QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Maggio 1981 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume XIV

LUGLIO 1981

 


LA LIBERAZIONE DI SCHIO

 

 

XX. Inchiesta di E. Trivellato

 

 

PARTE PRIMA: LA RITIRATA DEI TEDESCHI

 

 

Nell’Alto Vicentino le tre Valli dell’Agno, del Leogra, dell’Astico e la Valsugana furono investite dalla ritirata di quelle divisioni tedesche che erano rifluite dal Po in conseguenza dell’offensiva anglo-americana. A queste si erano aggiunte colonne, gruppi armati e tedeschi sparsi che avevano abbandonato i vari Presidi germanici disseminati nelle provincie.

Difficoltà di lingua, di identificazione delle divise e dei gradi, di avere oggi testimonianze non permettono un’analisi – reparto per reparto – di questa massa rifluente nelle nostre valli, ma devo presumere che, oltre a comandanti e stanche truppe della Wehrmacht unicamente desiderose di raggiungere il Trentino, accettare il disarmo e la smobilitazione dagli Alleati per tornare finalmente a casa dopo una guerra tutt’altro che “blitz”, vi fossero anche colonne o gruppi armati di quelle S.S. che avevano terrorizzato l’Alta Italia per mesi e che, qui rimanendo e non in Trentino, avrebbero dovuto pagare i conti ai partigiani ed alla popolazione di quanto avevano fatto nei vari luoghi.

In uno studio, appositamente svolto a tal fine in quel di Staro in Alta Val Leogra (pg. 540), ho dovuto concludere che i Tedeschi che vi transitarono ebbero tanta e tanta comprensione verso gli innocenti Staresi, dopo l’attacco alla curva del Gasteghe dei partigiani della Valle dell’Agno, i quali avevano disintegrato una colonna di truppe. Non ho elementi di ricerca sul tessuto paesano e sulla colonna che transitò a Pedescala, ma l’eccidio che ivi, a Forni, a Settecà avvenne, fu probabilmente opera di uomini armati che volevano raggiungere il Trentino anche sopra i cadaveri pur di sfuggire al rendiconto delle proprie fanatiche atrocità. Se non li ha inseguiti la giustizia alleata, li inseguirà la storia, pur anonimi. E delle bilance del Padreterno sappiamo ben poco, nella loro imperscrutabilità.

Per la zona di Schio e della Val Leogra è accertato da Relazioni partigiane che nella notte dal 12 al 13 aprile 1945 saltarono vari ponti per un’azione combinata. Malgrado ciò, verso il 20 aprile si registrò l’arrivo dei primi reparti in ritirata, alcuni dotati anche di mezzi corazzati e di artiglierie. Si è inoltre scritto che il martedì 24 aprile il Comando Generale Germanico per l’Alta Italia ed una divisione avrebbero cominciato a salire da Recoaro a Passo Xon, Staro, Valli per raggiungere il Pian delle Fugazze. Anzi, questa “via alta” mi risulta aperta e percorribile fino alle ore 15 di domenica 29 aprile 1945, quando i Tedeschi stessi fecero saltare la strada, in contrada Grijo fra Staro e Valli, e più tardi chiusero lo sbarramento anticarro alla Tagliata sopra S. Antonio.

In quel di Schio i partigiani aspettavano lo sfoltimento della marea montante per conquistare la cittadina prima dell’arrivo degli anglo-americani – il che era già una soddisfazione, come era avvenuto a Milano – ma soprattutto prima che qualche Comando tedesco di presidio o in transito decidesse di far saltare o distruggere impianti industriali. Su quest’ultimo punto – la salvaguardia della grande madre Fabbrica come fonte di lavoro nel dopoguerra – erano d’accordo tutti, al di sopra dei partiti o delle ideologie, perché fa parte degli archetipi cittadini, di cui il mito di Alessandro Rossi è prova appariscente.

L’elemento operaio voleva salvare le fabbriche e l’elemento agricolo-montanaro ne era altrettanto convinto, perché almeno uno, di una famiglia contadina, qui da noi lavorava in fabbrica. E va tenuto ben presente che furono queste due trame – operaia e agricolo-montanara – ad intrecciare il tessuto della Resistenza armata collinare e di montagna.

Ma anche la borghesia cittadina mirava allo stesso scopo: quella resistenziale collaborando con gli operai ed i partigiani di montagna; quella iscritta o meno alla R.S.I. perché in buona parte impiegatizia o dirigente di fabbrica.

Intanto il mercoledì 25 aprile vi fu la liberazione di Milano e devo pensare che la notizia giunse di certo anche a Schio, una cittadina che per tanti aspetti ripete in miniatura i comportamenti del grande capoluogo industriale lombardo.

Se è vero, studi economici alla mano, che Schio e Valdagno fino al 1945 costituivano la più importante e consistente concentrazione industriale del Veneto, la tesi dell’analogia Schio-Milano troverebbe una sua validità. Ciò dimostrato e suffragato da altre ricerche, potrebbe infuturo doversi concludere che la Resistenza scledense e valdagnese non sono una delle tante, ma una delle rilevanti, per il numero e la qualità delle forze in gioco, sia economico-politiche che militari, i due poteri dominanti in periodo bellico. D’altronde le varie Inchieste che ho condotto nei Quaderni anche a tal fine (missione inglese, missione del Partito d’Azione, missione jugoslava, emissari del P.C.I. da Milano e da Padova) inducono a pensare che i vertici politici e/o militari “curavano” Schio con particolare attenzione durante tutti i venti mesi della Resistenza. Il fatto poi che di ciò localmente non si abbia avuto piena coscienza, vuoi per giovane età vuoi per difetto d’acume, non significa che la “realtà” debba per sempre tenersi inconoscibile, al vaglio storico, rispetto alla “apparenza” che si è voluto tramandare per comodità, per opportunità politica, per motivi notori, per il breve tempo trascorso.

Rispetto a Milano, qui a Schio non si volle essere da meno ed un autorevole rappresentante della Resistenza armata (avv. Bruno Stocco) ed il maggiore rappresentante della Resistenza civile (Gildo Broccardo) si presentarono il mattino di giovedì 26 aprile nella canonica del Duomo di Schio per conferire con l’arciprete mons. Girloamo Tagliaferro, affinchè questi si assumesse il compito dell’intermediazione presso il Colonnello germanico Laersen, comandante una divisione di passaggio, e presso il Maggiore Laun, comandante del Presidio di Schio.

Le trattative, che durarono quattro giorni e si conclusero alle ore 20 di domenica 29 aprile 1945, rappresentano uno dei capitoli più curiosi ed interessanti della cosiddetta storia diplomatica scledense (v. Parte seconda: LE TRATTATIVE).

In quei giorni, tra il Comando del Gruppo Brigate d’assalto GAREMI ed i comandanti delle formazioni partigiane disposte sulle colline, nacque un contrasto pericoloso, in quanto vi fu divergenza sul momento più idoneo per attaccare Schio (v. Parte Terza: LE FORMAZIONI SULLE COLLINE).

Solo a mezzogiorno di domenica 29 aprile 1945, al suono delle sirene delle fabbriche, i comandanti partigiani che si trovavano sulle colline sopra Schio, dopo aver predisposto a ventaglio le loro forze, attaccarono la cittadina ancora in mano dei Tedeschi, disarmandoli, snidando i cecchini, bloccando il loro transito a raffiche di Sten. Un’azione tipicamente garibaldina e conseguente all’esperienza di venti mesi di Resistenza armata. Vi fu inoltre l’importante appoggio dei territoriali locali, che anch’essi mai avevano desistito dal nascondere armi per il momento dell’attacco (v. Parte quarta: L’ATTACCO GARIBALDINO).

Il mese di aprile del 1945, premonitore della fine della guerra, è talmente denso di avvenimenti, di azioni partigiane, di perplessità, di contrasti e di contraddizioni, di comportamenti imprevedibili, che lo studio e la comprensione dei personaggi locali della Resistenza potrebbero focalizzarsi in quel mese di aprile del 1945, un mese di pericolo generale, da teschio e tibie incrociate, com’era avvenuto nel novembre-dicembre 1944. A mio parere, è questo essenzialmente il mese nel quale venne per tutti il momento della verità del proprio ruolo.

In tema invece di guerriglia i problemi appaiono più semplici e collegati ad eventi militari.

“PONTI D’ORO”

E’ ben noto il detto che “A NEMICO CHE FUGGE, PONTI D’ORO”. Nella Relazione dell’Amministrazione civica di Schio, approvata dal Consiglio comunale il 29 dicembre 1970, stilata per accordo, sulla scorta di varie relazioni vivente Alberto (Nello Boscagli), si scrive:

“Il 2 aprile, nei pressi di Levico nell’alta Valsugana, è interrotta la ferrovia (…). Il 6 aprile, di notte, viene fatto saltare un tratto della strada del Passo della Fricca, che mette in comunicazione la Valdastico con il Trentino ed il transito viene interrotto per dieci giorni (…) la notte dell’11 aprile vede l’attuazione di una violentissima azione su un fronte di 50-60 km; sono distrutti 13 ponti ed effettuati 4 grandi franamenti stradali; distrutta tutta la rete telefonica, avvengono 60 esplosioni nel giro di sole due ore; per 12 giorno la Statale 46 del Pasubio e la strada della Valdastico restano interrotte per gli automezzi nemici, mentre il tratto Schio-Valli del Pasubio resterà chiuso fino alla fine delle ostilità”.

