QUADERNI DELLA RESISTENZA 
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Luglio 1979 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume VIII
(da pag. 395 a pag. 398)

III. ESPLOSIONE AL PONTE DI S. COLOMBANO
Interruzione della Vallarsa
7 agosto 1944

 

 

 

 

La via più diretta di comunicazione fra Schio e Rovereto è l’antica strada napoleonica che da Schio si inerpica in Val Leogra e, dopo il passo di Pian delle Fugaze (mt. 1167) scende tutta a curve in Vallarsa e giunge a Rovereto. Dalla parte della Val Leogra la strada, incassata in valle o a ridotto di zone boscose, fu teatro di  numerosi assalti a macchine in transito e conseguente cattura di militari tedeschi con documenti importanti (cfr. pg. 177) e una missione «giapponese».


Un’attività partigiana in Vallarsa, cioè nel tratto tortuoso di strada che scende a Rovereto, fu sempre difficile per la poca recettività di una parte della popolazione alla lotta resistenziale. Esclusa quindi ogni possibilità di permanenza in Vallarsa per lunghi periodi, il versante si prestava unicamente a rapidi transiti e ad azioni improvvise.


I Tedeschi avevano opportunamente sistemato un  presidio di Vigilanza al Ponte di S. Colombano che, ad un altezza di un ottantina di metri, consente alla Statale n. 46 di superare uno stretto burrone e di arrivare dopo alcuni chilometri a Rovereto. Al Comando di Posina «Giulio» aveva considerato la possibilità di far saltare il ponte e di interrompere quindi la strada della Vallarsa e le comunicazioni tedesche fra Schio e Rovereto.


Dopo una ricognizione preliminare effettuata da un giovanissimo partigiano di Rovereto detto il «Piccolo Trentino», partì una pattuglia di 7 uomini ben forniti di esplosivo, i quali – nella notte dal 6 al 7 agosto 1944 – riuscirono a far saltare il ponte. Il racconto di questa azione partigiana è stato pubblicato di recente dallo stesso «Giulio» (cfr. Brg.te d’assalto GAREMI, 1978, pg. 82). In questa sede riportiamo alcune altre testimonianze e la composizione della «pattuglia».


FRANCO DAL MEDICO («Tom») di Schio -

«Nella prima decade di agosto il distaccamento di circa 80 uomini di Val Terragnolo (comandante Tom, vicecomandante Vinci) era diviso in 3 pattuglie e faceva parte del Btg.ne Apolloni. Un giorno incontrai il Turco con 3-4 partigiani vestiti all’inglese che almeno a quanto mi disse il Turco, erano venuti da Trento o da Bolzano. Si trattava di interrompere la Vallarsa con gli esplosivi. lo dissi al Turco: “Questa xé zona tua e te terangi”.

Il Turco non ne volle sapere ed allora replicai: “Ma vuto che mi me toga tuta la responsabilità?!”. Giulio mi disse che sarebbe venuto anche lui. “Allora va bèn” feci io. Partito il Turco e gli altri, ci siamo messi a studiare il piano. Innanzitutto ci voleva uno che conoscesse molto bene il posto e infatti riuscimmo a trovare il “bocia” Trentino: poi ci voleva un tecnico degli esplosivi e si pensò subito a Guastatore; oltre a Giulio, io, Vinci, Guastatore, il piccolo Trentino, vennero l’inglese Victor ed un Mantovano, del quale Vinci ha il nome.

La missione era talmente pericolosa, per la situazione del ponte e della vigilanza tedesca, che andarci voleva dire essere già votati a lasciarci le penne. Prima abbiamo fatto un sopralluogo e, mentre noi aspettavamo più in alto, il bocia trentino (circa 13 anni) riuscì a sgattaiolare fino al pilone centrale dove si trovava la camera da mina, costruita già quando era stato eretto il ponte.

Purtroppo c’era un grosso problema, un passaggio obbligato: si doveva attraversare il ponte, scendere per un piccolo sentiero fino al pilone, preparare le mine e dopo aver dato fuoco alle micce risalire velocemente il sentiero e riattraversare il ponte per portarci dall’altra parte della valle. Tutto questo andava fatto, mentre la ronda tedesca di guardia si fosse trovata all’interno di una casa vicina, dalla quale uscivano regolarmente per controllare e passeggiare lungo il ponte.

Bastava sbagliare i tempi di una frazione di secondo e poteva succedere, mentre si attraversava il ponte la prima o la seconda volta, che la ronda ci scorgesse: ci avrebbero stecchiti. Il punto più delicato del ponte era il ritorno, cioè il riattraversamento del ponte, perché avevamo poca miccia e si arrischiava o di restare al di là con i Tedeschi o di saltare con il ponte mentre lo si riattraversava. Tutto questo spiega la pericolosità dell’azione. Tornati a sopra i Zòrali verso la Borcola, Guastatore preparò le cariche: circa 80 Kg. di una miscela di tritolo in candelotti, di plastico e di tritolo in tappi, il tutto suddiviso in due zaini, che furono portati da Vinci e dal Mantovano.

