QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Ottobre 1977 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
Volume I
PRESENTAZIONE
Il nome di "Schio" appare in tutte le pubblicazioni finora edite sulla Resistenza Italiana eppure di nessuna città o cittadina veneta è stato forse scritto così poco come sulla Resistenza scledense. Il Rapporto "Garemi" di Aramin che sembra far testo, ha una sua validità per certi aspetti non per altri; gli "Eroi della Val Leogra" di "Giulio" furono, nelle intenzioni, soprattutto un doveroso riconoscimento al sacrificio dei molti che per la Resistenza morirono; le scarse notizie apparse in articoli occasionali, numeri unici, cataloghi non hanno varcato probabilmente la soglia dell'ambiente cittadino; anche la Relazione dell'Amministrazione Civica di Schio del 1970 ha un suo carattere generale e non sembra sia stata ancora recepita dagli storici della Resistenza. Di conseguenza ogni notizia che appare, nei vari libri, su Schio e la sua zona è spesso chiaramente di riporto dai testi prima citati oppure deriva da qualche testimonianza occasionale raccolta qua e là dagli Autori più attenti.
Questa carenza di informazioni e di analisi storiche caratterizza quindi la Resistenza armata e civile della zona di Schio, il centro operaio e industriale - con Valdagno - più importante di tutto il Veneto durante la seconda guerra mondiale. Per colmare in tempo questo vuoto di notizie i componenti del "Gruppo Cinque" (EMILIO TRIVELLATO, VALERIO CAROTI, DOMENICO BARON, REMO GRENDENE, GIOVANNI CAVION) di Schio, a conclusione di opportuni ripensamenti, hanno elaborato l'idea di avviare una serie di QUADERNI DELLA RESISTENZA da pubblicare frazionati negli anni, ciascuno redatto come una piccola antologia di saggi, note, inchieste e memorie prima che siano disperse, in questo liberi da un ordine cronologico sistematico. L'iniziativa è indipendente da enti promotori qualsivoglia ed è stimolata dall'interesse all'argomento dei lettori....[...]
[La presentazione è stata scritta prima dell'ottobre del 1977 e ovviamente risente del tempo trascorso. Su Schio oggi sono apparsi molti contributi storici, alcuni di grande valore, che hanno colmato, magari in parte, quel vuoto denunciato dal "Gruppo Cinque" a cui va il merito di avere edito una magnifica raccolta di notizie e di saggi sulla storia della resistenza di Schio e dintorni, ndr.]
SCHIO: 8 SETTEMBRE 1943
I. Inchiesta di Emilio Trivellato
Gli avvenimenti scledensi qui descritti si riferiscono ai giorni che vanno dal mercoledì 8 settembre 1943 alla domenica successiva. Ogni capitolo è preceduto da una breve relazione, in termini generali e con nostre considerazioni, ma è seguito e completato da documenti e da testimonianze di persone che hanno fornito elementi di rilievo per la ricostruzione degli eventi; anche senza intenzione possono risultare versioni inesatte o discordanti, specie nei dettagli, ma ciò è dovuto al tempo trascorso e alla soggettività dei ricordi.
I - L’ANNUNZIO DELL’ARMISTIZIO
8 settembre 1943
A Schio quel mercoledì 8 settembre era un giorno festivo, come in tutta la Provincia, per la tradizionale “Festa dei oto”. Il tempo sereno e il clima ancora estivo avevano spinto gli scledensi alle solite passeggiate pomeridiane verso Montemagrè, le Aste o lungo lo stradone di Santorso; invece i militari del 57° Reg.to Fanteria di stanza a Schio si trovavano annoiati in Caserma Cella e molti di loro sedevano sui davanzali delle finestre con le gambe penzoloni. Nessuno a Schio e pochi in Italia sapevano che l’armistizio era già stato firmato in Sicilia fin dal 3 settembre.
Al Dopolavoro di Magrè parecchi amici se ne stavano in chiacchiere di guerra e di politica, quando entrò – verso le cinque-sei – Albino Anzolin dicendo di aver captato da un’emittente clandestina la notizia dell’armistizio dell’Italia. Domenico Baron si alzò e scese a Schio per cercare l’on. Domenico Marchioro, l’amico tornato in agosto dal confino politico, e per cenare con lui al “Vittoria”.
Intanto molti scledensi erano già a tavola per la cena e le donne avevano messo assieme una minestra lunga come l’anno della fame, mezzo uovo sodo e qualche patata condita con l’olio autarchico.
Alla carica di allegria festaiola seguita all’annunzio del 25 luglio che “Mussolini è caduto ma la guerra continua”, una incertezza generale era anche a Schio il clima dominante.
Le forze dell’ordine vigilavano, gli antifascisti si riunivano semiclandestini, ma il grosso problema – a detta degli strateghi da caffè – erano le divisioni tedesche attestate in Italia. Tutti speravano nell’intimo in un ritorno dei “nostri” e in un ritiro dei Tedeschi dal fronte italiano (a).
Appariva chiaro però che nel caso di una ritirata tedesca le divisioni della Wehrmacht si sarebbero attestate sulle Prealpi venete coinvolgendo la zona di Schio in una situazione simile ma ben più distruttiva della Prima Guerra Mondiale.
Durante la modesta cena degli scledensi di quell’8 settembre la Radio trasmetteva una canzonetta in voga “Vieni c’è una strada nel bosco”, quando d’un tratto la voce del presentatore annunciò che il Maresciallo Badoglio avrebbe diffuso un comunicato agli Italiani.
Alle 19,42 si udì: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi perdite alla Nazione, ha chiesto l’armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
Molte famiglie di Schio erano in ascolto perché in attesa dell’abituale comunicato Radio delle 20, ma a quell’improvviso annunzio si precipitarono sulle vie a sentire il parere degli altri e a commentare la notizia, con l’esuberanza di chi vive la storia d’istinto. Nessuno poteva allora sapere che quel giorno del 1943 sarebbe diventato l’”8 settembre”, di cui tutti di una certa età hanno la loro storia triste da raccontare.
In Val Leogra suonarono le campane a stormo e vi fu gran festa e animazione in tutta la vallata. Gran gente per le strade a Schio e qualche comizio. Le prime ombre invasero i portoni e l’oscurità dilagò per le vie. Nessuno voleva infilarsi a letto, quella sera memorabile, ma l’idea di dover tornare al lavoro al mattino – non c’è armistizio per chi lavora – convinse anche i più riottosi. Schio by night diventò la cittadina silenziosa di sempre.
TESTIMONIANZE
ANZOLIN ALBINO. Nato a Schio (Tretto) il 20-2-1904. Nel 1943 abitava in via Collareo, 1 a Magrè. Di Giuseppe (cl.1857) e di Comparin Luigia. Artigiano.
“In quei giorno eravamo tutti a caccia di notizie e molti in ascolto della Radio, specie le stazioni clandestine (Radio Londra, Radio Algeri e qualche altra). Nel pomeriggio (ore 16-17) riuscii a captare una stazione che annunciava in italiano l’armistizio dell’Italia. Mi recai subito al Dopolavoro di Magrè (poi Circolo Operaio) per riferire e commentare la notizia; qui c’era molta gente ma oggi ricordo solo Baron e Bicego”.
LAMPREDA GIUSEPPE. Nato a Sovizzo (Vi) il 24-8-1924. Recluta del 57° Reg.to Fanteria nella Caserma Cella di Schio. Res. Ad Alte Ceccato.
“Nel pomeriggio dell’8 settembre mi ero recato a Torrebelvicino a trovare una ragazza, le quale, verso le 17-18, mi consigliò di tornare in caserma perché aveva sentito voci dell’armistizio dell’Italia. Rientrato, uscii nuovamente e cenai a Schio in una trattoria con 3 scalini davanti; dopo l’annunzio Radio fui informato dell’ordine di rientrare in Caserma Cella”.
BARON DOMENICO. Nato a Schio il 30-4-1899 (cit.)
“Venni a conoscenza dell’armistizio nel tardo pomeriggio dell’8 settembre al Circolo Operaio di Magrè: Decisi quindi di scendere a Schio per cenare con Domenico Marchioro al “Vittoria” in via Pasubio. Dopo l’annunzio della Radio Italiana molte persone si erano riunite di fronte alla trattoria e, alla nostra uscita, qualcuno sollecitò un discorso che ebbe luogo in piazza Alessandro Rossi. Il Tenente dei Carabinieri, sopravvenuto per l’assembramento, raccomandò che l’oratore fosse breve e contenuto. Domenico Marchioro sottolineò innanzitutto l’amarezza di una guerra voluta da Mussolini e infine concluse che l’armistizio dell’Italia non era in fondo che l’ultimo atto, l’epilogo previsto della dittatura fascista. Un applauso concluse il discorso”.
LAMPREDA BRUNO. Nato a Sovizzo (Vi) il 16-8-1917. Titolare di un magazzino di medicinali e sanitari in Vicenza.
“Ero sergente addetto all’Ufficio Personale – sezione Ufficiali al Comando dell’XI Corpo d’Armata di stanza a Lubiana. Verso le 13-13,30 un maresciallo delle Informazioni si precipitò giubilante in mensa sottufficiali annunciando l’armistizio. Mio fratello Giuseppe si trovava nella Caserma Cella di Schio, mentre Gino era in Grecia. Tutti fummo deportati in Germania”.
LAIS LINO. Officina Meccanica – Schio.
“La sera dell’8 settembre mi trovavo con amici al Cinema Sociale, dove proiettavano Suess l’ebreo, “revisionato” rispetto alla prima visione al Civico; verso le ore 20 la maschera diede la notizia dell’armistizio ed i militari presenti sembravano impazziti dalla gioia”.
