QUADERNI DELLA RESISTENZA 
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Aprile 1979 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume VII
(da pag. 344 a pag. 351)

LE VICENDE DELLA «FIAMMA»
DURANTE IL FASCISMO E LA REPUBBLICA DI SALÒ

di Gian Paolo Resentera
 
 
I.
Le relazioni tra il fascismo e la Chiesa italiana, oggetto di una ormai poderosa pubblicistica, non sempre sgombra da pregiudizi, appaiono oggi ben più complesse e sfumate; per cui anche la collaborazione a volte troppo generosa della gerarchia va esaminata e interpretata con la cautela richiesta dai fenomeni storici di lunga durata e di grande diffusione popolare.


Ben più semplice appare invece lo studio dei rapporti tra Chiesa italiana e Repubblica di Salò. Quest’ultima nacque – come si sa – dalla decisa volontà dei Tedeschi di fondare uno «stato fantoccio», che permettesse loro di tenere il più a lungo e il più lontano possibile dalla Germania le linee nemiche e questo senza dover disattendere troppo le operazioni di guerra per necessità di ordine pubblico. A tener calmi gli Italiani, obbligandoli ad accettare la «collaborazione» con i Tedeschi doveva appunto pensare Mussolini e la sua repubblica.


La storia della Repubblica Sociale Italiana è ad ogni pagina segnata da improvvisazione e impotenza, da un lato derivate dalla scarsa rispondenza popolare, dall’altro dai Tedeschi che volevano comunque uno stato  remissivo, sempre alla loro mercé. Al di là dunque di considerazioni di ordine etico-religioso, la Chiesa italiana non poteva non dimostrarsi quanto meno tiepida nei confronti di uno stato di tal sorta, la cui rovina era solo questione di qualche mese.


Naturalmente con ogni riguardo e cautela, attenta ad esporsi il meno possibile, giustamente timorosa delle pronte rappresaglie che per lo più andavano a colpire la popolazione inerme. La RSI, che non fu mai riconosciuta ufficialmente dalla S. Sede, aveva dal canto suo capito benissimo che tale rifiuto di collaborazione evidenziava la scarsezza della propria presa popolare. Per questo e compatibilmente con il regime di guerra, usava il vecchio metodo del bastone e della carota, ingegnandosi in ogni caso ad intorbidare le acque, già poco chiare.


Basta una semplice apertura dei periodici fascisti locali per leggere frasi come le seguenti: «L’ostile o freddo atteggiamento della maggioranza del nostro Clero verso la Repubblica Sociale Italiana è stato oggetto, in questi ultimi tempi, di calorose discussioni ... »; «Si è cercato in tanti modi di dimostrare la legittimità della nuova Repubblica, non ancora riconosciuta ufficialmente dagli organi ecclesiastici ... »; «Invece di darci una parola di fede e d’incoraggiamento, tutti i prelati svolgono attività antinazionale palesissima ... »; «La grande maggioranza del Clero italiano si è dimostrata, con la parola e con il suo subdolo atteggiamento, acerrimo avversario dell’Italia Fascista repubblicana ... » (1).


La risalita politica di un duro come Roberto Farinacci è, per quanto si è detto, di chiarezza palmare. Egli infatti, salvato dai Tedeschi il 26 luglio 1943, ritornato dalla Germania riprende già il 23 settembre le pubblicazioni del suo quotidiano Regime Fascista, anche precedentemente sovvenzionato dai Tedeschi, e subito soppresso dal governo Badoglio.


E riprende ma con ben maggiore animosità la propaganda, tuonando contro Badoglio e gl’infami traditori del fascismo, sollecitando gli ex combattenti a ritornare a servire la nazione a fianco dell’alleato tedesco, esigendo da parte della Chiesa allineamento e ben maggiore collaborazione per il riscatto della patria, a tal fine agitando sagacemente lo spauracchio dei «senza Dio», il comunismo ateo che avanza con Stalin. A questo scopo egli accetta la collaborazione di qualche sacerdote secolare o religioso, specialmente ex cappellani militari delusi dall’armistizio e dalla fuga del re.


