QUADERNI DELLA RESISTENZA 
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Novembre 1978 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.

 
Volume VI
(da pag. 299 a pag. 314)

MAGRE'

di Elder Pizzolato
 
 
 

 

Magrè, agglomerato urbano sulla destra del Leogra in posizione leggermente superiore rispetto a Schio e ad una altitudine di 215 mt. s.l.m., vanta antichissima origine confermata dal rinvenimento di reperti archeologici che testimoniano la presenza dell’uomo fin dall’età neolitica. Ricco di storia Magrè fu sede comunale fino al 9 Aprile 1928 quando, con atto arbitrario, il governo fascista aggregò il comune di Magrè a quello di Schio.


L’ex comune di Magrè divenne così frazione di Schio; in seguito acquisì le caratteristiche di quartiere: il ponte sul Leogra lo divide dal centro della città. Magrè si collega attraverso la via Pio X e Ca’ Trenta a San Vito di Leguzzano; attraverso Monte Magrè ed il Passo Zovo a Valdagno; per Contrà Barona e via Pieve a Pievebelvicino.


Una grande espansione edilizia ne ha incrementato notevolmente la popolazione nel periodo susseguente la seconda guerra mondiale. Vale ricordare a grandi linee le tappe dello sviluppo demografico che all’inizio del secolo era di circa 2000 anime: nel 1915 si giunge a 2839 abitanti; nel 1930 a 3000 nel 1940 a 3300; nel 1950 a 4200; nel 1965 a 5800 (senza Ca’ Trenta, eretta a parrocchia nell’agosto del 1964). Attualmente Magrè sta raggiungendo il traguardo dei 7000 abi-tanti.


Fra i monumenti più insigni troviamo a Magrè l’antica parrocchiale del Cimitero Vecchio la cui erezione si fa risalire intorno all’anno 1000 e della quale resta a tutt’oggi il solo campanile essendo la costruzione, adibita a deposito di munizioni dai tedeschi nell’ultimo periodo bellico, saltata un aria il 29 Aprile 1945. Altri edifici che testimoniano la tradizione magredense sono: la chiesetta di San Zeno in Raga dove si rifugiavano gli antichi abitanti di Magrè in occasione di scorrerie, di invasioni o di pestilenze; la chiesetta della Madonna di Rio, legata ad una vecchia e poetica leggenda; la chiesetta votiva di San Rocco sul Castello, che ricorda la tremenda epidemia di tifo del 1928 (500 i colpiti dal morbo con 50 morti); la parrocchiale dei Santi Leonzio e Carpoforo; la più recente e moderna chiesa di San Benedetto nella zona nuova di viale Roma.


Sulle adiacenti colline di Raga e di Monte Magrè andò formandosi alla fine del 1943 e consolidandosi nel 1944 un nutrito e vivace movimento partigiano. Facendo capo alla casa di Pietro Barbieri, in Raga Alta, i reparti operanti trovarono nella zona quella comprensione e quella benevolenza che furono di conforto e di sprone nei giorni difficili dell’attesa, di aiuto nell’ora tragica della lotta, di esaltazione nell’agognato momento della vittoria.




I. IL BOMBARDAMENTO DI MAGRÈ



BONATO LUCIANA di Vincenzo e di Sella Virginia, nata a Magrè il 29.6.1933
BONATO SILVANA  di Vincenzo e di Sella Virginia, nata a Magrè il 19.2.1942
BONATO VINCENZO di Bonaventura e di Dalla Fina Lucia, nato a Magrè il 18.6.1904
DALLA FINA LUCIA ved. BONATO di Marcantonio e di Rigobello Maria Lucia, nata a Magrè il 16.7.1870
GRAMOLA LEONILDE  di Attilio e di Geffe Caterina, nata a Magrè il 31.1 0.1929



20 APRILE 1945. Frequentavo la prima media a Schio e quel mattino ero tornato anzitempo dalla scuola a causa dell’allarme aereo. (1)


Erano da poco passate le 11,30 quando stavo nel cortile di casa mia, a Magrè in Via Cesare Battisti n. 9 (ora Contrà Barona n. 11), naso all’insù a contare gli aeroplani (2) che passavano in formazioni massicce e serrate. Tutto sembrava svolgersi «come al solito» con gli apparecchi che andavano e che, più tardi, sarebbero ritornati dopo avere sganciato su qualche obiettivo le loro micidiali cariche. In quel mentre una fortezza volante (3), attardata rispetto allo stormo ed in evidente difficoltà – lo si sentiva dal rombo irregolare dei suoi motori – uscita dalla direttrice del Castellon e puntando su Magrè, forse per alleggerirsi, lasciò cadere sul paese quattro bombe di grosso calibro (4) causando cinque morti e notevoli danni. Ai sibili e agli scoppi assordanti fece seguito un momento di panico: dalla violenza dello spostamento d’aria si comprese subito che le bombe dovevano essere cadute molto vicino.


Mio padre fu tra i primi ad uscire sulla strada proprio mentre dalla Via Cesare Battisti scendeva una donna irriconoscibile, avvolta da una nuvola di polvere, che invocava aiuto in preda ad un grave stato di shock. Si poté individuarla in Virginia Sella, sposata a Vincenzo Bonato, solo quando la stessa si rifugiò presso la cognata Luigia residente nei paraggi. Elio Pizzolato, Carlo De Munari e Bruno Zaltron (anch’essi abitanti nella via) furono i primi a raggiungere ciò che era restato della casa agricola dei Bonato al numero 24 della odierna Contrà Barona. La stalla con il fienile, in mezzo al cortile, era stata centrata in pieno e di essa non restava che un mucchio di sassi, travi, calcinacci e paglia: anche la casa di abitazione era quasi interamente crollata. Purtroppo i soccorritori si resero conto che i danni non erano solo materiali; ecco come furono trovati i vari componenti della famiglia Bonato:

Vincenzo Bonato (classe 1904). Stava battendo la falce, seduto per terra nel cortile; rimase ucciso sull’istante. Il suo corpo, dilaniato, fu trovato per primo.
Silvana Bonato (classe 1942). Stava giocando nel cortile, vicino al padre. Investita dallo spostamento d’aria e dalle macerie morì a causa di una impressionante ferita alla testa: ebbe anche amputata la mano destra. Il corpicino fu rinvenuto subito dopo il ritrovamento del padre.
Luciana Bonato (classe 1933). Appena ritornata a casa con la nonna, fu colta mentre stava giocando nel cortile. Ricoverata subito all’ospedale di Schio, a causa di gravissime ferite, cessò di vivere nel pomeriggio dello stesso giorno.
Lucia Dalla Fina ved.Bonato (classe 1870). Giunta a casa da poco, di ritorno da un funerale, si era ritirata nella stalla (dove c’erano anche quattro mucche) con il suo tradizionale lavoro a maglia. Centrata dall’esplosione non fu trovato di essa che qualche brandello di carne faticosamente individuato e pietosamente riposto in una piccola urna dal medico di famiglia (sembra trattarsi del Dott. Vescovi). I miseri resti furono poi inseriti nella bara del figlio Vincenzo. (5)
Virginia Sella in Bonato (classe 1906). Coinvolta e ferita, non in modo grave, nel crollo dell’abitazione uscì subito, come già detto, per invocare soccorso. Successivamente fu ricoverata all’ospedale.
Luciano Bonato (classe 1932) figlio di Vincenzo. Tornato dalla scuola a causa dell’allarme, stava uscendo dal retro dell’abitazione per andare a prendere il pane. Ferito leggermente in più parti del corpo fu anch’esso inviato all’ospedale .
Giovanni Bonato (classe 1866) - sordomuto - zio di Vincenzo. Stava lavorando l’orto in fondo al cortile. Rimasto semisepolto da terriccio e calcinacci, fu trovato piangente in grave stato confusionale e trasportato a braccia, in barella, all’ospedale di Schio.



