QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Marzo 1982- Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
Vol. XV - Parte Quarta
ATTACCO GARIBALDINO A SCHIO
XX. INCHIESTA DI E. TRIVELLATO
:
A mezzogiorno di domenica 29 aprile suonarono le sirene delle fabbriche: era il segnale dell'attacco partigiano. Da quel momento scattò l'attacco garibaldino, ravvicinato, di strada in strada, con reparti tedeschi armatissimi ancora presenti in tutto il territorio, sulle vie della ritirata, sulle alture e nel centro cittadino.
I garibaldini - senza armi pesanti nè trincee - dispiegarono tutta l'aggressività e la prontezza d'intervento che avevano acquisito in venti mesi di guerriglia, la tattica dell'astuzia individuale e di pattuglia, la sistemazione dei loro Bren nei tempi e luoghi giusti, la raffica veloce di parabello, la distruttività della sipe. Non occorre molto per capire il coraggio di entrare in Magrè o in Schio nel momento in cui i Tedeschi si erano arroccati nelle case come cecchini e Tedeschi circolavano con automezzi lungo le vie, pronti a sparare.
Poichè l'epica della Liberazione ha probabilmente esagerato molti racconti del dopoguerra per troppi luoghi, ritengo che per gli storici più contenuti possa valere, nel caso di Schio, la seguente considerazione: le sirene suonarono a mezzogiorno di domenica 29 aprile e l'accordo con i Comandi tedeschi - documento firmato e ineccepibile - venne concluso nel pomeriggio: le bandiere garibaldine sventolavano sul Municipio di Schio.
Ciò significa che l'attacco garibaldino si svolse contro truppe tedesche, che avevano i loro comandi di alto livello ancora presenti a Schio e con possibilità operative. Si deve quindi allontanare l'idea della scaramuccia contro il territorialer della Wehrmacht arrancante in bicicletta o disperso e dimenticato dai Comandi germanici.
Vari scontri avvennero con reparti di S.S., ed in qualche caso si ebbe l'impiego di artiglieria e di carri armati; tutto questo mentre in Municipio si stava perfezionando l'Accordo.
Naturalmente i racconti partigiani esprimono, nella loro semplicità, tutta la modestia degli uomini abituati ad agire senza retorica intellettualistica e quindi a volte appaiono troppo demitizzanti nell'insistenza di certi dettagli, che in quel momento erano essenziali, oppure troppo poveri di quel linguaggio che da solo può creare un clima epico. Malgrado questo fenomeno riduttivo, non ho mai voluto trascurare nei Quaderni i racconti semplici o prosaici, ritenendo che il lettore sapesse cogliere la validità dell'evento anche al di là della modestia e della spontaneità del racconto.
"RAMINA BEDIN"
Il btg.ne RAMINA BEDIN, attestato sulle colline sopra Schio al Festaro-Formalaita, ebbe il vantaggio di trovarsi più vicino al Comando di Brigata (punto di riferimento: casa Cavion) e di essere pertanto informato sulla situazione esistente a Schio, sia per quanto riguardava l'entità del transito tedesco sia in merito alle trattative in corso.
Malgrado ciò non mancarono gli inconvenienti: un reparto tedesco si stabilì giorno e notte alle Bojole per controllare il passaggio da Poleo e questo fatto rese difficoltoso e pericoloso il collegamento fra il Festaro ed i Cappuccini; il comandante Giovanni Cavion restò fewrito ed il comando degli uomini attestati a Festaro-Formalaita fu assunto dal commissario Gaetano Pegoraro; il vicecomandante Biagio Penazzato si trovò occupatissimonei collegamenti a causa del contrasto tatticofra Nello Boscagli (attacco partigiano immediato) e Valerio Caroti-Bruno Stocco (attacco a mezzogiorno di domenica al suono delle sirene).
Gli avvenimenti ed i movimenti più importanti del RAMINA BEDIN, sulla scorta di alcune testimonianze, si possono così riassumere:
ATTACCO AL CENTRO DI SCHIO
Biagio Penazzato (Bob), vicecomandante, riferisce: "Dai Cappuccini stavamo scendendo in centro per recarci al lanificio Rossi a far suonare le sirene; queste invece si udirono mentre eravamo davanti alle Scuole Fusinato al Castello. Fu deciso così di scendere in via Pasini dove si trovava Nello Boscagli in casa Busnelli.
Al Municipio vecchio in via Pasubio riuscii a bloccare un tedesco e così Giuseppe Barco, Giuseppe Signore e Piero Dal Prà rimasero nell'edificio con il compito di controllare l'eventuale transito di altri Tedeschi; in seguito Dal Prà ritornò ai Cappuccini, Signore e Barco salirono sul campanile della Chiesa dell'Incoronata. Con il resto della pattuglia imboccammo via Pasini ed in Piazzola arrivò da via Garibaldi una moto con due Tedeschi recanti un lasciapassare di Gildo Broccardo.
Intanto Luigi Bortoloso si sistemò in un pergolo per tenere sotto tiro via Pasubio-via Pasini, mentre io mi portai verso Piazzetta Garibaldi assieme a Corino Signore, Lido Manea, Severino Manfron, Sergio Marchetti. Tutte le porte ed i portoni erano chiusi e sprangati.
Poco dopo giunsero Bruno Broccardo ed un altro partigiano, i quali attraverso l'osteria da Sparissi, la corte sporca e Feracavai salirono su di una terrazza. Sotto i portici restammo in tre: Corino, Manea ed io. Si videro comparire alcuni Tedeschi da Feracavai, altri giungevano da via Umberto I.
