QUADERNI DELLA RESISTENZA 
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Aprile 1979 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume VII
(da pag. 359 a pag. 369)


INCENDIO DI POLEO
7 agosto 1944
ED ALTRE VICENDE

di E. Trivellato
 
 
 

 

I. INCENDIO DI POLEO


Il 7 agosto del 1944 Poleo venne messo a fuoco da Tedeschi e Fascisti con un bilancio di 63 case bruciate e 92 famiglie (540 persone) costrette a trovare una precaria sistemazione presso parenti e conoscenti della zona di Schio. La decisione del Comando germanico di punire la popolazione di Poleo conseguì alla misteriosa sparizione notturna di un soldato «russo», incorporato dai Tedeschi, sparizione avvenuta circa una settimana prima.


In realtà l’inchiesta tedesca condotta in Caserma Cella dopo una retata di una trentina di abitanti della frazione, uomini e donne, non era riuscita a stabilire con certezza se il «russo» avesse disertato spontaneamente passando nelle file dei ribelli, se fosse stato da questi sequestrato o se fosse stato fatto fuori e dove. Il corpus delicti, cioè il cadavere, non fu mai trovato; sembra sia stata una segnalazione fascista locale a portare le ricerche sul luogo dell’uccisione ed a far scoprire alcune tracce di sangue, che costituirono quindi un elemento di presunzione.


Sui danni dell’incendio esiste una documentazione di archivio ed anche foto d’epoca, per cui mi è sembrato molto più interessante il proseguire l’inchiesta iniziata allora dal Comando germanico e quindi l’accertare finalmente come avvenne la sparizione del soldato « russo »; ciò è stato possibile sulla scorta delle informazioni di un intraprendente testimone oculare, Ampelio Banato (24.4.78), e di alcune notizie raccolte da altri in una recente riunione a Poleo (4.1.79).


Innanzitutto va premesso che alcuni militari della Wehrmacht riuscivano a masticare abbastanza bene l’italiano e gradivano, se si presentava l’occasione, il poter scambiare quattro chiacchiere con persone o famiglie locali, un po’ per vincere la solitudine degli invasori ed un po’ forse per attenuare l’immagine dei Tedeschi tutti cattivi e odiosi.


Nel caso di Poleo due «russi» erano soliti venire nella frazione, per trattenersi a conversare con una persona ivi residente, che conosceva parecchie lingue. Una sera d’estate, molto sul tardi, uno di questi «russi» stava per rientrare a piedi in caserma; fra la Cooperativa e l’osteria di Marsilio sembra si sia trovato dinnanzi improvvisamente un partigiano armato.


In situazioni simili è questione di frazioni di secondo, di movimenti giusti o sbagliati da una parte o dall’altra, di sangue freddo; avrebbero potuto ignorarsi a vicenda e proseguire ognuno per la sua strada, viceversa il « russo» ebbe la reazione istintiva di togliersi il fucile di spalla per difendersi. Il buio della notte aveva inoltre impedito quel reciproco sguardo negli occhi che di solito è significativo per capire le reciproche intenzioni. La mossa del militare impaurì il partigiano che fece partire una raffica. Il «russo» cadde a morte sulla strada e l’altro si eclissò velocemente. Questa è la versione « corrente» dei fatti.


Poco prima alcune persone di Poleo collegate alla Resistenza e precisamente Ampelio Bonato, Chicchi Baron, Mano Zocca, Tisato Angelo, Ninin Broccardo, Antonio Saccardo, stavano all’erta a causa della segnalazione del fornaio Gigi Vittorelli che a Poleo era venuto il «russo»; appena intravista di lontano una divisa tedesca, i quattro si erano subito nascosti sotto un portico. Viceversa udirono una raffica di arma automatica ed i passi di uno che scappa. La curiosità prevalse sulla paura e così Ampelio e Chicchi Baron scoprirono il morto. Che fare? Se lo lasciavano lì, in paese, i Tedeschi il giorno dopo avrebbero scatenato una rappresaglia e fucilato dei civili. Non restava altra soluzione che farlo «sparire ».


Ed è a questo punto che la vicenda manifesta l’intelligenza e le astuzie del delitto perfetto.


Nessuna finestra dei dintorni si era aperta e di quei tempi le raffiche o gli spari notturni non meravigliavano molto né invogliavano la gente a curiosare: via libera quindi in tutta Poleo ed assenza di testimoni oculari. Malgrado ciò l’Arnpelio trovò prudente cambiarsi la camicia bianca che portava e vestirsi di scuro.


Prima di tutto venne recuperato un secchio in casa di Baron ed un badile di Ampelio per ripulire la strada ed infatti venne lavata la macchia di sangue; anche le donne che si recarono al lavatoio il mattino dopo cercarono di far sparire le tracce e la cosa sarebbe passata liscia se una delatrice fascista, che probabilmente aveva identificato nella notte il luogo della raffica, non si fosse presa la briga di portarvi i Tedeschi.