L’unico della famiglia a non riportare danni fu l’altro figlio, Silvano (classe 1935), in quanto la maestra, nonostante l’allarme, non aveva ritenuto utile fare uscire i suoi alunni (4a elementare al Circolo Cattolico di Magrè) anche se al verificarsi delle esplosioni non aveva poi trovato di meglio che rifugiarsi con gli scolari... dietro alla lavagna.


Un particolare curioso: nel mezzo delle macerie ci stava, ruote all’aria, una grossa automobile. Era del tassista Girolamo Arioli che, ad evitare la requisizione da parte dei tedeschi, aveva nascosto il veicolo tra il fieno  nel portico del Bonato. La prima bomba a cadere tuttavia non fu quella di Via Cesare Battisti bensì quella esplosa nel cortile rurale dell’abitazione al numero 14 (ora 37) di Via Broglialoco. Qui, in tre appartamenti diversi, abitavano la famiglia dell’agricoltore Giuseppe Pauletto, Adolfo Marcante con la moglie Maria Cencherle e Amalia Fioretto vedova Zanella con il figlio Luigi. (6)


Angela e Vittoria Pauletto, sorprese in cucina al momento dell’incursione, raccontano che al boato lacerante fece seguito immediatamente un buio pesto come fosse calata la notte mentre i vetri e le finestre andavano in frantumi e cadevano mobili e suppellettili. Al diradarsi della densa nube nera, e passato il primo comprensibile momento di terrore, hanno cercato i genitori e lo zio che stavano eseguendo dei lavori nella stalla e con essi e la Fioretto, ancora inebetiti, sono fuggite nel «brolo» che si estendeva oltre l’orto.


Qui hanno incontrato anche Maria Cencherle che si era venuta a trovare nel cono dell’esplosione e che era rimasta incredibilmente illesa nonostante lo scoppio le avesse strappato di dosso il vestito. Per un caso fortunato la granata cadde su una catasta di 500 fascine proiettandone parte addirittura fin sopra il tetto della chiesa parrocchiale e provocando un cratere di una dozzina di metri di diametro con una profondità di cinque.


La prima persona a presentarsi sul luogo, ricordano le sorelle Pauletto, fu il cappellano di Magrè Don Anselmo Sciviero che rassicurato sulla sorte dei sinistrati, e dopo averli rincuorati, corse a prestare conforto e soccorso nelle altre zone colpite. Anche le case adiacenti registrarono gravi danni e gli abitanti furono costretti, data la peculiarità dell’epoca, ad abitarvi per lungo tempo con sistemazioni di fortuna. Il terzo ordigno cadde sul muro perimetrale di nord ovest della casa di Attilio Gramola (classe 1895) al numero 4 di Vicolo del Torrente (ora Via Arrigo Boito n. 13). In quel momento erano in casa la moglie del Gramola, Caterina Geffe (classe 1896), che si trovava al primo piano, e le figlie Natalina (classe 1926), nel porticato sul retro della casa, e Leonilde (classe 1929) in cucina: il figlio Adriano (classe 1922) era uscito da poco. (Completava la famiglia l’altro figlio Marcello – classe 1924 – partigiano ed in quel tempo alla macchia se pure convalescente per una grave ferita riportata in una azione di guerriglia in quel di Brendola).


Lo scoppio distrusse completamente il fabbricato.


Adriano, che dall’abitazione di un amico aveva seguito l’evolversi dell’incursione, fece subito ritorno a casa trovandosi così per primo sul luogo del disastro. La scena si presentò impressionante: la madre in piedi e miracolosamente incolume sopra l’enorme cumulo di rovine fumanti, Natalina con delle escoriazioni ma Leonilde sepolta sotto le macerie con conseguenze facilmente intuibili.


Arrivarono intanto un camion con un drappello di fascisti, la squadra di emergenza e pronto intervento del Lanificio Rossi – salita a Magrè attraverso la passerella sul Leogra – e qualche volonteroso. Faceva parte del gruppo Lanerossi anche il padre Attilio che giunse così, senza saperlo, a prestare soccorso proprio a casa sua. Si iniziarono subito le ricerche della giovane e, dopo oltre un’ora di lavoro febbrile, si ritrovò il corpo esanime. Tentando di ricostruire i suoi ultimi movimenti sembrerebbe che, nell’udire i sibili delle prime bombe, essa abbia tentato di portarsi allo scoperto senza tuttavia averne il tempo. Colta in cucina al momento dell’esplosione, fu investita e ferita mortalmente alla testa dalla pietra del lavello divelta e scaraventata in aria dallo scoppio. Il corpo presentava anche una frattura ad un piede e qualche escoriazione.


La quarta bomba esplose in un prato fra le attuali Via Boito e Via Mascagni cagionando solo una buca nel terreno.


I funerali delle cinque vittime ebbero luogo sabato 21 Aprile con grande partecipazione di popolo. Le quattro bare (come si ricorderà i pochi resti di Lucia Dalla Fina erano stati riposti con il figlio) furono avvolte nel tricolore e trasportate con un autocarro del Lanificio Rossi parato a lutto.


Hanno reso testimonianze le seguenti persone di Magrè: PIZZOLATO ELDER (classe 1933) Impiegato -BONATO LUCIANO (classe 1932) Operaio tessile - BONATO SILVANO (classe 1935) Operaio tessile - GRAMOLA ADRIANO (classe 1922) Conduttore caldaie alla Lanerossi - PAULETIO ANGELA (classe 1906) Pensionata - PAULETTO VITTORIA (classe 1913) Pensionata - PIZZOLATO ELIO (classe 1907) Pensionato - ZANELLA LUIGI (classe 1922) Operaio tessile - ZANIN DOMENICO (classe 1911) Pensionato.



APPENDICE
ARCHIVIO CRONISTORICO DELLA PARROCCHIA DI MAGRÈ
1944


Agosto 13: Raccolta di elemosine e di oggetti per i sinistrati della guerra. In modo speciale dei paesi della Vallata del Chiampo -S. Pietro Mussolino bruciato - Chiesa e canonica distrutte; il Parroco D. Luigi Bevilacqua ucciso e bruciato. La raccolta fu generosa sia in danaro che in generi.


1945

(Probabilmente il Parroco, don Giuseppe Orsolon) stendeva il diario una volta la settimana: alla domenica.)

Aprile 22: Restrizioni per il coprifuoco da parte delle Autorità Germaniche (alle 20 precise). Minaccia di sanzioni e rappresaglie se non sono trattati bene i soldati germanici e se vengono trovate nelle case armi e munizioni. Durante il coprifuoco devono essere chiuse tutte le porte e le finestre.


Il 20 Aprile caddero a Magrè 4 bombe di grosso calibro e causarono la morte di 5 persone Bonato Vincenzo fu Bonaventura, delle figlie Luciana di anni Il e Silvana di anni 3 e della mamma Dalla Fina Lucia e di Gramola Leonilda di Attilio -di anni 16.


Lo stesso giorno il Parroco fu chiamato dal Tenente Germanico e ricevette l’ordine di avvertire la popolazione che se fosse fatto saltare un ponte sarebbero state abbruciate 20 case, se fosse stato trovato un tedesco morto sarebbero stati uccisi 40 civili, se si fossero trovate armi o munizioni in paese sarebbe stato abbruciato mezzo paese.


29 Aprile. Domenica IV dopo Pasqua. Giornata della liberazione dai tedeschi. Da due giorni grande passaggio di truppe tedesche in fuga dal Po. Oggi, alle 11,30 circa principio della lotta di liberazione fra Partigiani e Tedeschi.