A "Regime fascista" collaborava da qualche anno don Tullio Calcagno, originario della diocesi di Terni, il quale aveva già dal ’42 preso netta posizione con il libro Guerra di giustizia, in ciò contravvenendo alle disposizioni della gerarchia che aveva, caldeggiato la pace. Le reprimende del suo vescovo valsero a ben poco, se dopo l’8 settembre non si tenne dallo scrivere per la rivista "Prima Linea" un articolo ferocemente anticomunista, guadagnandosi peraltro immediatamente la sospensione a divinis.


Sennonché, favorito dal caos del momento, don Calcagno poté salire in alta Italia e presentarsi a Cremona da Farinacci. Il quale non stentò a capire quanto il sacro fuoco del prete potesse giovare alla propaganda fascista. Tanto l’incontro gli dovette sembrare provvidenziale da mettergli in mano la direzione di un periodico tutto nuovo, da far uscire a Milano, stampato però a Cremona presso la tipografia di Regime Fascista e sovvenzionato dal ministero della Cultura popolare.


E così il primo numero del settimanale Crociata Italica esce in centomila copie il 9 gennaio 1944, battuto peraltro sul tempo da una notificazione del vescovo di Cremona in cui si avverte la diocesi che don Calcagno  «è sospeso da ogni sacro ministero e in nessun modo autorizzato alla pubblicazione di un giornale; e pertanto il giornale nominato non può essere considerato come cattolico».


A tale notificazione farà seguito il 20 aprile una presa di posizione della Conferenza episcopale triveneta, la quale vieterà ufficialmente ogni forma di collaborazione a detta rivista da parte dei preti delle Tre Venezie, deplorando «l’attività di quei pochi sacerdoti secolari e religiosi i quali, rotto il freno della disciplina ecclesiastica, valendosi della loro qualifica sacerdotale e del prestigio che ne deriva conducono pubblica propaganda direttamente politica che, qualunque sia l’intenzione, non può accordarsi con la missione esclusiva e propria del sacerdote» (2). E don Calcagno finirà scomunicato dal S. Uffizio il 24 marzo del ’45.



II.
Non sembri inutile questo preambolo, perché la vicenda della Fiamma del Sacro Cuore, il bollettino parrocchiale di Schio, pur non avendo oggettivamente niente a che vedere con le prese di posizione contro Crociata Italica, in qualche modo le anticipa e chiarisce le tormentate relazioni tra la Chiesa e il fascismo risorto. Non solo, ma tutta la storia del foglio parrocchiale (3) è a parer nostro illuminante circa le presunte connivenze della Chiesa col fascismo.


Era arciprete di Schio dal 6 marzo 1932 mons. Girolamo Tagliaferro, intemerata figura di pastore; e si può dire che il bollettino – che egli volle portavoce efficace del suo magistero e che difese con ostinazione nelle alterne fortune – ne rispecchi fedelmente l’ansia e la decisione pastorale, a tal punto che, dopo il suo ritiro per raggiunti limiti di età (17 giugno 1957), gli sopravvisse qualche anno appena, finché se ne cedette la testata alla parrocchia del Sacro Cuore.


Lasciamo tuttavia la parola allo stesso mons. Tagliaferro, il quale nel numero di giugno del 1945, sotto lo pseudonimo di «Il Cronista», ne sintetizzò le vicende.

«Nel 1938-1939 il Bollettino ebbe quattro diffide, senza precisa motivazione: in realtà alla Questura veniva mandato il Bollettino segnato in vari articoli: conosciamo il nome dei denuncianti: si accusava il Bollettino di essere socialmente troppo ardito (di tendenze comuniste!): erano segnati anche i rilievi contro i balli e l’elenco delle sottoscrizioni «Pro Opere Parrocchiali». Si temeva che con la carità i Preti prendessero troppa influenza». A questo proposito, l’archivio parrocchiale di S. Pietro conserva alcune minute che, illuminano la situazione.