L’idea veramente brillante degli intraprendenti amici di Poleo fu la scelta del posto per la sepoltura: in mezzo al bosco, di notte, era troppo disagevole arrivare, quindi si doveva trovare un luogo abbastanza vicino, in paese. Purtroppo i proprietari o i fittavoli di un fondo conoscono il proprio terreno a palmo a palmo e si sarebbero accorti subito di una zona di terreno smosso. Pensando e ripensando, venne in mente che uno di Poleo aveva cavato patate e preparato un’aiuola per la semina dell’insalata. Detto e fatto, venne adagiato il morto su di una scala e l’obito partì. Il proprietario del fondo non si accorse di nulla e forse, più tardi, restò soddisfatto di un’insalatina più rigogliosa.


Non altrettanto contenti furono i Tedeschi quando al mattino s’accorsero che il soldato «russo» non era ancora rientrato in caserma, sicché – assunte alcune informazioni – nel pomeriggio venne rastrellato Poleo e furono fermate tutte le persone, donne, uomini, anche molto anziani, trovate lungo il percorso.


Dagli interrogatori in Caserma Cella non emersero notizie significative e risultò ai Tedeschi che in paese nessuno sapeva la verità sulla sparizione del «russo». Poiché necessitava una rappresaglia di ammonimento, il Comando tedesco, avuto forse conferma della morte dalle tracce di sangue, decise di far bruciare un buon numero di case ma si astenne da fucilazioni di ostaggi o da deportazioni in Germania, come sarebbe avvenuto probabilmente se il militare fosse stato di origine tedesca.


La vicenda si concluse quindi con un gran falò di abitazioni e di tezze ma, essendo stato preannunciato per tempo, fu possibile a molti di portar fuori le masserizie. Bisogna però considerare che il ritrovarsi senza casa, a quei tempi di carestia, fu un dramma per 540 persone ed il ricordo dell’avvenimento è tuttora vivo in paese.


Fra le varie testimonianze Ampelio Bonato riferisce:

«Di solito ci trovavamo in 5-6 dopo il coprifuoco a bere un bicchierino assieme e ricordo Antonio Saccardo, Mario Zocca, Chicchi Baron, Angelo Tisato. Quella sera, quando abbiamo sentito la scanca, siamo andati a vedere ed a forza di accendere fiammiferi abbiamo scoperto il “russo” morto; con una scala lo abbiamo portato via e sepolto in un terreno dove avevano appena cavato le patate. Il giorno dopo ho trovato quello che aveva sparato e mi sono sentito in dovere di rimproverarlo; lui mi disse che stava passando quando domandò chi venisse avanti, il militare fece segno di togliere l’arma che aveva a tracolla per cui lui fu costretto a sparare. In effetti avevamo notato che l’arma del “russo” era lontana dal corpo. Il giorno successivo al fatto scappai in montagna dai “tusi” e qui seppi che i Tedeschi avevano prelevato molti ostaggi, tra i quali anche mio fratello Italo che aveva famiglia e due figli. Sulle prime pensai che ci fosse stata una spia; avevo decido di presentarmi ma fortunatamente mio fratello venne liberato e fu il più bel giorno della mia vita. Intanto arrivarono notizie che avrebbero bruciato il paese. Gli uomini si nascosero nei boschi e le donne cominciarono a portar via le masserizie con carretti a mano: fu uno spettacolo commovente».


Baron Ermenegildo (d. 1934), figlio di Francesco, racconta:

«Quella notte avevo sentito dei rumori in casa e, quando mi alzai e scesi, vidi per terra il militare morto. Poi con una scala fu portato a seppellire. Il giorno dell’incendio ricordo che al ponte della Gogna c’erano i pompieri che aspettavano la partenza dei Tedeschi per correre a spegnere le fiamme; dopo una mezz’ora arrivarono anche i pompieri del Lanificio Rossi».


Sulla vicenda degli ostaggi vi è la testimonianza di Renato Calesella:

«I Tedeschi si sono mossi nel pomeriggio successivo alla sparizione del russo. Io ero uscito dal Lanificio Rossi alle 14 assieme a Mario Zocca ed alle prime case di Poleo siamo stati bloccati da due Tedeschi. La retata era cominciata partendo dall’alto verso le Falgare. In Caserma Cella gli uomini (24) furono stipati in una stanza con 4 pagliericci e qui tenuti per circa una settimana. Fummo interrogati uno per uno e l’interprete voleva sapere se il russo era andato via da solo oppure era stato catturato dai ribelli o addirittura ucciso; fu anche promessa una buona mancia a chi fornisse qualche notizia. Siccome nessuno sapeva niente, ci dissero che non avremmo avuto da mangiare né da bere se non saltava fuori il russo; poi vi fu la minaccia che avrebbero bruciato il paese e fucilato tutti. Invece fummo tutti rilasciati anche se all’uscita ci dissero: “Andate a casa, partigiani!”. Invece nessuno si fidò di tornare a Poleo, se non dopo una settimana».