Intanto arrivò improvvisamente da via Pasini una macchina con autista, un militare ed un ufficiale (dietro e in piedi); quando ci vide tra le colonne, questi ci sparò una raffica con il machine-pistola ed una pallottola di rimbalzo colpì alla colonna vertebrale Corino Signore, il quale, mentre stava cadendo, riuscì a sparare con il parabello contro l'autista colpendolo a morte e ferendo il militare vicino.
La macchina proseguì in linea retta ed andò a cozzare contro lo scalino della base del Duomo. L'ufficiale fu sbalzato fuori ed arrancando riuscì ad eclissarsi, malgrado gli avessi sparato per fermarlo. Nel girarmi vidi Corino a terra, giallo in faccia ed immobile; dopo aver battuto in casa Chiozza, ci fu aperto e così lo trascinammo dentro.
Il posto si dimostrò troppo pericoloso e quindi scendemmo verso la Piazzola, da dove però alcuni Tedeschi in colonna, che venivano da via Pasubio, ci spararono addosso. Udii le raffiche di mitraglia di Broccardo contro un camion che saliva in Piazzetta Garibaldi; poi l'arma si inceppò e per la rabbia la buttraono giù dall'alto.
Dopo aver gettato anch'io alcune bombe a mano, ci spostammo in casa Assoldelli: erano circa le 14. Intanto tre partigiani si erano spostati verso il Mercato coperto in via Umberto I dove gettavano qualche bomba a mano contro ogni camion in transito. Dopo che erano passate quattro carrette stracariche di materiali con alcuni Tedeschi, arrivò in Piazza Rossi da via Carducci un'autoambulanza sulla quale riconobbi la Mery Colombara.
Allora scendemmo tutti in strada con sollievo, perchè la Mery ci disse che non aveva visto Tedeschi in circolazione. Venni giù in Piazzola ed in quel momento stava salendo da in fondo via Pasini il gruppo di Magrè, con il quale ci siamo incontrati davanti al Municipio."
A Festaro-Formalaita, sulle colline sopra Schio, è rimasto il commissario Gaetano Pegoraro (Guido 2°) con i vari distaccamenti del RAMINA BEDIN, in quanto il comandante Giovanni Cavion (Glori) era stato gravemente ferito ad una coscia.
Gaetano Pegoraro riferisce sulla DISPOSIZIONE A VENTAGLIO:
"Al mattino di domenica 29 aprile venne al Festaro Gaetano Cerbaro (Ulisse) riconfermando che l'attacco doveva iniziare al suono delle sirene; non posso dire che sia mandato il collegamento, in quei giorni, fra Schio centro, Cappuccini, Festaro, grazie ad alcune staffette, in particolare la Pierina e la Tilde.
Quella domenica mattina del 29 si concertò la disposizione da tenere per l'attacco, discutendone fra me, Ulisse, i vari capidistaccamento e capipattuglia. Appena suonate le sirene, Ulisse con i suoi uomini si diresse verso i Masi per controllare con i Bren tutta la strada che da SS. Trinità va al Timonchio, quindi il percorso obbligato per la ritirata dei tedeschi verso la Valdastico.
Romano Faccin (Pelloni) scese verso Ressecco e si appostò in cima alla Valletta dei Frati per avere sotto controllo quel punto nevralgico di transito. Italo Ciscato (Gandi) si diresse con altri uomini verso i Cappuccini in modo da poter dominare la via Rovereto (Schio-Torre) ed intervenire in quella zona.
Giovanni Broccardo (Erretì) salì anche lui con altri ma si sistemò all'interno della villa Cazzola. Io mi spostavo continuamente nella zona Cappuccini-Ressecco e ricordo che nel frattempo dai Masi si udivano delle violente sparatorie.
Mentre stavo organizzando alcuni ragazzi per il trasporto di cassette di munizioni per i Bren, sopraggiunsero Giulio e Braccio e mi dissero di andare a controllare verso Ressecco per vedere com'era la situazione; però in quel momento nei paraggi della casa Dalle Molle vi erano due Tedeschi che sparavano, per cui entrai in casa Stocco e da una finestra lancia una sipe che li fece probabilmente allontanare.
Mi diressi poi a Ressecco e qui c'erano dei tedeschi morti, benchè la sparatoria stesse ormai diminuendo. Lì era sopraggiunta anche la pattuglia di Bortoloso Valentino (Teppa). Visto che nella zona non vi erano tedeschi che sparavano, con gli uomini di Teppa e di Pelloni scendemmo a S.Maria, in Piazza Rossi, in via Garibaldi e poi su per Sareo fino al lanificio Rossi, dove si era in precedenza convenuto di riunirci" (8.6.1981).
BORTOLOSO VALENTINO (Teppa) racconta: "Nei giorni precedenti la Liberazione la nostra pattuglia si trovava ripartita nel bunker di Arciso Manea (con me, Lido Manea, Aldo Santacaterina) e nel bunker di Franceschini (Guastatore) dove si trovavano Checco l'inglese, Antonio Canova, Luigi Bortoloso (gino) ed altri di passaggio.
Ci arrivavano staffette da casa Cavion. A Guastatore arrivò l'ordine di recuperare la Breda pesante e le 10-12 cassette di munizioni nascoste alle Madeghe; nel recupero abbiamo avuto un incontro improvviso con i Tedeschi e ci fu anche una sparatoria. Al sabato sera, almeno così mi sembra, arrivò l'ordine (probabilmente da Nello Boscagli) di piazzare la Breda pesante contro il ponte della Gogna nel prato sotto il Cristo, in modo da bloccare eventuali Tedeschi provenienti da Schio (si parlava di una colonna in arrivo).
