QUADERNI DELLA RESISTENZA 
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Luglio 1979 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume VIII
(da pag. 418 a pag. 432)


VI. IL GRANDE RASTRELLAMENTO DI POSINA
12-13-14 agosto 1944
 
 

 

 

RACCONTI PARTIGIANI
Se consideriamo il fluire degli eventi dall’8 settembre 1943 fino alla Liberazione è possibile individuare – nella storia della Resistenza delle nostre valli – alcuni periodi progressivamente subentranti ma in un certo modo separati da particolari avvenimenti ad alta tensione che concludono una situazione a mo’ di sipario e che, dopo un intervallo più o meno lungo, aprono un nuovo atto, con vecchi e nuovi protagonisti, ma impercettibilmente diverso nella sostanza e nello spirito rispetto al periodo precedente. Un fenomeno che non è solo della Resistenza e dei periodi bellici in generale ma che è caratteristico dei tempi caldi e delle situazioni storiche che vanno maturando una trasformazione radicale della società.


Per i partigiani armati che si trovavano nella «zona libera», per la popolazione locale e per quanti altri operavano attivamente in aiuto alla Resistenza nelle zone circostanti alla «zona libera» (C.L.N., familiari di partigiani, madri e spose, ragazze staffette) il grande rastrellamento di Posina fu un evento ad alta tensione emotiva il cui ricordo è tuttora vivo e presente in un gran numero di persone.


Il rigore e la razionalità, che sono d’obbligo in un ricercatore di storia difficilmente possono esprimere le emozioni del momento, i drammi personali, l’irrazionalità di alcuni comportamenti ed in sostanza il clima reale di uomini e di gruppi che si trovavano braccati dai Tedeschi. Forse in questo la letteratura, per il suo aspetto creativo, supera la descrizione storica. Per una tale considerazione ho voluto dare spazio ad alcuni racconti partigiani che mi sono apparsi significativi. In un avvenimento complesso come il rastrellamento di Posina non vi è dubbio che ognuno in esso coinvolto ha una sua lunga storia quanto mai drammatica e interessante, per cui un intero libro non potrebbe raccoglierle tutte. Si è imposta quindi una selezione, purtroppo opinabile nei criteri di scelta, con la speranza comunque che altre storie possano trovare spazio nei prossimi Quaderni.



«TOM»


«La notte dell’inizio del rastrellamento stavamo aspettando dagli Alleati un aviolancio sul Pasubio, uno dei più importanti, addirittura con sei aerei: erano stati promessi mortai ed armi pesanti. Il messaggio, a quanto mi fu detto, era stato positivo, e quella notte sentimmo gli aerei che sorvolavano a grande altezza; non sganciarono perché forse erano stati avvisati del rastrellamento in corso. Il nostro distaccamento di circa 80 uomini (comandante “Tom”, vicecomandante “Vinci”) era diviso in tre grosse pattuglie: quella di “Lince”, che aspettava il lancio sul Pasubio ed avrebbe subito avvisato le altre due, quella di “Erreti” sistemata verso la Borcolo e infine quella del Comando con “Tom” “Vinci” “Guido” ed altri. Dal momento che il rastrellamento bloccò le comunicazioni fra le pattuglie posso solo riferire quanto avvenne della nostra pattuglia, che si trovava stanziata in una zona boscosa vicino al paese di Terragnolo. In piena notte sentimmo arrivare una colonna di Tedeschi che a piedi transitava nella strada sottostante al bosco e diretta alla Borcola. Noialtri allora, buoni e zitti, siamo stati li a spiare quell’enorme quantità di truppa che saliva evidentemente per il rastrellamento. È certo che nella zona nostra non vi erano state delle spie perché i Tedeschi ignoravano completamente la nostra presenza. Noi però non ci siamo accontentati di star lì a fare da spettatori ed abbiamo approfittato più tardi di un “bocia” in divisa tedesca, che girava isolato, per agguantarlo e farlo prigioniero; lo abbiamo tenuto con noi una quindicina di giorni e dopo, siccome abitava in Vallarsa poco sopra Rovereto, abbiamo deciso di rimandarlo a casa dai suoi. Il rastrellamento quindi non ci ha minimamente toccato perché i Tedeschi perlustravano sopra sulle creste del monte e transitavano sotto lungo la strada, ma né gli uni né gli altri entrarono nel bosco forse pensando che non ci fosse nessuno ». (Franco Dal Medico «Tom» di Schio ¬23.6.79 - Il racconto è confermato anche da Domenico Ruaro «Guido»).