Dalla R.a Questura Maggio 1938
01665  - Si prega disporre che Mons. Tagliaferro sia diffidato perché sia più prudente nella esplicazione della sua attività pubblicitaria.
Prego darne comunicazione all’interessato assicurando.
F.to Questore Sessa



Non mi fu chiesto e non ho fatto alcuna firma, chiesi a voce al Tenente dei Carabinieri, che mi comunicava il telegramma, come desideravo conoscere quali forme di attività si desiderava evitassi. Non più alcuna comunicazione. Inchiesta su discorsi tenuti in Chiesa, Informazioni sulla condotta politica. (i Carabinieri interrogarono parecchie persone di Schio – che mi informarono di tutto –)

6 Agosto 1938

Mi fu comunicato dai Carabinieri di Schio questo ordine della Legione Territoriale dei Carabinieri di Verona:

N° 9/22 di prot. div. Riservato: «Prego richiamare i direttori dei periodici cattolici che si pubblicano nelle rispettive giurisdizioni sulla perentoria necessità che ogni eventuale commento sul problema razzista sia contenuto entro i limiti segnati dalle direttive del Governo Nazionale.
Prego inoltre invitare i detti Direttori ad astenersi da ora in poi dal pubblicare la allocuzione Pontificia del 28 Luglio U.S.
Gradisco un cenno di assicurazione».
Maresciallo 25.1.1939


La Tenenza di Schio:
D’ordine del Ministero ci risulta che esistono nella plaga delle Conferenze di S. Vincenzo, che distribuiscono buoni in natura ai poveri. Questa forma di assistenza deve cessare immediatamente. Ne sia data assicurazione.

 

Il numero di marzo 1939 fu sequestrato. Probabilmente non poté nemmeno essere stampato, stando ad una lettera del 4 febbraio 1939, di cui esiste copia dattiloscritta (ma esiste anche la minuta), inviata al vescovo Rodolfi. In essa mons. Tagliaferro dava ragguagli circa la recente sospensione.

 

«Giovedì 2 Febbraio p.p. Don Agostino Battistella Direttore responsabile del “Bollettino Parrocchiale di Schio” fu chiamato in Questura: gli fu comunicata e fatta firmare una disposizione del Ministero della Cultura popolare di sospensione del “Bollettino” (4). Al detto Direttore non era mai pervenuto in precedenza alcun richiamo o diffida». Dopo aver riassunto le vicende del maggio e agosto passato, continua così: «Le Autorità locali mi assicurano, (e non ho motivo per non giudicarle sincere) che riguardo al Bollettino non hanno da muovere lamenti, riconoscono anzi il bene religioso, morale, e anche sociale che esso fa tra la popolazione. I soliti elementi anticlericali e interessati, che non mancano in alcun ambiente, e che V.E. già conosce, parlavano da parecchio tempo di ricorsi e denunzie fatte al Ministero contro l’Arciprete e il Bollettino. Ho saputo anche di inchieste ordinate dalla Questura a mio carico, credo con esito negativo. Di ciò anzi ho parlato con S.E. il Prefetto e con il Sig. Questore. Insomma i motivi della sospensione del Bollettino Parrocchiale non mi furono comunicati né li posso immaginare».


Evidenziate le benemerenze pastorali del bollettino e la sua consistenza editoriale (tiratura di 4200 copie, spedizione a tutte le famiglie e agli scledensi sparsi per l’Italia, una cinquantina di copie all’estero), mons. Tagliaferro si mostra preoccupato per la situazione creatasi: «Spero non mi si imputerà la impressione non favorevole che la sospensione potrà fare sui lettori. L’ambiente di Schio e la sua popolazione non mi sembrano i più adatti per tali provvedimenti e le difficoltà nel reggere questa Città sono già abbastanza gravi per tutti per desiderare questi inciampi ».


Datata 6 febbraio 1939 è la seguente dichiarazione originale firmata di don Agostino Battistella: «Quando giovedì 2 febbraio 939 mi sono recato – dietro invito trasmesso per tramite dei RR.CC. di Schio – dal capo-Gabinetto della Questura di Vicenza questi mi mostrava il telegramma del Ministero che ordinava la soppressione del Bollettino Parr. di Schio. Ho chiesto il motivo. Mi rispose: “Per parecchi motivi. Non solo per l’ultimo numero ma per altri articoli di altri numeri. L’Arciprete di Schio ha avuto in passato delle diffide in riguardo ma non ha obbedito. Per questo si è venuto a tale determinazione”. Di questo faccio fede Sac. Agostino Battistella ».


A questo punto si potrebbe pensare ad un lungo silenzio editoriale. Non fu così. Nel mese di marzo uscì un numero straordinario dell’Operaio Cattolico di Vicenza; da aprile a luglio le famiglie furono abbonate a La Fiamma rivista mensile dei Paolini, la quale, in un inserto di quattro facciate con numerazione romana conteneva la cronaca parrocchiale; nell’agosto si adottò un’edizione speciale de La Fiamma del Sacro Cuore dei seguiti di Chieri (5).