Invece verso mezzanotte arrivò un contrordine, per cui siamo tornati ai bunkers. Domenica mattino 29 aprile arrivò l'ordine di attaccare a mezzogiorno al suono delle sirene, partendo da casa Cavion. Mentre stavamo mettendoci in marcia giunse verso le 11 in casa Manea una pattuglia di Tedeschi, che prelevarono pane, salumi e formaggio, mentre noialtri riuscimmo a nasconderci in un angolo di muro dietro un armadio. Anche Guastatore restò impacciato nei movimenti a causa di un reparto tedesco sistematosi al Cristo.
Appena vi fu via libera, partii con Arciso Manea, Aldo Santacaterina e Francesco Broccardo (ex carabiniere, cl.1923) che si unì a noi. In fondo ai campi verso i Verotta suonarono le sirene ed una staffetta ci disse di portarci alle Bojole ed a Ressecco. Intanto ai Cappuccini si udivano numerose sparatorie: la battaglia era incominciata.
Dopo una breve tappa al Sojo dai Ciscato, ci siamo diretti alle Bojole e qui fummo accolti da una sventagliata di mitragliatrice. Quindi ci siamo spostati a Ressecco verso la parte alta della Valletta, dove era in corso un violento scontro a fuoco: infatti una colonna di Tedeschi, che in un primo tempo aveva alzato bandiera bianca, si piazzò poco dopo nelle trincee a lato della strada della Valletta, sotto la mura del brolo del Conte.
Noi ci sistemammo nelle buche della Valletta a dar man forte: eravamo in tutti una trentina. Ricordo che le donne si dimostrarono molto coraggiose, sia nel trasporto di un ferito che delle munizioni. Finalmente un soldato tedesco innalzò una gran bandiera bianca: i prigionieri vennero portati al lanificio Rossi.
Noi allora ci siamo sistemati sul sojo che guarda verso SS. Trinità ed i Masi di Lora, dove si vedeva movimento di Tedeschi sbandati, con carrette e muli. Un nostro distaccamento stava scendendo dai Masi e tutta la strada era sotto il nostro tiro.
Verso le 15-15.30 siamo scesi a SS. Trinità, in via Baratto, Corobbo, via Carducci e Piazza A. Rossi. Qui abbiamo incontrato 2-3 Tedeschi della Sanità che, con un lasciapassare, stavano recandosi in Valletta a recuperare alcuni feriti e morti. In Piazza e per le strade la gente era in festa. Verso l'imbrunire arrivò notizia di uno scontro in corso ai Cementi, così partii con 4-5 uomini, il Bren ed una scorta di munizioni.
I Tedeschi sparavano dai finestroni dei Cementi, quindi consigliai alcune donne di via dei Nani di ritirarsi dalle finestre e di aprirci le porte delle case, nelle quali si sarebbe piazzato ciascuno di noi. Si decise di fare fuoco a volontà appena avesse cominciato il Bren, in maniera da creare un diversivo e consentire alle pattuglie che si trovavano già ai Cementi di penetrare nell'edificio.
Vi fu circa un quarto d'ora di sparatoria e finalmente i Tedeschi si ritirarono attraverso i campi in direzione del Boldòro. Dopo entrati in fabbrica giunse da Marano Giavenale una colonna della X MAS, che fu subito bloccata; intanto giunse una persona, che non ricordo, da Schio centro dicendo di lasciarli venire avanti perchè erano in corso delle trattative.
Così giunsero in via Venezia, via Trento Trieste e via Pietro Maraschin, nelle cui trincee ai lati noialtri intanto eravamo corsi a sistemarci. Rammento un gran nervosismo, perchè erano armatissimi ed al minimo incidente poteva iniziare una sparatoria. Un ragazzetto di 14-15 anni della G.N.R. alzò il mitra contro di noi ed un camerata anziano gli diede un ceffone mandandolo sul fondo del camion.
Domenica notte fui di servizio alla Centrale elettrica di via Milano e lunedì mattina partecipammo ad una azione al Timonchio, dove si erano attestati sull'argine parecchi Tedeschi, forse quelli allontanatisi dai Cementi. Verso le 10 di lend' 30 aprile ci recammo (Arciso Manea, Aldo Santacaterina, Francesco Broccardo, un autista) ai Marsili per prelevare armi, bombe e Brens.
Di ritorno, verso i Corobolli, notammo due aerei alleati e noi allora ci siamo messi a sventolare le bandiere rosse; si allontanarono, ma tornarono poco dopo. A Ressecco fummo incerti se scendere e buttarci ai lati; difatti in Valletta, appena un aereo accennò ad una picchiata ci siamo gettati ai lati della strada. Una raffica centrò il camioncino ed il motore bruciò con una gran fiammata. Anche il secondo aereo lanciò una raffica, al punto che eravamo preoccupati per un'eventuale esplosione delle munizioni.
Dopo che i pompieri avevano spento le fiamme, scendemmo alla Grotta dai due marconisti Archie e Bill a protestare, perchè i piloti avevano ben visto che Schio era in festa (a meno che non ce l'avessero con le bandiere rosse che sventolavano sul camioncino). Archie disse che non capiva il fatto, dal momento che aveva comunicato lui stesso ai Comandi alleati che Schio era già stata liberata dai partigiani".
