QUADERNI DELLA RESISTENZA 
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Luglio 1979 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.

 
Volume VIII
(da pag. 398 a pag. 405)


IV. LA BATTAGLIA DELLA STRENTA
9 agosto 1944
 
 

 

 

Lo scontro a fuoco avvenuto in alta Val Posina nel pomeriggio del 9 agosto 1944 va ormai per tradizione sotto il nome di «battaglia della Strenta». Il racconto degli avvenimenti è interamente di Valentino Bortoloso (1) di Schio, che apparteneva alla «Pattuglia Guastatore-Teppa», ma sono inframezzate in corsivo alcune altre testimonianze.


«La pattuglia di 12 uomini, al comando di Guastatore (2), che si era formata sul Novegno, ad un certo momento scese in Val Posina e ricordo che ci siamo fermati ad un casòn situato poco prima della contrada Costamala e di proprietà di una famiglia della contrada, la quale ci diede il permesso di sistemarci nel cason perché avevano anche loro due figli tornati dal militare e renitenti.

C’era il grosso problema del vettovagliamento e così ho fatto un giro per tutte le famiglie di Costamala (anche una che sembrava contraria) per sentire se erano disposte a prepararci da mangiare a turno una volta alla settimana: accettarono tutti. Si mangiava una volta al giorno (minestrone o pastasciutta) e per il pane si scendeva a Posina. Siamo rimasti nel casòn di Costamala per una quindicina di giorni, fino a metà luglio, girando indisturbati anche di giorno per tutta la zona; in pratica era già venuta a formarsi la “zona libera” di Posina.

Intanto le formazioni si ingrossavano per l’arrivo di nuovi giovani e il Comando di Posina pensò ad una risistemazione delle pattuglie, sia nell’organico che nella dislocazione. Mentre Guastatore ed altri 5 restarono al casòn di Costamala io fui comandato in servizio con il resto della pattuglia, giorno e notte, alla Strenta che, lo dice  il nome, costituiva un punto di passaggio obbligato per salire nella “zona libera” di Posina: dovevamo stare sempre di guardia perché non entrassero Tedeschi o Fascisti.

Un buon numero di Tedeschi era piazzato a Sanrochèto di Arsiero, dove ora c’è una galleria ed una chiesetta, perché lì avevano piantato un capannone della Organizzazione TODT. Alla Strenta la pattuglia trovò una prima sistemazione in un casòn posto sopra una collinetta chiamata monte Cornolò e dalla quale si vedevano il passo della Strenta, la val di Riofreddo e la collinetta di Sanrochèto. Però dopo 3-4 giorni abbiamo pensato di spostarci in un altro casòn, un po’ più all’interno, fra la Strenta e Castana.

Avevamo un fucile mitragliatore italiano, che abbiamo piazzato sulla mulattiera dopo il ponticello. Notte e giorno al casòn c’era sempre qualcuno di guardia ma per la notte avevamo anche escogitato il sistema di far passare attraverso la strada che portava in Posina un filo di ferro sottile collegato ad una sipe posta su di un albero e con la sicura mezza alzata. In quel breve periodo, prima della battaglia, successero molte cose che vale la pena di ricordare, perché danno un’idea dell’ambiente e della situazione nella zona libera.

IL CAMIONCINO DI “TURCO” - Una sera un gruppetto di “Turco” doveva venire già da Posina e risalire val Riofreddo con un camioncino carico di sacchi di farina bianca, gialla, zucchero per la zona di Tonezza; la nostra staffetta non fece in tempo ad avvisarci e, quando lo abbiamo sentito arrivare, ci siamo buttati sotto un muretto ed abbiamo dato il “chi va là?”. I due che erano sul pedalino si sono buttati giù ai lati ed il camioncino finì in valle; dentro c’era Alfredo Chiappin dalle Aste, che abbiamo dovuto tirar fuori assieme al sacchi tutti bagnati. La merce fu portata presso alcune famiglie per farla asciugare e “Turco” e gli altri furono costretti a tornare in Tonezza a piedi. Il camioncino restò in valle ma ad un tratto, per un cortocircuito, il clacson si mise a suonare e, siccome noi non ci siamo fidati a scendere in valle nel timore di un trucco per un’imboscata, il clacson suonò fino a che si scaricò la batteria.