Tuttavia già col settembre pure essa per causa delle solite delazioni fu soppressa e la tipografia Martano di Chieri dovette per di più tener chiuso per otto giorni. Mons. Tagliaferro si accordò allora con l’Osservatore Romano per una pagina interna dell’edizione domenicale, che infatti fu stampata da marzo a settembre del 1940. Con l’ottobre si poté ritornare a Chieri, ma ci mancano i tre numeri fino a dicembre. La collezione dell’archivio parrocchiale di S. Pietro riprende infatti col gennaio 1941 col titolo di La Fiamma del Sacro Cuore - Edizione della Parrocchia di S. Pietro Apostolo - Schio e per direttore ha un gesuita, Padre Clemente Cavassa.
Tra continue minacce – di cui però non si hanno testimonianze precise — si poté continuare fino al gennaio  1944, quando scoppiò l’altra bomba.



III.
Nel numero di dicembre del 1943, alla pag. 159 compariva un breve articolo ad una colonna, intitolato «Attenzione!», chiaramente di mano dell’arciprete per quanto non firmato, in cui si diceva testualmente: 

"Compare a volte su qualche giornale qualche articolo con la firma di qualche prete o frate, di cui nessuno ha mai sentito parlare. Non basta che un articolo porti la firma di un prete perché esso diventi senz’altro un autorizzato portavoce del pensiero della Chiesa. Non basta neppure che un prete, realmente esistente, si prenda – quod Deus avertat – la voglia di scriverne uno su un qualunque giornale, perché ciò che vi si dice diventi verità del Vangelo.
Il sacerdote che parla o scrive, parla o scrive a nome della Chiesa, quando di ciò è incaricato dal suo Vescovo, solo autorevole maestro di verità.
Chi scrive su quotidiani o periodici, senza il permesso del proprio Vescovo lo fa come privato cittadino, e contravviene alle leggi della Chiesa. Dice infatti il can. 1986, 1 del Codice di diritto canonico: «È VIETATO AL SECOLARE, SENZA IL CONSENSO DEL PROPRIO ORDINARIO, E AI RELIGIOSI SENZA IL CONSENSO DEL LORO SUPERIORE E DEL VESCOVO ... SCRIVERE SU QUOTIDIANI FOGLI O RIVISTE».
I cristiani tutti devono perciò avere idee molto chiare in proposito, per non rischiare di essere ingannati da coloro che «... VENGONO IN VESTE DI AGNELLI, MA DENTRO SON POI LUPI RAPACI».



Mons. Tagliaferro evidentemente era tenuto d’occhio, per cui le sue 14 righe non sfuggirono ai fascisti, anche perché, se c’era del generico nell’indirizzo, c’era chiarezza e fin troppa decisione nel giudizio.


In ogni modo, esse fecero più scalpore di quanto l’autore stesso non prevedesse, in quanto fu lo stesso Farinacci a rispondere su Regime Fascista in un articolo di due colonne dal titolo «Messa a punto ». Naturalmente i fogli locali ne fecero prontamente eco. Il Popolo Vicentino infatti, in data 6 gennaio 1944 e in prima pagina, presentò un articolo a quattro colonne dallo stesso titolo, nel quale, sotto firma di «Argo », il direttore introduceva la messa a punto di Farinacci, rproducendo, ma non integralmente, il trafiletto della Fiamma (6).


In sostanza Farinacci faceva tre considerazioni: primo, che gli articoli che apparivano sul suo giornale dovevano sempre ritenersi autentici, e dunque se firmati da sacerdoti erano di sacerdoti, e dava anzi le generalità di don Tullio Calcagno, don Angelo Scarpellini, don Remo Cantelli, padre Zago; secondo, se molti altri preti avevano « stretto connubio con i traditori della Patria », tanto più doveva essere permesso «dichiararsi, oltre che cattolici, anche italiani ferventi »; terzo, che appariva per lo meno strano che il Diritto Canonico non fosse stato invocato anche per vietare « a degli autentici preti [di] comportarsi vergognosamente nel periodo badogliano, quando si preparava il clima del più nero tradimento» (7).