ANTONIO CANOVA RIFERISCE (17.7.1981): "Dopo il suono delle sirene, con Teppa, Guastatore ed altri, ci siamo diretti al Comando ai Cappuccini in casa Cavion.Vi era molta tensione per la presenza di Tedeschi un po' dappertutto e per le sparatorie in corso. I ricordi oggi sono piuttosto confusi, tuttavia rammento che ai Cappuccini i frati ci hanno portato fuori una cesta di mele, che abbiamo fatto fuori con Giulio e Braccio. In seguito arrivò una staffetta di Magrè avvisando che il BARBIERI aveva occupato il Municipio. Allora siamo venuti giù in centro per via Cappuccini, Fra Matteo, Chiesetta di S.Rocco, via Pasubio fino al Municipio dove nel frattempo si erano riunite molte persone".
"BARBIERI"
Il Btg.ne BARBIERI era attestato sulle colline sopra Schio verso Magrè-Monte Magrè, quinsi dalla parte opposta rispetto al RAMINA BEDIN. Come si è detto, a causa del forte passaggio di truppe tedesche, vi furono alcune difficoltà di comunicazione con i Comandi partigiani, specialmente quando sorse il contrasto sul momento più opportuno per l'attacco.
GUERRINO BARBIERI (Marat) così racconta (10.6.1981): "Nella settimana precedente alla Liberazione eravamo sistemati nella zona di Monte Magrè ai Casarotti in un casòn della zona del Zovo. Il distaccamento di Antonio Nardello (Thomas) edel suo Comm.rio Bortoloso Guido (Vasco) aveva la zona verso Pievebelvicino; il distaccamento di Silvio Manfron (Leone) e del Comm.rio Pola erano interessati alla zona di S.Vito di Leguzzano; il distaccamento di Filippi (Tosca) con il Comm.rio Dalla Pozza (Beduìn), avevano la zona di Magrè e di Schio.
Della Missione inglese, nei giorni della Liberazione, era con noi solamente Colombo (Christopher Wood), che scese con noi all'attacco di Schio, mentre non abbiamo mai visto "Dardo" (J.H. Ore-Ewing).
Al sabato mattina 28 aprile ci siamo spostati in Siberia nella casa di Luigi Berlato, il quale ci ha dato molto aiuto.
Allora abbiamo cominciato a discutere tutti assieme i piani per attaccare Magrè e Schio. Non vi era transito di Tedeschi da Valdagno ed il ponte di via Palazzina (vicino ai profilati in legno di Tommasi Sergio) era stato fatto saltare; vedevamo invece un gran passaggio di colonne dalla strada Case di Malo-S.Vito-Cà Trenta-Magrè (dai Perin) e qui alcune andavano verso Pieve (dove però la APOLLONI aveva fatto saltare il ponte da Pieve a Torre), altre scendevano a Schio.
Dal venerdì fino al sabato pomeriggio non avevamo ricevuto ordini, ma quando ci siamo spostati da Monte Magrè a casa Berlato abbiamo inviato una staffetta in casa Cavion per fare avviso del nostro spostamento.
La notte si dormì ben poco perchè si attendevano ordini di ora in ora. Sul tardi, era già scuro, di sabato 28 aprile giunse da noi la Virginia Cavion con un biglietto scritto firmato dal Comando (forse Ivan o Guido ricordano se era firmato da Nello Boscagli).
Era scritto: "Come ricevuto il biglietto attaccare subito". Come si poteva partire di notte senza sapere dove si trovavano i Tedeschi e con continue colonne in arrivo? Guido non aprì bocca, mentre Ivan era alquanto perplesso. Solo Luigi Sella (Rino) voleva sostenere l'ordine di Alberto. Rammento che lo presi per lo stomaco, perchè dissi chiaramente che l'attaccare in quel momento voleva dire andare al macello.
Avremmo dovuto attaccare da soli? In seguito anche Guido convenne che militarmente non si poteva andare allo sbaraglio in quel modo. Dopo che se ne era andata via la Virginia restammo a discutere a lungo, in attesa di un contrordine che non venne, forse perchè era difficile attraversare Schio in quella notte di continuo passaggio di Tedeschi.
Solo al mattino giunse una staffetta dal Comando della Martiri della Val Leogra, avvisando che l'attacco sarebbe avvenuto a mezzogiorno della domenica al suono delle sirene, in modo che tutti attaccassero nello stesso momento.
Silvio Manfron con il fratello Gino spostarono i loro uomini verso il Cilitero-Campo Sportivo, via Pio X, Cà Trenta; Silvio poi si portò verso Pianezza e S.Vito. Thomas si rivolse alla zona di Pieve, tenendo il contatto con noi tramite la Mery, l'Agnese ed altre staffette. Danton e Tosca con i loro distaccamenti agirono verso la zona della Siberia-Livergon-Prà dei Salgàri-via Camin-inizio via Broglialoco.
Al suono delle sirene una pattuglia si diresse verso la piazza, perchè al Castello si erano arroccati dei Tedeschi. Nano Barbieri si era sistemato sul campanile e di qui si sparava sui Tedeschi. Corà Olinto restò ucciso in questa azione. Guido con una pattuglia si fermò a snidare dei Tedeschi nella fattoria dei Bonatini all'angolo fra via Broglialoco e via Tuzzi; c'erano con lui il Broca, Francia, Sole (rimasero feriti) ed altri.
Danton, assieme a me, Bomba, Spartaco, Gecchelin Augusto (ferito) ed altri che non ricordo, abbiamo scavalcato mura e siepi per accerchiare attraverso gli orti la fattoria dei Bonatini. In Piazzola ci fu un fuoco infernale: erano circa le 13. Ricordo che due Tedeschi uscirono con le mani alzate ed un maresciallo dall'interno sparò loro ferendoli; Danton tirò al maresciallo, che, già ferito, voleva ancora spararci con la pistola. I Tedeschi prigionieri furono portati in un cortile di contrà Barona.