FOGLIO DI DIARIO. Il direttore della Biblioteca Civica di Schio Gianni Conforto ci ha cortesemente trasmesso una copia su carta riso di un dattiloscritto rinvenuto fra le sue carte e di provenienza ignota (G.B.Milani?), avente comunque i caratteri di un diario “giornaliero” dell’epoca. Per alcune imprecisioni in esso rilevate è da ritenere che qualche notizia sia di seconda mano. Assieme alle testimonianze, nei vari capitoli, abbiamo anche riportato il testo di tale Diario.
“8 settembre 1943 – All’annuncio della radio dell’avvenuto armistizio, la popolazione di Schio si dà ad un euforico se pur contenuto entusiasmo”.
Nota: MARCHIORO DOMENICO – ricerca anagrafe di Schio. “Nato a Torrebelvicino (Vi) il 20-10-1888. Di Mariano e di De Santi Maria. Operaio. Rientra a Schio da Milano il 26 agosto 1943. Si trasferisce a Roma il 10 dicembre 1946”. Attivo nella zona di Schio. Fu condannato nel processone del 1928 a 17 anni dal Tribunale Speciale assieme a Gramsci, Scoccimarro, Terracini ed altri dell’Ufficio Politico del P.C.I. Rientrò a Schio da Ventotene. Dopo la Liberazione fu deputato alla Costituente e morì a Roma. Anche i fratelli Carlo e Isidoro furono noti antifascisti. Nel primo C.L.N. provinciale, costituitosi in Vicenza il 20 settembre 1943, il Partito Comunista Italiano era rappresentato da due scledensi: l’on. Domenico Marchioro sceldense d’adozione ed Emilio Lievore, di nascita; erano inoltre presenti l’avv. Segala (P.S.I.U.P.), l’avv. Ettore Gallo ed il Prof. Mario Dal Pra (Partito d’Azione), l’ing. Andrea Rigoni di Asiago (indipendente) [cfr. R.Pranovi e S.Caneva, Resistenza civile e armata nel vicentino, Vicenza, 1973]
II. LA “DELEGAZIONE” DEI CIVILI ALLA CASERMA CELLA
9 settembre 1943
Il mattino successivo – giovedì – cominciò tranquillo con gli operai nelle fabbriche, gli impiegati negli uffici e i commercianti che aprivano le loro botteghe sfornite di tutto; vi era comunque un diffuso parlottare nelle vie e nei posti di lavoro perché si sperava di sapere qualcosa di nuovo: la comunità era diventata come un grosso cervello che riuniva le tante piccole notizie dei singoli seguendo i circuiti più strani e complessi.
Si agitava il gruppo alla trattoria “La Pergola” in via Verdi, quelli di Magrè al Circolo Operaio non erano da meno, A Ressecco altrettanto, perfino in Municipio si confabulava. La possibilità di seguire oggi i movimenti e gli incontri di ognuno, chi c’era e chi no, è praticamente da escludersi, però sono attendibili alcuni fatti avvenuti nel pomeriggio: una riunione semiclandestina del partito comunista in via Verdi, incontri in Municipio con il Segretario Comunale ed altri, una “delegazione” antifascista alla Caserma Cella.
Tutto questo movimento e darsi da fare dei civili sfociò infatti in una specie di corteo che risalì via Pasubio e fece ressa davanti al portone della Caserma Cella. Era maturata l’idea di difendere Schio dai Tedeschi mediante un’azione combinata fra civili e militari, confidando in una insurrezione generale in Italia o in uno sbarco degli Alleati (b).
Oggi quelli che affluirono alla Caserma Cella convengono che fu un impulso spontaneo più che una strategia di difesa ragionata. Al cancello si volle parlare con il Maggiore e dopo un va e vieni all’interno furono ammesse un paio di persone; forse il Comandante temeva un’irruzione oppure così recitava il regolamento; vi fu una lunga attesa dei “diplomatici” nei corridoi finchè gli scledensi furono ammessi all’udienza.
La proposta era di collaborazione per la difesa armata di Schio, ma il colloquio risultò negativo a causa della diversa posizione e mentalità degli interlocutori: da una parte dei privati cittadini, e in quel momento non erano niente di più, dall’altra un Maggiore dell’esercito che era stato orbato di disposizioni “superiori” e che forse per la prima volta nella sua vita si trovò costretto a decidere di testa sua in una situazione così grave e imprevista. L’esito fu deludente e cadde così la difesa armata di Schio.
In quel pomeriggio sembra che qualcuno, con esperienza di situazioni simili, avesse avanzato una soluzione più drastica per sbloccare la situazione in Caserma Cella, in modo da avviare i militari alle loro case e accaparrare la dotazione di armi e munizioni per la prevista guerra partigiana. Comunque venne sera, in un silenzio foriero di sventura, e tutti presagirono l’arrivo dei Tedeschi.
TESTIMONIANZE
BARON DOMENICO (cit.)
“Nel pomeriggio del 9 settembre ebbero luogo in Municipio dei colloqui con varie persone e con il Segretario Pietro Bolognesi. Ricordo che più tardi in un folto gruppo ci si avviò lungo via Pasubio e di fronte alla Caserma Cella si fece ressa. Entrai dal Maggiore con Gianrenato Scalabrin, anzi rammento che nei corridoi mi fermai a chiacchierare con vari Ufficiali, alcuni dei quali, dopo l’attacco tedesco, vennero a cercarmi a casa per un aiuto. Il Maggiore aveva una mentalità tipicamente militare e il colloquio fu inconcludente, perché lui riteneva che i Tedeschi cercavano solo il modo di uscire dall’Italia”.
CANOVA ANTONIO. Nato a Schio l’1-1-1905. Già modellista alla De Pretto Escher-Wyss. Nella guerra partigiana fu comandante del Btg. “Fratelli Bandiera” poi vice-commissario Brigata Val Leogra – Divisione “Garemi”,
“Un ferroviere – mi sembra autista del Presidente della Società Veneta segnalò che nella stazione di Schio c’erano alcuni vagoni in sosta con materiali vari di sussistenza ma uno contenente anche armi e munizioni. Con Cracco Livio ed altri decidemmo di andare in Stazione il mattino successivo per togliere i sigilli e trafugare le armi, purtroppo durante la notte vennero i Tedeschi e il trasporto ebbe luogo con un tedesco piazzato con il fucile mitragliatore vicino al Monumento A.Rossi all’incrocio di Via Pasini”.
LIEVORE SILVANO. Di Schio. Nato a Genova il 12-8-1916. Operaio tessile. Condannato per antifascismo a 5 anni di confino di polizia alle isole Tremiti. Attivo durante la Resistenza (guastatori).
“Nel primo pomeriggio di giovedì 9 settembre si riunisce alla trattoria “La Pergola” in via Verdi il direttivo del Partito Comunista. Presenti 12-14 membri (Rino Sella; Pietro Bressan, Natalino Baron, Alessandro Cogollo, Alfredo Lievore, Silvano Lievore, Lino Bonato, Gastone Sterchele e altri di cui non ricordo il nome). Si esamina la situazione e si decide sul da fare proponendo la lotta armata”. “Nel gruppo che si recò alla Caserma Cella ricordo Domenico Marchioro, ing. Nilo Griso, Baron, i Lievore, Renato Scalabrin e un centinaio di persone”.
SCALABRIN GIANRENATO. Nato a Schio il 4-2-1901. Industriale. Il padre Costantino (cl. 1872) agli inizi di secolo era un socialista moderato, per cui in famiglia si respirava aria antifascista. Dopo l’8 settembre Gianrenato Scalabrin fu più volte ricercato per arresto ed ebbe noie per l’omonimo “Scalabrin” di Malunga.
“Nel pomeriggio del 9 settembre ricordo che ad un certo momento mi trovavo in piazza A.Rossi con molta gente, fra i quali rammento solo – dopo tanti anni – il Dr. Bressa e Alessandro Cogollo. L’on. Domenico Marchioro era appena tornato dal confino e lo conoscevano bene solo gli amici di partito. Dal Maggiore entrarono sicuramente due sole persone: Domenico Baron e il sottoscritto, ma non escludo che qualcuno abbia varcato il cancello mentre eravamo a colloquio. Il Maggiore (35-40 anni) fu gentile, ci fece accomodare ma non ne ebbi una buona impressione. Disse quasi testualmente: “Con i miei soldati sono nella possibilità di respingere chiunque!”
LAMPREDA GIUSEPPE (cit.)
“Nel pomeriggio del 9 settembre in Caserma Cella vi furono accese discussioni specie tra gli Ufficiali: alcuni erano dell’avviso di rilasciare i militari verso le loro famiglie, altri suggerivano di attendere. Non ricordo la delegazione dei civili per la confusione che regnava in cortile e nei corridoi. Verso sera alcuni più anziani si calarono all’esterno della Caserma con lenzuola annodate. Noi giovani reclute eravamo meno preoccupate e restammo in Caserma. Ricordo che me ne andai in camerata, come al solito, a dormire in branda”.
DAVANZO ERMINIA. Di Schio. Il padre Giuseppe era custode e bidello delle Scuole Elementari di Via Marconi (“Bepi bidélo”).
"Negli scantinati e corridoi delle Scuole erano sistemati circa 300 militari, specie gli ultimi arrivi della classe 1924. Verso le 17,30-18 dell’8 settembre cominciò a circolare a Schio la notizia dell’armistizio. Nel pomeriggio del giorno dopo, 9 settembre, vi furono discussioni fra i militari ma predominava l’idea che gli americani erano ormai sbarcati e fra un paio di settimane sarebbero arrivati anche a Schio, mentre i Tedeschi si sarebbero ritirati dall’Italia. Non valeva quindi la pena di scappare subito a casa”.