L’«Argo” locale riprendeva poi la parola chiedendo ironicamente in lettura dai parroci della provincia saggio dei vari bollettini che, «senza alcun risparmio di carta oggi preziosissima si stampano in tanti più o meno reconditi angolini di questa nostra provincia», e così concludeva: «Tuttavia.... dubitiamo che tra coloro i quali ci faranno tale omaggio ci sa anche il Parroco di S. Pietro Apostolo di Schio! E allora se non potremo raccomandare la sua prosa ai nostri lettori, pur nella totalità cattolici, la raccomanderemo alle superiori autorità ecclesiastiche [ ... ] e a tutte quelle altre autorità cui compete di tutelare la buona fede e il patriottico zelo dei cittadini». Proprio in quel giorno doveva infatti arrivare in canonica di S. Pietro la notifica di soppressione definitiva della Fiamma.


La polemica continuò, anche se da una parte sola, non potendo mons. Tagliaferro ovviamente replicare. Ecco dunque due giorni dopo il Popolo Vicentino riprodurre in cronaca cittadina, sotto il titolo «Cattivi Pastori / A Bassano come a Schio », una lettera di un lettore di Bassano, il quale assicurava come anche dal pulpito della sua città venissero sconfessati i sacerdoti impegnati sui giornali fascisti (8).


Se ricordiamo che nel frattempo usciva "Crociata Italica" di don Calcagno, sarà chiaro il perché dell’azione tanto tempestiva e fragorosa di Farinacci e dei suoi.


Non a caso allora l’intervento di mons. arciprete fu oggetto di un’ulteriore «messa a punto» in una lettera aperta del padre Lino Corbetti, cappellano del 2° Bersaglieri, pubblicata proprio su Crociata Italica col titolo di «Unicuique suum / Lettera aperta a mons. Tagliaferro arciprete di Schio» e riprodotta integralmente su cinque colonne in cronaca cittadina dal Popolo Vicentino del 9 gennaio.


La lettera, in un tono acceso, savonaroliano, evidenzia la stessa confusione politica e lo stato di eccitazione del fondatore, che aveva proprio intitolato l’articolo programmatico del settimanale «Dio e Patria». Dopo una lunga introduzione, padre Corbetti assicura che è una «dura necessità» quella che gli impone di scrivere sulle colonne di Regime Fascista, non essendoci disponibili per la sua penna le pagine dei giornali cattolici (9).


Poi, premesso che il giornale «non è stato ancora scomunicato» (sic), avverte che ormai si tratta di una nuova crociata, non più contro i Turchi (la), ma contro il comunismo ateo e ricorda le stragi in Spagna dal 1936 al ’39 ed altri episodi più recenti in Croazia, per cui non si può proprio illudersi che « il comunismo abbia cambiato qualcosa nel suo programma di sangue e di sterminio».


E dunque, se non è per l’ostinato attaccamento al governo di un re fedifrago e fuggiasco, perché non stare con Mussolini? «Ma questo Mussolini che noi crediamo ritornato al popolo italiano quasi per un intervento della Provvidenza, è proprio la bestia nera di cui parlate voi, o è l’uomo che ci ha ridato il rispetto delle masse, che ha pacificato lo Stato con la Chiesa, che vi ha esclusi dal servizio militare e che vi ha permesso di lavorare in ogni campo spirituale?».


Non abbiamo nessuna documentazione di quello che facesse o dicesse mons. Tagliaferro in questo periodo. Si sa comunque che tentò un’ultima carta, mandando a Roma presso il Ministero don Pietro Nichele – già suo cappellano e diventato sul finire del gennaio arciprete di Fontaniva (al suo posto era venuto don Mario Brun) –; ma il sacerdote poté soltanto vedere documentate le varie denunce, non certo ottenere la revoca della soppressione.


Si dovette attendere la liberazione, ma già ai primi di maggio, benché in formato ridotto, la Fiamma fu nelle case di Schio «libera voce, libera della libertà di Cristo», come si espresse l’arciprete nel già citato articolo cronistorico.


NOTE

(1) Avanguardia Vicentina, tra agosto e settembre 1955.