Avanzammo così, in una quindicina, lungo via Cristoforo per arrivare a Schio, quando dal Largo Riva Magrè giunse una camionetta tedesca con la bandiera bianca: chiedevano del Comandante della zona per poter parlamentare. In quel momento avevo perso di vista Guido, per cui mi feci avanti io: tra i partigiani accettò di venire con me Nestore Battaglia (Ercole) di Magrè, deceduto 5-6 anni fa (lavorava al Lanificio Conte come facchino e conduceva una vita piuttosto grama).
Mio fratello Danton era contrario che andassi con i Tedeschi, perchè diceva che era troppo pericoloso; mi puntò il parabello dicendo: "Te copo mi, pitosto che te copa i tedeschi!".
Salimmo sulla camionetta e giunti in Piazza Statuto fummo accolti da spari provenienti dalle Scuole Marconi. Gli ufficiali gridarono in tedesco ed allora a piedi siamo entrati dal retro del Municipio (Marat-Ercole-due ufficiali tedeschi). Lungo la scalinata c'era una fila di tedeschi sull'attenti, mentre nella sala del Sindaco, attorno al tavolo, vi erano una decina di ufficiali; di italiani era lì solo il Comm.rio prefettizio Giulio Vescovi.
Penso che io ed Ercole, agli ufficiali tedeschi abbiamo fatto una certa impressione: io ero in calzoncini corti, parabello, pistola, bombe sipe, Ercole era anche lui armatissimo ed in più era grosso come un monumento ed aveva una faccia grintosa da far paura. Tramite Vescovi seppi che la camionetta era venuta su a Magrè a causa della violenta sparatoria che avevano udito.
"Quanti siete?" - domandarono gli ufficiali, ed io risposi: - "Quarantamila!". Il Colonnello mi fece dire che loro non intendevano molestare nessuno, solamente andarsene. Risposi che noi non eravamo contrari al fatto che se ne andassero, ma che a Magrè c'erano ancora Tedeschi che sparavano, e quindi i due ufficiali dovevano venire con noi per convincerli alla resa".
REMO GRENDENE riferisce (11.6.1981): "Sono sicuro di essermi recato in Municipio verso le 15 del 29 aprile e qui incontrai per primi Domenico Baron e Bruno Stocco. Non c'era Boscagli e Caroti era probabilmente in giro. Giulio Vescovi se ne era andato, per tornare più tardi verso le 19.20. Non posso riferire nulla sull'accordo con i Tedeschi perchè la cosa non mi interessava".
CONSIDERAZIONI DI E. TRIVELLATO
Nel precedente Quaderno (pg. 728) sono state riportate varie testimonianze, in parte inedite, sulle trattative preliminari intercorse fra i Comandi partigiani ed i Comandi tedeschi tramite l'Arciporete di Schio. Sembra che l'arrivo a Schio della divisione corazzata HERMANN GOERING abbia impedito un proseguimento delle trattative avviate. La situazione restò quindi fluida fino a tutto il sabato 28 aprile.
A mio parere l'ordine di Boscagli ai partigiani ed ai territoriali di attaccare Schio il sabato sera dovrebbe essersi maturato con l'intento di smuovere i Comandi germanici mediante un'azione di forza. I partigiani invece, ad esclusione di qualche fedelissimo di partito, non accettarono di buttarsi allo sbaraglio in piena notte con un transito di colonne tedesche ancora massiccio.
Il buon senso della base e di alcuni comandanti nonchè una migliore conoscenza della consistenza effettiva dei rapporti di forza impedirono un "macello": ciò risulta chiaramente da più voci sia nel versante del RAMINA BEDIN che del BARBIERI.
Anche la domenica mattina le forze tedesche erano presenti a Schio in quantità: ricordo personalmente un'interminabile colonna armatissima transitante per via S.Rocco, in fila per tre o quattro, diretta in Valletta e SS.Trinità. Siccome i Comandi tedeschi avevano saldamente in pugno Schio con forze notevoli e non si potevano escludere arrivi di altre colonne dalla pianura, anche la decisione di attaccare a mezzogiorno di domenica al suono delle sirene non era del tutto priva di rischio, considerando il modesto armamento e durata di fuoco dei partigiani e l'incognita di una rappresaglia tedesca di ritorsione.
Fortunatamente l'attacco partigiano avvenne per infiltrazione da vari punti, senza un fronte massiccio definito, e forse i Comandi germanici pensarono che queste sparatorie e scontri a fuoco, iniziatisi dopo le ore 12, fossero le avanguardie di una forza ben più massiccia che era in attesa di attaccare.
Notevole impressione dovrebbe aver suscitato negli ufficiali tedeschi l'apparizione in sala del Sindaco dei due partigiani del BARBIERI, armatissimi e di aspetto feroce. Ai Tedeschi interessava raccogliere possibilmente tutti i soldati presenti nella zona di Schio, vivi o feriti, per avviarli sullo stradone di Santorso verso la Valdastico e poi il Trentino.
Probabilmente ciò sarebbe avvenuto nel pomeriggio di domenica, senza armistizi o accordi con i partigiani, se l'attacco garibaldino di mezzogiorno, la cui consistenza numerica e di armamenti era ignota ai Tedeschi, non avesse precipitato gli eventi ed avesse quindi posto la necessità di un accordo con i partigiani.