«BUCI»


«In quel periodo mi trovavo nel distaccamento di Tom, Vinci, Guido, Erreti in zona di Terragnolo ed ero stato aggregato ad una grossa pattuglia di 22-24 armati, fra i quali dei trentini e dei bersaglieri; con “Erreti” ci eravamo sistemati in una piccola baita verso la Borcola e, poco prima del rastrellamento, una parte della nostra pattuglia, e tra questi anch’io, scendemmo proprio a presidiare la Borcola perché non penetrassero dei Tedeschi in Val Posina. Quella prima notte del rastrellamento ero di guardia e sentii dei rumori strani: erano i Tedeschi che salivano a piedi in lunghissime colonne per raggiungere la Borcola. Al primo chiarore la nostra mezza pattuglia di circa 12 uomini stava avviandosi verso la Borcola per andare in osservazione e quando siamo sul punto di imboccare la strada, Erreti vede un luccichìo e l’elmetto di una sentinella tedesca; la aggira, gli dà il mani in alto e la porta con noi. Poi si piazza sopra il posto di blocco e con il moschetto spara un intero caricatore, suscitando la risposta con il machinenpistola di un ufficiale tedesco. Quelli del posto di blocco si ritirano nelle prime case di Terragnolo e così ebbe inizio un botta e risposta di qualche colpo di tanto in tanto, senza che i Tedeschi si siano mai fidati a venire su da noi. Siamo rimasti nel bosco soffrendo molta sete e fame ed ascoltando le continue sparatorie verso la Borcola e sul Monte Majo. Tutto qui». (Everardo Grasselli «Buci» di Santorso - 9.6.1979).



«FERRO»


"Salito al Colle Xomo con Tom e Mirko (Pietro Marchioretto di Santorso) e rimasti li circa un mese, siamo poi scesi in Posina da dove fummo smistati verso Malga Zonta, all’incirca a metà luglio. Qui sui Campiluzzi c’erano molte malghe, per cui ci siamo divisi: a Malga Zonta andò il Marinaio con i suoi uomini, a Malga Marola si piazzarono D’Artagnan, Fracassa, Aramis (Munari da Santorso) ed altri, mentre a Malga Melegna si sistemarono Mirko, Ferro, Porto, Orso e numerosi altri (circa 30). Da noi veniva spesso il Turco perché eravamo tutti in attesa dei lanci. La sera prima del rastrellamento, dalle 22 alle 24, mi trovavo di guardia all’Albergo alle Coe e lì c’erano il Marinaio, Mirko ed alcuni altri, perché avevamo fissato come un posto di blocco e di guardia per proteggere la zona. Il Marinaio mi disse: “Fermati con noi alla Zonta”, ma io preferii tornare a Malga Melegna con Mirko e con il nostro distaccamento. Verso le 4 e mezzo, nella primissima alba quando non è né chiaro né scuro, abbiamo sentito degli spari e ci siamo accorti che i Tedeschi avevano piazzato una mitraglia pesante a traccianti a Pioverna alta. Prima non si era sentito alcun rumore e mi fu detto da qualcuno che li aveva visti, che i Tedeschi calzavano scarpe di stoffa: i camions arrivarono molto tempo dopo. A quegli spari abbiamo calzato le scarpe e, saltando un piccolo colmo, stavamo per correre a Malga Zonta, senonché dopo circa 3 minuti abbiamo incontrato il Griso che ci grida tutto agitato: “Via tutti perché Malga Zonta è circondata!”; poi il Griso non è venuto con noi ma si è disperso nei boschi. Anche noi ci siamo divisi ed io e Mirko ci siamo recati verso il Monte Majo dove abbiamo imbroccato il Turco, che ci disse: “Nascondete le armi pesanti in luoghi sicuri e poi ognuno vada per conto suo, perché il rastrellamento è troppo grosso e non c’è niente da fare”. Allora io e Mirko siamo scesi ai Vanzi ad aiutare a portar via un po’ di roba, ma dopo 3-4 minuti arriva una staffetta che dice: “Via tutti perché i Tedeschi sono già ai Laghi!”. Dopo aver liberata la casa di due macchine da scrivere, un paio di bandiere e la trasmittente, ci siamo buttati in un boschetto e siamo rimasti nascosti, mentre Tedeschi, Fascisti e Ucraini ci passavano a una ventina di metri. Quando venne sera, si decise uno spostamento a Contrà Polenta, nella parte più alta della valle dei Laghi; qui la popolazione era terrorizzata ed avevano già portato fuori le masserizie dalle case in previsione che le bruciassero. Proseguendo nel cammino siamo finiti quasi in bocca ad un comando tedesco ed una sentinella intimò l’alt (era rotolato un sasso ed aveva fatto rumore). Nacque un putiferio con lancio di razzi e una gran sparatoria. Nell’oscurità abbiamo trovato una vecchia trincea dell’altra guerra, che ci sembrava sicura, e ci siamo accovacciati dentro. All’alba, tirando su la testa, ci siamo accorti di trovarci ad una quarantina di metri dai Tedeschi i quali avevano occupato un cason disabitato; uscire dalla trincea significava mettersi subito allo scoperto e allora siamo rimasti lì tutto il santo giorno con i Tedeschi che gironzolavano intorno affacendati: era l’occasione per imparare un po’ di tedesco. La sera finalmente siamo riusciti a spostarci un paio di chilometri in un posto più sicuro e finalmente il giorno dopo, verso le 16-18 hanno suonato la ritirata e sono andati via. Allora io e Mirko siamo partiti come “baletòni da sciopo” fin giù in Posina, su per il Novegno e alle nove di sera eravamo già in osteria a Cerbaro». (Riunione a Santorso del 9.6.1979 - COSTALUNGA FRANCESCO («Ferro»).