DUE RAGAZZE SOSPETTE - A Castana c’erano due ragazze che si recavano spesso ad Arsiero e vi fu il sospetto che potessero essere delle spie. Allora diedi un appuntamento ad una di loro e fu convocata anche l’altra: negarono. Dissi che noi dovevamo sapere quando si recavano ad Arsiero; infatti accettarono ed una di loro diventò poi una nostra staffetta. Ad una famiglia di Castana, che ritenevamo pericolosa, “Carlo” ed io abbiamo portato uova e farina perché ci preparassero da mangiare: in questo modo li abbiamo compromessi.

LA CATTURA DI “STELLA” e “CHECCO” - Mentre io ero andato in Posina a conferire al Comando, i Tedeschi-russi fecero una puntata di perlustrazione; nel fuggi-fuggi, Giorgio Milan (“Stella”) dalle Rive di Poleo e l’inglese “Checco” (3) si erano rifugiati in una caverna della Strenta. I Tedeschi buttavano dentro delle bombe a mano (col manico) e i due le ributtavano fuori, sicché furono costretti ad arrendersi. Al mio ritorno, sentito il fatto, avvertii il Comando e fu deciso di scendere ad Arsiero a liberarli. Nel pomeriggio venne giù “Carlo” con una trentina di uomini e ci riunimmo tutti in Castana. Il piano era di creare un diversivo a Sanrochèto e di farvi convergere i Tedeschi, mentre un altro gruppo sarebbe sceso ad Arsiero per liberare i due nostri amici. Invece all’imbrunire arrivò un contrordine.

JOSEPH - Qualche giorno dopo che erano arrivati i tre partigiani «russi» (Sandra, Piero, Michele) capitò nella nostra pattuglia anche “Josef” un austriaco di Graz, mandato dal Comando di Posina perché lo tenessimo sotto controllo: beveva e diventava cattivo. Siccome vi era stato un prelevamento di liquori, che il Comando aveva distribuito anche alla nostra pattuglia, mi ero accordato con i “tusi” di bere solo un bicchierino al mattino; quando restò solo mezzo bottiglione di anice, si decise di tenerlo per la sera: all’assaggio si dimostrò acqua pura. Josef se l’era bevuto ed aveva riempito il bottiglione con acqua. Lo trovai sotto le foje del casòn e gli dissi: “Questa è la prima e l’ultima volta!”. Josef capi che ero deciso a farlo fucilare e da allora diventò quasi astemio, al punto che dovevo insistere perché bevesse un bicchiere di vino.

LE SPIE - In una perquisizione scoprimmo che una donna, moglie di un milite della G.N.R., assieme alle lettere del marito aveva anche un foglietto con tutti i passaggi dei partigiani (ora, luogo, numero). Vennero fucilati sia lei che il marito. Due giorni dopo in un’altra perquisizione, scoprimmo che altri (mai saputo chi fossero) avevano già buttato tutto sottosopra. A mio parere, quando i Tedeschi fecero il rastrellamento di Posina, sapevano già la dislocazione delle pattuglie, ad esclusione di qualcuna come  il casòn della Strenta. Altrimenti non si spiega perché, invece di andare nei paesi, si siano diretti prima nei posti dove c’erano le pattuglie, o almeno buona parte di esse. Prima del rastrellamento avevano infiltrato molte spie addirittura con carte topografiche per segnare i “nuclei” partigiani sparsi sui monti della Val Posina.