In assenza di testimonianze puntuali, per decesso o per reticenza, mancano finora delle risposte ad alcuni interrogativi: chi provvide alla stesura del testo? a che ora fu dattiloscritto e firmato? L'ora segnata nel documento (ore 20) risulterebbe puramente formale, per garantire a tutti i Tedeschi l'allontanamento da Schio; la firma di Boscagli fu apposta probabilmente nel tardo pomeriggio, stante la sua assenza nelle prime ore.
Il testo ufficiale è il seguente:
Schio, 29 aprile 1945 - ore 20
ACCORDO
Il Comando germanico Colonnello SCHRAM ed il Comando della Divisione "GAREMI" stabiliscono il seguente accordo:
1) Le truppe germaniche ottengono libero passaggio sulla strada Schio-Piovene (fino a Piovene, escluso il paese). Il Comando Germanico si impegna di non far uso delle armi, di non saccheggiare e di marciare in colonna serrata. Il Comando Divisione "Garemi" si impegna che le sue truppe non spareranno e che non impediranno la marcia.
2) Tutti gli ufficiali, medici, sottufficiali, soldati, 4 autoambulanze ed una macchina, trattenuti a Schio ed anche tutti gli altri trattenuti ancora a Magrè saranno liberati e ottengono strada libera e sicurezza fino a Piovene.
3) Accompagna questa colonna, quale ostaggio il Signor GASTONE - Vicecomandante di Brigata; restano a Schio, in Municipio gli ostaggi germanici: Signor Maggiore Laun e Sig. Capitano Magold. Gli stessi saranno rilasciati liberi ed avranno strada libera e sicurezza fino a Piovene, appena il Vice Comandante Gastone sarà rientrato al Municipio di Schio. La partenza della colonna delle truppe Germaniche trattenute a Schio dovrà essere fatta per le ore 22.
4) Il Comando Germanico si impegna, se tale accordo verrà rispettato, di non fare nessuna azione militare contro Schio.
Per il Comandante della Divisione Germanica:
I plenipotenziari
Maggiore Laun - Capitano Magold (firme autografe)
Il Comandante della Divisione
"A.Garemi"
(firma autografa) Alberto
Dal documento risulta che l'intera operazione di sganciamento tedesco avrebbe dovuto svolgersi in tempi successivi nel modo seguente:
A. - Transito delle colonne di truppa in ritirata.
Non risultano incidenti gravi durante questo passaggio e tutto si svolse secondo l'accordo. Vi sono testimonianze sul fatto che alcuni civili accompagnarono nel pomeriggio una colonna (probabilmente l'ultima) fin sulla strada verso Piovene. In proposito GINO BERLATO (Di Pietro, carrettiere), e di Pietribiasi Lucia.
Nato a S.Vito il 26.1.1914, venuto a Schio nel 1919, residente al Villaggio Pasubio, sposato con Costa Lidia, meccanico aggiustatore specializzato alla SMIT, ora a Prato) testimonia quanto segue (1981): "Gastone aveva l'incarico di accompagnare una colonna di truppe tedesche, ma verso lo Stadio Rossi lo sostituì in un primo tempo Romeo Lora e successivamente Vittorio Rossi dalla Valletta fino all'angolo di SS. Trinità.
Qui mi passò la bandiera bianca: vi era trambusto ed anche i tedeschi erano in confusione. La colonna era formata da camion, ma un centinaio di militari erano a piedi o con biciclette. Con la bandiera salii sulla motocarrozzetta con un ufficiale. Lungo lo stradone di Santorso, non vidi partigiani. Alla curva del ponte del Timonchio vi erano due cavalli morti che i contadini stavano asportando, uccisi dai partigiani che avevano sparato dalla Costa alta del Maso Granotto.
Qui trovai mio fratello Domenico che mi accompagnò fino alla Fabbrica del Cioccolato dove fummo costretti a fermarci a causa di un intasamento. La situazione si faceva pericolosa e ad un certo punto decidemmo di scappare attraverso una stradina fino a S.Carlo. I Tedeschi ci vennero dietro con il sidecar per riprenderci, ma noi siamo riusciti a raggiungere la piazza di Santorso".
B. - Colonna di ufficiali, soldati, medici, feriti, autoambulanze.
Questa colonna, nei termini dell'Accordo, fu accompagnata da Pietro Bressan (Gastone), come risulta dalla testimonianza seguente di Valerio Caroti:
L'ARMISTIZIO
E' stata per me una autentica sorpresa vedere sul documento dell'armistizio del 29 aprile 1945, riemerso dopo parecchi lustri, accanto la data segnata, l'ora delle 20. Questo particolare proprio non lo ricordo e francamente mi lascia dubbioso. Io vissi i fatti della domenica 29 aprile 1945, abbastanza in prima persona sia per l'impegno della battaglia, sia per una certa amarezza scaturita dal contrasto che aveva contrapposto io e il mio comando al comando del gruppo Garemi nei giorni precedenti in ordine ai tempi e alle modalità dell'attacco.
A mio ricordo l'armistizio fu firmato tra le 16.30 e le 17: infatti un ufficiale tedesco partì con un foglio in mano e le campane della città, accompagnate dalle sirene, suonarono a festa per annunciare la fine delle ostilità.
Il documento fu firmato da Alberto, comandante del Gruppo Garemi, il quale aveva avocato a sè la trattativa finale durata nemmeno un paio d'ore nell'ufficio del Sindaco. Vi era un frequente va e vieni di ufficiali tedeschi e il maggiore Laun continuava nervosamente a mandare messaggi.