Dopo un faticoso trasferimento notturno, l’azione al ponte di S. Colombano si svolse in questo modo: 1.  Il “mantovano” fece da palo restando aggrappato ad un cespuglio con una tasca piena di sassi: quando i Tedeschi uscivano dalla casa egli ci gettava giù un sasso per avvertirci - 2. Guastatore, Tom e Vinci entrarono nella camera da mina del pilone centrale per sistemare e coprire con terra i pacchi di esplosivo; la camera era alta 80 cm. e larga 70 - 3. I tre fuori raccoglievano la terra con le mani e ce la portavano dentro, cercando di non fare rumore.

Guastatore applicò un doppio fìlo di miccia per ogni pacco e riunì i sei fìli in quattro: due rapidi e due lenti. Quando si trattò di dar fuoco alle micce. Giulio accese le micce lente, restò accecato dalla fiamma e disse “Tìreme su che non ghe vedo!”. lo avevo già acceso le micce rapide.

Riuscii a tirar su Giulio, assieme abbiamo fatto il piccolo sentiero, siamo corsi lungo il ponte (per fortuna i Tedeschi non uscirono) e dopo pochi metri che lo avevamo attraversato, lo spostamento d’aria ci buttò contro le rocce. Il pilone centrale si era alzato e poi tutto il ponte era crollato a valle con fragore. Urla dei Tedeschi, che erano rimasti dall’altra parte, e nostra grande soddisfazione.

Siccome prima di partire avevamo preparato una letterina indirizzata al Comandante tedesco, non ricordo se di Trento o Rovereto, ed al Capitano Polga di Vicenza, la infilammo su di un paletto bene in vista. In essa ci confermavamo gli autori del sabotaggio e sotto avevamo messo tutti i nostri nomi di battaglia, cosicché ci trovammo tutti con una grossa taglia sulle spalle».


VALERIO CAROTI («Giulio») aggiunge:

«Qualche giorno prima era venuto da me un emissario del C.L.N. di Trento con il quale si discusse l’ipotesi di far saltare il ponte di S. Colombano, dal momento che la Vallarsa era diventata una via di traffico militare a causa della interruzione della ferrovia della Val Lagarina e inoltre la Statale della Val d’Adige era soggetta a continui attacchi aerei. È probabilissimo che il Turco fosse presente e che poi, passando da Tom assieme a qualche suo uomo (a quel tempo con i lanci di primavera e con quello del Novegno avvenuto da poco, diversi partigiani portavano divise inglesi), ne abbia parlato con Tom. Per quanto riguarda l’azione al ponte devo dire, a merito di Tom, che dopo l’accensione delle micce egli era già risalito quasi del tutto e che, non vedendomi arrivare, tornò indietro per aiutarmi a tirarmi fuori. Mi pare che risalendo abbiamo trovato “Vinci”, che aveva iniziato a scendere per venire anche lui in aiuto».


CIMIERI ELIO («Vinci»). Figlio di Ferdinando (muratore) e di Manea Maria. Nato a Schio il 16.5.1926, residente a Poleo, operaio nel Lanificio Cazzola. Il 29.10.1943 ricevette la cartolina per andare a lavorare in Germania, non si presenta, vengono a prelevarlo in fabbrica, ma Cimieri sfugge assieme a Cerisara Beniamino da Poleo. Si trasferisce a Gallarate presso parenti e torna a fine dicembre. Ai primi di gennaio si mise in contatto con Marte, Turco, Brescia ed altri.


In primavera va in Asiago e resta coinvolto nel rastrellamento di Porta Manassi. Entra nell’Apolloni e sale sul Novegno, poi in Posina, dove viene smistato a Costamala con Guastatore. Poi Giulio lo manda a chiamare per costituire un distaccamento, al comando di Tom, in Val Terragnolo. In merito all’interruzione della Vallarsa, Elio Cimieri conferma quanto riferito dall’amico Tom e precisa: «Il mantovano è BRAGLIA ENOS di Volta Mantovana o Sasso Marino. I due zaini di esplosivo furono portati da Enos e da me con un’enorme fatica perché furono percorsi quasi trenta chilometri attraverso sentieri di montagna». Vinci è presente in parecchie altre azioni, di cui si riferirà. Dalle testimonianze raccolte risulta pertanto che la pattuglia dei sabotatori fu la seguente:

1. - VALERIO CAROTI («Giulio») di Schio
2. - FRANCO DAL MEDICO («Tom») di Schio
3. - ELIO CIMIERI («Vinci») di Schio
4. - «GUASTATORE» triestino
5. - VICTOR, ex prigioniero inglese
6. - ENOS BRAGLIA di Volta mantovana
7. - Un «bòcia» trentino