Tra gli scampati dalla retata Giulio Cunico (d. 1908 - operaio tessile) riferisce di essere stato avvisato in tempo e di essersi nascosto, assieme a Placido Marzarotto dietro il torrente Oriolo. Giovanni Sessegolo detto Ninìn (cl. 1909), operaio tessile a Torrebelvicino precisa che la prima casa bruciata fu quella dei Marzarotto («Treno»), poi quella dei Redondi («Brescia»), poi nella corte dei Sessegolo dove stava anche Bille e qui, nella tezza scoppiarono alcune bombe nascoste da «Brescia»; più sotto le case dei Fabrello, Bonato, Marsilio, Francesco Baron, la Cooperativa e molte altre a casaccio per un totale di 63 edifici.


Nella riunione a Poleo si è detto inoltre che l’anziano Parroco don Giovanni Battista Ziggiotti era sostanzialmente contrario ai Tedeschi; nella previsione dell’incendio si era espresso in tal senso: «Che brucino le case, ma prima di tutto che non facciano vittime»; don Giovanni aveva nascosto in più occasioni varie persone ed era da tutti considerato un buon uomo; aveva una certa influenza su Giovanni Garbin («Marte») e protestò vivacemente quando quest’ultimo gli nascose delle armi in canonica.


L’arciprete di Schio mons. Tagliaferro inviò una lettera al Vescovo,  datata 9.8.1944, nella quale riferì soprattutto in merito ai danni causati dall’incendio ed alla sistemazione delle famiglie rimaste senza tetto (G.B. Zilio - cit. - pg. 167).


Anche l’Ing. Riva del Lanificio Rossi si era interessato per evitare la rappresaglia tedesca ed aveva suggerito che i partigiani gli recapitassero un documento dichiarante che il «russo» era passato nelle loro file. L’idea, trasmessa da Annibale Santacatterina ad Ampelio Banato, non andò a buon fine per i pericoli che comportava. È infine da sottolineare che l’incendio di Poleo non sminuì il favore della popolazione verso i partigiani e che la collaborazione e la lotta continuarono.



II. LA VERSIONE DI «DUMAS»


Il nome di «Dumas» non ricorre spesso nei racconti e nell’ambiente resistenziale valleogrino. Eppure, se vi è un «personaggio» adatto ad una storia romanzata, questi è proprio «Dumas». Così era noto allora tra i partigiani, con il solo nome di battaglia; ma nessuno sapeva chi fosse né donde fosse capitato dalle nostre parti. «Qui bisognerebbe parlare con Dumas» - «C’era anche Dumas!» - «Forse Dumas sa qualcosa». Ma chi è il fantomatico «Dumas»?

E' una lunga storia.


Verso la fine dell’Ottocento un certo Perrazzo era partito da contrà Pra di Valli del Pasubio ed era emigrato in Romania come imprenditore edile per la costruzione di strade, ponti, gallerie; colà egli aveva sposato una ungherese, Maria Lazslo, e nel 1901 aveva avuto un figlio, Domenico, che troveremo coinvolto nell’incendio di Poleo. Nel 1917 il Perrazzo morì e la Lazslo si risposò con un internato civile italiano, Eligio Slomp di Trento; da questo secondo matrimonio nacque a Sinaia (Romania) il 26.3.1921 Itala Slomp, il famoso «Dumas», che è così fratellastro di Domenico Perrazzo. La seconda guerra mondiale divise i due e fu la guerra partigiana a farli ritrovare quasi casualmente a Poleo.


Itala Slomp («Dumas») si trovava in Libia come sergente di aviazione e più precisamente come infermiere di bordo con disponibilità di pilota e di motorista; al momento della ritirata, guidati dal capitano, partirono in sei con un bombardiere ed atterrarono all’aeroporto di Palermo. Dopo l’8 settembre Italo partì con il treno, In divisa ed armato, arrivando fino ad Ancona dove fu fermato da un blocco fascista; riuscì tuttavia a fuggire dall’aeroporto di Falconara ed a raggiungere una sua zia a Trento. Sempre con la preoccupazione di venire arrestato ed internato In Germania, Itala conobbe poco dopo un certo dr. Fronza, ricoverato al S. Chiara per malaria, il quale lo consigliò di andare a Pale o sopra Schio e di mettersi in contatto con un certo Giovanni Garbin. Cosicché, superati i monti, Italo Slomp capitò dalle nostre parti, assunse il nome di «Dumas» e ritrovò casualmente a Poleo il fratellastro Domenico. Quest’ultimo negli anni trenta aveva sempre fatto interprete (Turchia, Russia, Persia, Romania) e conosceva e scriveva otto lingue correntemente; nel 1940 era rimasto bloccato in Italia e celibe viveva a Poleo.


