QUADERNI DELLA RESISTENZA 
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Luglio 1979 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume VIII
(da pag. 427 a pag. 434)

VII. I PARTIGIANI «RUSSI»
 
 

 

 

Durante la campagna di Russia i Tedeschi militarizzarono parecchi Russi, specie ucraini, e in divisa tedesca li impiegarono anche in Italia. F.W. Deakin, nella sua Storia della Repubblica di Salò a pg. 1015, riferisce che il generale Wolff – comandante supremo SS delle forze di polizia tedesche – disponeva in Italia di: 100.000 italiani  -20.000 russi - 15.000 tedeschi - 10.000 serbi - 10.000 sloveni - 5.000 cèchi - una legione indiana.


Alcuni di questi «russi» disertarono dalle caserme tedesche ed entrarono nelle formazioni partigiane. Alla fine della guerra i sopravvissuti si fecero rilasciare numerosi documenti attestanti la loro attività partigiana e tornarono ai loro paesi. L’argomento è reso difficile dal fatto che di questi «russi» è noto a volte il solo nome di battaglia, tuttavia si è potuto ugualmente raccogliere qua e là alcuni frammenti di notizie e soprattutto è venuto alla luce un curioso documento manoscritto in lingua russa, nel quale tre partigiani russi della GAREMI invitano i loro connazionali ad abbandonare l’esercito tedesco ed a rifugiarsi in montagna. Dei tre partigiani «russi» solo Michele tornò al suo paese dopo la Liberazione, mentre Sandro cadde nella battaglia della Strenta e Piero morì in una esplosione durante un aviolancio ai Campiluzzi. Di ognuno vi è ancora il ricordo in molte persone e la «]una» (Irene Pozza) rammenta ancora che Michele passò a salutarla prima di partire per la Russia.



I. UN DOCUMENTO IN RUSSO


Tra i documenti in possesso di Remo Grendene sono emersi tre foglietti: a) il testo in russo stilato a mano da uno dei tre partigiani « russi» presenti nelle nostre zone b) il ciclostilato dello stesso testo diffuso fra le truppe russe aggregate ai Tedeschi c) la traduzione italiana, che è appunto la seguente:


AI NOSTRI COMPAGNI RUSSI:

Vi comunichiamo che siamo tra i partigiani e ci troviamo molto bene quantunque i tedeschi ci dicevano che essi sono cattivi e combattono per interesse. I partigiani combattono per la liberazione della loro patria dai Tedeschi, che, come voi tutti avete visto coi vostri occhi hanno anche battuto e affamato milioni del popolo Russo. Noi non vogliamo combattere contro i nostri fratelli e padri per l’interesse dei Tedeschi.
Compagni non tardate a passare con le vostre armi dai partigiani, voi sapete che la vittoria tedesca non sarà mai, qui si combatte per la libertà e con la certezza della vittoria, noi vi aspettiamo tutti.
Firmati: Morunor, Loscucov, Daricenco



II. La testimonianza
In merito al documento vi è la testimonianza (27.6.78) di Remo Grendene:

«I tre russi avevano disertato dai reparti tedeschi e si trovavano nella zona di Arsiero-Posina; per i loro connazionali scrissero un testo in russo che io e mio fratello Stanislao abbiamo ciclostilato in molte copie, mentre Gastone Sterchele e Mario Prendin (Valmòra) si incaricarono di buttare i ciclostilati all’interno della Caserma Cella di Schio. Ricordo inoltre che in precedenza, verso il 20 settembre 1943, mia moglie dettò alcuni cartelli in tedesco, che vennero poi affissi al piedestallo del monumento all’“Omo”, che allora si trovava all’incrocio fra Via A. Rossi, Via Tessitori e Via P. Maraschin, quindi vicino al Comando di Indenbirken nella ex Casa del Fascio. Mia moglie Margherita Morellato di Gerardo è nata, a Schio il 23.8.1909 e la sua famiglia risiedeva a Ressecco in via Toaldi; il padre Gerardo nel 1910 emigrò in Svizzera a Lichtensteig vicino a S. Gallo, dove mia moglie imparò quindi il tedesco. Nel 1943 era interprete al Lanificio Rossi assieme a Margherita Bianco. Dopo l’occupazione tedesca di Schio il capitano Indenbirken aveva chiesto alla direzione del Lanificio Rossi le due interpreti; mia moglie restò presso il Comando per 3-4 mesi, poi se ne andò per maternità. Fu lei a tradurre in italiano il famoso manifesto di Indenbirken, riportato nel precedente Quaderno della Resistenza. Vari altri testi in tedesco furono diffusi fra le truppe di stanza a Schio ed uno di questi l’ho appunto trovato assieme ad altri documenti sotto un tavolato sconnesso del solaio perché avevo incaricato mio fratello Stanislao di bruciare tutto, quando l’8 settembre 1944 mi allontanai da Schio».