A Magrè vera battaglia di fucileria, mitraglia e bombe a mano; vi era pure un cannone tedesco che dalla Via S. Vito (al passaggio della funicolare) tirava su Raga.


Alle 16 circa finisce la lotta colla resa dei Tedeschi i quali prima di fuggire fecero scoppiare le munizioni ammassate nell’Antica Chiesa Parrocchiale (dei SS. Leonzio e Carpoforo al Cimitero vecchio) distruggendola completamente, eccetto il Campanile; fecero poi scoppiare le altre munizioni più abbondanti ammassate nel costruendo Rifugio sotto il Castello arrecando molto panico e danni al fabbricati specie dei Sig.ri Vigna, dei Baron e dell’Asilo dove cadde metà coperto della grande sala e l’altra parte fu pure gravemente danneggiata in modo che durante le piogge che seguirono cadde l’altra parte ed inoltre fu gravemente danneggiato il fabbricato della Società Catt.


Nella chiesa furono divelte le grandi vetrate poste a nord ovest e le altre furono danneggiate. Morti nell’azione Corà Olinto di Giovanni ed un soldato tedesco.




STATISTICA DEGLI «ALLARMI» A SCHIO


(da «La Fiamma del Sacro Cuore - Schio» - Bollettino parrocchiale - Anno XIV ¬luglio 1945 -p. 6). Don Attilio Agosti tenne nota fedele e costante di tutti gli allarmi aerei avuti a Schio durante la guerra.


«In seguito alla dichiarazione di guerra da parte dell’Italia all’Inghilterra e alla Francia in data 10 giugno 1940, dalle ore 24, si ebbero in città i seguenti allarmi: Il primo allarme fu dato il 13 giugno 1940 alle ore 9.30. In tutto quell’anno gli allarmi furono 12. Da ricordare il settimo del 6 novembre, dalle ore 0.50 alle 1.50, durante il quale un apparecchio si aggirò nel cielo della città, ma sganciò le sue bombe nel territorio di Malo.

Nel 1941 gli allarmi furono 2 - Nel 1942 furono 4 - Nel 1943 furono 59 - Nel 1944 furono 281 - Nel 1945 furono 598 - Dal gennaio al maggio 1945: furono 956.

ANNOTAZIONI: Nel 1943, durante la notte del 10 settembre, truppe tedesche occuparono la città e il 14 settembre il Comando Tedesco si stabilì alla Casa del Fascio (ex villa Rossi), sulla quale venne issata la bandiera del Reich. Nel 1944, il 29 dicembre, un apparecchio da ricognizione, «Pippo», alle ore 5, sganciò una bomba alla stazione ferroviaria andando a colpire una catasta di pali, senza fare vittime, ma recando qualche danno alle case vicine. Nel 1945, durante l’allarme 365 il 2 gennaio, dalle ore 16,8 alle ore 17,4 fu effettuato il primo mitragliamento sulla città. Il 16 gennaio, durante l’allarme 399, dalle 9,17 alle 9,55 furono sganciate bombe alla periferia della Città, presso la stazione della SS. Trinità, senza vittime né danni. Il 4 febbraio, durante l’allarme 458, dalle ore 11,9 alle 11,36 secondo mitragliamento e sgancio di due bombe, rimaste inesplose, alla stazione ferroviaria.

Le bombe erano di q.li 2.50. Un apparecchio precipitava nella vicina Valle dei Mercanti. Unaltro apparecchio il 6 febbraio, durante l’allarme 472, dalle ore 12,35 alle 14,22, precipitava a Campagnola di Torre, presso i confini del nostro Comune. Il 14 febbraio, durante gli allarmi 510 e 511, alle ore 8 e 8,5, otto apparecchi sganciarono 16 bombe, che colpirono il Lanificio Rossi e via dell’Impero, causando Il morti e una cinquantina di feriti, danni al fabbricato e alle case vicine, vetri infranti per un largo raggio (al completo all’Istituto Sacro Cuore).

Il 17 febbraio durante l’allarme 530, dalle 12,45 alle 14,07 furono sganciate 2 bombe nei pressi della fabbrica Cementi e si ebbe il terzo mitragliamento in città. Il quarto fu effettuato il 24febbraio durante l’allarme 573, dalle ore 7,55 alle 8,40. Il 28 febbraio, durante l’allarme 608 dalle ore 15,35, alle ore 16,06, furono sganciate, da apparecchi che sorvolavano il cielo della città, una sessantina di bombe, che scavarono profonde fosse nei pressi del ponte di Liviera e presso la Chiesa, senza vittime e danni rilevanti. Il 4marzo, durante l’allarme 634, dalle ore 15 alle 17,20, quinto mitragliamento. Il 19 marzo, nell’allarme 728, dalle ore 13,45 alle 15,35, il sesto mitragliamento. Il 20aprile, durante l’allarme 906, dalle ore 10,55 alle 13,03, furono sganciate alcune bombe a Magrè, che causarono 5 morti e 5 feriti, demolirono le case e ne danneggiarono delle altre.

Il 23 aprile la gendarmeria Tedesca, che occupava la Casa del Fascio, silenziosamente (annusando l’aria infida!) se ne andava. Il 29 aprile, durante l’allarme 957, dalle ore 12,08 alle ore 16, cacciata dalle truppe Tedesche e Repubblicane ed occupazione della Città da parte dei Patrioti. Il 2 maggio alle ore 22, lungo suono delle sirene e delle campane, razzi multicolori nel cielo della Città, spari di mitragliatrici e di bombe per l’avvenuta cessazione della guerra. Il 7 maggio, alle ore 16,50, altro lungo suono delle sirene e suono festoso delle campane per l’annuncio della resa totale della Germania: la guerra in Europa era finita. Deo Gratias!».



COMITATO COMUNALE PER LA PROTEZIONE ANTIAEREA


Sede: Palazzo Comunale - Schio Manifestino del Commissario Prefettizio e Presidente del Comitato dr. Giulio Vescovi, stampato dalla Tipografia Pasubio e diffuso a Schio il 5 marzo 1945 (archivio Giovanni Meneghini).


AVVERTENZE ALLA CITTADINANZA

L’intensificarsi delle incursioni aeree nemiche sulla nostra Città ed il manifestarsi di conseguenti inconvenienti di vario genere, suggerisce al Comitato di notificare alla popolazione le seguenti norme e suggerimenti:

SEGNALI DI LIMITATO PERICOLO -Viene dato con 3 suoni prolungati di sirena. La circolazione stradale rimane libera. I viandanti circolino svelti e circospetti e cerchino il più vicino riparo dai mitragliamenti. Sono vietati gli assembramenti nelle piazze e nelle strade. I carri e gli automezzi siano avvisati del pericolo incombente ed avviati possibilmente in luoghi coperti oppure a ridosso delle case. I portoni delle case contrassegnati con disco rosso siano aperti per facilitare il ricovero dei passanti. Tutti i servizi cittadini continuano a funzionare.

SEGNALE DI GRAVE PERICOLO - Viene dato con dieci suoni corti di sirena. Tutti i cittadini devono correre subito ai rifugi. La circolazione è permessa per soli 10 minuti dopo il segnale. Le Forze Armate hanno la consegna di far rispettare queste disposizioni ed inciteranno cittadini a correre nei luoghi protetti.