«Dumas» entrò in contatto con la resistenza locale e conobbe così Natalino Baron, Ampelio Bonato e tutta la compagnia. In primavera si trasferì in Asiago per il recupero dei lanci e, quando «Vicchi» (Luigi Organo) fu catturato, la sorella si rivolse a «Dumas» per avere l’indirizzo del Questore di Trento; infatti «Vicchi», prima di finire a Bolzano, era stato trattenuto in carcere a Trento.


«Dumas» operò per un lungo periodo nella zona di Asiago e conobbe «Spiridione», «Renga», «Oscar» di S. Donà di Piave, «Mirro», «Aramin» e molti altri; rimase a Bocchetta Portule fino al 3 luglio 1944 quando il gruppo si disperse in altre zone, qualcuno a Bassano, altri in Val Leogra. Il 5 luglio venne preso in un rastrellamento al Tombon di Schio assieme a Girolamo Lompo («Furia»), a «Carnera» di Magrè, a Beppin Beccaro (ora in Brasile), ad uno di Recoaro, detto il «Malgaro». Furono tutti deportati in Austria a Villach e di lì «Dumas» fu smistato in Polonia verso la Germania a Brick (Klagenfurt): qui si trovò con Giordano Pacuola («Oreste») di S. Donà di Piave, con Leone Franchini («Francon») ex carabiniere di Padova, con il giornalista Aurelio Piva di Vicenza. Vennero liberati dai Russi il 24 gennaio 1945 e lasciati liberi: il giorno stesso «Dumas» passò a Tarvisio e rientrò in Italia ripresentandosi a Poleo, dove rimase fino alla Liberazione.


La versione di «Dumas» sull’uccisione del russo è la seguente: «Due russi venivano su lungo il Gogna a pascolare alcune pecore e salivano poi all’osteria di Marsilio a bere un bicchiere di vino; nelle vicinanze abitava un maresciallo delle Brigate nere con la moglie, la quale – sapendo che mio fratello Domenico conosceva anche il russo – lo mise in contatto con i due “pecorai” per scambiare quattro parole con loro: erano due persone tranquille come le loro pecore. Quella sera venne su un solo russo, che si mise a parlare con mio fratello Domenico fin verso le 10,30-11 sulla strada, fra la Cooperativa e l’osteria da Marsilio; quando si lasciarono Domenico rientrò in casa e poco dopo sentì una raffica. Al mattino venne arrestato dai Tedeschi perché, su segnalazione della moglie del maresciallo fascista, era stato l’ultimo a parlare con il russo. Fu comunque dimostrata la sua innocenza e, benché tra gli ultimi, fu liberato. I Tedeschi avevano deciso di fucilare gli ostaggi o di dar fuoco al paese perché sul luogo dell’uccisione erano state trovate delle macchie di sangue non del tutto lavate ed anche alcuni bossoli».


La versione di «Dumas» viene a completare quanto è stato riferito in precedenza e, fino a che non verranno alla luce altre testimonianze, il «giallo» dell’incendio di Poleo resta con qualche zona d’ombra, come spesso avviene in casi del genere.




CADUTI DI POLEO


LUIGI ORGANO
( «Vicchi»)
Porta Manassi 20 maggio - Bolzano 8 luglio 1944


Nella primavera del 1944 fu frequente la migrazione di gruppi di partigiani della nostra zona verso l’Altopiano di Asiago, dove erano calati i primi aviolanci alleati. Questa «anabasi in Asiago» è densa di avvenimenti, di lunghe marce, di una grande fame da mancanza di rifornimenti, di attacchi tedeschi e di nostri caduti.


Della morte in Asiago il 7 aprile per un incidente d’armi di Tarcisio Conzato («Furia») si è già scritto. Anche di Ferruccio Bergozza («Sapienza») di Magrè il 20 maggio 1944 a Porta Manassi si è detto nel 6° Quaderno. È a quest’ultimo fatto d’armi che si ricollega la cattura di:

ORGANO LUIGI. Figlio di Luigi e di Rosa Petucco. Nato a Thiene il 17.5.1926, residente a Schio (Poleo) in via Villa Marini. Di lui riferisce Ampelio Bonato: «Quando venni a sapere che “Vicchi” era morto a Bolzano non fui così sicuro da parlare con il padre; questi era vedovo e si era risposato. Il sacerdote delle Carceri di  Bolzano don Giovanni Nicolli scrisse che “Vicchi” con i Tedeschi si dichiarava un partigiano e non una spia degli Alleati; quando venne fucilato gridò “Viva l’Italia e viva i partigiani!”. Il sacerdote dichiarò che Luigi Organo era un ragazzo che meritava di essere degnamente ricordato per il suo ammirevole comportamento di italiano. Tramite l’ANPI Ampelio Banato si interessò perché don Nicolli sistemasse una lapide nel cimitero di Bolzano.


PIETRO ZANELLA
(«Mercurio»)
Bojaòro - 11 luglio 1944


Figlio di Virgilio e di Beccaro Catterina. Nato a Schio (Poleo) il 28.3.1924 e residente in via Falgare, 21. Deceduto 1’11.7.1944 (Registro di Schio).