Alberto, circondato da un nugolo di persone tra cui ricordo Sandro Cogollo ed Elio Busetto, mi chiedeva di tanto in tanto, notizie su come procedeva il disarmo e sui centri di resistenza. In quel frangente capitarono in Municipio Bruno Redondi, comandante dell'Apolloni, e Pierino Bressan "Gastone" vice commissario della "Val Leogra" a dir i che i partigiani avevano incominciato a disarmare alcuni reparti corazzati sullo stradone di Torre.
Alberto prese al volo Pierino Bressan quale accompagnatore della colonna tedesca e ricordo ancora l'occhiata afflitta e implorante che mi rivolse il buon Gastone mentre Alberto e Randagio gli facevano il fervorino. Pierino Bressan scese con due ufficiali tedeschi assieme a Bruno Redondi: alla porta del Municipio era atteso da una motocicletta.
Durante l'assenza di Bressan, avveniva l'episodio della colonna della X Mas, si veniva a capo dell'accanito centro di resistenza tedesca ai Cementi e personalmente ero riuscito anche a salutare la mia famiglia. Rientrato in Municipio vi trovai la squadra partigiana di guardia, Gildo Broccardo e il segretario comunale rag. Bolognesi: i due ufficiali tedeschi se ne stavano quieti nell'ufficio del Sindaco.
Improvvisamente rispuntò Pierino Bressan, questa volta tutto giulivo e pimpante, assieme a qualche altro (forse vi era anche Redondi) che ora non ricordo e mi disse di avere accompagnato la colonna dei tedeschi fin oltre Arsiero con non poca paura e con la sensazione di essere stato abbandonato a sè stesso.
Non ricordo se Alberto tornò in Municipio, ma può essere perchè la stanza dove erano i due ufficiali tedeschi, si riempì di gente e poco dopo i due ostaggi se ne andarono. Io li vidi andarsene con alcune persone, ma non ci feci gran caso, perchè ero lì con i miei comandanti che avevo mandato a chiamare, per tentare di risolvere il problema di migliaia di armati improvvisati e dei turni di guardia in città e nei paesi. Una cosa comunque ricordo benissimo: quando i due ufficiali tedeschi uscirono dal municipio era ancora giorno chiaro. - Dicembre 1981 - V. Caroti.
A documentazione dei feriti e morti tedeschi durante l'attacco garibaldino di Schio riporto quanto segue:
CIMITERO DI SCHIO
Registro Anno 1945: militari tedeschi, seppelliti il 2 maggio 1945, le cui salme furono esumate nell'ottobre 1957 e traslate a Costermano:
130 - Un tedesco dalla C.M. Magrè; 131 - Un capitano tedesco; targa: 132 - Manske Gerhard, maresciallo tedesco; 133 - Fischer Simon, sold. tedesco; 134 - Hehl Fridolin, serg. tedesco; 135 - Un sergente tedescoi, distint. mutilato; 136 Hoetschl Walter; 140 - due soldati tedeschi, uno era sepolto all'Ospitale; 141 - Due soldati tedeschi provenienti dall'Ospitale; 142 - Due soldati tedeschi, c.s.; 143 - Un Capitano ed un Maresciallo provenienti da Giavenale (poi identificati); 144 - L'8.11.1955 inumati i resti di un soldato tedesco esumato ieri in Raga (contrà Berlati). I due esumati a Giavenale erano il capitano Wilch Doerfer ed il Maresciallo Wilch Abel.
C. - Partenza del Maggiore Laun e del Capitano Magold.
Pur in assenza di testimoni oculari non vi è dubbio che la partenza si svolse regolarmente secondo i termini dell'Accordo al rientro a Schio di "Gastone", che secondo la testimonianza di V.Caroti, avvenne dalle 19 alle 20, comunque ancora a giorno chiaro.
Sulla scorta di queste testimonianze e considerando la preferenza accordata alle ore notturne per il transito di truppe, ad evitare attacchi aerei, sembra doversi presumere che le truppe tedesche che passarono per Schio transitarono in Valdastico per raggiungere Lastebasse e Passo della Fricca nel pomeriggio di domenica 29 aprile e le retroguardie nella sera dello stesso giorno.
Un punto dell'accordo, che ha sollevato qualche rilievo da parte di alcuni, è quello relativo al punto 1) dove l'impegno siglato da Boscagli è valido "fino a Piovene, escluso il paese", quindi per la sola zona della "Val Leogra". Ma a questo interrogativo manca una risposta sicura e, tra gli interpellati, ognuno ha formulato una sua ipotesi.
Nell'ambiente partigiano locale si afferma che solamente a Schio ed a Genova risulterebbe un Accordo scritto fra i Comandi germanici e le forze partigiane. Il poter accertare, per studi comparativi nelle varie zone, la validità di questo assunto, verrebbe a porre la Liberazione di Schio in una dimensione ed in un significato nazionale e distintivo.
Una relazione recente (IL PATRIOTA - numero unico - maggio 1980) sulla Liberazione di Schio è stata stilata da Valerio Caroti e di questa riporto integralmente il testo:
"Tra i fatti più ragguardevoli della fase conclusiva della guerra di liberazione in Italia, vi è indubbiamente l'episodio della liberazione di Schio, conclusosi dopo quattro ore di battaglia con la richiesta di un armistizio da parte del comando della divisione corazzata SS "Hermann Goering".
L'immagine dei parlamentari germanici sventolanti bandiera bianca, è rimasta fissata in una fotografia.