«ORSO»


«Un giorno che Mirko e Ferro vennero giù a Santorso da Malga Melegna con un 26 per prelevare della farina dai molini Facci decisi di partire con loro. Ricordo le prime azioni: il blocco di un camion di vino di due camions della Todt a S. Sebastiano, che venivano su da Folgaria per andare a Carbonare, l’assalto ad una balilla che portava la posta compresa quella militare. Prima del rastrellamento ogni tanto arrivava una staffetta a dirci: “Attenti che rivano i cruchi”, e allora noi ci si spostava qua e là ma dovevamo restare sempre in zona perché dicevano che erano in arrivo dei lanci. La prima notte del rastrellamento quando il nostro distaccamento si frazionò, io partii con Porto (Alfredo Battistella di Santorso) portando sulle spalle la Breda pesante e lui un mezzo sacco di nastri di pallottole. Via di corsa verso il Monte Majo dove abbiamo nascosto la pesante in una vecchia trincea dell’altra guerra, ma non senza aver fatto due-tre raffiche verso Malga Zonta dove sapevamo che c’erano i Tedeschi. Intanto stava facendo chiaro e ci siamo accorti che alcune camionette venivano su dalla strada verso monte Majo e che anche dalla Borcola salivano lunghe colonne di Tedeschi. La nostra posizione era panoramica e così abbiamo aspettato una mezzoretta per osservare gli spostamenti dei Tedeschi. Infine siamo scesi per il Majetto ed abbiamo incontrato il Comando, con Giulio, Braccio ed un 25-30 persone nascoste in una caverna, con un gran sasso davanti e da dove si vedeva la malga del Majetto. Era un caldo tremendo e ricordo che uno ci diede un po’ di dentifricio a testa per rinfrescarci la bocca. Rimasti lì fino all’imbrunire, ascoltando le pattuglie che passavano con i cani, ad un certo punto Porto mi fa: “Andèmo via!”. Così ci siamo spostati un duecento metri più in là verso la Borcola, dove trovammo un masso che si spostava alle nostre spinte: io ci scavai sotto tutta la notte con le mani, mentre Porto spargeva la terra ad una cinquantina di metri di distanza. Quando alle 4 abbiamo finito, ci stavamo dentro giusto in due, e, allora abbiamo messo sopra rami, frasche e fieno e siamo rimasti rintanati tutta la domenica. lo avevo qualche colpo di tosse e Porto mi curò facendomi masticare del tabacco da fossi e stranamente la cura funzionò. Alla sera arsi ormai dalla sete, andammo verso la pozza della Borcola per bere, ma alcuni Tedeschi ci aspettavano sulle piante come cecchini: la pozza era un’esca! Di ritorno nel nostro buco abbiamo cercato di dissetarci “ciuciando le erbasse” umide. Il lunedì Porto, che era sopra di me, si fidò di uscire perché non sentivamo più i Tedeschi che “ciauscavano” lungo i sentieri e infatti udì un ragazzetto: “I xè andà via tuti!”. Ci ritrovammo alla Borcola in una ventina e di lì siamo partiti per il monte Majo: in un punto i Tedeschi avevano sistemato due pali con sopra due elmetti per far finta che c’erano ancora. Sembrava giocare a guardie e ladri. Infatti uno è andato a gatomagnào alle spalle e poi disse : “‘ndemo vanti, i ne ga fato un scherso”. Poi, mi sembra fosse il martedì mattino, siamo scesi a Malga Zonta e qui abbiamo trovati i fucilati gettati nella buca di scarico del porcile. Il malgaro, tirato fuori con altri 3 o 4 dalla fila di quelli da fucilare, si trovava ancora lì e ricordo che, avendolo conosciuto prima, era diventato con i capelli grigi dallo spavento. Era talmente agitato che sembrava matto e andava in giro gridando: “Vè via che i ne copa tuti! Aiuto! Via! Scapè! I ne copa tuti”. Abbiamo coperto con un po’ di terra i fucilati e, dopo aver cercato in giro se c’era della roba o delle armi nascoste, siamo andati verso la Val Posina che fumava. Sopra Fusine una vecchietta ci diede una scodella di latte tutta piena di caligine. Finalmente arrivammo in contrà Padene di Santorso e quando il padre dei fratelli Buzzaccaro venne a chiederci notizie, non abbiamo avuto il coraggio di dirgli che i suoi due figli erano stati catturati dai Tedeschi». (Vittorio Stiffan«Orso» - riunione a Santorso del 9.6.1979).