Una così effervescente operosità nell’interrompere le vie di comunicazione in attesa della prevista ritirata delle truppe tedesche esclude la tesi dei “ponti d’oro” e fa invece sospettare che nell’alto Veneto pedemontano si fosse creato un clima di giustificata preoccupazione per quello che poteva succedere nei giorni del passaggio delle divisione corazzate e delle truppe tedesche rifluenti dal Po.

Siccome una qualche via d’uscita dalla pianura bisognava pur darla ai Tedeschi, a meno che non si volesse l’ultimo scontro con gli Alleati o il disarmo generale proprio ai piedi dei monti (invece che nel Trentino) si profilano due ipotesi: a) il Comando Generale Alleato aveva un suo piano di sabotaggio da far attuare, tramite le sue Missioni, con l’opera delle formazioni partigiane; mi sembra difficile il poter discutere questa prima ipotesi, senza la necessaria documentazione, come pure è da segnalare il fatto che in aprile 1945 l’attività aerea alleata fu nel complesso modesta, a livello di caccia e di ricognitori, o perlomeno non massiccia con bombardamenti a tappeto contro l’incipiente ritirata tedesca; b) le formazioni partigiane delle singole zone dell’Alto Vicentino agirono nei sabotaggi con una certa loro autonomia, facendo saltare ponti e strade dei paesi natii, in maniera da proteggerli e far dirottare i Tedeschi per altre vie; in sostanza perché questo passaggio dei Tedeschi nessuno lo voleva.

La tesi poi, scritta e udita, che si volesse impedire l’arroccamento dei Tedeschi sui monti per un’ultima resistenza disperata, tesi avallata dall’incubo della Strafenexpedition della prima guerra mondiale, potrebbe valere ed è valida nel marzo del 1945 e nei mesi precedenti, ma ha molte crepe nell’aprile del 1945, a meno che in quel mese non risulti documentato un ben preciso piano tedesco “in atto” e non solo sulla carta o antecedente, o superato dal precipitare degli eventi (vedi dopo).

Nella Relazione anzidetta si legge: “Si teme che i Tedeschi si possano fermare per approntare la difesa, l’ultima sicuramente, ma forse la più feroce e ostinata (…). Come seconda misura viene intensificata l’offensiva generale partigiana per ripulire dai presidi tedeschi tutta la cerchia montagnosa, per interrompere la viabilità in modo che le truppe tedesche in ritirata non possano trovare basi precostituite e comunque un ambiente preordinato su cui arroccarsi”.

Pur non negando validità a questo processo alle intenzioni dei Tedeschi, nella Relazione anzi detta si legge anche: “La notte del 6 aprile viene fatta brillare una mina di grande potenza in località Murazzi, una parete che domina apiombo la Statale e la ferrovia della Valle dell’Adige, si ha un’interruzione di soli 3 giorni, mentre era stato preventivato un blocco definitivo atto a dirottare le direttrici tedesche in ritirata da tutto il Veronese ed il Vicentino”.

Già questa affermazione mi sembra più accettabile: in sostanza i Veronesi ed i Vicentini avrebbero fatto saltare parecchi ponti e strade per far defluire le truppe tedesche in ritirata attraverso altre vie, qualsiasi altra via, ma non attraverso le proprie vallate e passi montani.

Questa ottica del “niente ponti, niente transito tedesco” è del tutto opposta alla tesi “transito tedesco, ponti d’oro”.

Sarebbe interessante esaminare in tutto l’Alto Vicentino, zona per zona, comando partigiano per comando, se fu adottata la tesi del “niente ponti ai Tedeschi” o quella dei “ponti d’oro ai Tedeschi”; naturalmente la prima tesi è credibile se vi erano le forze partigiane per attuarla.

Per quanto riguarda Schio, è certo il blocco totale del tratto SCHIO-VALLI e quindi la chiusura dell’accesso da Schio alla Val Leogra. Questo spiega il fatto che i Comandi tedeschi abbiano ad un certo punto dirottato la divisione corazzata HERMANN GOERING verso Piovene e la Valdastico, nei giorni 27-28-29 aprile 1945.

Purtroppo il blocco al Ponte di Liviera (a sud di Schio) e quello parziale del Timonchio (a nord-est) non furono sufficienti per convincere le colonne tedesche a “saltare” il vicolo chiuso di Schio, dirigendosi verso la Valdastico ancor prima di Malo. Il fatto che questa strategia del “niente ponti ai Tedeschi” non sia riuscita appieno, per motivi geografici, e che il mezzo-transito al ponte del Timonchio sia stato tutto sommato utile per farvi uscire i Tedeschi, non infirma una certa validità della tesi demolitoria. Ma d’altra parte manca anche la possibilità di giudicare se, per Schio, fosse stata più propizia la tesi dei “ponti d’oro”, tanto cara acriticamente ad alcuni.

Esaminando il problema dal punto di vista dei Comandi germanici, dobbiamo presumere due fasi: a) una prima fase di protezione dei ponti e delle strade per consentire un transito scorrevole alle truppe in ritirata; b) una seconda fase distruttiva non appena l’ultimo reparto tedesco avesse superato il ponte. In proposito ho rinvenuto un documento tedesco che confermerebbe la prima fase; si tratta di una lettera che il Maggiore Laun, comandante del Presidio germanico e firmatario al 29 aprile dell’ACCORDO DI SCHIO, scrisse il 25 aprile 1945 ed inviò il giovedì 26 aprile al Commissario prefettizio:

“STANDORTGRUPPEN-AELTESTER – Schio, den, 25.4.1945 – 

Al Signor Commissario Prefettizio del Comune di Schio –
Per tranquillizzare la popolazione di Schio e di Magrè, Vi comunico che non ho la minima idea di far saltare in aria i ponti ancora esistenti nel mio Mandamento. Anzi ho provveduto afficnhè tali atti di sabotaggio del genere non vengano ripetuti a nessun costo per l’avvenire. 
Der Standortgruppen-aeltester – Firma autografa Lau o Laun – Major – Timbro del Comando tedesco di Schio”.

Sul fatto poi che i Tedeschi fossero intenzionati a farli saltare dopo il passaggio dell’ultimo tedesco, vi sarebbe la conferma del “caso Staro” dove ho condotto appunto una particolare inchiesta, recandomi sul posto con un artificiere del luogo emigrato in Francia, dov’è addetto al brillamento delle mine. Quando gli ultimi carri armati tedeschi appostati di guardia al passo Xon, fra Recoaro e Staro, scesero a Staro paese la domenica del 29 aprile ed ebbero conferma che nessun tedesco sarebbe venuto su dalla valle dell’Agno, il Comandante della piccola retroguardia – giunto sotto Staro in contrada Grijo – fece esplodere le mine già predisposte da mesi ed interruppe la strada in modo così massiccio che la viabilità tra Valli e Staro fu interrotta per mesi.

Un documento tedesco del 21 marzo 1945 conferma infine l’attenzione dei Comandi ai tralicci dell’alta tensione ed alla rete distributiva elettrica:

“STANDORTGRUPPEN AELTESTER – SCHIO – den, 21.3.1945
An die GEMEINDE – Schio
Quale rappresaglia per il fatto compiutosi il giorno 21.3.1945 alle ore 1,30 a 3,5 km. Nord-Ovest di Malo, fatto riguardante l’esplosione di tralicci per l’alta tensione, il Comandante di Sicurezza Vicenza-Nord ha ordinato quanto segue: “La popolazione dovrà immediatamente e fino a nuovo ordine sorvegliare le linee conduttrici di alta tensione. Ogni 100-200 m. dovrà essere appostata una guardia. Il Comune di Schio ha l’ordine di provvedere per l’appiantonamento delle guardie per il Comune di Schio fino a S.Vito escluso”.
Der Standortgruppen-aeltester (Tehrbach?) Oberleutnant”.

Copia della presente lettera fu trasmessa dal Commissario prefettizio di Schio al Capo della Provincia acchè intervenisse presso il Comando tedesco di Vicenza per far escludere il Comune di Schio dall’obbligo dell’appiantonamento.