FILIPPI MARIO. Di Edoardo. Nato a Schio l’1-10-1917. Sergente del 57° Fanteria. Abitava allora a Poleo in Via Marini. Fratello del M° Emilio Filippi.
“Ebbi notizia dell’armistizio a Poleo verso le 17,30-18 (alle 17 ero appena smontato di guardia). Rientrai in Caserma assieme a Guido Beccaro. Il mattino del 9 settembre, verso le 9,30-10 un gruppetto di militari della Wehrmacht che erano attendati a Schio si presentò all’ingresso della Caserma Cella ed alcuni Ufficiali Tedeschi entrarono a parlare negli uffici del comando. Nel pomeriggio del 9 mi portai alle Scuole Marconi, dove appunto al mattino vidi arrivare i Tedeschi”.
CAVION GIOVANNI. Di Giovanni. Nato a Schio il 29-4-1913. Tessitore al Lanificio Conte. Comandante partigiano.
“Nel pomeriggio del 9 settembre ero con amici nell’osteria da “Simon” e si discusse molto sulla possibilità di fabbricare delle armi e di usare tubi di ferro riempiti di esplosivo come bombe a mano”.
I TEDESCHI IN VALLETTA DEI FRATI
Risulta da più versioni che un gruppo di militari della Wehrmacht (10-12) si attendarono nella buca della Valletta dei Frati circa una settimana dopo il 25 luglio e che, durante la loro permanenza, scattarono molte fotografie di Schio. Dopo l’annunzio dell’armistizio dell’Italia e precisamente il mattino del 9 settembre questi Tedeschi si recarono a conferire con il Maggiore della Caserma Cella e poi se ne andarono da Schio. Considerando che il programma tedesco di occupazione dell’Italia era già predisposto fin dal 26 luglio, questa “presenza” in Valletta spiegherebbe la perfetta conoscenza dei luoghi dimostrata dai reparti di SS che occuparono Schio la notte fra il 9 e il 10 settembre e metterebbe in secondo piano le “voci” insistenti di rapporti fra Tedeschi ed elementi fascisti locali nell’occupazione della cittadina.
FOGLIO DI DIARIO: “9 settembre – Nelle prime ore del mattino, il presidio militare tedesco lascia Schio con tutti gli automezzi per ignota destinazione”.
FIAMMA DEL SACRO CUORE – Settembre-Ottobre 1943.
“Cronaca parrocchiale – 30 agosto: Due aviatori germanici, qui di passaggio, Schneidler e Alfred Finkbeiner, della Radio Berlino, danno una audizione di musica sacra in Duomo, con pezzi di Bach, Shubert, Schulz, Hassler, etc”.
III. LA SERA DELL’ATTESA
9 settembre 1943
Nella tarda sera del 9 settembre molti scledensi erano ormai convinti dell’imminenza di un attacco tedesco. Una prima considerazione fu la seguente: se a Roma, a livello di Comandi, fosse stato concordato un ritiro dei Tedeschi dall’italia – come il Maggiore della Caserma Cella voleva far credere – le zone di Schio e di Bassano sarebbero già state interessate da un passaggio di truppe che non si era notato.
Venne quindi considerata da alcuni una seconda ipotesi e cioè che i Tedeschi avrebbero continuato la loro guerra sul suolo italiano senza i nostri militari, ma ciò era in contrasto con l’ultima frase dell’armistizio (“Esse reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”).
L’attacco alle truppe italiane poteva venire nei Balcani dai Partigiani jugoslavi ma in Italia gli unici attaccanti non potevano essere che i Tedeschi. La frase lasciava inoltre capire che nessun accordo esisteva con i Tedeschi al momento dell’annunzio, ma questo accordo – si pensava – era forse stato raggiunto all’ultimo momento, come sempre in Italia.
Però l’incontro deludente alla Caserma Cella, in parte scontato, aveva insinuato un’altra e ben più triste impressione e cioè che, a livello di Comando, il distaccamento di Schio fosse privo di ordini superiori: il che non era logico.
Segreto militare, d’accordo, ma la gente notava una incongruenza fra l’invito di Badoglio alla difesa e l’aria di smobilitazione e di sala di attesa di terza classe che avevano i soldati in Caserma Cella. La speranza o meglio l’illusione che il governo Badoglio avesse predisposto le cose per bene – sia verso gli Alleati che verso i Tedeschi – cominciò a cadere a mano a mano che passavano le ore.
Non si invita – per Radio – un esercito a difendersi senza inviare ordini precisi anche all’ultima compagnia del paese più sperduto. Gli scledensi più attenti si aspettavano uno spiegamento di forze, un via vai di mezzi motorizzati, insomma quella animazione che precede l’imminenza di un attacco nemico, e in tali cose Schio aveva tutta l’esperienza della prima Guerra Mondiale.
A parte queste considerazioni tattiche degli appassionati locali di strategia militare, ben altri e più gravi pensieri assillavano gli scledensi in quella sera del 9 settembre.
Lo smarrimento dei militari e la mancanza di notizie causarono nella gente un senso di attesa rassegnata degli eventi, ma soprattutto una crescente preoccupazione per i familiari sotto le armi e sparsi in Italia e in mezza Europa; questa preoccupazione – al di sopra di ogni posizione politica – fu il sentimento generale che accomunò le famiglie di Schio e solo chi ebbe figli o padri lontani in quel momento ne conobbe e ne ricorda ancor oggi l’angoscia.
Fu probabilmente questa la preoccupazione maggiore di coloro che avevano creduto con convinzione nel fascismo, che avevano visto con amarezza la progressiva sconfitta militare, che avevano subìto la doccia fredda del 25 luglio e speravano ora, con l'8 settembre, in un ritorno pacifico dei loro familiari e dei militari italiani come conclusione incruenta di una partita ormai persa. Un pensiero semplicemente “umano”, intimo e familiare che non trova di solito posto né evidenza nell’agiografia delle guerre e nei trattati di storia.
Altri scledensi invece se ne andarono a dormire con rabbia perché avevano un solo chiodo fisso, un unico impulso, quello di difendersi contro i Tedeschi, chiodo e impulso che nel Veneto scaturivano da una tradizione “antitedesca” la quale risaliva alla prima Guerra Mondiale ed era ancora sentita – nel ’43 – in tutte le generazioni dai quarantenni in su, malgrado la confusione creata da Mussolini con l’asse Roma-Berlino.
Vi erano poi quegli “antifascisti irriducibili” che abbiamo visto in precedenza e che in sostanza avevano dedicato una vita alla lotta politica contro il fascismo; in quella sera del 9 settembre cominciarono probabilmente a sentirsi “sulle spine” perché avevano parecchio da temere nel caso di un’occupazione tedesca (le SS ne cercarono in seguito l’elenco).
Infatti il giorno successivo, quando Schio fu occupata nella notte dai Tedeschi, ognuno di loro si trovò costretto ad alcune scelte: l’idea di riparare all’estero non era facilmente attuabile perché alle spalle di Schio vi è un Trentino nel complesso filotedesco o comunque non disposto ad accogliere rifugiati politici; la possibilità di confondersi nell’anonimato di una grossa città presupponeva fidate conoscenze per una sistemazione clandestina; il raggiungere gli Alleati attraversando le linee comportava una buona dose di fortuna; l’impulso di salire armati in montagna richiedeva il fisico e l’animo del guerrigliero piuttosto insolito per la mentalità di allora.
E poiché in queste situazioni ognuno pensa di essere il meno incriminato l’idea prevalente fu quella di sparire temporaneamente dalla circolazione presso parenti o amici fidati, non appena le cose si fossero messe al peggio.
Gli scledensi poi che avevano fatto ressa davanti alla Caserma Cella per proporre la lotta contro i Tedeschi avevano corso un grosso rischio, in quanto le SS – una volta sopraffatta la difesa locale – avrebbero ricercato, fucilato o deportato in Germania non solo i militari ma anche i civili responsabili.
(In un interrogatorio tedesco-fascista avvenuto nel novembre del 1944 contro uno studente scledense sospetto di attività partigiana e che poi finì a Mauthausen costituì un’aggravante, e ciò ad opera di delatori fascisti locali, il fatto che lo studente in occasione del 25 luglio si fosse arrampicato con altri amici sulla facciata del Municipio di Schio a togliere gli emblemi del fascio).
In quella sera del 9 settembre erano infine presenti a Schio alcuni “antifascisti particolari”, i quali, essendo per loro natura uomini portati all’azione armata, non si posero problemi di trattative bizantine con i militari della Caserma Cella né tantomeno restarono in cauta attesa degli eventi, ma si portarono subito, il giorno dopo, sulle colline sopra Schio decisi a difendersi con le armi in pugno.
Fra questi c’era addirittura qualche combattente di Spagna nelle Brigate Internazionali dove la sopravvivenza dipendeva dal riguardarsi da tutte le parti, da un pronto maneggio delle armi e dalla conoscenza della guerriglia; qualcuno poi aveva girato mezzo mondo e aveva conosciuto le prigioni di vari stati, per cui non vi fu ripensamento sul modo di affrontare i Tedeschi, perché per loro l’unico modo di risolvere una situazione era quello delle armi, il più congeniale alla loro esperienza di vita.
Sui pensieri che passarono invece per la testa dei “militari” di stanza a Schio in quella sera del 9 settembre, poco prima dell’attacco tedesco, abbiamo alcune testimonianze orientative ragionevoli. Le giovani reclute della classe 1924 vivevano nell’incoscienza dei loro 19 anni e accolsero quindi l’opinione più ottimistica, cioè l’arrivo prossimo degli Americani, la ritirata dei Tedeschi dall’italia e il ritorno in famiglia, dal momento che per l’Italia la guerra era ufficialmente finita.