CESSATO ALLARME - Viene dato con un solo suono prolungato di sirena. RIFUGI - I rifugi del Castello e del Leogra sono sicurissimi. Sono tuttavia da utilizzare anche le trincee protette per coloro che fossero sorpresi lontano dai rifugi. Se sono colpite in pieno, esse resistono bene allo scoppio di bombe vicinissime. Chi accorre nei rifugi, deve osservare le seguenti norme: a) Non soffermarsi nelle entrate, ma correre nel fondo del rifugio e nelle nicchie per non creare ingombri; b) Lasciare fuori le biciclette; c) Non gridare e prodigarsi per calmare il panico eventuale; d) Apposito personale vigilerà sulla disciplina interna dei rifugi; e) I medici e le infermiere presenti presteranno soccorsi ai bisognosi; f) Sia mantenuto il massimo silenzio e la massima calma.

OSCURAMENTO - Nonostante i ripetuti avvertimenti al riguardo si sono notate numerose infrazioni. I colpevoli d’ora innanzi saranno arrestati e puniti con forti ammende e con la sospensione per otto o più giorni della fornitura di energia elettrica. Sia fatta la massima attenzione alle illuminazioni delle scale con luminaria sul tetto. I luminari ed i vetri esterni delle finestre siano esternamente tinti a calce od altro colore per evitare riflessi lunari.

BOMBE INESPLOSE - Saranno subito segnalate al Comitato che provvederà ad apporvi un cartello e le farà al più presto rendere innocue. Il pubblico è invitato a starne molto lontano. Le case nelle immediate vicinanze siano subito sgomberate.

BOMBE A SCOPPIO RITARDATO - Queste bombe possono essere di grosso o piccolo calibro e di forme varie. È stato segnalato nella nostra provincia il lancio di moltissime bombe dette «a farfalla» perché dotate di una specie di paracadute metallico. Non bisogna toccarle in nessun modo perché possono esplodere al minimo urto. Avvertire il Comitato della presenza di questi ed altri sconosciuti ordigni perché sia provveduto al loro brillamento che di solito viene fatto sul posto.
Dopo le incursioni aeree nemiche sulla nostra Città si è notato che molti cittadini sono corsi sui luoghi colpiti attirati dalla sola curiosità di vederne gli effetti. Oltre che essere importuno e pericoloso per un possibile ritorno degli aerei incursori sullo stesso obiettivo, tali assembramenti intralciano le operazioni delle squadre di soccorso e delle persone incaricate al rilievo dei danni o ricerca di bombe inesplose. Viene pertanto vietato al pubblico di accorrere nei luoghi colpiti perché è già predisposto sufficiente personale per il soccorso delle eventuali persone colpite. Chi si trova illeso nella zona colpita cerchi di prodigare le prime cure ai feriti e sia sollecito ad inviare e possibilmente telefonare informazioni precise al Comitato che provvederà subito per i soccorsi del caso. (...).

FURTI - Si son registrati alcuni furti di biciclette durante e dopo gli allarmi e di oggetti vari nelle abitazioni sinistrate, compiute durante l’affollamento dei curiosi che sono penetrati perfino nelle abitazioni private. Sia noto ai malviventi che se sorpresi a commettere il furto in tale doloroso momento, saranno puniti sul posto, senza pietà.

SERVIZIO SANITARIO - A modifica di quanto disposto in precedenza, sia tenuto presente che i Posti di Pronto Soccorso sono stabiliti nelle seguenti località: 1) Istituto Canossiano - Entrata Via Fusinato e Pubblici Spettacoli; 2) Piazza A. Rossi - Ambulatorio dell’infal; 3) Piazza Statuto - Ambul. Ist. Maternità e Infanzia; 4) Via Pasubio  -Asilo Rossi; 5) Riva di Magrè - Ambul. del Dott. Sola - Riva di Magrè; 6) Quartiere Nuovo - Rifugio del Leogra. II pubblico prenda nota che sono stati predisposti depositi di barelle e coperte, oltre che presso tutte le fabbriche della Città, anche nei sottonotati luoghi e tutti ne possono far uso in caso di sinistro aereo, firmando una ricevuta alla consegna: (segue elenco di 29 luoghi). II Comitato Comunale in caso di necessità può mobilitare ogni cittadino e requisire qualsiasi materiale. Ogni eventuale richiesta sia immediatamente ottemperata. Scopo del Comitato è quello di proteggere i cittadini, limitare disgrazie e danni - soccorrere i feriti, aiutare i sinistrati. Il Comitato compie un’opera altamente umana e patriottica, quindi tutti i cittadini devono sentire il dovere civile ed umano di collaborare. Schio, 5 marzo 1945 XXIII -
Il Commissario Prefettizio e Presidente del Comitato Vescovi.



COMUNE DI SCHIO (ciclostilato) - Si avverte la popolazione che sono state abbandonate delle casse di esplosivi a forma di pezzi di sapone. Detti esplosivi debbono essere immediatamente consegnati in Municipio al Corpo dei Vigili Urbani. II trasporto non è pericoloso sempreché avvenga lontano dal fuoco. - Schio, 28 aprile 1945 - Il Commissario Prefettizio G. Vescovi.




II. I CADUTI DI MAGRÈ


BERGOZZA FERRUCCIO («Sapienza»)
Figlio di Marco (classe 1903) edi Zanrosso Carolina (classe 1903).
Nato a Magrè il 7 Gennaio 1926.
Morto a Porta Manassi (Asiago-Vezzene) il 20 Maggio 1944

Viveva in famiglia a Magrè, in Raga, al Palazzetto Saccardo. Dopo aver concluso la «3a Avviamento» lavorò circa un anno, quale apprendista, alla SMIT; poi fu licenziato. Aveva mantenuto costante l’amicizia con alcuni compagni di scuola che incontrava con una certa frequenza al Dopolavoro di Magrè.

Ai primi di maggio del 1944, deluso dalle prime esperienze riscontrate nell’ambiente di lavoro, rifiutò decisamente l’arruolamento nelle file della Repubblica Sociale Italiana, salutò la mamma e, incoraggiato da Pietro Barbieri, salì fra i partigiani nella zona dei Tretti dove, con alcuni amici e compaesani tra i quali Antonio Carraro, Ugo De Santi e Girolamo Lompo, venne assegnato da «Marte» (Giovanni Garbin) alla pattuglia di «Spiridione» (Daniele Panozzo) dislocata a presidio della zona Manassi sull’altopiano di Asiago, verso le Vezzene.

Con l’ingrossarsi dei reparti, susseguente alla stagione primaverile, andava però rivelandosi fra le pattuglie partigiane della zona la difficoltà di una altrettanto rapida organizzazione dei vettovagliamenti resa vieppiù ardua dalle misere condizioni della rada popolazione locale oltre che dalla precarietà dei luoghi. In quei giorni alcuni partigiani avevano recapitato al distaccamento dei Manassi tre buoi che furono subito macellati, squartati ed equamente divisi fra i reparti operanti nella zona; il magazzino viveri non disponeva però di nient’altro: né di un pezzo di pane, né di un qualsiasi altro alimento solido o liquido.

Purtroppo Ferruccio, che nel frattempo aveva assunto il nome di battaglia di «Sapienza», non riuscì ad assuefarsi all’inusitato regime dietetico: colto da gravi disturbi intestinali e da un forte attacco febbrile si vide inoperosamente relegato sul suo giaciglio di paglia all’interno della sguarnita malga, rifugio dei 15 uomini della pattuglia.

Nel primo mattino del 20 maggio fu notato dalle sentinelle un insolito movimento di automezzi sulla strada statale delle Vezzene: «Feltre» (Ugo De Santi) e «Black» (Camillo Campagnolo) furono inviati da «Spiridione» in avanscoperta fino all’«osteria del Termine» con il pretesto dell’acquisto di una fiasca di vino. In un attimo la situazione precipitò: i tedeschi e i fascisti, provenienti da una base del trentino, sbucarono da ogni parte ingaggiando una serrata sparatoria. I due esploratori, rimasti isolati e fatti segno a numerosi colpi d’arma automatica, cercarono scampo nella fuga mentre la pattuglia si ritirò verso la cima del monte per unirsi ai reparti operanti nella zona superiore ed organizzare la difesa in un campo strategicamente più favorevole.