BLOCCO DELLE UOVA - Tra i vari fatti di quel periodo vi fu anche il blocco di un camion pieno di uova da portare all’ammasso; fu fermato a Castana.

I RICOGNITORI - Prima del rastrellamento di Posina volarono sopra la valle alcuni ricognitori (cicogne) forse per osservare dall’alto la consistenza delle formazioni partigiane.

AVVISO DI RASTRELLAMENTO - Due-tre giorni prima Valerio Caroti (“Giulio”) ci aveva informato dal Comando che sarebbe arrivato un grosso rastrellamento ed io avevo già nascosto i viveri.

Quando avvenne la battaglia sul Pasubio (31 luglio-1 agosto) ciò fu della perplessità, ma andò tutto bene e così ci siamo rianimati. Alcuni giorni dopo ci fu anche un attacco a Colle Xomo ed abbiamo avuto il dubbio che fosse un primo assaggio per un rastrellamento. Mentre stavamo mangiando mi vennero a dire che i Tedeschi-russi erano passati per la Strenta e si trovavano a Castana.

GILDO MILAN (4) (“Patàn”) infatti conferma: “Era verso le 12-13 ed io e il russo Michele stavamo preparando da mangiare presso una famiglia, quando vediamo una pattuglia di tedeschi e ucraini che stavano salendo da Arsiero a piedi. Superata Castana, stavano dirigendosi verso Fusine. Mi precipitai subito ad avvisare Teppa”.

Decisi di mandare immediatamente una staffetta al Comando di Posina per avvisarli del pericolo (5). Poco dopo arrivò da Castana la nostra staffetta “Teresina” e ci riferì che un camioncino di partigiani stava scendendo da Posina a Castana e quando videro i Tedeschi avevano fatto dietro-front a tutta velocità mentre i Tedeschi-russi si erano spostati a Fusine dove avevano cominciato a malversare la popolazione, a bastonare ed a bruciare case.

DE ROSSI GIOVANNI (Ceck II/Topolino) di Schio: “Sul camioncino, che era di proprietà di Stiffan da Santorso, mi trovavo assieme al mio amico milanese (“Lugano”) e ad un autista di Arsiero (Pegoraro?); stavamo trasportando dei maiali da Posina ai Laghi per conto del Comando, procedendo ad una velocità di 10 Km./ora, Un contadino del luogo ci fermò un centinaio di metri prima del posto dove una pattuglia di tedeschi-russi si era appostata in agguato disposta a ventaglio. Allora l’autista innestò la retromarcia per un 300 metri ed alla prima curva fuori visuale si girò per tornare a Posina. Qui fu sicuramente avvisato qualcuno (non ricordo chi) della presenza dei Tedeschi a Castana”.

(Bortoloso Valentino prosegue nel racconto).


«Fu a questo momento che si decise di preparare un’imboscata appena i Tedeschi fossero tornati. In un primo tempo ci siamo sistemati su di un muraglione vicino a Castana, un posto ideale che ci avrebbe protetto e consentito un buon margine di fuga. Ma si pensò che, dopo la sparatoria e gli inevitabili morti, i Tedeschi avrebbero compiuto una rappresaglia contro Castana. Quindi ci siamo spostati più in alto con il bosco alle spalle. Alla battaglia hanno partecipato:

1. - BORTOLOSO VALENTINO (“Teppa’’) - comandante
2. - SANTACATERINA GINO (“Ciccio”) - caduto - vicecomandante
3. - MANEA ARCISO (“Morvan”)
4. - MILAN GILDO (“Patàn”)
5. - DUSO LUIGI detto Angelin (“Golgota”)
6. - DALLA COSTA GIUSEPPE (“Macario”)
7. - DANIELOW ALESSANDRO (“Sandro”) - caduto
8.- LOSCATOW MICHELE (“Michele”)
9. - MORONOF PIETRO (“Pietro”)
10. - UN FRANCESE (22-23 anni)