Ampelio Bonato racconta:

«Quella sera una pattuglia di partigiani guidata da “Matte” scese al Bojaòro ignorando che vi erano giunti dei fascisti in perlustrazione. Era giù buio, verso le 23, ma i fascisti lo scorsero e gli spararono; cadde a circa 150 metri dalle case ed il mattino dopo alcune donne lo portarono nella cella mortuaria di Poleo. Il giorno della sepoltura il Parroco, per evitare pericoli, consigliò di trovarsi in Cimitero, invece io organizzai la riunione in piazza per fare il corteo del funerale. Il padre si chiamava Virgilio ed era un perseguitato politico, che prima della guerra i fascisti venivano spesso a prelevare. Nel 1944 “Mercurio” era orfano di ambedue i genitori ed aveva uno zio, Gabriele Beccaro».

Igino Piva riferisce: «Quella sera mi trovavo con “Brescia” ai Corobolli sul versante verso il monte Enna ed in zona si trovavano anche “Alberto” e “Sergio” sul versante del Bojaòro; il motivo della loro presenza era un appuntamento per trasportare con i muli delle pezze di tessuto prelevate a Pieve per conto del Comando Garemi. Si udirono gli spari e furono lanciati anche dei razzi e quando arrivai sul luogo dell’appuntamento trovammo solo i muli».


L’uccisione di Pietro Zanella risulta narrata anche nella cronistoria del Parroco di S. Caterina:

«Nella contrada “Bojaòro”, essendo questa nascosta in una valle presso la contrada Corobolli, vi fu sempre un po’ di movimento di partigiani. In questi dintorni essi si nascondevano per eludere le insidie fasciste. La cosa venne a conoscenza della milizia nazi-fascista di Schio, che eseguì in quel luogo qualche perquisizione e rastrellamento. Il 28 luglio 1944 un reparto di detta milizia perlustrava quella località ed avendo scoperto un partigiano, lo uccise.

Questi era della Curazia di Poleo (NdA - Zanella Pierino - “Mercurio”). Per questa ragione vennero bruciate le due case della contrada: l’una era di proprietà di Cerbaro Florindo, residente in via Corobolli, e serviva soltanto come luogo di ripostiglio per fieno, legna, arnesi da lavoro, ecc. L’altra era di proprietà di Cecchelero Antonio, residente a Valli del Pasubio; la inquilina di questo era Frigo Maria ved. Bertoldo Giovanni, la quale in seguito si trasferì a Poleo di Schio. La Frigo ebbe distrutti effetti di vestiario, biancheria, letteraccio, mobili; il Cerbaro. oltre la casa, subì la distruzione di fieno, arnesi, carri, ecc.».




DUE CADUTI IN CASERMA CELLA
12 luglio 1944


PENAZZATO GIOVANNI («Pompei»)
Nato a Schio il 23-6-1922. Figlio di Francesco (cl. 1891 - tessitore) e di Santacatterina Caterina (cl. 1894 - operaia tessile) in passato residente alle Aste e qui detti i «Saco». Gianni frequentò le scuole elementari a Poleo, la quinta a Schio, la scuola serale dell’Istituto Tecnico al Castello; restò poi disoccupato perché, secondo la sorella non era iscritto al Fascio. Gianni decise così di anticipare il servizio militare e parti volontario il 14.7.1941 come montatore meccanico in Aviazione; alla fine del corso fu promosso tra i primi 10 su 350 allievi ed ebbe la facoltà di scegliere Treviso per il servizio successivo. Nell’ottobre del 1943 doveva conseguire il « brevetto» ma con l’8 settembre rientrò in famiglia alle Aste.

In novembre ricevette una lettera del suo Capitano da Torino con l’invito a presentarsi per ottenere il brevetto, ma quando vi si recò in dicembre fu chiara l’intenzione di aggregarlo ai reparti della R.S.I. e, si diceva, contro i ribelli piemontesi. Ritornò a casa, fu ricercato e quindi restò nascosto presso parenti a Sarcedo fino al marzo del 1944. Con la primavera e con il riorganizzarsi delle formazioni partigiane Gianni sentì quasi un dovere il partecipare alla lotta ed entrò quindi in pattuglia con il fratello Biagio («Bob») in quello che sarà poi il battaglione «Ramina Bedin». La zona prevalente di stanziamento era quella dei Corobolli, la Guizza, Cerbaro, Formalaita, Santacaterina e nei mesi di maggio e giugno «Pompei» partecipò a varie azioni, compresi i sabotaggi del 15-16 giugno.

Il mese successivo e precisamente il mattino del 12 luglio la pattuglia, mentre i componenti stavano pulendo le armi, fu colta da un improvviso rastrellamento tedesco. Gianni Penazzato, accortosi del pericolo, gridò ai compagni di scappare e si gettò giù per la scarpata attirando così l’attenzione dei tedeschi e consentendo ai propri compagni di sottrarsi alla cattura. Colpito da una raffica al bacino e all’addome venne catturato e trasportato su di una carretta a Schio in Caserma Cella.