«Sapienza», uditi gli spari e impossibilitato a seguire i compagni, si trascina all’aperto nonostante la sua malattia e, dal riparo di un albero, impegna battaglia con l’avversario. I fucili mitragliatori nemici hanno però ben presto ragione del pur caparbio moschetto del giovane partigiano che cade nel bosco di «Porta Manassi» crivellato di colpi. Nell’azione vengono catturati dai rastrellatori Luigi Organo di Poleo, successivamente fucilato a Bolzano, e Girolamo Lompo deportato poi a Dachau.

Al termine del combattimento «Feltre» e «Black» risalgono alla malga per ricollegarsi alla pattuglia: il casolare non è stato nemmeno sfiorato dal nemico.

Viene notata l’assenza di «Sapienza» ma nessuno è in grado di testimoniare sulla sua sorte: nulla esclude che il compagno possa essere riuscito in qualche modo a fuggire oppure possa essere caduto anche lui prigioniero nel repentino ed imprevisto assalto. Non c’è tuttavia il tempo per le ricerche, il nemico incalza ancora e potrebbe riprendere l’attacco; giungono altre forze partigiane, l’ordine è di riorganizzarsi subito e di ripiegare quanto prima verso Gallio e Marcesina.

L’avventura di Ferruccio Bergozza rimase oscura per circa un anno. I dubbi e le angustie della mamma, tormentata da incubi e sogni, furono suffragati solo qualche giorno dopo la Liberazione. La donna, dopo avere cercato e implorato informazioni da tutte le parti possibili, salì a Porta Manassi con due carabinieri della stazione di Tresché Conca e dopo estenuanti ricerche, su indicazione di un malgaro, trovò i resti insepolti del figlio ai piedi di un abete in mezzo al bosco. Il riconoscimento fu possibile attraverso i rimasugli di stoffa che coprivano ancora il cadavere. Ciò che restava di Ferruccio fu raccolto in un’urna e tumulato a Schio nel Sacello della SS. Trinità.

Testimonianze di:
Zanrosso Carolina in Bergozza (Madre) - Classe 1903 Pensionata - Via Toniolo - Schio Bergozza Luciano (Zio) - Classe 1907 Pensionato - Viale Roma, 124 -Magrè De Santi Ugo («Feltre») - Classe 1925 Pensionato - Viale Roma, 124 - Magrè



CICCHELERO DOMENICO («Lupo») Figlio di Vincenzo (classe 1894) e di Baccheri Maria (classe 1900) Nato a Valli del Pasubio il 25 Novembre 1925 Morto a Colletto di Posina il 12 Agosto 1944
La famiglia Cicchelero è immigrata a Magrè, da Valli del Pasubio, nel 1926 stabilendo la residenza in Raga.

Dall’età di 15 anni Domenico presta la sua opera nelle Cave di caolino della Valle dei Mercanti, a Torrebelvicino, finché la sua classe, il 1925, non viene direttamente coinvolta negli eventi bellici. All’inizio del 1944 le numerose perlustrazioni e i rastrellamenti nazifascisti che sistematicamente si susseguono, anche se preannunciati dalla compiacenza di un soldato germanico di fede socialista che dal Cimitero Vecchio sale spesso in Raga a scambiare quattro chiacchiere, in tedesco, con papà Vincenzo – costringono il giovane renitente a ricercare di continuo nuovi e più sicuri nascondigli.

Nella tarda primavera, con l’intensificarsi della lotta al ribellismo, Domenico, ossessionato dall’idea di essere la possibile causa di danni o rappresaglie per la famiglia, decide di abbandonare i suoi cari e con malcelata nostalgia sale stabilmente sul Novegno per aggregarsi, con il nome di battaglia di «Lupo», ai partigiani del Battaglione «Apolloni»; durante il mese di Luglio viene inquadrato nel distaccamento di «Glori» (Giovanni Cavion).

Ai primi di Agosto il giovane, con un biglietto, invita la madre a salire sul Colletto di Posina con alcuni capi di vestiario di cui ha urgente bisogno: l’appuntamento è per il 12 Agosto. La mamma, indossati sotto ai suoi gli indumenti del figlio, per non destare sospetti con un pacco nel caso di cattivi incontri, sale senza esitazioni sul monte con l’incontenibile ansia di rivedere il suo «Nico» ma, giunta in Contrà Pozza, è fermata dalla guida che doveva condurla al figlio essendo in atto nella zona un micidiale rastrellamento.

Delusa, ma non doma, la donna si fa indicare la via e prosegue da sola con rinnovate energie verso il luogo dell’incontro quando una improvvisa gragnuola di proiettili la convince di essere divenuta d’un tratto il bersaglio di un drappello di tedeschi: getta borsa e scarpe e fugge a precipizio riuscendo ad eludere i soldati, a trovare rifugio in una grotta nel pendio del bosco e a fare quindi ritorno alla Contrà Pozza. Più in alto intanto si continua a sparare: una intera divisione tedesca è spiegata nella terribile operazione diretta all’annientamento dei ribelli stanziati nella Val Posina e nei monti circostanti.

Intanto, poco lontano dal punto d’arrivo di Maria Baccheri, da «Thomas» (Antonio Nardello), capo della pattuglia di patrioti appostata al Colletto di Posina, giunge un partigiano di «Glori» recante l’ordine di fornirgli un uomo con cui accompagnarsi ad una malga del Monte Novegno per prelevare un toro da macello che si era rotto un garretto. «Lupo», che ha dimestichezza coi luoghi, si offre volontario e parte con il nuovo arrivato per il compimento della missione.

Solo dopo avere affrontato le impervie rampe del Novegno i due si accorgono di essere piombati proprio nel mezzo dell’azione di rastrellamento della zona; allora «Lupo» ripiega prontamente verso la sua postazione per avvisare i compagni del grave pericolo mentre l’altro scende precipitosamente verso Poleo dove conosce l’ubicazione di un bunker. Seguendo la testimonianza di alcuni malgari, raccolta e riferita da Angelo Cicchelero e Antonio Nardello, i fatti sono cosi proseguiti:

«Una nutrita sparatoria precedette l’apparizione di “Lupo” che si appressava zoppicante a Malga Fontana forse colpito da una pallottola o forse ferito accidentalmente nella sfrenata corsa di avvicinamento. Il partigiano, appoggiandosi ad un bastone, puntò dritto verso un tratto scoperto con l’evidente intento di guadagnare il vicino crinale e di gettarsi nel fitto bosco di carpini dell’altro versante. Una raffica lo raggiunse nell’attimo decisivo. Caduto sulla cresta del monte fu subito accerchiato da una torma di nemici che infierirono sul corpo inerte con il calcio dei loro fucili.»

Nel frattempo la pattuglia di «Thomas», messa sul chi va là dalle detonazioni, riuscì a sganciarsi e a sottrarsi all’accerchiamento. Il rastrellamento si protrasse per tre giorni: durante una pausa i malgari di Malga Fontana riuscirono ad occultare il cadavere in una galleria e quindi, dopo circa un mese, a seppellirlo nei pressi con una bara rudimentale.

Dopo qualche tempo i familiari, ignari dell’accaduto, iniziarono le ricerche e ancora una volta fu la mamma, accompagnandosi all’altro figlio – Angelo – di dieci anni, che sfidando avversità e pericoli batté a più riprese tutti i casolari della zona spingendosi fino alle lontane contrade del Monte Majo dove si diceva avessero trovato rifugio alcuni partigiani feriti. Le disperate indagini della povera donna si arrestarono dopo oltre un mese, e ancora in Contrà Pozza, davanti ad un brandello di stoffa, ad un frammento di cintura, ad una ciocca di capelli.