III. I PARTIGIANI «RUSSI» A POSINA



di Sereno Schiro
Dopo il rastrellamento di Vallortigara (17-18 giugno 1944) il Comando di Battaglione, che era attendato nel bosco di Valmara, si trasferì nei fortini del Novegno. Lassù il Comando decise di dividere le pattuglie, composte di 12-14 uomini, e di avviarle nei vari boschi della Val Posina in prossimità delle molte contrade della zona. Una di queste pattuglie era formata da Patan, Quirino, Teppa, Guastatore, Macario, Morvan, Golgota, Ciccio, Gino, l’inglese Checco, il francese Stella e da due russi: Sandro e Michele. La pattuglia ebbe l’ordine di scendere verso la contrada di Costamala, situata fra Fusine e Posina.


Quando verso sera la pattuglia scese nella contrada fu bene accetta dagli abitanti. Le donne premurose prepararono nelle loro case la cena, mentre gli uomini indicavano quale fosse, fra le 4 baite del monte, la migliore e la più nascosta; li aiutarono anche a portare nella baita della paglia e del fogliame. Nel periodo durante il quale la pattuglia rimase nella zona la popolazione diede uno spontaneo e valido aiuto, dimostrando pur nella loro povertà un cuore grande e generoso. Fu un periodo di vera quiete, nessun nemico aveva il coraggio di entrare nella vallata e quando qualche spia entrava e veniva riconosciuta, non usciva più. Di tanto in tanto qualche pattuglia usciva in esplorazione e ritornava sempre con qualche camion nemico carico di viveri e con altro bottino. Nella Val Posina non c’era coprifuoco, non c’era l’oscuramento; la popolazione si dedicava con tranquillità al lavoro dei campi e spesso i partigiani più esperti, perché di origine contadina, aiutavano le famiglie a falciare il fieno ed a zappare gli orti.


La quiete finì quando si ebbe la battaglia del Pasubio (31 luglio-1 agosto 1944): le famiglie cominciarono a temere una rappresaglia e molti abitanti abbandonarono le contrade più alte. Ma quando si seppe che i tedeschi avevano ricevuto una severa batosta, tutti ritornarono alle proprie case e nella valle tornò la tranquillità. Però dopo qualche tempo si ebbe l’attacco al colle di Xomo. Dopo questi attacchi la pattuglia di Costamala fu mandata dal Comando a sorvegliare la strada Arsiero-Posina-Laghi, alla Strenta. La pattuglia si sistemò in prossimità del bivio di Castana. Il Comando aveva raccomandato di stare all’erta, per cui ogni notte i partigiani prestavano servizio di guardia alla Strenta e rientravano nella baita a mattino inoltrato.


Anche il 9 agosto gli uomini di guardia erano tornati alla baita verso le ore 11: chi si apprestava a pulire le armi, chi a prendere un po’ di sole, chi a riposare; i due russi Sandro e Michele erano scesi nella contrada a prendere un po’ di minestra che una famiglia era solita preparare. Non era ancora trascorsa mezz’ora che gli uomini della pattuglia videro arrivare i due russi trafelati ed ansanti che gridavano: «Compagni! Tedeschi e fascisti girare per nostre strade!». Allora tutta la pattuglia corse ad armarsi. Venne subito mandata una staffetta al Comando per avvertire che nel paese c’era il nemico ed anche per sospendere la partenza del camion che a quell’ora da Posina, passando per Castana, si recava a Laghi con i rifornimenti.