«BOB»


«Una settimana prima del rastrellamento il nostro distaccamento (Glori comandante, Bob vicecomandante) si trovava nell’ultima contrada in curva andando da Posina al Colle Xomo, ma dopo la sparatoria al Colle Xomo ci siamo spostati in una casa isolata un po’ più in alto. All’alba del rastrellamento Falco uscì per fare i suoi bisogni e sentì sparare; subito avvisati, abbiamo fatto sparire le tracce della nostra presenza e con armi e materiali il distaccamento si è incamminato verso il Colle Xomo per dare man forte, inerpicandoci su di un sentiero che dava sulla mulattiera. Al termine del bosco, prima di entrare in un altro tratto boscoso, c’era un prato nel quale siamo, entrati per 200-300 metri, ma una cinquantina di metri prima di arrivare all’alto bosco i Tedeschi misero in azione la mitraglia pesante ed il nostro gruppo si disperse correndo lateralmente, e a tratti buttandosi a terra, mentre le pallottole sollevavano le zolle di terra all’intorno. Un gruppetto di 8-9, tra i quali anch’io, si addentrò nel bosco verso il Novegno e rimase li ad aspettare che anche gli altri si riunissero  in quel posto. Dall’alto abbiamo visto la scena dei Tedeschi che, usciti dalla zona boscosa dove si trovavano in moltitudine, stavano entrando nelle contrade tra le grida dei bambini delle donne e dei vecchi che correvano per i sentieri portando con loro in borse e cestelli qualche po’ di roba. Peter parti per conto suo. Glori si era buttato sotto la sparatoria da un’altra parte, Mario Ramina e Mazzini avevano preso probabilmente un altro canalone (poi restarono uccisi). Con me si trovavano ancora uniti Mas, Lupo, Libero, Pelloni, Ramina Azzone e forse un altro. Visto che non arrivava più nessuno, ci siamo incamminati per un sentiero verso il Novegno, in modo da superare la selletta e passare in Val Leogra. Circa duecento metri prima sentimmo delle raffiche tedesche, poi abbiamo udito sparare un parabello, più tardi un’altra raffica: Mario Ramina e Albino Costa (“Mazzini”) erano stati uccisi. Dopo essere rimasti fermi per un po’ di tempo, si decise di costeggiare iI monte di “traversòn” e di raggiungere Vaccarezze attraverso sassi, sgiaròni e russe; partii in avanscoperta e finalmente si arrivò alla casàra, dove il casaro pallido come un morto ci disse di scappare, perché più sopra nel bosco si era sistemato un tedesco che ogni tanto sparava dentro nella finestra della casàra appena vedeva un’ombra passare cosicché lui non poteva andare avanti con il lavoro. “Toli su quelo che volì, ma ve via subito” concluse il casaro. Dopo aver bevuto un po’ di latte, che fra l’altro mi procurò poco dopo una violenta colica addominale, scendemmo alle Casàre vecie sopra Cerbaro e qui un vecchietto ci offrì una patata cotta a testa. Scesi alle Guizze, siamo arrivati finalmente a casa alle Aste. Dalla nostra parte, in Val Leogra, era tutto calmo perché i rastrella tori si erano disposti lungo le creste del Novegno ». (Biagio Penazzato - «Bob» - 16.5.1979).