Al termine della guerra la salma del Caduto fu recuperata dai compagni d’arme e posta in una camera ardente allestita a Pievebelvicino dove il padre, e solo lui, volle pulire minuziosamente i miseri resti e ricomporli in una nuova bara interrata poi al Sacrario della SS. Trinità.

Testimonianze di:
Baccheri Maria vedo Cicchelero (Madre) - Classe 1900 Pensionata - Via Raga Bassa - Magrè Cicchelero Angelo (Fratello) - Classe 1934 - Autista Via Papa Giovanni XXIII - Ca’ Trenta Nardello Antonio («Thomas») - Classe 1924 - Fioraio Via Novegno, 40 -Pievebelvicino



CORÀ OLINTO Figlio di Giovanni (classe 1865) e di Paia Lucia (classe 1870) Nato a Magrè il 21 Agosto 1909 Morto a Magrè il 29 Aprile 1945

«Già la luce della vittoria splendeva nel cielo del 29 Aprile confortando i cuori, asciugando il pianto di mamme spose figli e fratelli CORÀ OLINTO Partigiano nel nome d’Italia cadeva perché la Vittoria resa più santa dal sangue non venisse meno nel ricordo del cittadini.»
Questa lapide commemorativa, murata sul frontale della casa al n. 14 di via Giambellino a Magrè, ricorda il sacrificio di Olinto Corà.

Aveva 35 anni, non era sposato, abitava con i vecchi genitori e le sorelle in via Broglialoco; lavorava come fuochista al Lanificio Rossi di Pieve dove era stato assunto solo nel 1932 dopo il servizio militare svolto tra gli alpini.

Calmo, taciturno, un po’ introverso ma generoso, aveva sempre avversato in cuor suo il fascismo e con entusiasmo aveva risposto, nel 1944, alla chiamata del movimento partigiano che stava solidamente organizzandosi sulle colline di Magrè. Impossibilitato a lasciare la famiglia, entrò quale territoriale nelle formazioni ribelli, rivelandosi tra i più attivi, sempre pronto a portare aiuto ai compagni in armi tanto nelle necessità inerenti il recupero di aviolanci quanto ci fosse stato il bisogno di recare a destinazione quei viveri e vettovagliamenti che il fratello Augusto, titolare di un negozio di alimentari, riusciva in qualche modo a procurare nonostante le ristrettezze dei tempi.

E il 29 Aprile fu tra i primi, con il Battaglione «Barbieri», ad entrare in Magrè dalla parte di via Camino Al crocicchio «dei Ciscati,» da tempo con la requisizione dei locali migliori, bisognava snidarli dalle loro posizioni per portare finalmente a compimento l’impegno assunto: la liberazione della città. Il Battaglione si fraziona in pattuglie ripartendo i compiti e delimitando le zone da occupare e difendere.

Olinto, con alcuni compagni, sale, armi in pugno, lungo la via Piazza (ora via Giambellino) verso il campanile e la chiesa di Magrè; bisogna procedere con precauzione; i portoni, i cortili, le stesse finestre che si affacciano sulla strada possono nascondere insidie mortali: e così è infatti. Ad un tratto Olinto, rompendo gli indugi, forse preso dalla foga della battaglia imminente, entra decisamente, per una ricognizione, nella «Corte dei Castaldi» ed è proprio lì che la spietata legge della guerriglia trova ancora una volta funesta conferma: alcuni soldati tedeschi in agguato sparano a vista e si dileguano attraverso gli orti retrostanti.

Per Olinto non c’è nulla da fare: a Magrè si continua a combattere di casa in casa, per il nemico la capitolazione è imminente.

Testimonianze di: Ciscato Maria vedo Scorzato (Nipote) - Classe 1917
Pensionata - Via Broglialoco - Magrè Barbieri Guerrino («Marat») - Classe 1919 Pensionato - Via U. Giordano, 2 - Magrè



FIORETTO GIANCARLO («Lampo 2°»)
Figlio di Giuseppe (Classe 1888) e di Accia Maria (Classe 1883)
Nato a Magrè il 31 Gennaio 1925
Morto a Nanto il 12 Aprile 1945


Rimasto orfano di madre in giovane età, Giancarlo cresce in famiglia con il padre e la sorella Margherita. Dopo avere brillantemente portato a termine le 3 classi dell’«Avviamento» si inserisce subito nel mondo del lavoro dapprima, per un breve periodo, presso la Fonderia De Pretto-Escher Wyss e poi, definitivamente, quale impiegato all’Ufficio del Registro di Schio conquistando la stima e la simpatia di colleghi ed amici per la sua fine personalità e per il suo carattere serio, riflessivo, responsabile e nello stesso tempo estroverso e sportivo.

Nel 1944 i bandi repubblichini non ammettono esoneri di sorta: Giancarlo, sofferente di nefrite e con il padre invalido, è ugualmente fatto abile all’arruolamento. Il giovane, pur non riconoscendosi in particolari colori politici, si ribella all’ingiustizia ed abbraccia senza remore la causa della Resistenza e, anche se non può vivere permanentemente alla macchia a causa della sua vacillante salute, si rivela ben presto «territoriale di lusso» per l’instancabile lavoro di staffetta e di contabile e per il suo prezioso contributo nel reperimento di medicinali e vettovagliamenti in favore dei reparti partigiani dislocati nella zona di Raga.

Segnalato al nemico da alcune spie, rimane intrappolato nello stesso rastrellamento notturno del 27-28 Ottobre 1944 in cui fu trucidato Pietro Barbieri: sorpreso nel sonno nella Casa Caporali di Raga bassa viene catturato e imprigionato ma successivamente rilasciato per l’insufficienza degli indizi emersi. Giancarlo non si arrende e riprende la sua attività fino a quando, braccato ancora dai nazifascisti, si rende inevitabile il suo trasferimento onde schivare un nuovo possibile arresto che potrebbe riservare una tragica conclusione.

Nel Gennaio 1945 il giovane patriota si trasferisce a Bagnolo di Po, in provincia di Rovigo, dove trova cordiale ospitalità presso una famiglia di contadini ai quali offre il suo aiuto nell’espletamento dei lavori agricoli. Con l’approssimarsi dell’azione conclusiva della Liberazione Giancarlo non resiste alla tentazione di ritornare al suo paese per dare man forte ai compagni nel momento decisivo.

Il 12 Aprile parte dal Polesine in bicicletta con pochi viveri in saccoccia: a Noventa conta di incontrarsi con un amico scledense, in quel centro per motivi di lavoro, che dovrebbe essere abbastanza influente da procurargli un salvacondotto fino al termine del viaggio. Purtroppo, proprio quel giorno, l’amico è a Schio in famiglia. Il giovane non disarma e, conscio dei gravi pericoli incombenti, riprende vigorosamente a pedalare verso Vicenza. A Ponte di Nanto si profila improvvisamente un posto di blocco. All’intimazione dell’alt il ciclista cerca disperatamente la fuga: i nazifascisti lo inseguono con micidiali raffiche di mitra che non falliscono il bersaglio.

«L’uomo muore ma il suo operato resta» soleva ripetere Giancarlo alla sua madrina; nulla di più coerente poteva riservargli il suo doloroso destino.