La sorella Pierina così racconta:

«Appena fui informata della cattura di Gianni, corsi in bicicletta ai Cappuccini per avvisare mio fratello Biagio, che era sceso dal Novegno la sera prima, e poi cercai il gruppo di tedeschi che scendevano dal rastrellamento; a Ressecco in Valletta feci l’impossibile per convincere i tedeschi a portarlo all’Ospedale ma non ci fu nulla da fare, perché fu trasferito nel cortile della Caserma Cella; qui dopo un quarto d’ora giunse il grosso della compagnia di tedeschi con la roba che avevano portato via durante il rastrellamento e con essi ricordo che c’erano anche alcuni fascisti di Schio; in seguito entrò un maresciallo tedesco che cominciò a gridare: “Ribelle! Ribelle!” perché Gianni aveva i calzoni alla zuava, gli scarponi da montagna, una pistola scarica e una licenza militare (falsificata).

Il maresciallo mi allungò un calcio e mi mandò fuori dalla caserma in malo modo. Erano circa le 12,30. Corsi allora da Mons. Tagliaferro per vedere se poteva fare qualcosa, poi in Comune da Riccardo Santacaterina ed infine dall’interprete, che aveva sposato una di Schio; questi, pur non sbilanciandosi, lasciò sperare che i tedeschi lo avrebbero lasciato vivo.

Verso sera tornai dall’interprete con Biagio ma senza risultato; in seguito seppi che in caserma si era recato don Mario Brun e che erano già state ordinate le bare. Dopo essere stato ferocemente torturato, senza rivelare alcun nome, venne fucilato alle 10 di sera di mercoledì 12 luglio assieme ad Ismene Manea di Malo: furono colpiti tutti e due da una scarica, poi buttati nel letamaio della caserma e lasciati lì tutta la notte. La signora dell’osteria da Simon ci aveva permesso di guardare dentro. Il giorno seguente Riccardo Santacaterina ci fece avvisare che erano stati portati nella cella mortuaria del Cimitero civile e che sarebbero stati sepolti in giornata».

Il Ministero della Difesa in data 14 aprile 1967 ha concesso a Gianni Penazzato la medaglia di bronzo alla memoria.




ISMENE MANEA («Bruno»)


Nato a Malo il 14.3.1908 ed ivi residente assieme al fratello Ferruccio («Tar»). Ismene, perseguitato per motivi politici dai fascisti fin dal 1931, era fuoruscito in Francia e di lì si arruolò, allo scoppio della Guerra di Spagna, nelle Brigate Internazionali. Ferito e catturato dai falangisti venne torturato con ferri roventi e consegnato nel 1938 ai fascisti, i quali – dopo una breve sentenza del Tribunale Speciale – lo inviarono al confino a Ventotene.


Uscito dal confino nel settembre del 1943 si trasferì in montagna subito dopo l’occupazione tedesca per evitare l’arresto e la deportazione. Sulle colline sopra Malo diede vita, assieme al fratello Ferruccio, alle prime pattuglie partigiane della zona. Continuò la lotta durante l’inverno e la primavera del 1944 partecipando a varie azioni. Ismene fu catturato il 6 luglio da truppe «russe», incorporate nei reparti tedeschi, in località Ambre di Monte di Malo; tradotto in Caserma Cella di Schio fu più volte torturato, aizzandogli contro i cani; venne ucciso assieme a Gianni Penazzato la sera del 12 luglio 1944. Il Ministero della Difesa in data 3 maggio 1966 ha concesso ad Ismene Manea la medaglia d’argento alla memoria. A suo ricordo venne dato il nome al Btg.ne «Ismene», poi divenuto Brigata.


Di lui scrive Giacomo Calandrone in «La Spagna brucia» (Ed. Riuniti): «Ismene Manea, vicentino, muratore, emigrato politico in Francia. Venuto in Spagna con Picelli, partecipò a tutti i combattimenti, da Boadilla del Monte all’Ebro. Internato a Gurs; confinato a Ventotene. Partigiano. Caduto nelle mani dei nazisti, veniva rinchiuso in un cortile e fatto sbranare da sei feroci cani poliziotti».


Il fratello Ferruccio riferisce che Ismene era sceso a Malo e stava tornando per comunicargli che la madre era stata liberata dal carcere; giunto in località Ambre di Monte di Malo si era fermato ad una sorgente ed aveva messo giù l’arma per lavarsi e rinfrescarsi. I soldati ucraini avevano fatto un appostamento proprio a guella sorgente e quindi riuscirono a catturarlo. Ismene venne tenuto una notte a Monte di Malo verso il «Buso della rana» e poi tradotto a Schio in Caserma Cella.