«GLORI»


«L’improvvisa sparatoria dei Tedeschi mentre eravamo allo scoperto sul prato, provocò una dispersione del distaccamento e da soli o in coppia oppure a piccoli gruppi si cercò di guadagnare il bosco sotto la pioggia delle pallottole. Vicino a me c’era la “MIVI” e con lei riuscimmo a riparare in una zona boschiva. Dopo essere rimasti ad osservare gli spostamenti dei rastrellatori, si cercò di ricollegarci con gli altri; purtroppo siamo finiti in un diverso canalone e cosi ci siamo diretti verso il Colletto di Posina. Dopo aver aggirato una malga tutta piena di Tedeschi, alla fine incontrammo la pattuglia di Thomas: non sapevano del rastrellamento in corso a Posina. Considerando la situazione, a piccoli gruppi o da soli ci siamo dispersi ».



DOSSO GIUSEPPINA («Mivi»). Figlia di emigrati trentini. Nata a Yuma (Arizona) il 16.4.1913. Nel 1917 la famiglia tornò dall’America e, attraverso la Svizzera, si recò ad Innsbruck; furono internati in vari lager, anche in Boemia. Tornarono in Vallarsa nella frazione Dosso (Valmorbia). Nel 1944 Giuseppina si trovava con la sorella in contrà Pietra in Comune di Valli. Un giorno, tornando dalla Vallarsa, venne fermata dai Tedeschi perché era in corso un rastrellamento, sicché, attraverso lo Spèkari e Campogrosso, passò in Malunga. Qui fu catturata e ritenuta una spia; la sera stessa dovevano fucilarla se non fosse intervenuto Rino Piazza, che convinse gli altri a rilasciarla. Quando in seguito incontrò casualmente Giovanni Cavion («Glori»), intimorita dalla faccenda di Malunga, decise di unirsi stabilmente al distaccamento partigiano in qualità di cuoca, senza tornare a casa dalla sorella; rimase con i partigiani durante la «zona libera» di Posina fino al rastrellamento.



«TEPPA»


«Eravamo già stati avvisati che doveva piombarci addosso un rastrellamento, ma la nostra pattuglia aveva appena avuto lo scontro alla Strenta, c’erano stati due caduti ed i funerali, per cui in quei giorni abbiamo un po’ girato qua e là finché ci siamo sistemati in una casa lontana circa 200 metri da Costamala, una casa mezzo disabitata con una donna e una o due ragazze. In previsione del rastrellamento si erano smistate nel bosco le nostre masserizie, coperte, viveri, formaggi e siccome nel solaio della casa avevamo trovato dei materassi e delle reti, fu la prima notte che riuscimmo veramente a dormire da papi. Comunque venne piazzato uno di guardia anche se la casa si trovava vicino al bosco a circa un km. fuori della strada comunale: a quei tempi era meglio essere prudenti. Fu la nostra salvezza! perché l’amico di vedetta corse dentro trafelato a dirci: «Via subito che xè qua i tedeschi!». Con il sonno che avevamo addosso non avremmo sentito neanche i mortai.

La vedetta, sentito uno scalpiccio e delle parole in tedesco, aveva visto una colonna che stava salendo. Prese su le armi siamo scappati nel bosco, dopo aver eliminato ogni traccia nella casa. Ho l’idea che i rastrellatori siano venuti li a colpo sicuro, perché circondarono la casa e si misero a sparare gridando: “Arrendetevi!”. “Siete circondati!”. Credo che in Posina sia stata la prima casa attaccata e bruciata. Unitisi a Guastatore, ci fu con lui un piccolo consulto e si diede ad ognuno la facoltà di scelta. Infatti Guastatore con un gruppetto si sistemò in un bosco vicino nascondendosi in mezzo alla fitta vegetazione di noselàri e di fagàri: furono i più fortunati perché restarono li fino alla fine del rastrellamento e non furono scoperti.

Poi superarono il Novegno e tornarono in Val Leogra. Invece il nostro gruppetto della Strenta ritenne più prudente spostarsi dall’altra parte della valle, sul Majetto e sul Majo pensando di sfuggire meglio al rastrellamento salendo sulle montagne più alte. Fu proprio una cattiva pensata perché siamo stati in grave pericolo per due giorni e mezzo. Attraversata la strada comunale in valle, abbiamo preso il sentiero che porta verso Cavallara, una contrada alta ai piedi del Majetto. Ad un certo punto ci fermammo per studiare un po’ la situazione: arrivano 2-3 razzi verdi e 2 rossi, che per poco non ci caddero in testa in mezzo il sorgo. Subito dopo ci giungono 2-3 sventole di mortaio (forse ci avevano visto dall’alto), che dispersero il gruppo.