Purtroppo la staffetta non giunse in tempo per fermare il camion e così fu attaccato dai tedeschi in prossimità di Castana. L’autista – Adolfo Pegoraro – con un’abile e veloce retromarcia, incolume, riuscì a portare la macchina fuori del tiro tedesco ed a tornare quindi a Posina. Allora i tedeschi, nell’intento di catturare l’automezzo, si spinsero fino alla frazione di Fusine e non avendo trovato il camion cominciarono ad aggirarsi per le case depredando e picchiando le persone. I partigiani si appostarono in prossimità della strada ed attesero il loro ritorno: in quel momento essi erano in 9 con 3 parabellum, 5 moschetti ed un mitragliatore italiano che purtroppo si inceppava abbastanza spesso.


Nel ritorno i tedeschi sparavano verso il bosco, ma i partigiani non risposero al fuoco e solo quando i tedeschi furono a pochi metri la pattuglia in agguato uscì allo scoperto, intimando la resa. Questi non accettarono e immediatamente divampò la battaglia; ad un certo punto i tedeschi caduti erano già una decina, anche se alcuni, protetti da un muricciolo, seppur feriti continuavano a sparare. I partigiani ebbero un primo caduto, Angelo Santacaterina («Ciccio») della classe 1917, mentre Sandra restò gravemente ferito.


Alcuni partigiani tentarono di aggirare e prendere alle spalle i pochi tedeschi che ancora opponevano una accanita resistenza e sul luogo del combattimento piovvero colpi di mortaio e raffiche di mitraglia. Stavano giungendo da Arsiero i rinforzi ed allora i partigiani con rapidità si ritirarono. Furono prestate le prime cure a Sandra, che aveva i polmoni perforati in più parti; dall’alto della collina si videro i nemici che stavano caricando i loro morti (12) in un camioncino della Croce Rossa, mentre verso Fusine la contrada Casetta stava bruciando.


Durante la notte anche Sandro morì. Il giorno seguente si trasportarono i due caduti a Posina in contrà Zamboni. In breve, per tutta la contrada, si sparse la notizia del lutto che aveva colpito le file partigiane e la popolazione di Posina partecipò commossa ai solenni funerali. Ma tutti erano convinti, partigiani e popolo, che un grave pericolo incombeva su di loro.


Infatti il mattino del 12 agosto 1944 iniziò il grande rastrellamento a tenaglia che aveva per centro Posina. I tedeschi erano decisi a stroncare il movimento partigiano. Gli uomini ed i giovani – è il parroco del paese don Antonio Tasca che scrive – si erano intanati in buche e crepe del Maio e della Perlona o inerpicati su rocce e picchi inaccessibili, per sfuggire alla cattura. Le mitraglie ed i cannoni tedeschi battevano ogni versante e non davano tregua. Il mattino del 12 agosto, per ben due volte, il Parroco fu messo al muro della sua chiesa con le mani in alto in attesa della esecuzione, sotto l’accusa che egli dava audizioni della radio nemica al popolo, anche se in realtà egli non possedeva alcun apparecchio radio. I soldati che avevano ispezionato minutamente tutte le case, mettendo sossopra tutto, portando via tutto quello che faceva loro comodo, trovarono nell’oratorio attiguo alla chiesa parrocchiale un apparecchio radio sotto il catafalco, ivi nascosto da una ragazza delle case vicine, all’insaputa del Parroco. Momenti terribili! Finché all’ultimo momento la ragazza si fece viva e confessò.


Intanto nell’interno della valle, verso contrada Griso, i rastrellatori avevano trovato un giovane architetto tedesco (pare si chiamasse Peter Puff) ucciso insieme ad un uomo ed una donna di Castana, fucilati perché spie. Così ebbe inizio la distruzione. Fu dato l’ordine di bruciare le contrade Lambre, Doppio, Lissa, Margan, Rustel, Bettale, Rader, Benetti. Ed in questa distruzione poco fu salvato perché i soldati puntavano il mitra al petto di vecchi e donne e li depredavano di denaro, ori, scarpe, ecc., bruciando poi quelle cose che le famiglie avevano cercato di salvare buttandole fuori dalle finestre ed un po’ lontano dai fabbricati.