“Josef” era rimasto di guardia al casòn. Come armamento avevamo un fucile mitragliatore italiano, 3 Sten, varie carabine, bombe a mano.
Mi ero sistemato assieme al povero Santacaterina poco sopra la strada dove c’era un sentiero che saliva nel bosco, in un posto abbastanza riparato. Gli ordini erano di sistemarsi nel modo migliore e di aspettare che i Tedeschi arrivassero sotto prima di aprire il fuoco.
Arciso Manea («Morvan») (6) precisa che, della pattuglia Guastatore-Teppa, alcuni erano rimasti nel casòn di Costamala e quindi non parteciparono alla battaglia della Strenta; essi sono: Guastatore, Quirino, Tranquillo, Gino (cugino di Guastatore) Elio Cimieri, il «Barba» di Casalena. «Nella sistemazione prima dello scontro io mi trovavo nel piccolo sentiero alcuni metri sopra Santacaterina (“Ciccio”) e vicino a me c’era “Sandro” con un moschetto, mentre io avevo lo Sten».
(«Stella» e l’inglese Checco erano prigionieri).

"Mentre noi aspettavamo in postazione, i Tedeschi (3-4) e i «russi» (15-16) cominciarono a scendere in ordine sparso sparando raffiche, ma un centinaio di metri , prima di arrivare sotto di noi si riunirono in gruppo, sicché quando passarono buttammo delle sipe in mezzo al gruppo: urla, spari, fuga di alcuni attraverso il prato. Ci fu un fuoco tremendo per una decina di minuti, Prima dell’attacco Santacaterina mi disse che era meglio che io scendessi più in basso in mezzo al granoturco in modo da poter sparare con lo Sten a distanza ravvicinata, mentre lui rimase più in alto con il moschetto e le sipe. Nello scontro a fuoco un paio di «russi» si buttarono sotto un muretto e fecero resistenza; fu uno di questi che, aspettando che Ciccio si alzasse per lanciare una sipe gli sparò e lo colpì alla testa, difatti venne trovato con la sipe in una mano e l’anello nell’altra. Siccome nello stesso momento io stavo sparando proprio a quel russo, e infatti lo colpii, fu questione di una frazione di secondo di ritardo, altrimenti Ciccia sarebbe ancora vivo".

Arciso Manea racconta: «Sandro continuava ad alzarsi, sparare un colpo, ributtarsi a terra; alla 3-4 volta fu colpito da una pallottola al fegato. Abbiamo aspettato che terminasse il fuoco, poi in 2-3 lo abbiano trascinato via, sostenendolo perché riusciva ancora a camminare».


"La battaglia si svolse verso le 16-17 e poco dopo cominciarono ad arrivare rinforzi tedeschi dal basso (Sanrochèto o Arsiero). Si appostarono fuori di Castana con i mortai e quindi sotto i colpi siamo stati costretti a scappare in alto verso una villetta, da dove abbiamo visto i Tedeschi di rinforzo che tiravano su i morti (a detta della gente circa dodici), dimenticandone uno, che fu trovato, dopo il rastrellamento di Posina, decomposto in mezzo all’erba. Alla villetta Sandra fu adagiato su delle foje e venne uno studente in medicina a tamponargli un po’ la ferita. Nel contarci abbiamo visto che mancava “Ciccio” ed allora con altri 2-3 siamo andati a cercarlo e lo abbiamo portato su.

In quella imboscata noi speravamo di fare un colpo secco e portare via tutte le armi, invece le cose si piantarono diversamente; inoltre si sperava che quelli del camioncino che avevano fatto marcia indietro avessero avvisato il Comando di Posina e che questo avrebbe mandato un gruppo di rinforzo. «Giulio» minacciò di disarmare la nostra pattuglia perché i Tedeschi-russi erano passati dalla Strenta, ma furono chiariti i fatti e non se ne fece nulla. Sandro venne caricato su di un carretto e portato in Posina, dove morì.