Le varie azioni del Gruppo Brigate d’assalto GAREMI, relativamente a quelle operanti a Schio ed in Val Leogra, vengono qui riportate sulla scorta di un raro documento datato 17 aprile 1945, che è una relazione del Comando Brigata “MARTIRI VAL LEOGRA” inviata al Comando Divisione “GAREMI-VICENZA” e pc. ALLA MISSIONE AMERICANA (sic) – Oggetto: rapporto delle azioni compiute dal 7 aprile al 17 aprile. Si tratta di un unico foglio (velina) dattiloscritto e comprende solo le azioni del Battaglione RAMINA BEDIN e del Battaglione ISMENE. Le azioni del Battaglione BARBIERI sono state desunte da una Relazione stilata posteriormente nel 1948 da Gino Manfron (Ivan).
Le azioni del Battaglione “RAMINA BEDIN” (comandante Giovanni Cavion – Glori; vicecomandante Biagio Penazzato – Bob; commissario Gaetano Pegoraro – Guido 2°) sono così riportate:

“1. – Nella notte dal 12 al 13 aprile il Battaglione, diviso in varie pattuglie secondo il piano generale operativo della Brigata, ha fatto saltare il ponte di primaria importanza sulla strada Piovene-Schio, linee telegrafiche e telefoniche;

2. – Nella notte dal 14 al 15 aprile un distaccamento assaliva la caserma tedesca di Monte Novegno. Dopo un attacco durato un’ora la caserma veniva ridotta al silenzio e presa d’assalto con bombe a mano. Il Presidio nemico di 17 uomini subiva 2 morti e tre feriti. Sono stati catturati 2 fucili mitragliatori, 3 mitra, 17 armi individuali, 7 pistole e molte munizioni. Sono stati asportati tutti i viveri che è stato possibile, poi tutti i baraccamenti, i magazzini di materiale esplosivo, i piani dei lavori, gli schedari e tutto il materiale di ufficio sono stati dati alle fiamme. I lavori della Todt in questo importantissimo settore hanno subìto una interruzione quasi definitiva. Il danno è ancor più grave per la distruzione delle vie di accesso, con la distruzione dei ponti delle vallate.

3: - Nella notte dal 15 al 16 elementi di detto Battaglione asportavano tutti i viveri di un magazzino della Todt di monte Novegno, destinati a 400 operai; nel trasporto dei viveri, una nostra pattuglia cadeva in una imboscata di 30 russi, tra i quali veniva ucciso il tenente comandante e feriti alcuni altri russi durante lo scontro a fuoco; ma un carretto di viveri andava perduto”.

La veridicità delle azioni sul Novegno è confermata da fonte posta al di sopra delle parti, il diario cronistorico di don Antonio Morandi, parroco di S.Caterina (cfr. dopo).
Gino Manfron ha probabilmente scritto la Relazione sull’attività svolta dal Battaglione “BARBIERI”, datata Magrè di Schio, 17 febbraio 1948.

Alla fine del 1944 il Battaglione aveva come comandante Domenico Ruaro (Guido), vice-comandante Guerrino Barbieri (Marat), commissario Gino Manfron (Ivan) ed era suddiviso in due distaccamenti: 1. “URBANI”, comandante Nardello Antonio (Thomas), vicecomandante Giovanni Bisogno (Bomba), commissario Gino Barbieri (Danton) – 2. “FAINI”, comandante Silvio Manfron (Leone), vicecom. Dalla Pozza Luigi (Beduin), commissario Francesco Filippi (Tosca); la forza numerica del Battaglione (poi Brigata) riconosciuta dalla Triveneta, era di circa 150 partigiani e 150 patrioti.

Sulla “operazione ponti” nella Relazione viene così riferito:

“Una seconda azione combinata venne portata felicemente a termine nella notte del 12 aprile 1945, facendo saltare il ponte di Liviera sulla strada Malo-Schio e distruggendo circa 500 mt. Di teleferica della ditta Italcementi, sette piloni della linea di alta tensione Marano-Schio, tre piloni ad uso della Italcementi. Una quarta azione si ebbe nella notte del 23 aprile 1945: due ponti distrutti, uno sulla strada Magrè-Monte Magrè ed il secondo sulla strada S.Vito-Schio per Monte Magrè (zona di Cà Trenta); vi fu la distruzione della linea telegrafica-telefonica fra Schio-Monte Magrè-Valdagno; inoltre vennero distrutti tre automezzi tedeschi lungo la strada Magrè S. Vito e vi fu un attacco di sorpresa con una mitragliatrice pesante al caposaldo tedesco presso il Cimitero vecchio di Magrè. Tutto il Battaglione fu in quei giorni mobilitato, furono bloccate tutte le strade di accesso alla zona, disarmati gruppi di tedeschi isolati con recupero di diverse armi automatiche. Infine vennero preparati i piani per l’attacco finale”.

L’azione del Battaglione “ISMENE” (poi Brigata) è riportata nel documento anzidetto del 17 aprile 1945. In quel periodo era comandante Ferruccio Manea (Tar), vicecomandante Giuseppe Guglielmi (Chiodi), commissario Felice Tornabene (Samuele).

“Il 7 aprile notte una pattuglia disarmava un posto di blocco della G.N.R. recuperando armi e bombe a mano; l’8 aprile un’altra pattuglia assaliva una pattuglia di tedeschi uccidendone due; nella stessa giornata elementi della stessa pattuglia attaccavano un’autoblinda tedesca giunta di rinforzo e dopo una lunga sparatoria la costringevano ad allontanarsi; 4) nella notte dal 12 al 13 aprile elementi della Brigata facevano saltare il ponte Priabona-Malo di Malo ed un altro ponte sulla provinciale Vicenza-Schio. Queste azioni sono state fatte in correlazione col piano generale di azione di tutte le Brigate; 5) il 12 una pattuglia disarmava una pattuglia tedesca composta di 7 elementi catturando 7 Mauser; 6) il 13 veniva catturato un corriere della Brigata Nera; 7) in azione di imboscata sulla strada Vicenza-Valdagno venivano uccisi due ufficiali tedeschi e due militari”.

Don Antonio Morandi, parroco di S. Caterina, scrive nel diario croni-storico:

“Nell’aprile 1945 le truppe alleate americane e inglesi, a cui si erano unite truppe italiane e polacche, avevano varcato il Po e si dirigevano su Verona, Milano e varie località del Piemonte, Lombardia e Veneto. Si temeva una resistenza tedesca sui Colli Berici, Euganei e sui monti dell’Alto Vicentino. Bisognava sconvolgere questo piano, benché ormai ci fosse poca probabilità di attuazione di esso. Perciò i partigiani ricevettero l’ordine di far saltare, nella notte tra il 19 ed il 20 aprile, le strade ed i ponti e di sopprimere i presidi dislocati sui monti. Fu in questa notte che i partigiani fecero saltare la strada in località Corobolli, che i tedeschi avevano minato per proprio conto: e furono fatti saltare anche molti ponti a Schio, Valli ecc. Sul Novegno un gruppo di partigiani impose al Presidio tedesco di arrendersi; ma al rifiuto di questo ne successe un aspro combattimento in cui trovò la morte un soldato del presidio, ed il sergente che lo comandava fu gravemente ferito. Quest’ultimo fu portato alla contrada Rossi e fu fatto visitare dal medico del Tretto, ma dopo poche ore spirò. Ambedue le salme furono recuperate dai tedeschi e trasportate a Trento o a Bolzano. Le baracche del Presidio del Novegno furono bruciate dai partigiani ed il magazzino materiali del Cerbaro fu da questi stessi svaligiato e il presidio disarmato e disperso”.

In una BREVE RELAZIONE DELLA BRIGATA “STELLA” – Div. A. GAREMI  (redatta a Valdagno, senza data, quasi di certo stilata dopo la Liberazione, stracciata e riunita da qualcuno, sembra una prima stesura per alcune correzioni manoscritte, timbrata e con firma autografa di Rigodanzo Alfredo) la situazione in Valle dell’Agno e nella zona della STELLA durante l’aprile del 1945 è stata così riassunta:

“L’armamento della Brigata, dopo che la manna era caduta dal cielo (28.2.45: lancio), crebbe di molto, mentre ogni armato non attendeva che l’ordine di entrare in azione. Detto ordine giunse soltanto nell’aprile, fissando come giorno d’azione la notte del 12. La Brigata Stella, per quanto il Btg. Romeo ebbe a lamentare il giorno precedente la perdita del suo C/te “Armonica” (Volpato Benvenuto) ed il Btg. “Leo” il ferimento del suo C/te “Malga” (Zordan Luigi), seppe dimostrare che l’inattività dell’inverno non era riuscita a rammollire la tempra dei suoi garibaldini, ma fatto premeditare brillanti azioni.  Lo stesso giorno gli Alpini del Btg. Perseo  (formazioni dell’esercito repubblicano fascista; nota di g.m.) lasciarono Bardolino (Lago di Garda), portando seco chi una e chi due armi, mentre il Centro Raccolta Alpini veniva disgregato completamente. Ufficiali e soldati tutti fuggirono. Il solo capitano rimase sul posto.

La serie delle azioni combinate e fatte contemporaneamente in tutta la Div. A. Garemi, non denotarono alcuna reazione nemica. Stava ripetendosi ciò che era avvenuto nell’agosto 1944, cioè il terrore dei partigiani stava per svilupparsi nuovamente e per l’ultima volta intorno all’animo dei tedeschi e dei fascisti. Il 20 aprile il Btg. Leo riceveva il suo aviolancio, ed il giorno 21 lo riceveva il Btg. Brill. La Brigata era quindi armata a sufficienza, mentre per il giorno 27 tutti i Btg., tranne il Romeo e parte del Leo, avevano ricevuto l’ordine di riunione totale in località Campo d’Albero, poiché s’era già prefissato d’iniziare in quel giorno delle azioni in grande stile. I fatti però precipitarono ed il 24 aprile la Brigata STELLA iniziava coi Btg. Gian Della Bona e Perseo all’occupazione della Valle d’Alpone, mentre tutti gli altri Btg. Iniziarono ad azionare il giorno 25. Dallo stesso Comando Alleato fu molto apprezzata la fase d’occupazione svolta dalla Brigata STELLA, che, oltre alla consegna di importantissimi documenti del Ministero degli Interni, seppe mantenere fino al giorno del disarmo, calmi ed ordinati i propri effettivi, non avendo permesso alcun atto di violenza arbitraria in nessuna delle valli Agno e Chiampo per il Vicentino, Alpone ed est Illasi per il Veronese (zone in cui furono fatti 4300 prigionieri tedeschi)”.