(2) A Venezia, per dir la verità, usciva uno pseudo settimanale cattolico di non so che rilevanza intitolato L’Italia Cattolica, sostenuto da Fernando Mezzasoma ministro della Cultura popolare, che «tendeva a conquistare alla causa della RSI il piccolo clero e le piaghe cattoliche della Lombardia e del Veneto cercando di sottrarle alle influenze degli esponenti cattolici che operavano nella “resistenza”». (Ermanno AMICUCCI, I 600 giorni di Mussolini. Dal Gran Sasso a Dongo, Roma, Faro, 1948, pag. 114. Vedi però anche Silvio BERTOLDI, Salò. Vita e morte della Repubblica Sociale Italiana Milano Rizzoli 1976, pag. 301).

(3) Il primo numero, risalente all’ottobre del 1932, s’intitola Foglietto Parrocchiale di Schio, è di 4 facciate 35 x 25 ed è uscito in occasione di una periodica «missione». Del cui  buon esito dà relazione un identico « foglietto” nel dicembre. Il terzo numero sperimentale sarà pubblicato nell’aprile del 1933 in occasione dell’Anno Santo e del pellegrinaggio a Roma di un buon numero di scledensi. L’inizio vero in ogni modo si ha collo dicembre dello stesso anno, da quando e con scadenza mensile esce il Bollettino Parrocchiale Schio. È composto di 8 pagine più i due interni di copertina e misura 25 x 17; è stampato dalla Tipografia Pasubio, via Umberto I; e a pago 1 presenta il breve editoriale di mons. Tagliaferro che ne evidenzia l’importanza pastorale. Nei numeri seguenti si hanno soltanto variazioni di pagine: già dal marzo 1934 esse sono 16 e rimangono inalterate fino al 1938, salvo un numero speciale di 23 pagine, nel dicembre 1934, per il 25° di sacerdozio di mons. Tagliaferro. Le pagine aumentano a 18 o 20 dal marzo 1938. Da quest’anno al gennaio 1944 si ebbe il periodo più tormentato, con numerose diffide e ben due sospensioni. Nel maggio 1945 si avrà la ripresa con un numero in formato ridotto, stampato a Schio ancora dalla Tipografia Pasubio. Tale numero (mancante però anche alla collezione dell’archivio parrocchiale di S. Pietro), dovrebbe aver avuto per titolo di copertina La Fiamma del Sacro Cuore Schio e in prima pagina Bollettino Parrocchiale Schio, che sono le intitolazioni dei numeri seguenti. A tal proposito don Mario Brun ricorda che allorché si trattò di riprendere le pubblicazioni, sorse il problema del titolo. I cappellani pensavano fosse meglio ritornare al generico ma più consono Bollettino Parrocchiale Schio. Mons. Tagliaferro, dopo esser stato ad ascoltare pazientemente le varie argomentazioni, batté un pugno sulla scrivania e dichiaro: «Si chiamerà ancora Fiamma del S. Cuore: è stata prima la nostra bandiera e dovrà essere anche per l’avvenire la fiamma della verità che arriverà ai cuori di tutti”. (Cfr. Mons. Girolamo Tagliaferro da XXV anni Arciprete di Schio, supplemento a La Fiamma del Sacro Cuore, marzo 1957, pag, 13).

(4) È conservata anche una nota che mons. Tagliaferro prese del testo che don Battistella dovette sottoscrivere: «Io sottoscritto Direttore responsabile del Bollettino Parrocchiale di Schio dichiaro di aver preso visione della disposizione pervenuta dal Ministero della cultura/educazione popolare di sospensione del suddetto “Bollettino Parrocchiale” e di ottemperare al provvedimento stesso. Letto e firmato».

(5) Studiava teologia a Chieri un parrocchiano, Gaspare Dalle Nogare, che infatti celebrò la prima messa nel luglio del 1940. Potrebbe essere stato lui il tramite per questa nuova «alleanza».