Il giorno della fucilazione la madre si era recata a Vicenza per ottenere dal capitano Polga il permesso di parlare con il figlio per l’ultima volta; questi aveva quasi promesso che lo avrebbero mandato in Germania. Per un disguido nelle corriere non poté essere a Schio nel pomeriggio ed il mattino dopo, quando la madre si recò in caserma Cella, il tenente Siena disse: «Ah, lei è la madre!?»; tornò poco dopo con gli indumenti insanguinati e glieli sbatté contro buttandola a terra sul selciato. «Tar» aveva dato l’ordine, in seguito, di catturare vivo il tenente Siena o di sparargli a vista; viceversa fu giustiziato a Schio nei giorni della Liberazione.




APPENDICE

IL VILLAGGIO PASUBIO


Il Villaggio Pasubio venne costruito verso la fine degli anni trenta dall’Ente Autonomo Case popolari di Vicenza a seguito di cessione del terreno da parte del Lanificio Rossi e con la clausola che le nuove case popolari venissero date ad operai ed impiegati del Lanificio. Mussolini stesso pose la prima pietra in occasione del suo passaggio per Schio nel 1938. Nel 1943-45 risiedevano press’a poco le stesse famiglie di adesso (150-200), delle quali 10-20 di impiegati, le restanti di operai; funzionava un Dopolavoro per lo spaccio di bibite.


Un ambiente quindi tipicamente operaio in buona parte cattolico moderato ma con una maggioranza di sinistra; qualcuno a quel tempo era fascista ma in ogni caso né facinoroso né delatore. Fra le presenze da segnalare, al Villaggio Pasubio abitava Bortolo Ronda ed una sorella di Domenico Marchioro, il quale abitò appunto qui per un breve periodo dopo il suo ritorno da Ventotene.


Le vicende di questa piccola comunità operaia del Villaggio Pasubio durante la Resistenza non sono «eclatanti» ma fu invece costante e notevole la «partecipazione» attiva agli avvenimenti del tempo e, dopo la Liberazione, un ricordo vivo ed affettuoso verso alcuni caduti che in qualche modo erano collegati al Villaggio Pasubio; in una piccola aiuola-monumento si svolge ogni anno una ristretta ma sentita cerimonia con messa e discorso, ciò per merito di alcuni volonterosi promotori e delle donne del luogo.


Anche nella riunione tenuta presso l’ENAL il 14-12.1978 le presenze furono numerose e vivaci. Al di là dei grandi fatti storici mi è sembrato quindi doveroso ed anche importante sottolineare questo fenomeno locale di «partecipazione» collettiva, quasi corale, del Villaggio Pasubio alla Resistenza. Una partecipazione discreta, senza grandi sbandieramenti, ma durevole nel tempo, come tutte le cose più valide.


Nella riunione erano presenti:

1) FILIPPI GIOVANNI di Sebastiano (impiegato tessile) e di De Maestri Lucia. Nato a Schio il 29.12.1913, residente al Villaggio dal 1941. Impiegato tessile al Lanerossi.

2) SANTACATTERINA PIETRO. Di Angelo (invalido) e di Scolaro Maria. Nato a Schio il 12.5.1928. Operaio tessile.

3) NEFFARI PIETRO. Di Giovanni (guardia notturna Lanificio Pieve e di Gallo Maria. Nato a Schio il 22.8.1906. Operaio tessile.

4) GNATTA FELICE. Di Felice (minatore) e di Simonato Caterina. Nato a Fara Vicentina il 27.8.1918, residente a Schio dal 1923. Meccanico.

5) POGLIA LIDIA ved. Dalle Nogare Ludovico. Figlia di Pietro (fabbro a Magrè) e di Spiller Ampelia. Nata a Magrè il 5.5.1910. Operaia tessile.

6) MAULE LINO («Ciguito»), presidente del Circolo ENAL. Di Vittorio (elettricista) e di Presa Adelaide. Nato a Torrebelvicino il 2.9.1923. Residente nel 43-45 a Schio, in via Toaldi, 29. Fornaio da Vincenzo Lodisani in Via Pasubio.

7) LAGHETTO WALTER.



A. «25 LUGLIO 1943» - La notizia fu accolta, alla radio, da un gruppetto che si trovava al Dopolavoro: Giovanni Bonato, G.B. Rubini, Piero Neffari, Davide Restiglian, G. Filippi ed altri. Vi fu gran festa.

B. «8 SETTEMBRE 1943» - Alla Gogna c’era un posto di blocco di militari della Caserma Cella e quando nella notte arrivarono a Schio i Tedeschi quelli del Villaggio Pasubio corsero subito ad avvisare i militari e dopo averli riforniti di abiti civili provvidero ad «imbarcarli» verso S. Caterina.

C. «SCIOPERI DEL MARZO 1944» - Gli operai fermarono il lavoro, scesero tutti in cortile ed uscirono poi dallo stabilimento.

D. «PRIMAVERA DEL 1944» - Ebbe inizio l’attività di sussistenza alle formazioni partigiane e vengono ricordate anche alcune collette in fabbrica.