Dalla breve relazione di Alfredo Rigodanzo (Catone) risulta che i comandanti della Brigata STELLA avrebbero dovuto riunirsi a Campo d’Albero il venerdì 27 aprile 1945 per dare inizio lo stesso giorno all’atacco per la Liberazione. Fu tutto anticipato al mercoledì 25 aprile e sarà interessante accertare se la decisione fu presa localmente da Armando Pagnotti (Jura) o per disposizioni giunte da Nello Boscagli (Alberto) che in quei giorni si trovava a Schio; rimangono altresì da chiarire le cause dell’anticipo, poiché la dizione “gli eventi precipitarono” è alquanto vaga.

Non è il caso di riferire qui la situazione della ritirata tedesca sui vari fronti europei, ma, in sintesi brevissima, va detto che in Italia a fine marzo 1945 i Tedeschi avevano fatto dei sondaggi per una resa e che ai primi di aprile l’VIII Armata britannica aveva iniziato l’offensiva sfondando sul Senio ed espugnando, con i Polacchi, Castelbolognese. Assieme alla IV Armata americana, gli Alleati disponevano di 3000 bocche da fuoco, 3000 carri armati, 4000 aerei. Gli ufficiali tedeschi erano già convinti di essere alla fine. Il 21 aprile 1945 le truppe alleate erano entrate a Bologna ed il 26 aprile arrivarono a Milano, già liberata dai partigiani. In questa situazione s’inquadrano quindi gli avvenimenti scledensi dall’11 aprile 1945 (operazione ponti) al 29 aprile (attacco partigiano a Schio).

Sul fronte orientale all’inizio di aprile i Russi arrivarono a Vienna e su quello occidentale le armate alleate l’11 aprile raggiunsero l’Elba, a 96 km. Da Berlino. Il 16 aprile Zukov riprese l’offensiva ed in meno di una settimana entrava nella periferia di Berlino. Ufficialmente la guerra in Europa finì alla mezzanotte dell’8 maggio 1945 ed il 2 settembre anche il Giappone firmò la resa, a bordo della corazzata Missouri, nella baia di Tokio.
La seconda guerra mondiale finì dopo sei anni ed un giorno dall’attacco di Hitler alla Polonia.


A Schio ed in Val Leogra la guerra si può considerare finita con la domenica 29 aprile 1945, ma in Valdastico vi furono gli eccidi di Forni, Pedescala, Settecà, ad opera di un reparto di S.S. di circa 300 uomini fortemente armati.

Il paese di Posina, che al 12-13-14 agosto 1944, aveva subìto il grande rastrellamento tedesco (cfr. Quaderno (°), fu probabilmente l’ultimo paese del Vicentino ad essere cannoneggiato dai Tedeschi. L’arciprete don Antonio Tasca racconta in una sua relazione le vicende ed i pericoli al paese, conseguenti alla presenza di un presidio tedesco a Colle Xomo, il cui comandante ai primi di maggio faceva sparare su Posina. L’arciprete scrive:

“Martedì 1° maggio, alle ore 12 precise, terzo bombardamento e alle ore 19 il quarto, più lungo e più denso, con qualche danno ai fabbricati ma nessun ferito. Mercoledì 2 maggio, calmo fino alle ore 18. Poi cinque cannonate alla volta, a fuoco accelerato, con bombe più grosse e più lunghe, e tutte nel centro di Posina. Vi furono quattro vittime, un uomo di 45 anni, uno di 32, un fanciullo di 12 e un bambino di 2 anni, oltre a cinque feriti. Alle 21,30 la radio comunicava la resa in Italia delle truppe germaniche, avvenuta fin dalle ore 14 di quel giorno”.

Posina, con i suoi quattro caduti del 2 maggio, mentre tutto il Vicentino era in dolore o in festa, ebbe l’ultimo colpo di coda del drago germanico sconfitto.

PARTE SECONDA: LE TRATTATIVE

In una raccolta di testimonianze eseguita da Igino Rampon, impiegato dell’anagrafe di Schio, nel trentesimo della Resistenza e dattiloscritta in un memoriale datato 8 settembre 1973, l’autore scrive: Riandiamo col pensiero al clima degli ultimi giorni, ricordando un episodio quasi dimenticato:

“Il mattino di venerdì 27 aprile 1945 un incaricato del Comandante (Nello Boscagli) la Divisione partigiana GAREMI si portò in Canonica per studiare il modo opportuno per consegnare l’ordine di resa ai Comandi tedesco e della Guardia Repubblicana. Le truppe tedesche in ritirata potevano rappresentare un pericolo di saccheggio e di stragi. Era necessario intervenire presentando l’ordine di resa ed averne immediata risposta; l’inizio dell’attacco da parte delle nostre forze partigiane, era stato deciso per lo stesso giorno alle ore 15. Per la Guardia Repubblicana fu cosa facile; non così per il Comando tedesco: l’atto era rischioso, non scevro di pericoli. Alcuni approcci con persone che sembravano adatte non sortirono alcun effetto. Mons. Tagliaferro, arciprete di Schio, si offrì di farlo personalmente, ma volle prendere visione dell’ordine e trattarne con il Comandante.
Un’ora dopo il Comandante Alberto (Nello Boscagli) si recò in Canonica e, presi gli accordi definitivi con mons. Arciprete, chiese di incontrarsi con il Colonnello tedesco Alfredo Laersen, alloggiato presso la famiglia Gasparella: il Colonnello fu disponibile soltanto verso le ore 13 (tredici) di ritorno da Poleo, dove era andato per organizzare la resistenza tedesca.

L’Arciprete mons. Tagliaferro si fece accompagnare dall’ing. Corrado Pfister, come interprete di fiducia, e da don Mario Brun. Il Laersen ricevette subito l’Arciprete; restò sorpreso dell’ordine di resa e del tono perentorio in cui era dato; promise di parlarne con un Generale tedesco che doveva arrivare a Schio alle ore 17 (diciassette). Mons. Tagliaferro insistette per una risposta immediata, attesa dai patrioti per le ore 15. Il Colonnello Laersen allora dichiarò che la cosa non era di sua competenza e propose di passare al Comando di Presidio tenuto dal Maggiore Laun “con il quale non si scherza”; il Colonnello Laersen ed il Capitano suo aiutante, reduci dal fronte infernale del Po, si lasciarono sfuggire, in francese, in tono confidenziale: “sarebbe sciocco combattere ora e morire per la Germania che non si può più salvare!”
Alle ore 14, da casa Gasparella si passò alle Scuole Marconi, dove erano evidenti i preparativi di un’azione bellica: nella grande Sala erano raccolti gli Ufficiali tedeschi, in piedi, intorno ad un tavolo dove stavano distese e segnate le carte topografiche di Schio. La lettura della lettera uscitò nel Maggiore Laun e nei suoi aiutanti una reazione di furore: uscirono parole di oscura minaccia, si voleva sapere da chi veniva l’intimazione. L’Arciprete, seduto nel cerchio di quei forsennati, osservò che il suo gesto era ispirato ad un setimento di pace e tendeva semplicemente ad evitare combattimenti e rovine; chiedeva ad ogni modo una risposta. Il Maggiore Laun, consultatori brevemente con i colleghi, rispose di essere disposto ad incontrarsi per trattative, ma accettare l’ordine di resa: NO! Allora mons. Tagliaferro pregò di considerare la gravità del momento e di non trascurare la possibilità di evitare lo spargimento di altro sangue. Terminata la sua missione lasciò la sala, seguito a distanza da una pattuglia armata. Poco dopo venne comunicato l’esito al Comando dei partigiani da don Mario Brun”.