Proseguimmo per il Majetto io, il russo Michele, il russo Piero, Josef e Morvan: in cinque. Camminando forte abbiamo superato Cavallara e siamo saliti lungo dei ripidi canaloni, finché ci siamo trovati in difficoltà in quanto nella parte alta la vegetazione si diradava e ci avrebbero visto. Lì abbiamo trovato un ferito (credo Morgan) trascinato da 2-3 amici e gli abbiamo dato l’acqua dell’unica borraccia che avevamo. Il caldo era tremendo e il sole ci batteva in testa. Ogni tanto si verificavano degli sbandamenti perché arrivavano scariche e colpi di mortaio.

Dopo essere faticosamente saliti lungo un boalòn, si arrivò alla fine poco sotto il Majetto: la nostra Via Crucis stava per terminare! Va avanti uno e ti trova gli elmetti tedeschi già in posizione in mezzo ai sassi, belli e pronti ad aspettarci. Allora giù tutti a capitomboli alla disperata usando anche il sedere per scivolare via meglio, e lì mi sono slogato una caviglia. Alla fine ci siamo buttati in mezzo a carpini e faggi e qui ognuno ha cercato un rifugio: chi si scavava un buco in terra, chi si copriva interamente di foglie secche, sempre inseguiti dalle raffiche. Quando un pattuglione tedesco scese giù a vedere quanti morti avevano fatto, non scopersero nessuno. Dopo un quarto d’ora che se ne erano andati, si cominciò a far qualche sìgolo per ritrovarci: eravamo sempre noi cinque, più un bocia da Posina e qualche altro.

Durante tutto il giorno abbiamo sofferto una sete tremenda ed abbiamo udito le sparatorie sull’altro versante della valle alle pendici del Novegno: un inferno. Alla sera nuovo consulto tra noi sperando che ci andasse un po’ meglio del precedente a Castamala; la conclusione fu: qui è una trappola, domani i tedeschi si postano intorno e ci fanno le scarpe. Oggi hanno sparato in continuazione sul versante del Novegno, domani vengono a setacciare da questa parte. Scendiamo a valle e risaliamo noi sulle pendici del  Novegno.

Questo il ragionamento che abbiamo fatto. Durante la discesa dal Majetto c’era il pericolo di imbattersi in qualche postazione, ma per fortuna sparavano a traccianti ogni mezz’ora circa e quindi riuscimmo ad individuare ogni postazione. Si discendeva a perpendicolo tenendoci per mano e fermandoci ogni tanto a leccare le foglie umide dall’aquasso. Ad un certo punto i Tedeschi avevano smesso di sparare e allora noi fermi sopra Cavallara. Mandammo avanti un bocia per riferire, ma non tornò più.

Allora nuovo consulto: se albeggia non possiamo più passare aldilà della valle, se andiamo avanti finiamo in bocca ad una postazione tedesca. Che fare? Piero e Michele, i due russi, ebbero delle idee luminose: prima di tutto ci siamo levato le scarpe e poi abbiamo fatto rotolare giù un masso da un canalone, il cui rumore suscitò una gran sparatoria tracciante dei Tedeschi che ci consentì di individuarli tutti. Siamo riusciti a passare “in sata” fra una pattuglia tedesca e l’altra. Alla màsena ci siamo incamminati lungo il sentiero dietro le case passando vicino a due tedeschi che dormivano su di un sasso con il fucile tra le gambe. Ad una contradina sotto Costamala abbiamo buttato dei sassolini sulle finestre ma nessuno ci aprì perché, lo abbiamo scoperto poco dopo, c’erano dei tedeschi che dormicchiavano sugli scalini delle porte. Alla fine siamo finiti nello stesso bosco di Guastatore, il quale però nella stessa notte si era spostato verso il Novegno.

Al mattino c’era sparatoria sul Majo come avevamo previsto, però si udivano raffiche anche in cima al Novegno. Comunque verso sera ci siamo decisi, con la scarpe in spalla e con i piedi sanguinanti, a metterci in cammino verso il Novegno a tappe ogni 10-20 metri per la sete, la fame e la stanchezza. Alle 3-4 del mattino siamo passati proprio dove avevano ucciso Ramina e Mazzini. Per venir giù ci siamo detti: “Su le scarpe e càpiti quel che càpita ma scendiamo per la strada!”. A Malga dei Pianeti il casaro tutto spaventato ci aprì e ci diede latte e formaggio prima che partissimo per i boschi di Lesegno a Poleo. Michele e Piero si sono fermati un paio di giorni poi sono tornati dal Turco ». (Bortoloso Valentino «Teppa» -19.6.1979).