La domenica del 13 agosto il «reparto russo» di Marano Vicentino, essendo venuto a conoscenza che alcuni giorni prima era stato sepolto nel Cimitero «Sandra», ferito a Castana e poi deceduto, salì a Posina. Il «Boia», comandante del reparto, ordinò l’esumazione del cadavere: quando vide che la salma di Sandro aveva i fiori come quella dell’altro caduto («Ciccia») per la pietà della buona gente della vallata, fece richiudere le bare e si astenne dall’eseguire una rappresaglia. Con il nomignolo di «Boia» era stato battezzato il comandante dei « russi» di Marano Vicentino, perché era un torturatore dei partigiani e dei civili colà imprigionati. Alla Liberazione il « Boia» si presentò in borghese al posto di blocco partigiano presso la Costa del Vento, nella strada che portava a Tonezza; fu subito riconosciuto da Ferdinando Canale e da altri, che nelle scuole di Marano erano stati suoi ... ospiti; anche il partigiano russo Michele confermò la sua identità. Il «Boia» fu processato, condannato a morte e la sentenza venne eseguita a Tonezza.


Nello stesso giorno di domenica 13 agosto 1944, durante il rastrellamento di Posina, vennero convocati con la forza in Comune i maggiorenti del paese e furono obbligati a firmare il seguente documento:




Posina lì 13 agosto 1944
AL COMANDO DI BRIGATA DEI PARTIGIANI - ZONA SCONOSCIUTA e per conoscenza ALLA POPOLAZIONE DEL COMUNE DI POSINA


Riteniamo sia già a vostra conoscenza che truppe tedesche stanno operando nella giurisdizione di questo Comune e dei limitrofi, una azione di rastrellamento. Noi sottoscritti, a nome di tutta la popolazione del Comune, abbiamo ordine dal comandante delle citate truppe, d’informarvi di quanto segue:

se entro il giorno 17 agosto 1944 non si saranno presentati ai loro reparti i seguenti quattro soldati russi:
LOSCUTON del Comando del Presidio di Marano
DALTSCHERKO del Comando del Presidio di Marano
MORUNON del Comando del Presidio di Marano
IVAN del Comando del Presidio di Schio
il centro di Posina e tutte le contrade del Comune, compresa la frazione di Fusine, saranno bombardate.

– se il rientro di detti soldati non dovesse venire entro il giorno 20 agosto prossimo, tutte le case situate nell’intero territorio del Comune di Posina, saranno incendiate e distrutte. Per la salvezza di questo Comune, già duramente provato da un’altra guerra, facciamo vivo appello al vostro senso di umanità per evitare anche il bombardamento del paese e la successiva distruzione. I soldati russi potranno rientrare ad uno dei seguenti Presidi: Arsiero - Schio - Marano.

TASCA don ANTONIO, LOSCO DIEGO, PREVITALI GIOVANNI, MUNARI GAETANO, ZAMBON SILLA, CANDERLE GIOBATTA, CERVO UBALDO, CAPRIN COSTANTE, MARASCHIN GIOVANNI, DALL’OSTO BORTOLO, VILLATORA don GIACOMO, SOLA SEVERINO, DENARO dotto GIUSEPPE, PAITA LUIGI, LOSCO DOMENICO, COSTABEBER GIOVANNI, FRIGO GIOVANNI, MARASCHIN GIOVANNI, RADER ETTORE.




Il Parroco di Posina venne incaricato di portare questo ordine ai partigiani. Un anziano della contrada Ressi s’incaricò di informare la pattuglia che si trovava nei pressi della contrada stessa, composta anche di alcuni russi. I russi intuirono ciò che si chiedeva loro, ma non se la sentivano di presentarsi, convinti che sarebbero stati fucilati. La popolazione stessa si oppose alla consegna, convinta che poi sarebbero avvenute ugualmente rappresaglie. La maggior parte della popolazione stessa era intanto sfollata verso Arsiero.


Uno dei russi chiese di avere un foglio ed una penna e l’anziano scese in contrada Ressi a prendere quanto richiesto. Su di un foglio di quaderno il russo, nella sua lingua, scrisse al Comando tedesco spiegando le ragioni per cui egli ed i suoi compagni non si presentavano; cercò di scagionare la popolazione e minacciò il Comando russo informandolo che se si fosse attuata la rappresaglia, essi avrebbero comunicato il nome dei loro ex compagni al governo di Mosca. La lettera ottenne lo scopo. Gli ostaggi non furono uccisi ma condotti a Marano Vicentino, dove rimasero, alcuni 17 giorni, altri 52; gli ultimi ottennero la libertà dopo ben 72 giorni.