Nel venticinquesimo anno (6 marzo 1957) di ingresso a Schio di mons. Girolamo Tagliaferro, arciprete, protonotario apostolico e vicario foraneo, la Consulta parrocchiale dell’Azione cattolica diede alle stampe una pubblicazione a lui dedicata, nella quale a pg. 28 vi è un testo stilato da don Mario Brun, che fu letto e approvato da mons. Tagliaferro:

Il giovedì mattina del 26 aprile 1945 (NdA: non il venerdì, come scrisse il Rampon) Monsignor Arciprete vuole che io (don Mario) sia presente ad un insolito colloquio nel suo studio. Erano venuti da lui, scesi dalla montagna, due noti comandanti dei partigiani per pregare Monsignore affinchè si facesse intermediario presso il Comando tedesco, mettendo la premessa che nulla ormai potevano sperare, e che quindi si arrendessero deponendo le armi ed evitando sangue e rovine alla nostra città…Poter fare qualche cosa per l’incolumità di Schio era quanto mai suggestivo ed allettante per un Padre come ons. Arciprete, ma molto pericoloso: parlare di resa incondizionata ai tedeschi! Mi sovvenne in quel momento di un colonnello tedesco che avevo conosciuto ospite in casa di amici e col quale potevo farmi comprendere perché parlava anche il francese. Per mezzo suo fu ottenuto il colloquio col Maggiore comandante il distaccamento di Schio. Trovammo un interprete ed io accompagnai Monsignore nella pericolosa missione. Entrammo dal cortile interno delle Scuole Marconi in assetto di guerra, ingombro di soldati, di cavalli di Frisia e di mitraglie appostate. Il comandante ci ricevette subito, senza cortesie, nel suo studio circondato dai suoi ufficiali mentre stava consultando una vasta carta geografica. Monsignor Arciprete, ritto, sicuro della buona causa che difendeva, davanti al comandante tedesco armato e dal fare altero, espresse con calma e con nuda verità la realtà del momento, disse che i partigiani proponevano la resa, nessuno avrebbe fatto male ai tedeschi, e sarebbe stato evitato lo spargimento di sangue e la rovina della città.
“Quanti sono?” interruppe il comandante. “Non lo so” rispose Monsignore “giacchè fui incaricato solo da due persone…”. “Nicht!” gridò secco il comandante. L’interprete ci disse che non c’era niente da fare e bisognava uscire. Uscimmo lentamente guardati a vista da soldati corrucciati e armati sino ai denti.
“E’ stato molto pericoloso” disse l’interprete, che ben conosceva il comandante, “poteva andarle male, e costarle molto cara questa visita, Monsignore!”. “Che importa”, concluse Mons. Arciprete, “era per il bene della nostra città!”.

Per completare il quadro della situazione ho creduto opportuno sentire da viva voce il racconto intervistando un protagonista, don Mario Brun, allora cappellano in Duomo, ora Rettore della Chiesa di S. Antonio. In breve don Mario mi ha precisato che la data esatta è il giovedì 26 aprile 1945.

Quando fu chiamato nell’ufficio di Mons. Arciprete, vi trovò Bruno Stocco e Gildo Broccardo, i quali chiedevano che i tedeschi deponessero le armi e con la bandiera bianca si allontanassero da Schio.

“Ma come fare? Suggerii a mons. Tagliaferro di parlare con un Colonnello, che era già stato a Schio e che ora, durante la ritirata, era sistemato in casa Gasparella, vuota perché arrestati, custodita dalla signora Gaule. Il Colonnello Laersen disse che lui era effettivamente superiore in grado, ma che non poteva sopravanzare il Laggiore Laun, comandante del Presidio di Schio e di esso responsabile. L’interprete era dell’ILMA, in età matura, sui 40-50 anni.
Nell’affrontare il Maggiore Laun, mons. Arciprete volle premettere che a Schio viveva della buona gente, di cui lui si sentiva padre spirituale, e che l’intervento era dettato dal desiderio di evitare spargimento di sangue. Dopo il famoso NICHT!, il Maggiore Laun abbassò la testa sulle carte, ci ignorò, né salutò. Verso mezzogiorno ero d’accordo di portare la risposta ai Cappuccini, dove appunto salii in bicicletta. Attesi un pezzo nel piazza letto, finalmente vennero a sentire la risposta, che purtroppo era negativa. “Allora attaccheremo!” In Duomo salii sul campanile per curiosare, mi videro e piombarono in Canonica i tedeschi; due salirono sul campanile con la pistola puntata, ma mi rilasciarono dopo aver controllato che non c’erano partigiani nel sottotetto del Duomo. In istrada don Marino Stocchetti fu messo al muro vicino al fornaio Casa. Dopo quell’esito negativo con i Comandi tedeschi, non fummo più interpellati e le cose procedettero probabilmente per altre vie”.

A completamento del MEMORIALE RAMPON, vi è anche il MEMORIALE STERCHELE, manoscritto, Gastone Sterchele scrive:

“Trattative di resa – Il giorno… ricevetti un ordine di recarmi nel piazzale dei Cappuccini per trattare la resa; mi sembra essere partito dalla casa di Cavion assieme a degli altri partigiani, ma arrivati nei pressi del piazzale siamo stati ricevuti con raffiche di mitra e correndo a testa bassa abbiamo raggiunto la sa del fratello di Braccio, scavalcando la mura di cinta ci siamo messi al sicuro. Il giorno dopo un Messo comunale si presentò presso il nostro Comando, che allora si trovava in casa del compagno Alberto Greselin, vicino ai Cappuccini. Il messaggio invitava di nuovo a trattare la resa con i Tedeschi. Al nostro Comando si trovava il comandante Alberto e la sua compagna, Braccio capo di stato maggiore Bruno Stocco, Broccardo Ermenegildo intendente. Preparammo il da dirci e si decide la resa incondizionata e decidono in Broccardo Gildo il portatore del biglietto; poi mi dissero di chiamare l’Ingegnere Cittadino Mario di venirmi assieme, dato che rappresentava i partigiani nel Comitato di Liberazione”.

L’accordo di Schio è datato 29 aprile 1945 – ore 20, sottofirmato “Per il Comandante della Divisione Germanica: I plenipotenziari  Maggiore (Laun) e Capitano (Magold) – Il Comamdante della Divisione A. GAREMI (Alberto).

Nel testo di detto Accordo, sta scritto al punto 3) “Accompagna questa colonna, quale ostaggio il Signor GASTONE – Vicecomandante di Brigata; restano a Schio, in Municipio gli ostaggi germanici: Signor Maggiore Laun e Sig. Capitano Magold. Gli stessi saranno rilasciati liberi ed avranno strada libera e sicurezza fino a Piovene, appena il Vice Comandante GASTONE sarà rientrato al Municipio di Schio”. (GASTONE è Pietro Bressan).

Remo Grendene (C.L.N. per D.C.).

“In quei giorni avevo come collegamento Luigi Bolla, impiegato al pastificio Carraro: veniva a casa tenendomi  informato e da lui seppi che al sabato 28 erano in corso delle trattative con i Tedeschi. Dallo stesso Bolla venni a conoscenza che Meneghetto Baron la domenica mattina si era recato in Municipio e che alle ore 15 avrei dovuto trovarmi là anch’io, come appunto feci e m’incontrai, oltre a Baron, anche con Bolognesi ed altri”.
“Quando arrivai in Municipio verso le ore 15 trovai Menegheto Baron e, dei partigiani, Bruno Stocco (Braccio). Non vidi Nello Boscagli né Valerio Caroti (Giulio), il quale probabilmente era in giro per Schio. Anche Vescovi era assente, perché tornò verso le 19-20, quando me ne andai dal Municipio. In quelle quattro-cinque ore mi misi a discutere soprattutto con Baron, Bolognesi ed altri che non ricordo, ma non mi interessai né fui presente alla stesura o alla firma dell’Accordo con gli Ufficiali tedeschi” (11.6.1981).

Gerardo Perandini (C.L.N. per D.C. – cfr. pg. 696).

A casa di Remo Grendene ci fu una grossa riunione, anche se non ricordo il giorno. Però mi rammento che uscì con la sua solita battuta: A nemico che fugge, ponti d’oro. Invece i partigiani vollero far saltare i ponti e così ci siamo tenuti i Tedeschi ben stretti in casa. Ho udito il rumore di alcune esplosioni mentre stavo telefonando a casa di Grendene. In merito alle trattative per l’Accordo con i Comandi germanici, mi sembra che una persona che s’interessò sia stato l’ing. Cittadino. Il comandante Alberto (Nello Boscagli) si trovava in via Pasini in casa Busnelli. In quei giorni a Schio c’era la GOERING” (3.10.1977).

Pietro Bolognesi (C.L.N. per il Partito d’Azione – pg. 23).
Deceduto nel 1977. Secondo Remo Grendene il Bolognesi si sarebbe recato in Municipio verso le ore 15 del 29 aprile. Dalle testimonianze non compare il suo nome nel corso delle trattative.

Giuseppe Saggin (C.L.N. per il P.S.I. – pg. 23).
Deceduto nel 1957. Dalle testimonianze non risulta il suo nome nel corso delle trattative.

Luigi Sella (Rino) – (esponente del P.C.I. – pg. 98 e 106).
Secondo testimonianze Rino restò in quei giorni in Raga aggregato al Btg. BARBIERI. Deceduto nel 1973.

Altri esponenti del P.C.I.

Igino Piva (Roméro) si era trasferito prima nel Padovano e poi in Piemonte (cfr. pg. 407), deceduto nel 1980. Riccardo Walter risulterebbe a S. Vigilio. Alfredo Lievore nei giorni della Liberazione si trovava a Vicenza.

Dalle testimonianze sono attivi a “Schio centro – Zona Cappuccini”, per la conclusione delle trattative, sia pure con ruoli ed importanza diversa: Gildo Broccardo, Gastone Sterchele, Sandro Cogollo. Questo “trio” appare come l’elemento esecutivo e di collegamento di Nello Boscagli (Alberto), non solo per le trattative ma anche per i rapporti con il Comando della Brigata MARTIRI VAL LEOGRA circolante a Schio centro e nella zona dei Cappuccini (Bruno Stocco e Valerio Caroti). Gaetano Pegoraro, commissario della RAMINA BEDIN si trovava al Festaro-Formalaita, mentre Luigi Sella era con il BARBIERI nella zona di Magrè-Raga.

Altri esponenti della D.C.

