del 1943 non sono avvertiti, almeno a livello ufficiale. Con il 25 luglio il ventennio si chiude ed hanno inizio i venti mesi della resistenza armata e civile, che porta anche in pretura una situazione particolare: morti, fucilazioni, scoppi di ordigni bellici, sabotaggi. Tuttavia di questo verrà detto in un altro studio.


A conclusione, comunque, sembra proprio che durante il fascismo non siano finiti in pretura gli elementi « pericolosi » sotto il profilo politico, ma i meno smaliziati ed i più sempliciotti: quelli, per dire, che vedendo qualcosa che non va, non possono fare a meno di farlo notare, a tutta voce.

Marco Sessa