Riunione di “Giulio” a Maglio di Sopra di Valdagno
“NEGRO” -“ACHILLE” - “SASSO” - “BASTARDO”
(9.9.1978 - ore 15-19.30)


l. - FACCIN LUIGI («Negro»). Nato a Valdagno 1’8.6.1915, ivi residente. Figlio di Arcangelo e di Randon Caterina, operaio tessile al Marzotto, ora pen¬sionato. Tenente partigiano (comm.te di Btg.ne).
2. - CASTINI ISIDORO («Achille»). Nato a Malo il 25.11.1926 e residente a S. Tornio, tessitore, mutilato del lavoro. Un fratello partigiano morì a Sanvito il 21.9.1944.
3. - CECCHETTO MARIO («Sasso»). Nato a Gambugliano il 2.5.1925 e residente a Castelnuovo di Isola Vic.na, muratore. Sottufficiale partigiano.
4. - ZORDAN SEVERINO («Bastardo»). Cl. 1925, residente a Sanvito, operaio tessile. Sottufficiale partigiano. Un fratello (cl. 1921) che era molto amico di Bruno Viola («Il Marinaio»), fu ucciso a Malga Zonta.

NOTA. - Cecchetto è uno dei pochi che riuscì a salvarsi da Malga Zonta scappando da una finestra. Zordan ha assistito dall’esterno ad una parte della battaglia e sparando ha ucciso parecchi tedeschi assalitori. Anche Castini è stato presente. La presente testimonianza dei quattro si riferisce tuttavia al periodo che intercorre fra il trasferimento da Raga fino alla vigilia dell’11 agosto sera del 1944.



A. - LA PATTUGLIA DEL «NEGRO»


«Nel luglio del 1944 sulle colline tra Gambugliano e Torreselle c’era già una pattuglia comandata dal “Negro” che non faceva parte del distaccamento del “Tar”. Di questa pattuglia i quattro ricordano i seguenti componenti: l. Negro - 2. Achille - 3. Sasso - 4. Bastardo - 5. Dall’Ava (“Abele”) morto a Torreselle  - 6. De Vicari - 7. De Vicari morto a Malga Zonta - 8. Zandenego Aldo - 9. Fortuna Baldo da Castelgomberto - 10. “Tigre” - 11. “Canaglia” - 12. Cecchetto Giovanni - 13. Zaupa Luigi (“Picchiatello”) - 14. Barbieri Marcello morto a Malga Zonta - 15. Bruno Viola («Marinaio») morto a Malga Zonta - 16. Ceolato (“Russo”) - 17. Tessaro morto a Malga Zonta - 18. Bertoldi Guglielmo (“Mirco”) - 19. “Alpino” di Montemagrè. In giugno Bastardo faceva parte della pattuglia di Cavour, durante il rastrellamento di Vallortigara, poi era stato sul Novegno, poi in Val Posina e ai Campiluzzi, donde era sceso a Gambugliano per incontrarsi con il Negro ed accompagnargli la pattuglia prima in Raga e poi in Posina. Verso il 12-13 luglio la pattuglia del “Negro” si recò infatti in casa Barbieri in Raga e quindi ebbe l’incontro con il distaccamento del Tar, un incontro burrascoso perché Il Tar intendeva incorporare la pattuglia del Negro nel suo distaccamento anche usando le maniere forti. Scoppiò un litigio fra Bastardo e il Tar e quando quest’ultimo sfoderò la pistola, intervenne anche il Marinaio che, per la rabbia ed il dispiacere di quella scena, aveva le lacrime agli occhi; disse che sarebbe stata una cosa triste ammazzarsi tra loro. Poi i gruppi partirono per Posina, già decisi a restare divisi. Infatti al Comando, in contrà Lissa, si separano: il distaccamento del Tar salì sul Pasubio mentre la pattuglia del Negro si avviò ai Campiluzzi (Giulio ricorda che a Lissa vi fu un altro diverbio)".



B. - LA PATTUGLIA DEL NEGRO AI CAMPILUZZI.



Saliti per il passo della Borcola e accompagnati sul Monte Maggio da un territoriale di Posina, si incontrarono a Malga Melegna con il Turco che li accompagnò (circa 35 uomini) a Malga Zonta, dove si fermarono il Negro, il Marinaio ed il grosso mentre Achille si portò con alcuni altri a Malga Pioverna alta. Tre giorni prima del rastrellamento il Negro affidò il comando al suo vice, il Marinaio, e scese a Monteviale per raccogliere una squadra di partigiani (pressoché disarmati) da portare nella zona di Posina in previsione di lanci che erano stati già promessi e che sembravano imminenti. Sulla via del ritorno il Negro fu fermato a Montemagrè dalla notizia del rastrellamento di Posina in corso.