Testimonianze di: Fioretto Margherita vedo Graziani (Sorella) - Classe 1922 Pensionata - Via S. Croce, 84 - Schio Ciscato Maria vedo Fabris - Classe 1903 Pensionata - Via S. Benedetto, 25 - Magrè Barbieri Guerrino («Marat») - Classe 1913 Pensionato - Via U. Giordano, 2 - Magrè

NOTA
1. - FIORETTO GIANCARLO - 
«Purtroppo, proprio quel giorno, l’amico è a Schio in famiglia. Il giovane non disarma ... ».

In data 15.1.1979 Oscar Lago ci ha cortesemente fatto pervenire la seguente testimonianza:

« Giancarlo, arrivato a Noventa Vicentina, in località Bergonzin, dove vi passa la statale che da Este conduce a Vicenza attraverso la Riviera Berica, chiede notizie del sottoscritto ad un meccanico di biciclette, imbattutosi forse casualmente. Nel breve colloquio, Giancarlo lasciava al meccanico i saluti per me. Gentilmente l’artigiano mi veniva subito a trovare all’Esattoria Consorziale di Noventa Vicentina, raccontandomi l’accaduto, ma senza però fare il nome dell’amico, che un po’ preoccupato, poiché proveniva da oltre Po, aveva proseguito la sua marcia verso Nanto. A questo punto rimasi veramente perplesso. Cercavo di pensare, fantasticare, per scovare insomma l’identità di questo giovane scledense. Niente da fare. Dopo alcune ore, lo stesso meccanico, ritornava concitato nel mio Ufficio, comunicandomi che l’amico del breve messaggio era stato ucciso a Ponte di Nanto.

Come aveva fatto a saperlo? Noventa Vicentina dista circa una quindicina di chilometri da Ponte di Nanto. Comunque, era venuto a saperlo e allora per me rimase il grave compito, in quei particolari momenti, di andarlo a riconoscere. Partii in bicicletta alla volta di Ponte di Nanto, senza sapere però cosa potevo andare incontro, considerato che prossima era la liberazione. Pertanto, arrivato con qualche timore a Nanto, chiesi sùbito della Canonica e quindi del Sig. Parroco. Mi presentai e brevemente raccontai il motivo di questa mia venuta. Immediatamente mi accompagnava su per il colle dove era ubicata una Chiesetta che raccoglieva momentaneamente la Salma dell’amico per me ancora anonimo.

Aperse la porta, entrammo, il corpo inanimato era coperto da un bianco lenzuolo, adagiato su di un catafalco. Il Reverendo lo scoperse, mi feci forte e cominciai a guardarlo da diverse angolazioni, lo ricopersi e ritornai un attimo fuori da quella Cappella mortuaria. Dopo alcuni minuti, ritornai dentro, lo scopersi nuovamente e ancora da varie angolazioni; mi convinsi allora, che si trattava del caro amico Giancarlo Fioretto. Uscii all’aperto e mentre il Sacerdote stava per chiudere la porta della Chiesetta disadorna, gli confessai che quella giovane vita era un mio amico. A questo punto il Sig. Parroco mi invitava a recarmi dal Commissario Prefettizio per il riconoscimento di rito.

Mi decisi senza sapere cosa potevo andare incontro a contatto con queste Autorità. Effettivamente riuscii a cavarmela bene ma con tanta paura. Poi, mi interessava di raggiungere Magrè per dare la ferale notizia al Sig Parroco. I familiari ebbero la notizia dal Sacerdote stesso. Un triste ricordo dei miei 23 anni» - Oscar Lago. 



SANDRI GAETANO ARTURO

Figlio di Raimondo (classe 1883) e di Dalle Fusine Giovanna (classe 1886) Nato a Magrè il 19 Ottobre 1908 Morto a Pievebelvicino il 28 Aprile 1945

Nato nel 1908 a Magrè, in Raga Alta, Arturo Sandri fu amico di Pietro Barbieri fin dall’infanzia. Chiamato alla ferma di leva in fanteria nel 1929 fu richiamato al servizio militare in occasione della seconda guerra mondiale e dislocato in Croazia con un reparto addetto alla sorveglianza dei convogli ferroviari.

Nel Gennaio del 1935 sposò Caterina Tisato dalla quale ebbe due figli: Gastone, nel Dicembre dello stesso anno, e Ivano nel 1939. Colto in terra croata dagli eventi dell’8 Settembre 1943 riuscì avventurosamente a fuggire e ad approdare con una barca a remi, assieme ad altri 3 commilitoni, sulla costa romagnola. A fine Ottobre raggiunse la famiglia, che da circa un anno si era trasferita in via Borgofuro a Pievebelvicino, e subito si rimise in contatto con Pietro Barbieri che già allora aveva parte preminente nel costituendo movimento ribelle.

Ad Arturo, che poteva disporre di documenti e salvacondotti sicuri portati dalla Croazia, si preferì affidare le mansioni di territoriale dovendo necessariamente riservare ai più giovani i nascondigli ed i compiti propri delle squadre in armi. Rimanendo nella sua casa Arturo continuò a prestare, con costanza e abnegazione, la sua collaborazione alla causa.

Alla vigilia della Liberazione, il 28 Aprile 1945, in ossequio all’ordine diramato dal Comandante delle forze partigiane di Pievebelvicino, raggiunge con altri compagni la contrada Piani per prelevare le armi ivi nascoste e prepararsi all’attacco finale. Il gruppo, individuato dalle vedette nemiche appostate sul Monte Castello, viene attaccato da due pattuglie tedesche. Non ancora definitivamente armati i patrioti cercano la dispersione favoriti dal fuoco di copertura del loro capo-pattuglia e di pochi altri fucili disponibili mentre il nemico non fa economia di munizioni.

Arturo, nell’uscire da una casa dove aveva trovato un primo e sommario riparo, viene falciato da una raffica. Anche Antonio Calli, proprietario della casa stessa, ed un altro patriota, Giovanni Pavin, vengono colpiti a morte. All’indomani, giorno della Liberazione, le salme furono ricuperate e composte nella camera ardente allestita all’Ufficio Postale di Schio. Per espresso desiderio del padre e della sposa Arturo Sandri venne sepolto a Magrè nella tomba di famiglia. Testimonianze di: Sandri Remigio (Fratello) -Classe 1914

Pensionato - Contrà Barona, 5 -Magrè Sandri Ivano (Figlio) - Classe 1939 Libero Professionista - Via Borgofuro, 12 - Pievebelvicino Barbieri Guerrino «Marat» - Classe 1919 Pensionato - Via Giordano, 2 - Magrè



URBANI FRANCESCO («Lupo» )
Figlio di Bortolo (classe 1883) e di Maggio Eufelina (classe 1889) Nato a Lonigo il 17 Dicembre 1925
Morto a Marola di Chiuppano il 26 Agosto 1944


Nella numerosa famiglia degli Urbani (genitori e 9 figli) residenti a Magrè Francesco crebbe vivace ed irrequieto. Piantò la scuola alla terza elementare; frequentava l’Istituto Salesiano di Schio dove gli era concesso sfogare il suo brio e la sua predilezione per il gioco del calcio. Fu assunto quale operaio al Lanificio Cazzola al posto del fratello Gustavo (classe 1915) allorché lo stesso fu richiamato alle armi.

Nel 1941, quando Gustavo cadde combattendo in Grecia, attratto dalla sua grande passione per la meccanica, si arruolò volontario nella Marina Militare. La ferma però si protrasse solo per qualche mese dopodiché rientrò in famiglia fino alla chiamata di leva, ancora in Marina e quindi anticipata, nel 1943. Dapprima a Venezia, poi nel ferrarese Porto Garibaldi, il marinaio Francesco prestò servizio fino al maggio del 1944 quando disertò per unirsi ai patrioti del distaccamento garibaldino di Raga.