E’ improbabile l’intervento di Amedeo Mazzon per i motivi indicati a pg. 692. L’arch. Vincenzo Bonato, dopo l’arresto ed il rilascio nell’autunno del 1944, si era allontanato da Schio, in quanto implicato nei collegamenti fra Schio e Padova. Tornò dopo la Liberazione.
Un fatto estremamente interessante è la presenza in Municipio di Schio, fin dal mattino di domenica 29 aprile, di quello che sarà poi il primo Sindaco dopo la Liberazione: Domenico Baron, rappresentante del C.L.N. per il P.C.I.

Domenico Baron

“Quel mattino venne una persona ad avvisarmi che dovevo scendere a Schio, recarmi in Municipio per prendere le consegne dal Commissario prefettizio dr. Giulio Vescovi. Per quanto abbia cercato di ricordare, e di chiedere a più di qualcuno, non saprei dire chi fu quello che mi avvisò di andare in Municipio. Appena vi giunsi, trovai l’edificio pieno di Tedeschi e sulle scale mi venne incontro il dr. Giulio Vescovi, dicendomi che s’immaginava che la guerra sarebbe finita così. Mi accompagnò poi nella Sala consiliare dove si trovava un Comandante tedesco circondato da militari armati fino ai denti. Vescovi, parlando in tedesco, gli disse che ero venuto a prendere in consegna il Municipio quale rappresentante del C.L.N. ed allora il Comandante salutò militarmente battendo i tacchi. Avevo dei crampi allo stomaco. Egli mi domandò quale sarebbe stato il loro destino, cioè quali erano le intenzioni del C.L.N. Allora risposi che vi era la necessità di una uscita dei Tedeschi da Schio e del loro ritorno in Germania, ma che in compenso il paese non avrebbe dovuto subire distruzioni delle fabbriche o danni ai civili. Rimasi in Municipio fino al pomeriggio, quando finalmente, verso le 15, arrivarono Remo Grendene, Bolognesi ed altri. Considerando quello che stava intanto succedendo a Schio, per le strade, posso dire che fu una delle più brutte mattinate della mia vita” (20.6.1977).

Ing. Mario Cittadino (cfr. pg. 621).

“Ricordo una riunione a casa Stocco in Piazzetta Garibaldi, avvenuta, se non erro, al mattino del 28 aprile, nella quale c’erano Bruno Stocco, Elio Busetto e mi pare anche Gildo Broccardo. Non c’era invece Alberto, che sembrava introvabile. In questa riunione saltò fuori che Gildo Broccardo da una parte e Giulio Vescovi dall’altra, sollecitavano per arrivare ad un accordo con i Comandi tedeschi, a causa del continuo arrivo di truppe corazzate. Unaccordo avrebbe chiarito i rapporti tra partigiani e tedeschi, sia per le truppe di stanza in quel momento qui a Schio, che per quelle che stavano continuamente sopraggiungendo: queste ultime avevano un aspetto spaventoso per l’armamento in dotazione ed i mezzi corazzati. Il Maggiore Laun del Presidio era abbastanza comprensivo (mi è stato detto che tornò a Schio anche dopo la guerra) mentre le difficoltà nascevano dai comandanti della divisione corazzata, verso i quali il Maggiore aveva una specie di timore reverenziale. Mi è rimasta l’impressione che i Tedeschi, in quei momenti della ritirata, fossero restii ad un accordo temendo una trappola da parte dei Comandi partigiani” (26.1.1980).

COMANDO BRIGATA “MARTIRI VAL LEOGRA”

Comandante Valerio Caroti (Giulio) – Vicecomandante Bruno Redondi (Brescia) – Capo di S.M. Bruno Stocco (Braccio) – Commissario Sandro Cogollo (Randagio).
Valerio Caroti

“Un primo tentativo di stabilire un accordo con i Comandi tedeschi di stanza a Schio ebbe luogo fin dal venerdì 27 aprile ed a quanto mi risulta il maggiore Laun del Presidio di Schio era abbastanza favorevole ad una soluzione pacifica, ma il fatto nuovo fu l’arrivo improvviso della divisione corazzata HERMANN GOERING, i cui comandanti, in forza degli uomini e degli armamenti di cui disponevano, erano contrari ad un accordo. Questo spiega perché durante il sabato 28 aprile la situazione a Schio sia rimasta molto fluida e pericolosa, anche considerando che la piena dei tedeschi e l’acme del passaggio di truppe si ebbe proprio il sabato pomeriggio e sera, oltre che durante la notte. D’altronde bastava mettersi con un binocolo sulle colline per rendersi conto non solo della quantità di colonne in transito, ma anche degli armamenti di cui i tedeschi ancora disponevano. Per quanto le nostre formazioni partigiane fossero armate e ben sistemate sulle colline sopra Schio, anche il solo fatto di aver provocato delle sparatorie dall’alto o degli scontri laterali con parecchi tedeschi uccisi, ciò avrebbe compromesso le trattative in corso in maniera definitiva ed a mio parere avrebbe potuto causare un’immediata reazione tedesca dagli esiti nefasti imprevedibili. Per questi motivi, consigliatomi anche con Bruno Stocco, si decise di non dare ascolto ai solleciti di attacco inviati da Nello Boscagli, tramite Sandro Cogollo ed altri, forse motivati dall’idea che una presenza partigiana militarmente attiva ed incisiva avrebbe indotto più facilmente i tedeschi a concludere un accordo, che stava andando effettivamente per le lunghe. Penso quindi che la divergenza insorta fra il Comando GAREMI ed il Comando MARTIRI VAL LEOGRA fosse dovuta ad una diversa valutazione delle possibili reazioni dei Comandi tedeschi ad un attacco partigiano nel momento cruciale della ritirata” (14.11.1980).

Olga Costenaro (Anna), staffetta di collegamento dei Comandi.

“Nei giorni della ritirata tedesca la Missione inglese con Dardo e Colombo si trovava nella zona di Monte Magrè, Priabona, Monte di Malo e ricordo che, per ordine di Giulio, partii da casa Cavion in bicicletta per portare un messaggio; poco prima di Malo un militare tedesco mi fece capitombolare e mi portò via la bicicletta, così proseguii a piedi fino a Castelgomberto e Trissino. Nello Boscagli (Alberto, comandante della GAREMI) venne a Schio un po’ prima della Liberazione e fu in contatto soprattutto con Sandro Cogollo (commissario della Brigata MARTIRI VAL LEOGRA) e con Gildo Broccardo. Verso mezzanotte dal sabato 28 alla domenica 29 aprile mi recai a casa Cavion ai Cappuccini per riferire che Schio era piena di colonne e colonne di truppe tedesche, che transitarono durante tutta la notte, con carri armati e cannoni a canna lunghissima. So che Alberto e Sandro Cogollo volevano attaccare lo stesso, mentre Giulio e Braccio si erano opposti. Infatti al mattino di domenica 29 aprile trovai Alberto, Cogollo e Gildo Broccardo che stavano salendo a casa Cavion ai Cappuccini ed erano imbestialiti per il mancato attacco delle formazioni partigiane” (23.10.1980).

Mi sorse il dubbio di un intervento della Missione inglese (Dardo e Colombo) nelle trattative di Schio. Nessun elemento è emerso finora per attestare tale ipotesi, anzi è negata in coro. Sulla posizione geografica dei suoi componenti è quasi certo che Dardo e Colombo si divisero i compiti loro specifici (non del tutto conosciuti), per cui negli ultimi mesi si registra una presenza ubiquitaria.

Capt. John Orr-Ewing (Dardo), comandante la Missione inglese.

Ho rinvenuto un originale manoscritto di Dardo a Norino (Giacinto La Monaca) datato giovedì 26 aprile 1945:

“Dalla Missione FRECCIA a Norino – 26/4/1945 – Dal campo di lancio N.3 che si trova nella zona d’influenza della Brigata STELLA verrà lanciata una Missione Italiana per la zona di Verona. Abbiamo scritto a Jura (NdA – Armando Pagnotti) di avvertirvi immediatamente quando la missione sarà lanciata. Vi preghiamo di disporre per la sistemazione logistica: Con i più cordiali saluti. Dardo”.

Oltre ai problemi della ritirata tedesca in atto e del previsto attacco armato, i Comandi partigiani svolgevano anche ruoli logistici e di comunicazione a mezzo staffette per conto delle Missioni alleate ed italiane. Un ruolo non trascurabile nell’economia generale della conduzione della guerra.

In quanto a Christopher Wood (Colombo), lo si trova negli ultimi tempi a Monte Magrè. Infatti partecipò di conserva, all’attacco garibaldino della BARBIERI verso Magrè e Schio, e mi si dice con entusiasmo, dopo mesi di servizio alle ricetrasmittenti. Lo testimonia Guerrino Barbieri (Marat): “Colombo era nel bunker di Fusara in Raga Alta, ricavato da una masiera in un appezzamento situato circa duecento metri sotto la casa di Luigi Gavasso (figli Elio e Gino). Nel bunker si nascondevano anche mio fratello Vasco (Fanfulla), Berto (Spartaco), Giovanni Bisogno (Bomba), Attilio Zordan (Burasca) e qualche altro che al momento non ricordo. Colombo era da solo, senza marconista, e doveva quindi arrangiarsi nelle trasmissioni radio. Quando vi fu l’attacco di Schio Colombo scese con la BARBIERI assieme a noialtri partigiani” (10.6.1981).