Il giorno dopo, verso le 15-16, vennero fatti i funerali di tutti e due e gli abitanti di Posina vennero giù anche dalle contrade più alte, tanto che si meravigliarono che in val Posina ci fosse tanta gente. Il fratello di Gino era venuto su due giorni prima ed aveva intenzione di unirsi a noi, ma quando arrivò si trovò con il fratello morto.

La sera stessa dello scontro alla Strenta i Tedeschi bruciarono una contrada sopra Castana: era successo che quando i Tedeschi-russi erano andati a Castana erano passati prima ieri questa contrada ed avevano visto alcuni giovani scappare; i pochi «russi» che si erano salvati dallo scontro riferirono il fatto ed il Comando tedesco pensò che ad eseguire l’attacco fossero stati quei giovani in fuga e considerati dei ribelli: di qui la rappresaglia.

In seguito il Comando ci ordinò di ritirarci verso Costamala perché la Strenta cominciava a diventare pericolosa. Abbiamo distribuito i viveri a varie famiglie per passare dopo a ritirarli. Josef andò con un carretto e mentre stavano caricando arriva una staffetta dicendo che stanno arrivando i Tedeschi con un’autoblindo e 3 camions. Allora mandai una staffetta ad avvisare Josef che si ritiri subito per non compromettere gli abitanti, ma lui rispose: «Qui messo Teppa e detto venire lui!». Se non scendevo a prenderlo era il tipo da affrontare 2-3 camions di Tedeschi con il «parabello».


Sullo scontro alla Strenta «Macario» (7) aggiunge:

«Fu verso metà luglio che mi convinse a salire in montagna perché a Poleo la situazione cominciava a farsi pericolosa. Al Comando di Posina «Giulio» provvide a farmi armare e mi mandò con la Pattuglia Guastatore-Teppa. Nello scontro io avevo il fucile mitragliatore e ho visto voltar via parecchi russi; ricordo poi che un «russo» fuggì via con una bicicletta».



NOTE
(1) BORTOLOSO VALENTINO (“Teppa”) - Di Paolo (operaio tessile) e di Cerbaro Mistica dai Corobolli. Nato a Schio il 24.3.1923, due fratelli e 6 sorelle, allora residente a Poleo in via Lungo Gogna (ex via Casetta). Di leva nei Carabinieri nel maggio del 1942, tre mesi di corso a Torino, poi mobilitato per la Russia nell’agosto del 1942 in un apposito Btg. di Carabinieri aggregato alla Divisione “Vicenza”. Trascorso tutto l’inverno in linea in Russia e dei 700-800 Carabinieri tornarono soltanto in 50-60. AI momento della ritirata I Tedeschi partirono senza avviso e vi fu un  «si salvi chi può»; c’erano morti, feriti, dispersi, tifo petecchiale in circolazione. Per un mese e mezzo vagarono per la Russia in tre compiendo 800 Km. a piedi, fino a quando vennero concentrati a Gommel e con una tradotta riportati In Italia in aprile-maggio del 1943 (uno morì durante il viaggio di tifo petecchiale). Valentino finì a Bologna, venne smobilitato per il fronte ed inviato a Venezia alla Legione Carabinieri per il servizio normale d’ordine. Qui si trovava all’8 settembre 1943 e, per ordini dei comandi, si mise in borghese e si rifugiò con altri in famiglie private per alcuni giorni in attesa degli sviluppi della situazione. Non vi furono deportazioni in Germania e così riprese il servizio fino al gennaio del 1944; ricorda che i Fascisti guardavano male i Carabinieri, perché “reali”. Furono proposti per formare un reparto speciale di Cacciatori delle Alpi contro i ribelli ed allora in caserma vi furono riunioni e discussioni, finché si decise di andarsene via tutti portando con sé la pistola, 2 bombe a mano Balilla e munizioni: questo avvenne ai primi di febbraio del 1944. Valentino si rifugiò a Lonigo presso parenti e rientrò a Schio nel marzo-aprile mettendosi in contatto con le prime pattuglie. Nella prima quindicina di maggio sale con altri in Asiago (cfr. altro Quaderno) e poi torna a Poleo unendosi a Guastatore, Quirino, Morvan, Bob, Pelloni, un milanese. ed altri per 4-5 giorni, dopo di che sale a S. Caterina con Bixio (sul rastrellamento di Vallortigara, cfr. a pg. 379 e qui anche sui sabotaggi del 15 giugno). Dopo Bortoloso Valentino si reca in campagna a Sanvito ma poco dopo, per il pericolo di rastrellamento e per alcuni incidenti avvenuti, sale sul Novegno dove viene costituito un gruppo: 1. Franceschini Bruno (Guastatore) - 2. Bortoloso Valentino (Teppa) - 3. Milan Gildo (Patan) - 4. Duso Angelino (Golgota)  5. Santacaterina Gino (Ciccio)  6. Dalla Costa Giuseppe (Macario) - 7. Dalla Costa Tranquillo (Tranquillo), suo fratello - 8. Santacaterina Aldo (Quirino) - 9. Bortoloso Luigi (Gino) - 10. il “Barba” di Casalena - 11. Manea Arciso (Morvan) - 12. l’inglese “Checco”. A quel tempo Valerio Caroti (Giulio) e Bruno Redondi (Brescia) volevano dare il comando della pattuglia a “Teppa” ma questi si sentiva troppo giovane e con poca esperienza, per cui il comando fu assunto da “Guastatore”. Di qui la denominazione di “Pattuglia di Guastatore e Teppa”. La sorella di Teppa, Caterina Bortoloso detta Nella, operò come staffetta nel Btg.ne Ramina Bedin assieme all’amica Maria Bortoloso.