Invece i militari più anziani e consci della situazione generale nutrirono gravi preoccupazioni sul da farsi e si divisero in due fazioni: gli attesisti scrupolosi che vedevano nell’abbandono delle caserme una specie di diserzione e gli irrequieti più di altri che volevano andarsene al più presto.
Ma poiché una massa senza direttive è di solito inerte, quasi tutti dormirono nelle camerate in attesa degli eventi, compreso qualche scledense che abitava ad un tiro di schioppo dalla Caserma Cella.
IV. L’ATTACCO TEDESCO A SCHIO E I SOLDATI ITALIANI CADUTI
Notte 9-10 settembre 1943
E’ opportuno forse precisare che la “Wehrmacht” era l’esercito tedesco combattente, mentre le “SS” erano reparti speciali, di assoluta fede nazista, in parte combattenti ma soprattutto con mansioni di polizia e di repressione: La Schutzstaffel (S.S.) fu fondata nel 1925 da Hitler come sezione scelta delle Sturm Abteilungen (S.A.) o Reparti d’assalto. La S.S. aveva il compito di proteggere il partito e il suo Fuehrer; all’inizio era composta da alcune decine di uomini, nel 1929 di 280, nel 1933 di 52.000.
Ne fu a capo Heinrich Himmler, una delle figure più maledette della storia dell’umanità. Con l’entrata in guerra della Germania troviamo le S.S. Totenkopf (testa di morto) che agiscono dietro il fronte e nei campi di concentramento sterminando ogni sospetto nemico del Reich, mentre al fronte combattono le Waffen S.S. Queste ultime nel settembre del 1943 erano formate da 280.000 combattenti ancora convinti della vittoria del Fuehrer; vennero definiti “il corpo dei pompieri del nazismo” (cfr. B.Michal, Himmler e gli SS, Ginevra, Ed. di Cremille, 1970).
Nella notte dal 9 al 10 settembre alcuni reparti di SS tedesche, provenienti da Vicenza, giunsero a Schio dopo la mezzanotte su quattro-cinque camion. All’incrocio di Via Venezia con Via Trento e Trieste disarmarono un gruppetto di soldati italiani lì situati a modesto posto di blocco senza alcuna protezione.
Girato l’incrocio al monumento A.Rossi proseguirono lungo via P. Maraschin e via dell’impero girando a destra (attuale albergo Stadio) in via Rovereto protetti dalle case lungo la strada. Dall’alto di un camion alcuni militari saltarono nelle stanze al primo piano di un’abitazione, mentre altri sistemarono in mezzo alla strada una mitraglia e alcune elettrocellule e, dopo aver sparato alla sentinella di guardia al portone della Caserma, illuminarono tutto l’edificio.
Corsi all’ingresso i Tedeschi irruppero nel cortile sparando e nella stanza d’entrata ferirono un alpino. L’irruzione poi nelle camerate avvenne con torcie, pile, spari al soffitto e, al minimo atteggiamento spontaneo di difesa da parte di qualche giovane recluta contro quella furia d’assalto, fu sparato subito addosso.
Un aviere venne finito con un colpo alla nuca, un altro fu ferito con arma da taglio, un capitano di fanteria ebbe frattura cranica con il calcio di un fucile. In quanto all’ora esatta non è dato di conoscerla, ma con approssimazione erano le 2.3 di notte. In caserma si trovavano intorno ai seicento militari italiani mentre gli SS sono stati valutati sulla quarantina, forse meno, comunque armati fino ai denti ed espertissimi in questo tipo di assalto.
I feriti, anche quelli gravi e che poi morirono, furono lasciati sul posto, com’è appunto documentato dal lro ingresso nel reparto chirurgico dell’ospedale di Schio solo dalle ore 9 alle 10,30. Qualche militare italiano riuscì a saltare verso la SMIT o dalla finestra ma la maggioranza fu disarmata e tenuta sotto controllo; più tardi alcuni Tedeschi scesero da Via Pasubio e ferirono il piantone all’Ufficio postale in Via Pasini, disarmando poi anche i militari di guardia ai telefoni in Piazza Statuto.
Viene riferito che alle Scuole di via Marconi i Tedeschi si presentarono con un’autoblindo e il disarmo avvenne senza feriti; solo qualcuno riuscì forse a scappare sul retro delle Scuole; tutti furono poi incolonnati e trasferiti alla Caserma Cella.
E’ doloroso ricordare eventi così tragici ma è anche doveroso rivolgere un pensiero ai quattro caduti italiani nell’attacco tedesco di quella notte del 10 settembre, perché non risulta che finora alcuno abbia scritto molto di loro. L’alpino Bruno Zavarise di 19 anni (Cornuda, Tv) fu colpito al torace e morì verso mezzogiorno, il fante Giuseppe Moretto di S.Pietro di Gorizia arrivò in Ospedale già morto, il fante Masiero Marchi di 19 anni di San Leo (Pesaro) morì in mattinata e infine l’aviere Vincenzo Bernardi di Casalnuovo (Na) sopravvisse solo fino a sera. Vi furono anche sei feriti più o meno gravi dei quali si dà memoria nei documenti di allora.
In modo tragico ebbe così inizio l’occupazione tedesca a Schio.
DOCUMENTI
Da Archivio Ospedale di Schio – Ingressi Chirurgia 10 settembre 1943:
29 – Capitano Orlando Renzo di Antonio. Nato a Patti (Messina). 35 anni. 57° Reg.to Fant. Frattura cranica e sospetta rottura del rene. Guarito il 28-10-1943.
30- Marchi Masiero di Domenico. Nato a Rimini (Pietracuta) e resid. A San Leo (Pesaro). 19 anni. Fante. Deceduto alle 10,40 del 10-9-1943
31 – Bernardi Vincenzo fu Biagio. Nato a Casalnuovo di Napoli. 27 anni. Aviere. Ferite al torace e foro di proiettile alla nuca con margini bruciati. Deceduto alle 22,30.
32 – Barin Leone di Giovanni. Nato a Galzignano di Monselice. 19 anni. Aviere. Proiettile in faccia. Guarito.
33 – Zavarise Bruno di Guglielmo. Nato a Cornuda (Tv). 19 anni. Alpino. 7° Reg.to Alpini. Guarito.
34 – Casagrande Ferdinando. Res. A Salcé (Bl.) 19 anni. Ferite d’arma da taglio e da punta. Guarito.
35 – Denin Gastone di Giovanni. Nato a Chies d’Alpago (Bl.) 19 anni. 7° Reg.to Alpini. Guarito.
36 – Vezzoli Dino fu Francesco. Nato a Bagnolo Mella (Bs). 21 anni. Fante. Ferita al piede. Guarito.
37 – Conti Aldo di Enrico. Nato a Bertinora (Forlì). Res. A Mendola. 19 anni. Fante. Proiettili alla gamba. Guarito.
39 – Moretto Giuseppe di S. Pietro di Gorizia. Aviere. Già deceduto all’atto di ingresso in Ospedale.
TESTIMONIANZE
STERCHELE GASTONE. Nato a Schio l’8-4-1913. Abitava in Via S.Bologna. Meccanico.
“La sera del 9 settembre all’incrocio di Via Venezia vi era un gruppetto di militari italiani nel giardino dove si trova il monumento a Garibaldi. Verso le 2-3 di notte si udirono delle grida, furono probabilmente disarmati e io giunsi sul posto poco dopo”.
COSTALUNGA ETTORE. Nato a Schio il 17-6-1917. Coniugato con Santacaterina Olga. Artigiano falegname. Nel 1943 e tuttora abita in via Rovereto ad una cinquantina di metri dalla Caserma Cella.
“Il 9 settembre mia madre, Pozzan Maria, tornò a Schio da Piano di Vallarsa perché allarmata da voci che sarebbero arrivati i Tedeschi e “avrebbero ucciso tutti quanti”. In famiglia restammo alzati fino a tarda notte e quando si udì il rumore dei camion (4-5) in arrivo da Via dell’Impero ci siamo tutti rifugiati in cantina. Gli automezzi si accostarono all’ingresso della nostra falegnameria e dall’alto di un camion alcuni Tedeschi saltarono nelle stanze al primo piano, mentre i Tedeschi piazzarono una mitraglia in mezzo alla strada e spararono alla sentinella ch’era in garitta e verso le finestre della caserma. Dopo aver acceso una elettrocellula per illuminare la caserma corsero sul portone e udimmo degli spari”.
LAMPREDA GIUSEPPE (cit.)
“Ci trovavamo in camerata della Caserma Cemma e quando si videro le finestre illuminate dall’esterno pensammo subito all’attacco dei Tedeschi. Entrarono con pile e torcie sparando al soffitto e si ebbe l’impressione di trovarci in trappola. Ricordo di macchie di sangue su di una specchiera all’entrata, dove – fu detto – venne ferito un alpino”.
DAL BRUN GIAN GAETANO. Nato a Schio l’11-10-1930.
“Poco prima dell’alba del 10 settembre mia sorella ed io fummo svegliati, in Via Pasini, da grida in tedesco. Era stato disarmato il militare italiano di guardia all’Ufficio postale”.
ANZOLIN ALBINO (cit.)
“Il mattino del 10 settembre notai alcune macchie di sangue di fronte al portone dell'ufficio postale”.
SCALABRIN GIANRENATO (cit.)
“Nel primo mattino del 10 settembre, osservando dalla finestra, vidi alcuni Tedeschi sparare e disarmare i militari di guardia ai Telefoni in Piazza Statuto”.
FILIPPI MARIO (cit.)