In merito ai nomi russi della lettera mi sembra che non siano stati scritti esattamente; infatti, e ciò in base a documenti in mio possesso, tre dei nomi esatti sarebbero questi:

- DANIELOW ALESSANDRO nato in URSS nel 1908 - morto a Fusine di Posina il 9.8.1944 e sepolto a Posina.
- LOSCATOW MICHELE di Basilio e di BeascovaKsina, nato in URSS il 10.10.1909 e rientrato in patria dopo la Liberazione.
- MORONOF PIETRO nato in URSS nel 1908 e morto a Campomolon di Arsiero il 22.2.1945 per scoppio di mina e sepolto nel Cimitero di Tonezza.



Le notizie riportate nella presente Inchiesta provengono da varie fonti e precisamente dal diario di Bortoloso Valentino («Teppa»), dall’Archivio parrocchiale di Posina, da varie testimonianze di persone anziane intervistate a Posina.
Sereno Schiro





IV. I PARTIGIANI «RUSSI» IN VALLE DELL’AGNO



La presenza di partigiani «russi» è segnalata anche in Valle dell’Agno presso la Brigata «Stella», come risulta dal seguente documento a firma autografa di Alfredo Rigodanzo («Catone»), allegato ad una relazione nella Brigata.


DIVISIONE «A. GAREMI» COMANDO BRIGATA STELLA aderente al C.L.N.
Oggetto: Forze di elementi di nazionalità straniera presenti nelle formazioni. NOTA: Si rende noto che per coloro ai quali mancano le generalità, non fu trascuratezza del C/do di Brigata il non possederle, dovendosi attribuire ogni colpa agli stessi elementi di nazionalità straniera, che per timore non vollero mai dare il loro nome. «Alex» e «Nicolai» possono fornire i dati di Boris. Ovidio e Fortuna i dati di Alcol e Ovidio.
RUSSI
«Nicolai» - Mikailoff Fiodor - Residenza: Cariton (Caucaso URSS)
«Alex» - Petrov Alessandro «Bori » - deceduto
POLACCHI
«Ovidio» - Tomancjnsckj Woice - Varsavia - Polonia
«Fortuna» - Zacorskj Andrea - Varsavia - Polonia
«Alcol» - deceduto
«Giacek» - assentatosi il 9.9.1944 dalla formazione
FRANCESI
«Vento» - Barbarin Pierre di Leone - Res. Clermont-Ferrant
«Jaques» - caduto in località Civillina il 24.1.1945
«Rolando» - allontanatosi nel novembre per raggiungere la Francia
«Roberto» - idem «Francia» - caduto il 14 ottobre 1944
TEDESCHI
«Ravenna» - caduto in mano nemica il
«Jose» - caduto in mano nemica il
Timbro della Brigata e firma.


In merito al documento sarebbe da accertare se Pierre Barbarin è il famoso «Pierre» presente a Schio e coinvolto nell’arresto di Suor Luisa Arlotti. Per quanto riguarda «Jose» dovrebbe trattarsi di «Josef», l’austriaco di Graz caduto in Raga e del quale si scriverà in un prossimo Quaderno.



V. I 34 RUSSI DELLA GAREMI



In «Brigate d’assalto GAREMI » (cit., pg. 174) vengono riportati i nomi seguenti:

l. BOCCOVIL CARIOL (Vassilli) - 2. COSTANTI N VORIBIO - 3. CA¬LININ ANATOLI (Robinson) - 4. CRETOV IVAN (Jano) - 5. CLUVACK EMILIAN (Giacomo) - 6. CURCICOV PETER (Pietro) -7. CAMNIAZIN PE¬TER Vania) - 8. CHIRICENCO PATER (Boris) - 9. FEDOSOF ALESSANDRO - 10. GHETMAN NICOLAI (Cirillo) - 11. IPIFANO GOESADE - 12. LUBI¬NOV IVAN (Giovanni) - 13. LAVRINIENCO VASSILLI (Vascia) -14. LUNI¬CENICO EVGHENI (Zenia) - 15. LAMOV NICOLAI - 16. MICAILOV FE¬DOR (Alfredo) -17. MICAILOV DMITRI (Dmitrio) - 18. NICHICIN COSTAN¬TIN (Protopopof) - 19. NAZARENCO GREGORI (Vittorio) - 20. NOVOCRE¬SCENOV NICOLA (Nicolar) - 21. SIROTKIN NICOLAI (Dirna) - 22. SAPRI¬GHIN ALESSANDRO (Alessio) - 23 . SCEMASCO PIETRO - 24. SVENTO¬NOSCHI GIUSEPPE (Giorgio) - 25. TIELUSCHIN LEONID (Leonida) - 26. VASSILLI BUTIN (Antonio) - 27. VASLAV LEONE (Seffiro). A questi si de¬vono aggiungere i «russi» indicati da «Catone» in Valle dell’Agno: 28. MI¬KAILOFF FIODOR (Nicolai) - 29. PETROV ALESSANDRO (Alex) - 30. Boris. Infine i quattro «russi» indicati nella presente ricerca: 31. DANIELOW ALES¬SANDRO (Sandro) - 32. LOSCATOW MICHELE (Michele) - 33. MORONOF PIETRO (Piero) - 34. EFINON PETR.