(2) FRANCESCHINI BRUNO (“Guastatore”). Di Amedeo (ferrarese) e di Fabrello Rosina. Nato a Vicenza nel 1920. Il padre Amedeo morì subito dopo la nascita del figlio. Alcuni anni dopo la madre Rosina conobbe un Bortoloso Attilio (cl. 1896) di S. Ulderico, operaio tessile, e lo sposò. Da questo secondo matrimonio nacquero Bortoloso Maria (cl. 1926 operaia tessile a Pieve), Lidia (cl. 1930) che sposò l’inglese “Checco”, Elio (cl. 1936. La famiglia viveva al Cristo (Torrebelvicino) in contrà “Catàra”, formata da un’unica casa, senza acqua e con illuminazione ad acetilene, candele, petrolio. Bruno Franceschini lavorava a Pieve ed era nel Genio guastatori (uno specialista in esplosivi), tornato a casa dopo l’8 settembre andò in fabbrica con una carta di identità avente la data di nascita di una classe esclusa dalla chiamata alle armi. In primavera salì in montagna e fece pattuglia sul Novegno con “Teppa”. La casa della “Catàra” ha tutta una sua storia interessante: vi fu costruito un bunker scavando in stalla e portando fuori la terra con secchi per non dare nell’occhio; con travetti e lamierini e con terra battuta fu coperto, mettendo all’interno delle felci per stare più soffici. Il bunker aveva un’altezza di mt. 1,50 e vi stavano 4 persone. Dopo il rastrellamento di Posina vi restò nascosto l’inglese Checco fino alla Liberazione, a volte Guastatore, Gino Bortoloso (cl. 1920) cugino di Attilio e infine, dopo la liberazione dall’Ospedale di Schio, anche Antonio Canova (“Tuoni”). Il capofamiglia Attilio Bortoloso e la moglie Rosina diedero un notevole contributo alla guerra partigiana. La figlia Maria in Rubini ricorda numerosi avvenimenti di casa della “Catàra” (una sera i Fascisti hanno visto una luce e si sono messi a sparare, salvo venire il giorno dopo a chiedere quanti morti c’erano e dicendo che dalla strada non avevano visto la casa; nell’aprile del 1945 vennero i Tedeschi a scavare delle trincee). La Maria apparteneva al Btg. Ramina Bedin e faceva la staffetta per Giovanni Cavion (“Glori”); ha sposato Pasqualino Rubini (“Pasqua”) di Torrebelvicino (cl. 1926) inizialmente della pattuglia Scaviozza (Cima Torre), di cui si dirà in seguito, e poi in pattuglia con Vallortigara Ernesto (“Morgan”) a Colle Xomo ed in Posina.