PARTE TERZA: LE FORMAZIONI SULLE COLLINE

Dei quattro Battaglioni (RAMINA BEDIN, BARBIERI, ISMENE, APOLLONI 2°) della Brigata MARTIRI VAL LEOGRA, l’ISMENE era impegnato nella zona molto vasta che aveva il suo epicentro a Malo, mentre l’APOLLONI 2° era sistemato fra le Madeghe ed i Corobolli e quindi gravitava in parte su Poleo ed in parte a sud di Torrebelvicino. Pertanto sopra Schio si trovavano in quei giorni il RAMINA BEDIN verso Festaro-Formalaita ed il BARBIERI al versante opposto sulle colline di Monte Magrè-Raga, con direttrici a nord verso Pieve ed a sud verso Pianezza-S. Vito.

In merito al Comando generale della Brigata MARTIRI VAL LEOGRA, il comandante Valerio Caroti (Giulio) ed il capo di S.M. Bruno Stocco (Braccio) li troviamo a Schio ed ai Cappuccini in alcuni punti di riferimento: casa Cavion e casa Stocco ai Cappuccini, casa Stocco in Piazzetta Garibaldi. In termini logistici la loro posizione consentiva di seguire l’andamento delle trattative in corso per convincere i Comandi tedeschi ad un Accordo e nello stesso tempo di smistare staffette sia al Festaro al RAMINA BEDIN, sia a Raga – Siberia – Magrè al BARBIERI. Mi risulta che il RAMINA BEDIN non lamenta una carenza d’informazione, mentre vi è un buco nero nella notte di sabato 28 aprile, anche se ciò è spiegabile dal fatto (v. dopo) che in quella notte il transito tedesco a Schio ed a Magrè era tale che inviare una donna-staffetta nella notte, dai Cappuccini fino in Siberia, era troppo pericoloso, qualunque via alta o bassa avesse preso. Infatti la staffetta giunse regolarmente il mattino presto della domenica 29 aprile.
Il vicecomandante della Brigata MARTIRI VAL LEOGRA era Bruno Redondi (Brescia), ma siccome comandava l’APOLLONI 2° lo troviamo alle Madeghe-Corobolli. Il commissario politico della Brigata Sandro Cogollo (Randagio) era collegato con Nello Boscagli (Alberto) nella zona Schio-Cappuccini.
Stante questa disposizione dei personaggi che ebbero, più o meno, un certo ruolo nelle trattative, si trattava di raccogliere le testimonianze e gli umori di coloro che si trovavano sulle colline, in mezzo ai partigiani in attesa dell’ordine di attacco.

Va detto subito chiaramente, poiché risulta lampante da tutte le testimonianze, che al sabato 28 aprile e la domenica mattina 29 aprile vi fu un “contrasto” netto fra il Comando Generale della Gaaremi (Alberto) ed il Comando della MARTIRI VAL LEOGRA (Giulio-Braccio). Alcuni esponenti locali del P.C.I. (Sandro Cogollo, Gildo Broccardo, Luigi Sella, Gastone Sterchele) si schierarono con Alberto appoggiando l’ordine di attacco, mentre Gaetano Pegoraro al Festaro e Guerrino Barbieri a Raga-Magrè furono, separatamente, d’accordo con la tesi Giulio-Braccio di aspettare la domenica mattina e di partire assieme dal Festaro e da Raga al suono delle sirene, come d’altronde era favorevole tutta la base partigiana e come avvenne.

“RAMINA BEDIN”

Sulla posizione, movimenti e pareri dei comandi del RAMINA BEDIN ho raccolto le seguenti testimonianze:
Gaetano Pegoraro, commissario RAMINA BEDIN.

“Del Comando GAREMI vennero a Schio Nello Boscagli (comandante), Elio Busetto (vicecomandante, che si trovava in centro a Schio), Virginia Ongaro (Gina); non mi risulta che vi fossero Orfeo Vangelista (Aramin) e Lino Marega (Lisy). La casa di Berto Greselin ai Cappuccini era vicina alla mia: Berto era un anziano socialista, capo falegnami al lanificio Cazzola con la moglie Nella Garzaro, senza figli, e con una sorella. Il RAMINA BEDIN, di cui ero commissario, si trovava attestato al Festaro-Formalaita. Giovanni Cavion (Glori, comandante) e Biagio Penazzato (Bob, vicecomandante) avevano un permesso di circolazione e quindi la possibilità di spostarsi dai Cappuccini al Festaro per mantenere il collegamento fra casa Cavion e noialtri in montagna.

Si attendeva da un momento all’altro l’ordine di attaccare Schio, ma, tramite la Pierina Penazzato e la Tilde Facci fui informato che erano in corso delle trattative con i Comandi tedeschi e fino a tutta domenica mattina restammo in attesa. Con Ulisse, Faccin, Gandi, Broccardo si cominciò a considerare la disposizione a ventaglio da tenere con le varie pattuglie, non appena il suono delle sirene ci avesse dato il segnale di scendere dal Festaro per attaccare i Tedeschi ancora presenti a Schio” (6.6.1981). Giovanni Cavion riferisce: “Poiché Nello Boscagli non era conosciuto nell’ambiente di Schio, mi raccontò in seguito che usò il mio nome come presentazione. Elio Busetto lo conobbi solo dopo la Liberazione” (6.6.81).

Giovanni Cavion (Glori), comandante RAMINA BEDIN.

“Siccome giunse al Festaro una staffetta per avisarci di attendere l’esito delle trattative, tornai a casa ai Cappuccini dove c’erano Sandro Cogollo, Gildo Broccardo ed un altro. Mangiato un boccone, tornai su verso Formalaita, ma attraversando un appezzamento verso le Bojole fui individuato dai Tedeschi e colpito alla coscia sinistra. Proseguii verso Formalaita, dove mi diedero un asciugamano per tamponare la ferita, mentre intanto si vedeva una colonna tedesca che scendeva da Cerbaro. Ci spostammo più in basso e poi mi accompagnarono alle Piane e da qui la moglie di Treno mi aiutò a tornare a casa, dove venne il dr. Ciscato per una prima medicazione. Ricordo che c’erano molti tedeschi in cerca di biciclette, e me ne hanno portate via due; ad un certo momento fui anche costretto a saltare da una finestra ed eclissarmi tra le piante. La domenica mattina, poiché c’era un tedesco che sparava, ai Tognetti, uscii per organizzare la gente in modo che lo aggirassero: fu disarmato e portato in caserma Cella. Il lunedì 30 aprile mi recai in Ospedale, ma dopo 15 giorni subentrò un’infezione e febbre a causa di una garza” (24.2.80).

Biagio Penazzato (Bob), vicecomandante RAMINA BEDIN.

“Già da una settimana eravamo in movimento per attaccare Schio ed io mi spostavo spesso dai Cappuccini al Festaro-Formalaita per segnalare novità, rastrellamenti, e smistare le staffette. Il venerdì sera 27 aprile, verso le 22-22,30, mi trovavo a casa Cavion quando improvvisamente udimmo bussare: era Bruno Stocco (Braccio) con un tedesco grande e grosso in tuta mimetica; sulle prime pensai che fosse stato catturato, ma lui mi disse: “Non aver paura! Dàgli un gotto di vino. E’ di scorta, perché deve andare al Festaro per avvisarli di non attaccare, in quanto a Schio sono in corso delle trattative con il Comando tedesco”. Poco dopo partii con Braccio ed il tedesco attraverso una stradina che passa dalla famiglia Cicchellero, ma alle Bòjole c’era un presidio tedesco. Alcuni militari se ne stavano nascosti con pile dietro i morari, mentre altri si trovavano nel sorgo e sopra di noi con le armi spianate. Un ufficiale lesse la carta di transito del nostro tedesco, ci fece mettere una benda sugli occhi, forse per impedirci di vedere il loro stanziamento. Viceversa di loro sapevo quasi tutto perché passavo di lì quasi ogni giorno. Dopo le Bòjole per andare alle Aste ci tolsero le bende. Alle Aste Braccio mi disse: “Io resto col tedesco e tu Sali a Formalaita”. Era buio ed alquanto difficile procedere attraverso i campi ed i boschetti; durante il tragitto continuai a chiamare, senza che alcuno si facesse vivo, finchè mi resi conto dell’impossibilità di trovare qualcuno a quell’ora di notte, salvo prendermi una fucilata. Sicchè andai da mia sorella e le dissi di recarsi su al Festaro, appena ci fosse un po’ di luce, per dire che non attaccassero. Tornai alle Aste da Braccio e con il tedesco si fece il percorso di ritorno. Rimasi un’oretta a casa di Glori e verso le 2 rientrai ai Cappuccini” (18.1.80).

Biagio Penazzato.

SABATO 28 APRILE: “Recatomi in casa Cavion, lo trovai ferito ad una gamba e dopo un’oretta che eravamo lì a discutere, entrò la sua nipotina dicendo: i tedeschi, i tedeschi! Erano venuti per portar via biciclette. Glori si precipitò al piano superiore, ed io invece mi eclissai dal retro. La sera del sabato dormii a casa, perché mia moglie era in attesa del parto, egli ordini erano di non attaccare Schio”.