(6) «Abbiamo appreso da Regime Fascista che in questa nostra provincia e precisamente a Schio, nella parrocchia di S. Pietro Apostolo, viene stampato un bollettino l’ultimo numero del quale recava (oh, nulla, proprio nulla di male per un lettore, a differenza di noi, piuttosto placido e superficiale!) il seguente esemplare di franchezza e di rettitudine che. ad ogni buon conto, riportiamo alla lettera. [ ...]. Tale nota è redatta con prudenza affatto farisaica e cioè, sia pure a scapito della purezza di linguaggio [ ...] senza nomi o riferimenti specifici: con prudenza farisaica, ripetiamo perché a Schio nessuno ignora che i soli giornali, colà diffusi nei quali siano stati riprodotti tali articoli, sono Regime Fascista e Il Popolo Vicentino: ma contiene [ ...] tre acide, maligne insinuazioni: la prima, cioè che gli articoli da noi riprodotti si debbano non già a sacerdoti ma – chissà? – forse a messi di Satana: la seconda, che detti articoli siano in contrasto con i canoni ecclesiastici: la terza, infine, che se gli autori di detti articoli fossero veramente dei religiosi [ ...] essi dovrebbero essere colpiti dal canone 1386 [sic] del Diritto Canonico. Razza di. .. galantuomini! E dire che per stampare simili bollettini si servono di un titolo come quello di Fiamma del Sacro Cuor di Gesù, titolo che, se in via generale è lievemente – diciamo ¬presuntuoso, nel caso particolare suona patente ingiuria e sacrilegio verso quel Cuore, appunto che non veleno ma “luce e fiamma d’amore irradia” ».

(7) Ecco integralmente quanto il Popolo Vicentino riportò dell’articolo di Farinacci. «Dobbiamo ai reverendi del bollettino parrocchiale tre risposte. Prima. - È evidente che La Fiamma del Sacro Cuore vuole alludere al nostro giornale. Se è stata cauta nel linguaggio è perché voleva evitare un nostro pronto intervento contro una prosa volutamente tortuosa, atta a creare equivoci e sospetti. Ma il diavolo fa le pentole e dimentica talvolta il coperchio. Forse si riteneva che noi non avremmo trovato il tempo per sfogliare anche i bollettini parrocchiali. Possiamo ora assicurare che gli articoli del nostro giornale firmati da sacerdoti e frati, sono autentici. Se i compilatori del bollettino “non hanno mai sentito parlare” di questi religiosi la colpa non è certamente nostra ma loro, ché non conoscono i migliori fratelli in Dio. Don Tullio Calcagno era parroco del Duomo di Terni prima che il barbaro nemico portasse la distruzione in quella città. Egli è autore di pubblicazioni note ed arcinote alle persone che amano la religione, ma anche la Patria. Don Angelo Scarpellini ha questo preciso indirizzo: via Barberia 24, Bologna. Coloro che si vogliono garantire della sua esistenza sanno dove scrivergli. Don Remo Cantelli è conosciutissimo a Torino. Padre Zago trovasi al Santuario di Fontanellato. in quel di Parma. Gli altri cappellani, che collaborano al nostro giornale, hanno tutti indicato il reparto presso cui prestano servizio. L’abile insinuazione dei sacerdoti di Schio cade così miseramente. Seconda. - Siamo d’accordo che un articolo firmato da un prete non può diventare senz’altro “il portavoce della Chiesa”. Guai se così non fosse. Guai. se i preti che hanno stretto connubio con i traditori della Patria fossero gli interpreti del pensiero della Chiesa. I nostri sono sacerdoti che, di fronte alla Patria mutilata, straziata e disonorata, hanno sentito il bisogno di dichiararsi, oltre che cattolici, anche ita¬liani ferventi, che peccato commettono? Se in Inghilterra, in America, in Francia, i cattolici hanno preso posizione decisa per la guerra contro le Nazioni povere, perché altrettanto non dovrebbero fare i nostri amici verso le ricche, specie quando buona parte del clero persiste in un atteggiamento che le radio americane inglesi e moscovite elogiano quotidianamente? Terza. - Contro chi agisce e parla in nome di Dio e della verità, di Dio e della Patria, si invoca l’applicazione del can. 1386 [sic] del Diritto Canonico, che vieta ai sacerdoti di scrivere su quotidiani senza la preventiva autorizzazione del loro Vescovo. Confessiamo che ritenevamo questo canone da tempo relegato nei polverosi ed inaccessibili archivi, assieme a quegli altri canoni che impongono precisi doveri ai cattolici nei confronti del giudaismo, della massoneria, del comunismo. Infatti gli stessi Vescovi hanno fino ad ora chiuso non uno, ma due occhi, tutte le volte che sacerdoti e frati dirigevano o collaboravano a giornali politici. Altrimenti come sarebbe stato possibile a degli autentici preti comportarsi vergognosamente nel periodo badogliano, quando si preparava il clima del più nero tradimento? Come era possibile che un Vescovo approvasse la prosa di certi quotidiani, prosa ricca di menzogne e di calunnie le più spudorate? E poi, per finire, se un Vescovo non sentisse nessun amore di Patria o si appalesasse amico del nemico, come sarebbe possibile pretendere dai sacerdoti che amano invece la Patria, che operano contro lo stesso nemico, che pregano per la vittoria delle nostre armi, di rimanere impassibili? Gli assenti non hanno sempre torto? Se un cappellano può morire al fronte col grido di «Viva l’Italia!» perché chi conserva ancora il privilegio della vita non può ripetere lo stesso grido sui nostri giornali? Questa è l’ora tremenda in cui ognuno, di fronte a Dio e di fronte alla Patria, deve assumere le sue responsabilità. Lo comprendano i reverendi del bollettino parrocchiale di Schio».