Con Francesco Urbani («Lupo») salirono in collina anche Armando Ciscato («Messina»). Sergio Lana («Cita»), Giovanni Sartori («Bresci») ed Ernesto Spiller «( Spavento»): ad accogliere le nuove reclute fu lo stesso comandante, Pietro Barbieri («Battaglia»), che inquadrò i giovani magredensi nel suo reparto operante nella zona compresa tra Priabona e Rovegliana. I mesi di Maggio, Giugno e Luglio registrarono normale lavoro di routine: addestramento alla guerriglia e attività di pattuglia con qualche azione di disturbo e sabotaggio.

25 Agosto 1944.

«Alberto» (Nello Boscagli), Comandante della «Garemi», ordina a «Battaglia» di inviare un distaccamento sul Monte Grappa. Il comando della missione viene affidato a «Marat» (Guerrino Barbieri) con il commissario «Serra», un nobile sardo ex tenente dell’Aeronautica Militare. «Marat» e «Serra» partono lo stesso giorno con 34 uomini: fa parte della spedizione anche «Lupo» (Francesco Urbani).

A notte inoltrata il gruppo giunge sulla cima della collina di Marola nei pressi di Chiuppano: il comandante predispone il bivacco nel bosco dopo avere predisposto un adeguato servizio di guardia. Il programma della guarnigione prevede la sosta fino al tramonto dell’indomani; in questo lasso di tempo, oltre al riposo, si dovrebbe provvedere al rifornimento di viveri rendendosi vieppiù problematico il vettovagliamento nei giorni successivi.


Alle 4 del mattino un imponente passaggio di automezzi nelle strade sottostanti provoca l’allarme delle sentinelle. È già troppo tardi: il distaccamento è ormai accerchiato. Appare evidente la delazione di una spia. Una autentica marea di tedeschi, russi e fascisti armati di automatiche leggere, mitragliatrici e mortai sale serpeggiando e restringendo gradatamente il cerchio attorno al male armato manipolo di partigiani.

Appena il nemico giunge a tiro «Marat» col suo «Brens» dà il via alla sparatoria: alle prime luci dell’alba la battaglia divampa sulla collina e si protrae, tremenda, per oltre cinque ore. Finalmente i patrioti riescono ad aprirsi un varco e a sfuggire alla terribile morsa. Il nucleo di «Marat» e «Serra» si ricompone verso il Bosco nero di Granezza: mancano «Lupo» (Francesco Urbani) e «Pascià» (Nello Tarquini) caduti nel combattimento.

Nel frattempo i nazifascisti raccolgono i loro morti e i loro feriti e scaricano la loro vendetta sui corpi dei due giovani avversari che lasciano insepolti ai margini del bosco. Alla sera un contadino di Carrè raccoglie inosservato le due salme e, nascoste in un carro di angurie, le trasporta fino a Centrale dove mani pietose provvedono a darne provvisoria sepoltura in un campo di granoturco. Testimonianze di: Maggio Eufelia, vedo Urbani (Madre) - Classe 1889 Pensionata - Via Comici -Magrè Urbani Guerrino (Fratello) - Classe 1916

Pensionato - Via Pasubio - Schio Barbieri Guerrino «Marat» - Classe 1919 Pensionato - Via U. Giordano, 2 -Magrè



ZANROSSO MIRALDO Figlio di Pietro (classe 1897) e di Sandri Maria (classe 1896) Nato a Monte Magrè il 12 Gennaio 1924 Morto a San Vito di Leguzzano il 21 Settembre 1944 Secondo di cinque fratelli (dei quali il più anziano, Carlo classe 1921, deportato in Germania) l’artigliere alpino Miraldo Zanrosso ritornò alla sua contrada Zovo di Monte Magrè dopo 1’8 Settembre 1943 giungendovi, a piedi, dalla Carnia.

Trovò subito occupazione quale minatore nella miniera di Contrà Bernardi con l’ulteriore compito di coadiuvare il padre, proprietario di carro e buoi, nel trasporto del carbone alla filanda e alle fornaci di San Vito di Leguzzano. A seguito di tale incombenza aveva ottenuto dal Comando Tedesco l’esonero dalla mobilitazione corredato di regolare lasciapassare. Per la sua particolare posizione geografica, casa Zanrosso si prestava a luogo d’incontro tra i partigiani delle vallate del Leogra e dell’Agna e le solite ignote delazioni portavano spesso le perlustrazioni dei nazi-fascisti a lasciare dolorose tracce nella zona.

14 Settembre 1944: rastrellamento e nuove prepotenze dei repubblichini che, dopo avere banchettato con quanto hanno potuto razziare nella contrada, invitano il giovane Miraldo, sospettato di favoreggiamento verso i patrioti, ad approntare carro e buoi e a seguirli per il trasporto delle salmerie. Al risoluto diniego della mamma, Maria Sandri, il padre si offre volontario e cosi Pietro Zanrosso inizia la sua triste peregrinazione che lo porta a Navale, Valdagno, Crespadoro e poi ancora a Valdagno dove, abbandonati carro e buoi presso una famiglia di conoscenti, viene obbligato a seguire i suoi persecutori dapprima a Torrebelvicino e poi a San Vito di Leguzzano. Rinchiuso nel carcere approntato presso la locale casa della dottrina cristiana per Pietro Zanrosso viene a delinearsi una critica situazione: sarebbe stato imprigionato quale ostaggio fino alla costituzione del figlio.

Miraldo, forte dei documenti in suo possesso, si presenta subito onde ottenere la scarcerazione del genitore. Padre e figlio vengono invece trattenuti sotto sorveglianza con il pretesto che il Comando, con il grosso del reparto, è fuori sede per un rastrellamento sul Monte Grappa. Ed in effetti i militi delle Brigate Nere di San Vito rientrano alla base il 21 Settembre inferociti per le perdite subite nell’azione del bassanese e, dopo avere prelevato dall’ospedale di Malo il partigiano Luigi Castini ivi ricoverato perché gravemente ammalato e scelto un altro prigioniero nella persona di Fiorenzo Costalunga, si apprestano spietatamente ad assassinare, per rappresaglia, gli ostaggi.

La cinica brutalità degli aguzzini pone i malcapitati di fronte ad una nuova, ignobile alternativa: il conforto della religione subordinato alla fucilazione alla schiena; secondo loro, per non passare da ignavi, bisogna morire senza prete! Cattolici professati i due Zanrosso non vogliono ripudiare la fede di cui sono convinti assertori. Per la tragica e pietosa incombenza viene chiamato, dallo stesso Comando fascista, don Giovanni Fracca Parroco di San Vito.

Raccolte le confessioni dei condannati il sacerdote chiede disperatamente la grazia per tutti riuscendo, e solo in extremis, a strappare Pietro Zanrosso al plotone di esecuzione. Per gli altri, purtroppo non c’è nulla da fare: alle ore 17 del 21 Settembre 1944, lungo il muro perimetrale del cimitero di San Vito, i tre sventurati ostaggi vengono fucilati sotto gli occhi increduli e costernati di Pietro Zanrosso. La salma di Miraldo, composta nella cella mortuaria dello stesso cimitero di San Vito, viene tumulata l’indomani a Monte Magrè.

A confermare vieppiù la loro crudeltà, i fascisti trasferiscono Pietro Zanrosso alle carceri di Vicenza, poi a Verona e a Peschiera e quindi sulla strada della Germania lungo la quale il prigioniero riesce con uno stratagemma a fuggire per fare ritorno allo Zovo nel tardo autunno con indelebili, sul corpo, i segni delle privazioni e delle sevizie subite. Testimonianze di: Sandri Maria ved. Zanrosso (Madre) - Classe 1896
Pensionata - Via Rive - Magrè Diario cronistorico della Parrocchia di San Vito di Leguzzano.