DOMENICA MATTINA 29 APRILE 1945

Bob riferisce: “Verso le 9-9,30 stavo incamminandomi per andare a casa Cavion, quando appena sotto la Chiesa dei Cappuccini trovai Braccio che fa: “Devi andare già a Schio da Nello Boscagli a casa Busnelli in via Pasini e dirgli che i partigiani non vengono giù dal Festaro-Formalaita ad attaccare se prima non suonano le sirene”. A quanto so, mi sembra che Nello Boscagli avesse dato l’ordine di attaccare, mentre Giulio e Braccio avessero deciso di attendere e di partire tutti assieme al segnale del suono delle sirene.

Allora, su ordine di Braccio, scesi per via Fra’ Matteo, Museo, Pasubio, senza trovare anima viva. All’angolo, in Piazzola, vidi venir su da via Pasini Gildo Broccardo e Gastone Sterchele con 2 tedeschi in mezzo e con l’aria di essere buoni amici. Ma davanti al portone di casa Busnelli, Sterchele spinse dentro un tedesco improvvisamente e l’altro fu fatto entrare con un calcio in quel posto. Quando arrivai dentro anch’io, il secondo tedesco urlava come un’aquila e fui costretto a dargli un colpo in testa col calcio del moschetto, perché poteva attirare altri tedeschi. Sotto il portico c’erano 6-7 nostri territoriali e poco dopo venne fuori Nello Boscagli. 

Io gli faccio: Ciao Alberto, mi ha mandato Braccio a dire che non vengono giù se non al suono delle sirene, in modo che l’attacco sia contemporaneo: - Come?! Dovevano venire giù prima, postarsi nelle strade ed essere sul posto quando suonano le sirene. – A mi, i me gà dito cussì. – No! Torna e riferisci che vengano giù subito a gruppetti prima del suono delle sirene e che siano in centro; altrimenti faccio saltare il Comando!! – io allora tornai su per Feracavai e trovai Braccio nello stesso posto, il quale mi disse:  - Che faccia saltare il Comando, ma se non suonano le sirene, noi non ci muoviamo! Vai tu, se vuoi andare a farle suonare. – Io pensai che era meglio che scendessi al Lanificio Rossi per far suonare sirene. Così andai da Severino Manfron, dove c’erano Corino Signore ed altri 3-4 partigiani; ci siamo passati la parola ed abbiamo formato una pattuglia di una decina, suddividendo un po’ le armi: Lido Manea un parabello, Bortoloso Bruno una pistola, ed altre armi comprese le bombe a mano; Gravini, che era corso a casa per armarsi anche di un fucile, fu poi individuato e rimase ucciso. Il tempo era pessimo, slava java. La pattuglia percorse via Fra’ Matteo, giunse alla fontana della casa Letter, poi alle Scuole Fusinato e qui a mezzogiorno udimmo suonare le sirene: era il segnale dell’attacco”.

“BARBIERI”

Sulla situazione del BARBIERI vi è questa testimonianza:

Guerrino Barbieri, vicecomandante BARBIERI

“Nella settimana precedente la Liberazione eravamo sistemati a Monte Magrè ai “Casarotti” in un casòn della zona del Zovo con il Comando del Battaglione (poi Brigata) al completo: Domenico Ruaro (Guido 1°) comandante – Guerrino Barbieri (Marat) vicecomandante – Gino Manfron (Ivan) commissario. Dei quattro distaccamenti, quello di Antonio Nardello (Thomas) con il comm.rio Guido Bortoloso (Vasco) aveva il controllo della zona nord verso Pieve, mentre quello di Silvio Manfron (Leone) con il comm.rio “Pola” (ex carabiniere triestino) gravitava a sud verso Pianezza-S. Vito. Invece al centro per la zona Magrè-Schio operavano il distaccamento di mio fratello Gino Barbieri (Danton) con il comm.rio Giovanni Bisogno (Bomba) e quello di Francesco Filippi (Tosca) con il comm.rio Luigi Dalla Pozza (Beduin). Al sabato mattino 28 aprile, mentre era in corso la ritirata tedesca, dai Casarotti siamo scesi verso Magrè in Siberia con punto base nella casa di Luigi Berlato, e qui abbiamo cominciato a discutere fra noi i piani per attaccare Magrè e Schio non appena il Comando della MARTIRI VAL LEOGRA – Giulio e Braccio – ci avessero dato l’ordine di attaccare. E’ da dire che il ponte alla Palazzina sulla strada Magrè-Valdagno (allora non c’era via Roma) era stato da noi minato e fatto saltare e difatti da Valdagno a Schio attraverso il Zovo non c’era transito di Tedeschi. Si osservava invece un gran passaggio di colonne sulla strada Case di Malo-S. Vito-Cà Trenta-Magrè: alcune andavano verso Pieve (il ponte Pieve-Torre era stato fatto saltare dall’Apolloni) altre scendevano a Schio. Dal venerdì 27 al sabato pomeriggio 28 non abbiamo ricevuto staffette con ordini, però non c’era di bisogno, perché noi avevamo comunicato il nostro spostamento da Monte Magrè alla Siberia. Sul tardi di sabato arrivò la Virginia Cavion con un biglietto scritto dal Comando GAREMI. Guido o Ivan potranno dire se era firmato da Boscagli, comunque diceva che si doveva attaccare appena ricevuto il biglietto. Ci guardammo fra noi e si cominciò a dire che Magrè era zeppo di tedeschi e le colonne affluivano da Cà Trenta; ma soprattutto si commentò che per un sabotaggio poteva andar bene la notte, ma per un attacco di quel tipo ci saremmo trovati nell’oscurità, con tedeschi attorno, dispersi noi stessi. Ivan era molto perplesso ed anche Guido non fu certamente entusiasta di quell’ordine. Solamente Luigi Sella (Rino) sosteneva l’ordine di Alberto, ed allora dovetti fargli capire un po’ bruscamente, che l’attacco andava bene di giorno, almeno all’alba, ed insieme al RAMINA BEDIN, che si trovava dall’altra parte di Schio. La notte fra sabato e domenica siamo rimasti sempre in attesa del contrordine; finalmente al mattino arrivò una staffetta, mi pare la Virginia, a dirci che l’attacco era stato stabilito per mezzogiorno al suono delle sirene delle fabbriche. Così Gino Manfron con il fratello Ivan ed i loro uomini approfittarono per spostarsi nella zona Cimitero di Magrè-Via Pio X-Cà Trenta (Ivan) e nella zona di Pianezza-S.Vito (Silvio) per essere nei paraggi al momento dell’attacco contemporaneo di Mezzogiorno. Thomas si era assunta la zona di Pieve e, tramite la Mery, l’Agnese ed altre staffette, ci teneva informati della sua posizione e di eventuali incidenti. Invece noi, come Comando del BARBIERI, siamo rimasti a coprire Magrè alto-Livergon-Siberia-Cimitero vecchio, Prà dei Salgari, via Camin, in modo da essere pronti per mezzogiorno. Come armamento non avevamo il Bren ma una mitraglia Fiat, niente mortai, solo armi leggere, molti Sten, mitra, machine-pistolen, fucili 91, moschetti, Sipe: la dotazione caratteristica dei partigiani. Finalmente suonarono le sirene, a mezzogiorno, ed ebbe inizio subito l’attacco” (10.6.1981).

Pur nella diversità dei personaggi, la situazione del BARBIERI ripete, in un certo senso e nel suo insieme quasi specularmente, quello che era avvenuto al RAMINA BEDIN. I Comandi dei due Battaglioni si convinsero che l’ordine di attacco dato da Boscagli non teneva conto della situazione, in termini militari, esistente sia in Schio che a Magrè. Se ne convinsero anche il commissario Gino Manfron da una parte ed il commissario Gaetano Pegoraro dall’altra, forse perché avevano sperimentato la guerriglia armata e le sue esigenze e pericoli a contatto diretto con le formazioni. Restarono fedelissimi all’ordine Boscagli sia Luigi Sella, che Gildo Broccardo, che Gastone Sterchele: forse più per militanza che per convinzione. E’ invece una caso a sé il nostro Sandro Cogollo, di cui ha scritto Valerio Caroti (pg. 683).

Le testimonianze raccolte e riportate non esauriscono, a mio parere, il problema del contrasto fra i due Comandi, solamente lo mettono in evidenza, poiché mancano il parere e le motivazioni di Nello Boscagli, al quale non possiamo disconoscere acume, intelligenza politica, carattere calmo, altrimenti non sarebbe riuscito a portare unita l’intera GAREMI alla Liberazione.

La parte quarta: ATTACCO GARIBALDINO verrà pubblicata nel 15° ed ultimo Quaderno, unitamente ad uno studio sui TERRITORIALI, ai DEPORTATI MILITARI, all’INDICE DEI NOMI. Dal momento che la stesura dei Quaderni è iniziata nel 1977 e chiunque avrebbe potuto inviare scritti, memoriali, testimonianze da pubblicare, come è stato fatto, nei limiti dello spazio e dell’importanza reale soprattutto per Schio, ciò che è pervenuto oltre il tempo utile per la stampa del presente Quaderno resta a disposizione dei mittenti, per la pubblicazione in altra sede (15 giugno 1981 – E.T.).