Ai Campiluzzi, pochi giorni prima del rastrellamento, una mitragliatrice pesante in postazione sul Monte Maggio e azionata dal “Boja” (non quello di Santorso) colpì alla seconda raffica una cicogna tedesca che perlustrava a bassa quota le montagne e, secondo Achille e Bastardo, il ricognitore precipitò in Val Terragnolo. Vi è inoltre memoria che molti giorni prima del rastrellamento salivano alle varie malghe delle ragazze bellocce ad acquistare burro, formaggio e ricotta, cercando di adescare i partigiani (ciò è confermato da Achille, Sasso e Bastardo), Quest’ultimo riferisce inoltre che un giorno i partigiani della Zonta videro scendere al Passo Coe due paracadutisti lanciati da un aereo; accorsi sul posto con il Marinaio ed altri notarono che i due si erano rifugiati nella malghetta situata al pozzo.

Nel frattempo giunse a passo Coe un’auto con due civili che, visti i partigiani, li rassicurarono dicendo che si trattava non di paracadutisti militari ma di civili che facevano dello sport, La cosa fu bevuta e i due si portarono via i paracadutisti con l’auto. Sempre Bastardo racconta che un giorno, in località Fiorentini, incontrò un giovane in borghese, il quale con le lacrime agli occhi diceva che era stufo della guerra e di tutto e lo scongiurava di condurlo dai partigiani, con i quali intendeva rimanere. Condotto alla Zonta, qualche giorno dopo lo condusse nel bosco con la scusa di far legna, posò il mitra facendo finta di raccogliere legna e quando vide che il giovanotto stava per impadronirsene, lo bloccò con la pistola spianata e lo condusse a Malga Melegna dal Turco.

Qui nella cucitura della fodera della giacca fu trovato un piccolo documento compromettente; chiuso in una soffitta per la fucilazione il giorno dopo, nonostante un partigiano di guardia, il giovane riuscì a scappare. Sempre in tema di infiltrazioni di spie prima del rastrellamento, Achille e Sasso raccontano che un civile della Val Posina accompagnò un giorno un uomo con un gran cappello da alpino, il quale diceva di voler fare il partigiano, anche se lo stesso civile di Posina avvertì che nutriva dei sospetti; infatti si aggirava troppo spesso attorno al deposito delle armi e dei viveri ed un bel giorno si addentrò nel bosco e sparì, invano inseguito dai partigiani.



C. - LA VIGILIA DEL RASTRELLAMENTO



Achille ha dichiarato testualmente: «Il pomeriggio dell’11 agosto ero sceso per recarmi da Giulio a ricevere ordini. Lo incontrai vicino ad una Malga del Maiello sopra Cavallara. Giulio mi disse «Avverti tutti lassù di non dormire sta¬notte nelle malghe ma sotto i pineti con tante sentinelle». Anche se pieno di fame, partii subito di corsa e giunsi ai Campiluzzi; passai prima dalla malga Melegna ed avvertii gli uomini, e poi alla Zonta ad avvertire il Marinaio e i suoi. Avevo molta fame e mi ricordo che il Marinaio mi dette un’enorme fetta di polenta e che bevetti un barattolo di vino. Poi salii a dare l’allarme in Pioverna alta e lì trovai Sasso che aveva portato su dei viveri. Sasso riferisce: “Ero salito dalla Zonta di Pioverna alta a portare viveri; arrivato Achille, questi ci disse di avere avuto l’ordine di non dormire in malga e allora scesi subito alla Zonta, che era la mia base, ma non trovai quasi nessuno. Chiesto il motivo di quelle assenze, mi fu risposto che i partigiani si erano sistemati nel boschetto vicino. A notte fonda, essendo tutti bagnati e intirizziti dal freddo, il Marinaio disse: ‘Rinforziamo la guardia, ma andiamo al coperto, perché altrimenti qui si muore lo stesso di polmonite’. E così fu fatto, Bastardo dice: ‘Alla Zonta eravamo in tanti e con me c’era anche mio fratello Domenico del 1921. La sera dell’11 agosto, prima che arrivasse Achille, pensammo che alla Zonta eravamo in troppi e che era bene dividerci per ogni evenienza. Il Marinaio insisteva perché io restassi con lui, ma io rimasi fermo nella mia decisione e volevo che anche mio fratello Domenico venisse con me, viceversa lui mi disse di voler restare, così il rischio sarebbe stato ripartito. Sicché io scesi a sistemarmi con 8 uomini alla Malga Campoluzzo di sopra’».