“Il mattino del 10 settembre mi trovavo nelle Scuole Marconi e da via Btg. Val Leogra giunse un nostro soldato, che era di guardia ad alcuni vagoni in Stazione, e una donna; avvisarono dell’arrivo dei Tedeschi. Ricordo di aver infilato il caricatore e di essere stato indeciso se sparare a un Tedesco che vedevo ai Telefoni. Rammento che le reclute di 19 anni, appena arrivate a Schio, avevano il fucile ma senza munizioni e che le armi pesanti erano state ritirate in Caserma Cella. Più tardi giunse un’autoblindo con soldati tedeschi e un ufficiale italiano il quale consegnò un biglietto del Maggiore al mio Tenente (Nota Alberto di Venezia); in esso si diceva di consegnare le armi. Fummo incolonnati e a piedi, attraverso piazza A.Rossi e via Pasubio, trasferiti alla Caserma Cella”.
VANZO ERMINIA (cit.)
“Quel mattino dai Telefoni giunse qualcuno alle Scuole Marconi a riferire che c’erano i Tedeschi. Molte reclute pensarono che non valeva la pena di arrischiare la fuga, dal momento che gli Americani erano vicini. Forse qualcuno riuscì a scappare verso S.Giacomo. Portati via i militari italiani, i Tedeschi chiusero a chiave e venerdì e sabato nessuno entrò nelle Scuole. La mattina di domenica 12 settembre la mia famiglia andò alla Messa delle 9,15 ai Salesiani e restai sola in casa. Alle 9,20 arrivò un camion e udii suonare il campanello: c’erano 10-12 Tedeschi delle SS con un ufficiale alto, giovane, gentile ma deciso: “Voi abitare qui?” “Sì”. “Custode?”. “Sì”. “Qui entrato nessuno?”. “No”. Passarono attraverso casa e cominciarono a raccogliere a tappeto tutto il materiale. Nel frattempo giunse il Prof Dal Sasso, addetto alla refezione scolastica, il quale mi sollevò dallo spavento e si rimorchiò dietro i Tedeschi; a mezzogiorno pranzarono in refezione e nel pomeriggio, dopo aver ripulito di armi e materiali di loro interesse, l’ufficiale mi disse: “Qui non deve entrare nessuno. Chiuso. Domani entrare truppa”. Infatti il lundì giunsero gli Alpenjager e vi rimasero per circa un mese, seguiti poi da una compagnia della Luftwaffe che lavorò ai motori presso l’ILMA”.
DE ROSSI GINO: Nato a S.Orso il 4-7-1926. Nel ’43 residente in via Cavour, 52. Operaio al lanerossi. Partigiano.
“Il mattino del 10 settembre, nel recarmi a lavorare per le 6, trovai due Tedeschi con fucile mitragliatore davantti alla vecchia sede della Banca del Lavoro all’incrocio di via Garibaldi”.
CHILESE ARRIGO: Nato a Schio il 28-4-1904. Residente in via S.Bologna.
“Il mattino del 10 settembre mi avviai, come al solito, al negozio di via Pasubio e alla base del monumento A.Rossi, dalla parte della Stazione c’era un grosso Tedesco con una mitraglia appoggiata a terra ed un altro nei paraggi”.
OSS ZAVAROT GIOVANNI. Nato a Pergine Valsugana (Tn) il 10-3-1910. Residente a Milano. Dichiarazione scritta.
“L’8 settembre 1943 prestavo servizio come autista nella Compagnia C.O.SCG. di Schio al comando del Maggiore Schiavon e mi trovavo a Feltre per servizio. All’annunzio dell’armistizio abbiamo avuto ordine di rientrare alla base di Schio; sul camion, assieme al Cappellano Militare e al Maresciallo Mondani, c’erano una quarantina di soldati stipati nel cassone (poi evitarono la cattura da parte dei Tedeschi). Lungo la strada abbiamo avuto notizie da altri militari che i Tedeschi stavano occupando le nostre caserme e questo ci fu molto utile. Siamo arrivati a Schio nella notte del 10 settembre alle ore 3 e tutto ci sembrava tranquillo; allora ci siamo fermati al nostro “deposito” nelle Scuole di via Marconi. Verso le ore 5 una pattuglia tedesca armata si è presentata al cancello occupando le Scuole dove era sistemata una compagnia di circa 300 reclute. Io e un altro autista, avvertiti dal custode Giuseppe Vanzo, abbiamo fatto in tempo a scavalcare un alto muro di cinta e rifugiarci nel fienile di una casa vicina (De Rigo) in attesa che passasse il pericolo”.
[Nota. La compagnia del Maggiore Schiavon aveva il compito del “recupero salme” della Prima Guerra Mondiale, con sede in via Porta di Sotto e deposito delle Scuole Marconi]
BETTINI MARIANO. Di Girolamo. Nato a Padova il 6-8-1911. Residente a Noventa Padovana e nel 1943 soldato del 57° Reg.to Fanteria. Dopo la guerra residente a Schio. Carpentiere.
“Al Castello di Magrè vi era un presidio antiaereo di cui facevo parte. Lo comandava un tenente di Venezia, che dormiva in una vicina casa privata, poi c’era il Serg. Sartore di Este-Montagnana ed altri 12 soldati delle provincia di Padova, escluso uno che era di Novara. Avevamo una baracchetta sopra la postazione ed il gestore Toni Maraschin della Trattoria al Buso ci aveva consentito l’uso di cucina. Il mattino del 10 settembre, verso le 6, si venne a conoscenza dell’attacco tedesco; corsi a svegliare il Tenente, il quale voleva che ci trasferissimo in Raga con le armi per far fronte ai Tedeschi; feci presente che avevamo due mitragliere solo 25-30 colpi per ciascuna. Allora mi vestii in borghese e scesi a Schio a accogliere notizie; tornato e riferito del disarmo, il Tenente disse che eravamo liberi di fare come volevamo. Le famiglie vicine aiutarono tutti a vestirsi in borghese e così tornammo nel Padovano. Nel maggio del 1944, in seguito ai bandi di chiamata, tornai a Schio da Toni Maraschin e restai presso di lui fino alla Liberazione”.
FOGLIO DI DIARIO (cit.)
“10 settembre – Verso le ore 4.30 la cittadina si ridesta per il rumore di scariche di mitragliatrici e per il movimento di automezzi: i tedeschi occupano i punti principali di Schio e si presentano in 12, al comando di un ufficiale, all’ingresso della Caserma Cella. Ottenuto un reciso rifiuto dalla sentinella, aprono il fuoco: il primo caduto è l’aviere Giuseppe Moretto, la sentinella (a). La truppa tedesca irrompe nel cortile della Caserma e fa radunare nel cortile tutti i militari: un battaglione di fanteria del 57° Rgt. Fanteria, una compagnia di avieri ed una di alpini, circa un migliaio di uomini. Sembra che il maggiore Jero (b), comandante il presidio avesse, nonostante l’ordine scritto del comando del suo reggimento, dato l’ordine di ritirare tutte le armi (c) e avesse concesso agli ufficiali di dormire all’esterno. I caduti durante l’assalto alla caserma sono stati, oltre all’aviere Moretto in servizio di sentinella, l’alpino Bruno Zavarise, il fante Masiero Marchi e l’aviere Vincenzo Bernardi che decederà allo spedale l’11 settembre (d). Al mattino si presenta in Municipio il tenente Inderbinken (e) che nella sua qualità di “Platz Kommandant”, vuole i nomi degli antifascisti, fa pubblicare un bando e mettere il coprifuoco”.
NOTE AL DIARIO:
a) è più attendibile che la sentinella abbia intimato l’alt da lontano e che i Tedeschi abbiano sparato con la mitraglia, secondo appunto la versione Costalunga.
b) Ci è stato riferito che il nome del comandante era “maggiore Fernando Jeri”, statura medio piccola, tarchiato, capelli grigio rossicci, portamento marziale, parlata con cadenza emiliana. Rimane da accertare la sua carriera militare sulla quale abbiamo solo due testimonianze non documentate..
c) questo è confermato in merito alle armi pesanti (Filippi Mario).
d) deceduto alle 22.30 dello stesso 10 settembre (archivio Ospedale).
e) Capitano INDENBIRKEN, come risulta dall’originale del “bando” esposto alla Mostra della Resistenza del 1973 e dal relativo Catalogo.
E’ interessante notare come la nostra inchiesta condotta dopo 34 anni abbia consentito di rettificare le notizie di un diario dell’epoca.
V. I MILITARI DEPORTATI E LO SCIOPERO OPERAIO
11 settembre 1943
Nel mattino successivo all’attacco notturno della Caserma Cella venne completato da parte dei Tedeschi il disarmo dei militari italiani, furono presidiati alcuni luoghi di Schio e si eseguì il trasporto dei feriti in Ospedale; nel pomeriggio non ci è stato riferito alcunché di importante, salvo la speranza ancora viva nei giovani del 57° Fanteria di essere avviati alle famiglie.
Purtroppo nella mattinata del sabato 11 settembre giunsero invece alla Caserma numerose autocorriere sulle quali furono caricati sottufficiali e soldati (gli ufficiali seguirono altra destinazione). La partenza (ore 11-12) e il passaggio dei militari italiani per le vie di Schio sono ricordati dagli scledensi (c) come un fatto calamitoso e patetico, addirittura filmato da un cineamatore. Si ebbe il distacco doloroso dalla moglie o dai parenti di qualche nostro nativo, mentre verso piazza A.Rossi alcune donne più accese insultarono i Tedeschi e vi furono degli spari in aria; nella popolazione che faceva ala al passaggio delle corriere si creò una “tensione antitedesca” che non si spense più fino alla Liberazione, nemmeno nei più tiepidi e rassegnati fra gli scledensi; fu un sentimento corale che, a seconda del temperamento del singolo, si graduava dal risentimento, al rancore, all’odio.