E. «PARTIGIANI IN MONTAGNA» - Nel ricordo dei presenti salirono in montagna: a) Ceccato Luigi («Momo») con « Guido» in Corbara a Montemagrè b) Ceccato Rino («Bocia»), fratello di Luigi, c) Lievore Nilo ed il fratello Luigi che parteciparono alla battaglia di Tonezza. Fra le donne, alcune funzionarono da staffette e vi furono collegamenti soprattutto con l’ambiente di Poleo.

F. «PERQUISIZIONE DEL VILLAGGIO PASUBIO» - Nell’autunno del 1944 un reparto tedesco circondò tutto il Villaggio Pasubio; era all’imbrunire, verso le sette di sera. Non si conoscono i motivi di questa improvvisa perquisizione, forse erano giunte voci che qui si nascondevano dei partigiani, dal momento che il Villaggio veniva chiamato «la piccola Russia». I Tedeschi passarono casa per casa segnando poi una croce sulla porta; vi fu un setaccio capillare ma non venne rotto o asportato niente. Anche in estate vi era stata una piccola perquisizione ed in casa di Giovanni Bonato in Via Pecori Girardi si trovavano anche Giovanni Filippi, Giovanni Rubini e Davide Restiglian; l’ufficiale tedesco, vista una botola sul soffitto, spostò un tavolo e salì nel sottotetto dove trovò un fucile da caccia con munizioni; quando scese disse: «Tenere bene per andare a caccia!»; forse non trovò il mitra e la sipe che c’erano sotto. Santacaterina nascose la pistola nella piana della pastasciutta e continuò a mangiare; un’altra volta l’aveva nascosta sotto le galline che stavano covando.

G. «LIBERAZIONE»- Per il Villaggio Pasubio è un momento di gloria. La sera del 28 aprile arriva Rubini da Magrè, dice di tenersi pronti e che sarebbe tornato appena aveva ordini. Il giorno dopo il gruppo dei territoriali («Fratelli Bandiera») si trova a casa di Giovanni Bonato in osservazione alla finestra socchiusa; passa. una pattuglia tedesca diretta a Torrebelvicino e Davide Restiglian grida: «Tutti a terra!». Infatti una raffica centrò la finestra ed entrarono 7 colpi. Dopo circa un’ora e mezzo arrivò Rubini: «Tusi, xe el momento de andar fora». Uscirono verso mezzogiorno con pistole e fucili da caccia e disarmarono una prima pattuglia che fu accompagnata in Municipio. Appena tornati ha inizio una violenta sparatoria contro un gruppo di Tedeschi che si erano appostati dietro la torretta del Cristo.

H.«IL CADUTO MARIO PETTINÀ» - Il gruppo del Villaggio Pasubio si infilò nel Gogna, spalleggiato da qualche partigiano più armato (Becenero di Poleo aveva una mitraglia). Erano verso le 16-17. Intanto arriva Sandro Cogollo («Randagio») per parlamentare con la bandiera bianca. Mario Pettinà, coltivatore diretto della fattoria omonima, era uscito di casa e si era aggregato ai territoriali del Villaggio Pasubio armato di un moschetto. Si era nascosto dietro un pilastro. Filippi e Beccaro (operaio da Dalle Molle) attraversarono la strada e passarono nel campo davanti quindi a Pettinà. Filippi si volta e gli fa: «Mario, sta coperto!», ma dopo dieci secondi lo vede piegarsi: era stato colpito da una pallottola in fronte, verso sinistra. Infatti un gruppetto di Tedeschi si era spostato nel Busale, dove ora c’è Gianelletti, e di lì avevano sparato. Sono del tutto infondate le voci che il colpo sia partito dalla casa di un fascista. Poco dopo arrivò una camionetta tedesca con un ufficiale con la bandiera bianca e con «Randagio». Mario fu raccolto e portato dentro in fattoria. Sulla torretta del Cristo i Tedeschi issarono la bandiera bianca. Giovanni Cavion riferisce che una parte di questi Tedeschi andarono verso Poleo e scesero a S. Trinità.

I. BOGOTTO GIACOMO - Abitava in via Salvatore Damaggio nell’ultimo palazzone, dove era venuto nel 1941-42, e si dedicava alla vendita al minuto del latte. Il 16 aprile 1945, fu ucciso dai fascisti nella Caserma di Via Carducci e qui esumato in giardino subito dopo la Liberazione. La vicenda e la tragica morte di Giacomo Bogotto sarà oggetto di altra ricerca.

L. GRAZIAN GIOBATTA - Di Daniele e di Marigo Giuseppina. Cl. 1923. Caduto sugli Appennini. Residente in via S. Damaggio.



NOTA
Nella riunione al Villaggio Pasubio Lidia Paglia ha fornito notizie di Armando Frigo («Spivak») e di «Joseph», il partigiano austriaco caduto in Raga. Inoltre Lino Maule («Ciquito») ha raccontato le sue vicende in Malunga con la pattuglia «La Valanga». Di questi argomenti verrà tuttavia riferito nei prossimi Quaderni.