La divisione corazzata "SS Hermann Goering" fu costantemente la punta di diamante della Wehrmacht in Italia, dalle battaglie della Sicilia del luglio '43 durante le quali contrastò validamente l'avanzata degli alleati a Cassino ove costrinse a segnare il passo per parecchi mesi all'avversario, fino alla linea gotica e fu anche l'unica unità germanica che mantenne i ranghi compatti durante la ritirata, fino a Schio ove fu parzialmente disarmata e firmò, tutto sommato, anche se costretta, un onorevole armistizio.
Il C.L.N. di Schio, d'accordo con il comando partigiano della Divisione "Val Leogra" del Gruppo "Garemi", aveva iniziato con il locale comando germanico le trattative per un tranquillo passaggio dei poteri civili e militari secondo il duplice criterio di "a nemico che fugge ponti doro" e "del massimo risultato con il minimo dispendio".
Le trattative erano pressochè concluse, e infatti decine di migliaia di tedeschi erano già defluiti verso la Val d'Astico, essendo stata la Valle del Leogra completamente interrotta dai partigiani nelle settimane precedenti, quando il 27 aprile giunse la divisione corazzata "Hermann Goering".
Le trattative saltarono e gruppi di SS si posero a presidio sulle alture attorno alla città, mentre altri procedettero a minare alcuni stabilimenti e ponti.
Le formazioni partigiane della "Val Leogra" assunsero allora lo schieramento più opportuno per l'attacco, e le formazioni territoriali e la compagnia guastatori patrioti, occuparono alla chetichella gli stibilimenti in cui non vi erano i tedeschi, come ad esempio il Lanificio Rossi e il Lanificio Cazzola.
Il 27 aprile notte sopraggiunsero a Schio altre decine di migliaia di tedeschi in rotta che si accamparono nei dintorni della città.
Il 28 ne defluì una buona parte, ma la "Hermann Goering" era ferma, arroccata con tutti i suoi mezzi corazzati e i suoi cannoni.
Il 28 pomeriggio si delineò un contrasto di opinioni tra il comando della "Garemi" che era occultato nel centro cittadino e che voleva che la "Val Leogra" attaccasse in serata, e il comando di questa formazione che voleva attendere che diminuisse il numero dei tedeschi presenti in zona valutato in quel momento a 30.000 unità.
IL 29 APRILE
Prevalse il punto di vista del comando della "Val Leogra" il quale fissò la data dell'attacco, qualora fosse stato necessario, al mezzogiorno del 29 aprile. Il via all'attacco sarebbe stato dato dall'urlo intermittente di tutte le sirene degli stabilimenti della città e della zona. Durante la notte venne occupato di nascosto tutto il crinale di collina che dai Cappuccini si protende verso il centro con il Castello.
Il 29 mattina gran parte dei tedeschi sbandati se ne era andata via, mentre ancora ferma e appostata era la "Hermann Goering"; nel frattempo giunsero notizie di ulteriori opere di mina e del disegno di farle brillare a ritirata ultimata.
L'ATTACCO
Urgeva perciò l'attacco. A mezzogiorno in punto suonarono le sirene cogliendo di sorpresa i tedeschi, attaccati anche nel centro cittadino di Piazza Alessandro Rossi. Il battaglione "Barbieri" travolse al primo assalto le truppe tedesche attestate a Magrè facendo un gran numero di prigionieri, mentre invano i tedeschi sparavano con le artiglierie sulle colline di Raga.
Il battaglione "Apolloni" travolse dopo uno scontro furioso lo schieramento SS sistemato alle pendici di Monte Enna penetrando in Torrebelvicino e al Villaggio Pasubio di Schio. Il "Ramina" schierato ai Masi e sul crinale del centro cittadino Cappuccini Castello scardinò il residuo schieramento SS colpito su due fronti e nel centro stesso.
I cannoni tedeschi cessarono gradatamente di tuonare e alle 15.30, per prima, la bandiera del battaglione "Barbieri" fu issata al balcone del Municipio, seguita poco dopo dalla bandiera della "Val Leogra".
Alle 16 si fecero avanti i parlamentari tedeschi con bandiera bianca e furono subito condotti in Municipio, mentre grosse colonne di prigionieri venivano avviate per il disarmo all'interno del Lanificio Rossi e della Caserma Cella.
Ormai i tedeschi stavano arrendendosi a centinaia e a migliaia. In Municipio i parlamentari tedeschi inziarono le trattative con il comando della "Garemi" appena sopraggiunto, presente il comando della "Val Leogra" che aveva condotto la battaglia e alle 16.50, dopo vari patteggiamenti, fu firmato l'armistizio.
Per le forze partigiane firmò Alberto quale comandante del gruppo Garemi e più alto in grado.
CAMPANE A DISTESA
Alle ore 17 il cielo schiarì, uscì il sole e le campane a distesa annunciarono la vittoria e la fine di un incubo durato 20 mesi.
Alle 17.30 già si riuniva la nuova amministrazione comunale mentre le colonne tedesche, guardate a vista dai partigiani, stavano lasciando la città portando con sè i feriti trasportabili.
Le forze partigiane che presero parte alla battaglia di Schio furono di circa 600 partigiani di montagna e di circa 800 patrioti territoriali, oltre a reparti staccati che operarono nei centri limitrofi.
La missione alleata "Freccia", al completo partecipò alla battaglia in prima linea con gli uomini della "Val Leogra" e il loro entusiasmo non fu minore di quello dei partigiani. Le forze tedesche erano composte di circa 6.000 uomini della divisione corazzata e di alcune migliaia di sbandati".
Valerio Caroti - GIULIO