In particolare le donne, forse intenerite anche dalla giovane età delle reclute e inclini al pessimismo sul futuro prossimo dei militari, fecero a gara per allungare attraverso i finestrini qualche sacchetto di caramelle, di biscotti o di ogni cosa sembrasse utile al viaggio; invece da parte dei prigionieri piovvero bigliettini con il proprio indirizzo che furono poi raccolti e spediti alle famiglie: Seguì una lunga sosta della colonna in Piazza dei Pubblici Spettacoli e infine gli automezzi lasciarono Schio diretti a Malo, Isola, ponte di Castelnovo, Costabissara, Vicenza e di qui, con una lunga tirata, fin oltre Verona dove, in una breve sosta, qualcuno riuscì a svicolare nel granturco, inseguito dagli spari dei Tedeschi.
Finalmente i nostri militari della Caserma Cella giunsero nel tardo pomeriggio a Mantova e, sistemati in un campo sportivo cintato di alte mura, si resero conto che la loro destinazione era la Germania. Infatti la stessa domenica del 12 settembre ebbe inizio lo smistamento e due nostri concittadini di Poleo partirono decisi, di primo appello, per ritrovarsi 4-5 giorni dopo a Witzendorf nei pressi di Amburgo, dove avvenne una nuova ripartizione in campi di lavoro. Chi invece restò a Mantova per più tempo ricorda i metodi violenti dei Tedeschi, gli spari intimidatori in mezzo ai gruppi e qualche ucciso; comunque finirono anch’essi in Germania, dispersi nel crogiolo della guerra.
TESTIMONIANZE
FILIPPI MARIO (cit.)
“Nel campo di Mantova la stessa domenica 12 settembre un buon gruppo di militari accettò di partire subito per la Germania, via Brennero. A Verona qualche recluta, che aveva con sé gli abiti civili, si travestì velocemente e rammento che sulla pensilina, alla partenza del treno, restarono una ventina di zaini. Qui a Verona, Guido Beccaro ed io, trovammo Luigi Sbalchiero anch’egli di Poleo e, tutto sporco di carbone, sistemato in un altro treno; decise di venire con noi in Germania per cui tutti e tre partimmo assieme e dopo due notti e tre giorni arrivammo a Witzendorf. Lassù ognuno si qualificò come contadino e dopo circa un mese fui trasferito verso Hannover. Mio fratello Emilio, fatto prigioniero ad Atene si trovava invece nei pressi di Amburgo”.
BECCARO GUIDO. Nato a Schio il 29-4-1918. Nel 1943 soldato del 57° Reg.to Fanteria alla Caserma Cella.
“Dormivo sempre a casa mia a Poleo in Via Molino, invece la notte del 9-10 settembre 1943 mi trovai a dormire nella infermeria della Caserma Cella e mi svegliai solo quando alcuni Tedeschi fecero irruzione nella stanza. Ritengo che dei nostri non siano scappati in molti quella notte, qualcuno che si trovava nelle stalle dei muli fuggì verso la SMIT e qualche altro che riuscì ad attraversare il cortile o calarsi da una finestra. Fui deportato assieme a Mario Filippi e ad Hannover ero addetto ad alcuni depositi, per cui mi fu possibile trafugare un po’ di cibo anche per i miei compagni di prigionia. Alla Liberazione, uscito da un bunker, durante l’avanzata americana, vidi finalmente i primi tre soldati alleati, dei quali uno era italiano; ci raccomandò di restare nascosti fino a dopo il passaggio dei carri armati”.
DE CARLO FIORETTO. Aiutante maggiore. Attualmente non reperibile, era il terzo degli scledensi presenti in Caserma Cella.
LAMPREDA GIUSEPPE (cit.)
“A Mantova si era persa un po’ la cognizione del tempo ma ricordo che verso il 20-25 settembre fummo caricati su vagoni piombati e trasferiti ad Harmestein, fra Danzica e Stettino. Cercai di imparare rapidamente il tedesco e dopo trasferimenti, permanenze in campi di disciplina e fughe varie riuscii a portarmi verso Varsavia dove fui liberato dai Russi in avanzata e con l’Armata Rossa entrai a Berlino, dove il 24 aprile del 1945 fui spettatore della famosa battaglia per l’aeroporto di Tempelhof: i Russi venivano mandati avanti a compagnie successive allo scoperto sulle piste d’atterraggio sotto il fuoco micidiale delle mitragliatrici tedesche. A Berlino andai alla ricerca di mio fratello Gino, giuntovi dalla Grecia, e dopo molto peregrinare tornai in Italia verso l’ottobre del 1945”.
FOGLIO DI DIARIO (cit.)
“11 settembre – il presidio italiano (qualche centinaio è potuto fuggire, aiutato in questo dalla popolazione scledense) è prelevato da 54 corriere e verso le ore 10 avviato verso la prigionia, soccorso come possibile dalla popolazione. Prime requisizioni della “Platzkommandantur”.
“12 settembre – Fuggono gli ultimi Carabinieri; viene arrestato il Podestà per lo svaligiamento dei treni in stazione da parte della popolazione; continuano le requisizioni”.
“13 settembre – Funerali dei 4 militari caduti durante l’assalto della caserma Cella”.
“14 – Bando per la consegna delle armi, delle radio, degli autoveicoli”.
DATTILOSCRITTO DI IGINO RAMPON, datato 8 settembre 1973.
“Ai funerali delle quattro vittime innocenti si ripeteva, il 12 settembre, la manifestazione della cittadinanza alla SS. Trinità, mentre il Maggiore Jori, protetto dai tedeschi, cercava di sfuggire alla reazione della folla che gli gridava in faccia la vergogna della resa!”.
NOTE ALL’INCHIESTA.
1. – Il testo delle testimonianze risulta dal colloquio avuto con gli intervistati, ai quali tutti va il più vivo ringraziamento per la disponibilità e la cortesia nell’accoglienza.
2. – E’ doveroso anche un ringraziamento a quanti hanno fornito collaborazione, notizie utili e suggerimenti: Don Mario Brun – Giordano Campagnolo di Vicenza – Dr. Sergio Caneva di Arzignano – Don Carlo Chiozza – Gianni Conforto – Mario Dal Prà – Frinzi Cav. Cesare – Alfredo Lievore – Emilio Lievore di Vicenza – Dr. Lovato segretario Ospedale Schio – Dr. Renato Piccoli – Severina Pornaro – Igino Rampon – Vittorio Rossi – Don Egidio Tomasi – Prof. Giancarlo Zorzanello di Montecchio Maggiore (Vi).
3. – L’inchiesta ha puntualizzato gli eventi di maggiore importanza, ai quali furono spettatori moltissimi cittadini di Schio. Ogni segnalazione di ulteriori fatti, di documenti o di imprecisioni sarà gradita e, se di rilievo, ne verrà data pubblicazione.
4.- Altri avvenimenti ebbero luogo contemporaneamente a quelli descritti: trafugamenti di armi da parte dei civili, occultamento degli “sbandati”, prime disposizioni del Comando germanico, immediata costituzione di gruppi armati di “ribelli”. Di ciò verrà trattato in una prossima inchiesta.
APPENDICE
ANTIFASCISMO SCLEDENSE NEL SETTEMBRE 1943
Premessa
Una ricerca sulla situazione dell’antifascismo a Schio nel settembre 1943 consente di spiegare la posizione e l’atteggiamento di alcune forze che entrarono in campo nella resistenza armata e civile. L’argomento è reso difficile, innanzitutto, dall’intervento “spontaneo” di molte persone, di estrazione la più varia e composita, le quali dopo gli “anni dell’attesa”, sotto la spinta del 25 luglio e nel mutato clima politico, si sentirono antifascisti e si diedero da fare attivamente. In secondo luogo, antifascisti divennero tutti coloro che furono costretti alla resistenza armata e civile dai “bandi” tedeschi e fascisti. Pertanto, con un criterio molto restrittivo, si è limitato il discorso e il concetto di “antifascisti” a quelle persone che avevano precedenti politici documentati o incarichi ufficiali o semiclandestini ed erano in loco di notorietà antifascista durante il ventennio. La Resistenza fu un fenomeno complesso e fluido, con progressivi interventi di più persone, per cui riteniamo utile una costante verifica delle forze in lotta e del loro ruolo; altrimenti si può cadere nell’equivoco che tutti gli scledensi furono antifascisti prima e dopo il 25 luglio e che tutti parteciparono alla Resistenza in maniera determinante e continua, compresi gli “attesisti” d’obbligo in ogni situazione storica.
a. ANTIFASCISMO “COMUNISTA”
I “comunisti” della zona di Schio documentano un antifascismo pre-bellico consistente e nomi di rilievo nazionale (on. Domenico Marchioro, Pietro Tresso). D’altronde lo scontro fra fascismo e “bolscevismo” è sempre stato frontale, senza compromessi o mezzi termini. Nel periodo in esame Schio e Valdagno erano la zona più industrializzata del Veneto e specialmente in Schio i comunisti avevano lavorato molto, in via clandestina, durante il ventennio per mantenere vivo un clima operaio antifascista, per cui riportiamo solo alcune testimonianze che, nella evidenza dei numeri e dei fatti, non necessitano di premessa o commento. E’ opportuno precisare che il termine “comunista” viene qui inteso in senso generico di aderente o di simpatizzante, senza distinzioni programmatiche o posizioni particolari.
ISTRUTTORIE, PROCESSI E CONDANNE DEL TRIBUNALE SPECIALE FASCISTA contro cittadini di Schio e Comuni limitrofi. I dati riportati sono estratti da A.Dal Pont, A.Leonetti, P.Maiello, L.Zocchi, Aula IV, Roma, ANPPIA, 1961.
1928 – (sent. 54) – E’ il celebre “processone” ai membri del Comitato Centrale del P.C.I. , tra i 18 condannati, tra i quali Gramsci, Scoccimarro e Terracini, troviamo:
MARCHIORO DOMENICO, Torrebelvicino (Vi) 11-11-1888, operaio, condannato a 17 anni, 6 mesi, 5 giorni.