UN INGEGNERE RUSSO - Cesare Frinzi riferisce (28.7.77): «Avevo lavorato presso la Fabbrica Navette dal 1937 al 9 agosto 1941 e nell’estate del 1939 sostenni gli esami di aspirante operatore cinematografico. Dal 15.6.1942 fino al 1948 lavorai nelle Officine Gregori come “elettricista specializzato”, ma spesso ero chiamato come operatore al Cinema Centrale, dove durante l’occupazione tedesca proiettavano qualche sera dei films o documentari per le truppe di stanza a Schio. Una volta Gino Berlato (Vill. Pasubio) mi presentò un militare russo aggregato ai Tedeschi, il quale era un ingegnere. Gli era stato imposto un nome italiano – Caneleo Vittorio – ed aveva inoltre un suo amico russo di nome Curio Giovanni; me li scrisse sul frontespizio di un libro. Questo ingegnere avrebbe dovuto fornirmi i nomi degli informatori scledensi che, dopo il coprifuoco, si recavano in Caserma Cella a recare notizie ai Tedeschi. Invece dopo un po’ di tempo non lo vidi più, forse venne trasferito, e non so dove sia andato a finire».


I RUSSI DI GUARDIA - Francesco Broccardo (Tartaro) di Santorso (pg. 164) racconta che ai Fiorentini, durante la zona libera, si trovava con “Goti” e con Pio Formilan (“Azzurro”). Vennero mandati per un certo tempo anche Sandro e Piero. I due volevano essere loro di guardia alle 4 del mattino perché dicevano che gli italiani chiacchierano e bisbigliano troppo, mentre loro erano talmente silenziosi e immobili che a volte si avvicinava anche il tasso. Erano molto arrabbiati con i loro connazionali che restavano con i Tedeschi e dicevano che si doveva ammazzarli tutti. Volevano attaccare la Caserma di Santorso. Parlavano l’italiano abbastanza bene. Una sera piantarono fra loro una baruffa tremenda e - dice Tartaro -sembravano due tigri affamate; alla fine si scusarono dicendo che ogni tanto bisogna sfogarsi. Più tardi il Comando di Posina li trasferì in un’altra pattuglia.


EFINON PETR - In un elenco di partigiani degenti all’Ospedale di Schio nei giorni della Liberazione figurano in ingresso: 7 aprile BRUSCHI AUGUSTO (Pisa) - 13 aprile CIMIERI ELIO (Vinci) ¬28 aprile DALLE NOGARE AUGUSTO (Bianco) - 29 aprile TRENTIN ARDUINO (Francia), MICHELETIO LORENZO (Brocca), FERRACIN LUCIANO, SIGNORE CORINO (Libero), CAVALLERO GIOVANNI (Lora), BORTOLOSO UIGI (Gino), TOMMASI GIUSEPPE (Sole), GECCHELIN AGUSTINO (Bolognese), ZICCHE ERMENEGILDO, BROCCARDO FLAVIO - 30 aprile ANTONINI LUIGI (Vipera) - 2 maggio PRETTO SISTO (Pedescala) - 1 maggio SMIDERLE EMILIO - 10 maggio EFILON PETR (Russo) - 12 maggio DE ROSSI GINO (Ceck III), CARTA GIACOMO (Greco) - 14 maggio PANIZZON PIETRO (Gran Bufalo), FANCHIN LINO (Mass.)
Curiosa l’annotazione in inchiostro rosso di G.B. Milani: «Abbisognano di un paio di brache ciascuno. Come si può provvedere?».