(3) “CHECCO” l’inglese. Si tratta di Mallet Bernard Gordon, un soldato (volontario) specializzato in evasioni. Era stato catturato a Bengasi e portato in Italia in campo di concentramento; dopo l’8 settembre stava per essere portato in Germania, ma a Trento riuscì a fuggire. “Guastatore” lo trovò in Posina e se lo portò a casa e poi in pattuglia. Come si è visto, fu catturato alla Strenta assieme a “Stella” ed i due furono portati prima ad Arsiero, poi a Marano Vicentino nella famigerata caserma dei “russi” ed infine a Vicenza. Riuscì a fuggire con l’amico “Stella” ed a ritornare in Posina. In seguito restò in casa della “Catàra” al Cristo (Torrebelvicino) fino alla Liberazione ed il 4 luglio partì assieme alla giovanissima Lidia Bortoloso (cl. 1930), che sposò a Napoli prima di andare con lei in Inghilterra. Tornò nel 1949 per un paio di mesi e poi se ne andò con la Lidia in Australia, dove ebbero 10 figli. Era un tipo alla militare che pensava che tutto gli fosse dovuto. La Regina Elisabetta mandò, attraverso un Comando inglese, ventimila lire per il mantenimento del suo suddito durante la permanenza in casa della “Catàra”.

 

MILAN GIORGIO (“Stella”). Di Luigi (operaio tessile) e di Reghelin Aurelia, residente in via Salesà (Riva di Poleo). Nato Schio il 29.8.1924. Recluta nel gruppo Alpini alle Scuole di Porta Padova; all’8 settembre il Comandante li riunì e disse: «Mettetevi in borghese, torne a casata, state attenti ai Tedeschi che se vi prendono vi deportano in Germania». Rimase alla macchia e in maggio-giugno andò con Giulio sul Novegno, poi in Posina, dove fu smistato nella pattuglia Guastatore-Teppa. Il fratello Germano (cl. 1917) restò disperso in Russia, Giuseppe (cl. 1919) ora missionario, fu cappellano militare, poi c’erano Tarcisio e Luigi.

 

EVASIONI DI CHECCO E STELLA - « A Vicenza Checco, durante l’uscita in cortile riuscì a sgraffignare una chiave inglese e con questa e una posata abbiamo svitato i bulloni di una porta, saltato un alto muro, sfilato un pezzo di rete metallica e, attraverso orti e stradine, siamo finiti nel campo di aviazione. ‘’’Sìto bon a guidare un’aparechio?” - Checco rispose: “No, ostia’’’. L’intenzione un po’ balorda era di fuggire con un aereo. Così, evitando le pattuglie tedesche, siamo arrivati in Raga dove Guerrino Barbieri voleva che restassimo con il suo distaccamento. Noi invece si decise di tornare dai nostri amici in Posina e quando Guastatore ci vide (da Raga gli era giunta già la notizia). si mise e piangere dalla contentezza. Durante il rastrellamento di Posina restai con Guastatore in un bosco vicino a Costamala e la seconda notte riuscimmo a superare il Novegno ed a tornare in Val Leogra. Una quindicina di giorni dopo Giulio organizzò per noi una cenetta per festeggiare tra amici la nostra evasione. Dopo la fuga, poco prima dell’incendio di Poleo, incarcerarono mia madre per una ventina di giorni. Essendo ormai segnalato, passai in Tonezza col Turco e qui ricordo Mirko, Goti, Gordon, Ferro, Azzurro (Pio Formilan), Toti (ora in Australia), Finco da Santorso (ora in Francia), Porto, Athos, Conte dal Tretto ed altri".