1928 – (sent. 66) – Per arresto di corrieri del PCI a Pisa, fra i 10 condannati troviamo:
MARCHIORO ISIDORO, Torrebelvicino (Vi) 26-10-1889, tessitore, condannato a 9 anni, 10 mesi, 12 giorni.
1928 – (sent. 88) – Stralciato in istruttoria perché latitante assieme a E. Fasani e P. Ravazzoli, troviamo:
TRESSO PIETRO, Schio (Magrè) 3-1-1893, operaio. Al vertice dell’Ufficio politico del PCI è noto per la sua posizione con Leonetti e Ravazzoli, in occasione della “svolta del 29”. (Cfr. L.Salvatorelli e G.Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista, Verona, Oscar Mondadori, 1969, vol.2°, pp.64). Fuoriuscito, morì in Francia durante l’occupazione nazista.
1928 – (sent. 130) – Fra i 16 condannati per cospirazione e propaganda sovversiva a Torino troviamo:
SALVADOR RICCARDO. Piovene (Vi), meccanico, condannato a 12 anni, 6 mesi.
1928 – (sent. 146) – Per diffusione di volantini antifascisti troviamo:
CANOVA SILVIO, Schio, 5-8-1890, tessitore (3 anni)
GROTTO GAETANO, Santorso 2-10-1884, tessitore (2 anni).
1931 – (sent. 7) – Fra gli 8 processati troviamo:
WALTER RICCARDO. Schio, 24-10-1895, calzolaio, assolto.
1937 – (sent. 12) – Per appartenenza al movimento di Giusizia e Libertà a Torino, troviamo:
DEL SANTO LUIGI, Schio, 30-4-1889, tornitore (4 anni).
1939 – (sent. 6) – Alla fine del 1937 la polizia individua l’organizzazione comunista di Schio e scopre la via seguita da numerosi antifascisti italiani per varcare la frontiera svizzera e raggiungere la Spagna. Arresti fino all’aprile 1938. Alcuni ricercati riparano in Francia. Troviamo:
BARON NATALINO. Schio (Magrè) 21-12-1909, tessitore (anni 5)
BRESSAN PIETRO. Schio, n. Francia 16-12-1909, fonditore (anni 5)
CONFORTO ANTONIO. Schio, 6-6-1910, cardatore (anni 4)
COGOLLO ALESSANDRO. Schio, 10-7-1905, panettiere (anni 5)
CRACCO LIVIO. Schio, 14-11-1911, pizzicagnolo (anni 10)
FRINZI GIUSEPPE. Schio, 14-4-1902, elettricista (anni 4)
LIEVORE ALFREDO. Schio, 29-5-1907, falegname (anni 10)
MANEA GINO. Schio, 25-8-1913, meccanico (anni 4)
MARCHIORO CARLO. Torrebelvicino, n. Brasile 19-9-1900, meccanico (anni 10)
PEDRAZZA CLAUDIO. Schio, 6-8-1911, meccanico (anni 12)
PEGORARO GAETANO. Schio, 28-12-1902, operaio (anni 2)
RONDA BORTOLO. Schio, 28-11-1903, decoratore (anni 2)
SCALA GIUSEPPE. Schio, 31-5-1913, tessitore (anni 6)
Nel “processone” del 1938 ai comunisti di Schio furono processati anche CAVEDON GIUSEPPE, CAVALIERE G.B., SAGGIN EVARISTO, mentre espatriarono CASETTO OSCAR, PIVA EUGENIO, TESSARO ANTONIO. Tra i “non scledensi” abbiamo: Ferronato Secondo di Breganze, Giovanardi Eugenio di Milano, Peder Aldo di Breganze, Rinaldi Giuseppe di Tirano (Sondrio).
1940 – (sent. 131) – Garibaldino di Spagna arrestato all’atto del rimpatrio nel giugno 1940 e appartenente al PCI:
PIVA EUGENIO. Schio, 27-9-1907, tessitore (anni 12).
1940 – (sent. 199) – Scoperta di nuclei comunisti a Torino nel luglio 1940. Fra i 41 processati troviamo:
GIRARDIN AGOSTINO. Piovene, 2-12-1907, falegname (anni 3).
ANTIFASCISTI SCLEDENSI “COMUNISTI” ARRESTATI, PROCESSATI, CONDANNATI PER CAUSE POLITICHE PRIMA DEL 25 LUGLIO 1943 (esclusi i processati dal Tribunale Speciale, già riportati).
Abbiamo colto l’occasione di una riunione dei perseguitati politici avvenuta a Schio (M.Magrè) il 23 luglio 1977 per raccogliere notizie e discutere collettivamente l’argomento. Nel ricordo dei presenti figuravano:
BARON DOMENICO, Schio (Magrè) (anni 12)
CAUDURO GIUSEPPE, Schio (anni 5)
FACCIN ROMANO, Schio (anni 3)
GRESELE ANTONIO, Schio (anni 5)
LIEVORE SILVANO, Schio (anni 5)
MOLENA SERAFINO, Schio (anni 5)
SELLA RINO, Schio (anni 5)
PIVA IGINO, Schio (anni 5)
Nota: Nella riunione citata ed in una successiva si è raccolto il ricordo, ed anche il confronto, di più persone, tuttavia non si escludono possibili omissioni che, qualora segnalate, saranno oggetto di pubblicazione.
COMBATTENTI DI SCHIO E COMUNI LIMITROFI IN SPAGNA NELLE BRIGATE INTERNAZIONALI.
Nella riunione del 23-7-1977 (cit.) sono emerse le notizie seguenti, poi completate da alcune ricerche anagrafiche:
1. – CASETTO OSCAR di Santo e di Campini Luigia. Nato a Vicenza il 28-11-1910. A Schio a 9 anni e qui risiede dal 19-11-1919. Fonditore di ghisa. Con Igino Piva, attraverso Jugoslavia e Grecia, Casetto viene rispedito in Italia, donde raggiunge poi la Spagna per altra via e combatte nelle Brigate Int.li. Rientrato in Francia sposa Duran Maria Luisa a Mondauban l’11-11-1942 e nei giorni dell’8 settembre ’43 si trova in Francia. Rientra a Schio il 13-11-1972.
2.- COSTABEBER GIGLIO di Posina. Salvo ulteriori ricerche di conferma, riportiamo la testimonianza della Sig.ra Angiolina Costaganna (vedi II. Inchiesta): “Il Giglio era stato alle Tremiti ed aveva combattuto nella Guerra di Spagna. Aveva un coraggio da leone. Un giorno, durante l’occupazione tedesca, la polizia trentina andò a casa sua a cercarlo e il Giglio, malgrado il consiglio degli amici di restare in paese a Posina, volle tornare. Nel tentativo di buttarsi nel bosco gli fu sparato, fu colpito alla spina dorsale, portato in una stalla e poi, su di un carretto, trasportato all’Ospedale di Schio, dove morì”.
3.- DALLA COSTA LUIGI di Schio (S.Ulderico). Classe 1905. Combattente in Spagna nelle Brigate Internazionali rimase ferito nella battaglia di Huesca (pallottola alla vescica). Rientrato in Belgio, dopo una degenza in ospedale morì in conseguenza della ferita riportata.
4.- MANEA ISMENE di Giuseppe. Nato il 14-3-1908 e residente a Malo. Combattente in Spagna nelle Brigate Internazionali. Partigiano nel primo nucleo armato di Malo comandato dal fratello Ferruccio e poi nella pattuglia del medesimo in “Raga” (M.Magrè). Catturato in un imboscata notturna da una compagnia di SS ucraine. Fucilato a Schio il 12-7-1944 nella Caserma Cella assieme a Gianni Penazzato.
5.- MORINI TULLIO di Schio. Apprendista falegname con Alfredo Lievore nel mobilificio Rossi. In seguito insegnante di tecnologia del legno nelle Scuole di avviamento Professionale al Castello (Prof. Radi). Fuoruscito e combattente in Spagna nelle Brigate Internazionali, morì nella battaglia di Lopéra.
6.-PIVA IGINO di Pietro e di Sbalchiero Teresa. Nato a Schio il 19-2-1902. Arrestato al Pireo (v. Casetto) come marinaio spagnolo; si imbarcò poi clandestino e attraverso Costantinopoli e vari porti del Mediterraneo giunse a Marsiglia dove fu nuovamente arrestato; infine raggiunse la Spagna dove combattè nelle Brigate Internazionali. Fin dal 10 settembre 1943 fu a capo del più grosso nucleo armato della zona di Schio (“Gruppo del Festaro”) e poi comandante partigiano.
7.- PIVA EUGENIO, fratello di Igino. Nato a Schio il 27-8-1907. Combattente in Spagna nelle Brigate Internazionali e presente nel “Gruppo del Festaro”.
8.- TESSARO ANTONIO di Marano Vicentino. Espatriato ai primi arresti del 1937 (vedi Tribunale Speciale) trasferì all’organizzazione antifascista di Parigi importanti documenti ed elenchi fascisti. Poi si arruolò nelle Brigate Internazionali e morì in combattimento sul fronte dell’Ebro.
9.- THIELLA ANSELMO di Giovanni e di Munaretto Cesira. Nato a San Rocco di San Paulo (Brasile) il 13-2-1907. A Schio giovanissimo. Tipografo compositore. Espatria in Spagna nel 1936 e rimane per alcuni mesi nella zona di Barcellona; poi rientra. Con nota n° 23126 la R.Questura di Vicenza comunica al Comune di Schio che non gli dovrà essere rilasciato nuovo passaporto senza speciale autorizzazione. Inserito nella Resistenza civile di Schio viene arrestato nell’autunno del 1944 e deportato con altri scledensi a Mauthausen dove muore il 27-3-1945.