(8) «A Schio a mezzo del bollettino parrocchiale, a Bassano dalla balaustra dell’altar maggiore del tempio di San Francesco. Nell’uno caso e nell’altro si è scritta e detta la medesima cosa. Nell’un caso e nell’altro si sono apertamente sconfessati quei sacerdoti che, per essere tali, non dimenticano di essere italiani, i quali, nella stampa, hanno fatto e fanno aperta e coraggiosa professione di patriottismo. Essi – si è scritto a Schio e detto a Bassano – non rappresentano affatto il pensiero della Chiesa, anzi si sono messi fuori della stessa con i loro scritti non autorizzati. Da ciò al ritenere che il pensiero della Chiesa – come viene interpretato a Schio e a Bassano – sia ben diverso da quello espresso da detti sacerdoti, il passo è breve. E si noti che il reverendo bassanese al quale ci riferiamo, nel corso della sua predica, ebbe a riaffermare il diritto del clero di “spiegare” Vangelo adattandolo ai tempi, e di interessarsi non solo, come qualcuno vorrebbe, di questioni puramente spirituali, ma anche di questioni sociali e politiche”. Questi concetti, per chi desiderasse saperlo, sono stati espressi la mattina del 26 dicembre, al Vangelo, dal celebrante la Messa delle 11.30». Nel chiudere, sento di dover pubblicamente ringraziare don Carlo Chiozza per avermi concesso di utilizzare il materiale dell’archivio di S. Pietro.

(9) «In questo tragico momento della nostra Patria e (perché no?) della nostra stessa Religione ci pareva che la nostra onesta parola di cittadini e di cattolici rivolta ai pigri cuori, ai dissueti orecchi potesse servire a ridare anch’essa un senso di fiducia al popolo italiano, dato che, dopo tanto disastro, gli è stata concessa ancora una possibilità di appello e di salvezza fuori da quella del disonore e dell’ignominia offertagli dal re ateo in nome della Massoneria internazionale. E ci eravamo rivolti per questo ai quotidiani italiani cattolici come L’Italia di Milano e L’Avvenire d’Italia di Bologna, ma nessuno ci ha offerto ospitalità. Il motivo? Ma! A sentir loro i motivi sono diversi, uno più ideale ed estemporaneo dell’altro ... Secondo il nostro debole parere essi si riducono ad uno solo: la paura di compromettersi: donabbondismo, coniglismo: “Ormai tutto è perduto... Non sono arrivati per il Rosario e neanche per il Natale (come si credeva) ma saranno qui certamente per Pasqua ... e quando verranno se ci trovano con le mani nel sacco? Metteranno a ferro e a fuoco le nostre tipografie, le nostre Chiese e i nostri campanili e allora addio libertà di culto, addio funzioni e forse peggio... addio congrua!...” Dov’è Raimondo Manzini, dov’è Don Busti e Don Salamini etc... [ ...] Oh! i bei tempi in cui Caterina scriveva ai Papi, e S. Francesco e S. Domenico e S. Pier Damiani... quelli erano tempi di lotte sì, di eresie sì, ma anche di grandi Santi! ... ».

(10) «O dobbiamo noi soli perché cattolici e sacerdoti italiani continuare a predicare l’internazionalismo e la pace ad ogni costo e purchessia l’amore spassionato al nemico che ci vuole ridurre alla schiavitù, che ci bombarda le Chiese, gli altari e i focolari e che per ultimo regalo ci porterà in casa il comunismo».