(4) MILAN GILDO (“Patàn”). Nato a Schio (Poleo) il 7.4.1920. Alpino, all’8 settembre tornò da Gorizia a piedi. In montagna salì nella prima quindicina di giugno del 1944 con “Giulio” sul Novegno: passò poi in Posina e qui rimase. Ha sposato Irene Pozza, la staffetta “Juna”.

(5) La staffetta è probabilmente un Golin o Dal Molin di Laghi il quale arrivò in Posina e in una trattoria trovò Ferruccio Manea (Tar), tornato il 7 agosto dall’identificazione e sepoltura dei due caduti nella Battaglia sul Pasubio. Subito il Tar partì con il suo gruppo (circa 15) tra i quali c’erano Micheletto Andrea Bruno (Brocheta). Bertoldo Mario (Pocio), Elvieri Pietro (Pelo), Alessi Carlo (Sparese) ed altri. Quando arrivarono sul posto dello scontro era già tutto finito e se ne erano andati sia gli uomini di Teppa che i Tedeschi. Alla sera il Tar andò a vedere Sandro ferito e la stessa sera partì con il suo gruppo, attraverso il Passo Xomo. alla volta di Enna. Qui trova Brescia, Greco e Morgan. Il giorno successivo Morgan scende da Enna e poco dopo si sentono dei colpi: Tar con il binocolo vede che i Tedeschi gli stanno sparando dietro. Brocheta sistema il Bren e parte una sventagliata contro i Tedeschi, che stanno aggiustando il mortaio a 7-800 metri; dopo alcuni tiri avrebbero centrato il gruppo se non fosse stato spostato poco prima il mitragliatore. In seguito i rastrellatori salgono verso Passo Xomo mentre la pattuglia del Tar si sposta in Raga venendo così a trovarsi fuori del grande rastrellamento di Posina.

(6) MANEA ARCISO (“Morvan”). Di Massimiliano (caporeparto Lanificio Rossi) e di Beccaro Maria: Nato a Schio (Poleo-Lesegno) il 6.6.1924. Di leva nel Genio, dopo soli 23 giorni di vita militare (si trovava ad Udine) fu catturato all’8 settembre dai Tedeschi assieme a tutti i militari della Caserma. Durante il viaggio di deportazione riesce a fuggire dai camions e torna a casa. Quando viene richiamato si nasconde nel bosco vicino casa e qui passa l’inverno 1943-44. In marzo-aprile 1944 si mette in contatto sopra Poleo con “Marte», “Bresci“,  “Bixio”, “Leone”, specie dopo il primo aviolancio di metà aprile; ai primi di maggio parte con un primo gruppo dalle Madeghe e sale in Asiago; le sue vicende restano collegate a quelle di “Teppa” con il quale è sempre stato assieme.

(7) DALLA COSTA GIUSEPPE (“Macario”). Di Giosuè (agricoltore) e di Dal Molin Marianna. Nato a Schio il 9 .3.19.18, residente in via Masi (Poleo), agricoltore, ora Vigile notturno. Di leva nel Genio, poi fu inviato nei Balcani (Croazia, Sebenico). All’8 settembre 1943 si trovava nella zona di Karlovac (JU) e quando si udì dell’armistizio furono raddoppiate le guardie: «Poi ci siamo tutti dispersi ed un gruppo raggiunse Trieste, dove alcune ragazze ci riunirono in un bar e ci condussero alla stazione dove c’era un treno per Padova. Durante l’inverno restai nascosto a casa ma in contatto con quelli delle Rive di Poleo”.