10.- TRENTI ANTONIO di Giuseppe e di Grendene Maria. Nato a Schio (Magrè) il 17-4-1902. Fabbro. Fuoruscito, combattente in Spagna nelle Brigate Internazionali, rientra poi in Francia dove si trova nei giorni dell’8 settembre 1943. Torna a Schio l’11-11-1957.
11.- NOVELLO. Non sappiamo neppure il nome, emigrato da Schio per la Francia, sarà da là che raggiungerà la Spagna e le Brigate Internazionali. Scomparso (da una lettera del 6-12-1970 di A.Lievore a Pajetta).
Nota: Le notizie sopra riportate sono state raccolte soprattutto da Igino ed Eugenio Piva, da qualche ricerca anagrafica e da alcune testimonianze occasionali. Ci auguriamo che ulteriori studi sui Combattenti nelle Brigate Internazionali consentano di approfondire in maniera più documentata un argomento di così notevole interesse, argomento che – nei limiti dei nostri studi sulla Resistenza scledense – è collaterale anche se importante. Sono stati infatti sottolineati i cinque nominativi che furono presenti nella Resistenza armata e civile delle nostre zone.
PRESENZE A SCHIO NEI GIORNI DELL’8 SETTEMBRE 1943.
a) Tornarono dal confino o dal carcere dopo il 25 luglio:
BRESSAN PIETRO da Ventotene
COGOLLO ALESSANDRO da Portolongone
CRACCO LIVIO da Fossano
LIEVORE ALFREDO da Castelfranco Emilia
MARCHIORO CARLO da Castelfranco Emilia
On. MARCHIORO DOMENICO da Ventotene
PIVA EUGENIO da Fossano
b) Si trovavano a Schio o nella zona (qualora non citati):
BARON DOMENICO a Magrè – BARON NATALINO a Magrè – BRESSAN PIETRO in Via Aste – CANOVA SILVIO in via Cappuccini – CAUDURO GIUSEPPE a Magrè – CONFORTO ALESSANDRO a Pieve – GRESELIN ANTONIO a Magrè – GROTTO GAETANO a Santorso – LIEVORE SILVANO a Schio – MANEA GINO in via Caile – MARCHIORO ISIDORO in via Venezia – MOLENA SERAFINO a Sessegolo – PEDRAZZA CLAUDIO era deceduto in carcere – PEGORARO GAETANO in via Cappuccini – RONDA BORTOLO al Villaggio Pasubio – SCALA GIUSEPPE in via Verdi.
CONSIDERAZIONI.
Dal momento che gli antifascisti sopra riportati si ritroveranno poi, in buona parte, nei primi nuclei armati, nel C.L.N. di Schio e di Vicenza e nella resistenza civile, la ricerca da noi condotta ha inteso appunto chiarire il peso e la consistenza di una delle “matrici” della Resistenza di Schio e delle nostre zone, in modo che gli storici possano stabilire un confronto qualitativo e quantitativo con le matrici di altre zone del Vicentino e del Veneto.
ANTIFASCISMO “CATTOLICO”
La posizione dei “cattolici” di Schio e del clero locale durante il fascismo nel periodo della guerra partigiana dovrebbe essere valutata, a nostro parere, tenendo presente tutto un insieme di elementi, di situazioni e di persone, cioè le condotte politiche dei “popolari” scledensi durante l’avvento del fascismo, la presenza di Mons. Elia Dalla Costa come arciprete, l’attività dell’Azione Cattolica, l’influenza dei Salesiani nell’ambiente operaio e studentesco, l’arrivo a Schio di una forte personalità come quella di Mons. Girolamo Tagliaferro, il contatto costante del clero con i problemi di una massa operaia notevole. Siamo quindi dell’avviso che solo uno studio attento e obiettivo nel “nostro” ambiente possa approfondire e chiarire l’argomento. Naturalmente il termine “cattolico” non può essere inteso, nello studio in parola, come professione di fede; ci sembra infatti obiettivo riferire il concetto di “antifascisti cattolici” a quelle persone che – intimamente legate all’ambiente del clero e con incarichi nelle organizzazioni cattoliche – erano di notorio atteggiamento antifascista, subirono arresti o ammonimenti, furono nelle liste “nere”, operarono in favore della Resistenza armata e civile in maniera concreta e questo in disapplicazione delle direttive diocesane di Azione Cattolica che fin dal 15 novembre 1943 invitavano il clero e i militanti a tenersi al di fuori di ogni competizione. D’altronde in un periodo così tragico e cruento l’atteggiamento del clero e dei “cattolici” militanti non poteva probabilmente essere che una scelta individuale, un problema del singolo a seconda del carattere e del modo di pensare. Ricorrono parecchi nomi a Schio che furono attivi a partire dai giorni dell’8 settembre 1943, ma qui ricordiamo, per i motivi indicati in premessa, il nome di:
GRENDENE STEFANO REMO. Nato a Schio il 12-10-1898. Ragioniere. Antifascista dai tempi del Partito Popolare. Presidente di zona degli Uomini Cattolici in periodo bellico. Membro e rappresentante del Partito Popolare (poi D.C.) in seno al primo C.L.N. scledense. Attivo durante la Resistenza. Fu poi per molto tempo Vicesindaco, Assessore alle Finanze e per alcuni anni Sindaco di Schio.
In previsione di uno studio locale sull’antifascismo “cattolico” scledense riportiamo infine la seguente:
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
1 - Da Igino Rampon, Il movimento cattolico a Schio, Schio, Tip. Claudio Menin 1969.
- pg. 27 – “Nell’immediato dopoguerra l’appello di Don Sturzo venne accolto a Schio: la “Casa del Popolo” aveva preso il posto delle “Unioni Professionali” ed era diventata la sede di ogni attività politica-sociale dei cattolici scledensi, con la Segretaria del Partito Popolare sotto la guida illuminata del compianto Prof. Antonio Sartori, di Gustavo Dal Pozzolo, di Remo Grendene”.
- pg. 28 – “Con l’avvento del fascismo cominciò una sorda e aspra lotta dei “gerarchi” locali contro l’Amministrazione comunale popolare, che teneva duro ed andava diritta per la sua strada, con il palese consenso della stragrande maggioranza dei cittadini”.
- pg. 30 – “…il 24 ottobre 1925 l’Amministrazione comunale di Schio, ultimo baluardo della democrazia in provincia di Vicenza, cedeva alla sopraffazione e alla violenza, lasciando il posto ad un Commissario prefettizio. Le organizzazioni politiche e sociali cattoliche scldensi seguirono la sorte comune: dovunque percosse, insulti, violenze ed “olio di ricino”.
- pg. 30 – “Con le leggi eversive del 1926, del Ministro fascista Rocco, scomparivano partiti e sindacati democratici”.
2 – da G.B. Zilio, Il clero vicentino durante l’occupazione nazifascista, Vicenza, Tip. S.Giuseppe, 1975.
- pg. 132 – “Verso le 12,30 (del 2 giugno 1944) la G.N.R. con a capo il commissario del fascio di Schio, scendeva a S.Vito per prelevare le salme delle due vittime (partigiani). La G.N.R. incendiava l’abitazione già precedentemente devastata e metteva al muro due uomini della contrada (…). Le Salme (dei due partigiani uccisi) furono portate per le vie di Schio a passo d’uomo allo scopo di incutere spavento. L’arciprete del luogo fu minacciato di corresponsabilità e perciò di pena di morte, qualora il giorno seguente non avesse pubblicato in chiesa, nonostante la proibizione del vescovo di leggere in chiesa qualsiasi avviso che non fosse strettamente religioso, che tutti i giovani renitenti dovevano presentarsi entro quarantott’ore”.
- pg. 44 – “L’11 agosto (1944) l’arciprete di Schio comunicò al vescovo: “Il locale comando germanico ha chiesto al comando del distretto militare di Vicenza un elenco di persone come eventuali ostaggi. In forma segretissima ho potuto vederlo. Tra molti altri, circa una settantina, ci sono quattro sacerdoti: l’arciprete di Schio, don Marino Stocchetti, don Antenore Poggiato, il parroco di Monte Magrè. Tra i laici vi sono gli esponenti migliori dell’azione cattolica, Mazzon Amedeo, Dalla Costa Umberto, Prof. Vincenzo Bonato, ecc. Degli altri, circa una metà si sono allontanati o perché indiziati o perché avvertiti”.
- pg. 55 – “La sera del 9 ottobre (1944) alle ore 19 una ventina di militi e di guardie di questura operarono una perquisizione alla canonica e al duomo di Schio. Erano guidati da un tenente di un Btg. residente a Schio e da un graduato della questura di Vicenza”. Nella relazione di Mons. Tagliaferro al vescovo viene riferito che un delatore aveva affermato che in canonica di Schio venivano persone ad ascoltare stazioni estere e messaggi speciali.
- pg. 76 – “Il 1° gennaio fu arrestata a Venezia, nella sua casa religiosa, madre Luisa Arlotti delle canossiane sotto l’accusa di avere nascosto e assistito partigiani feriti, inglesi ed ebrei nell’asilo Rossi di Schio, al quale era addetta fino a pochi giorni prima. Da Venezia fu trasferita prima alle carceri di Schio, poi a quelle di S.Biagio a Vicenza”.
TESTIMONIANZE
GRENDENE REMO (cit.)
“Per quanto riguarda la partecipazione al primo C.L.N. scledense ricordo la mia perplessità e di altri sulla nuova denominazione di Democrazia Cristiana in sostituzione del vecchio nome di Partito Popolare (Ppi)”.
Nota: Il prof. G.P.Resentera ci ha segnalato Baget-Bozzo, Il partito cristiano al potere, la DC di De Gasperi e di Dossetti (1945/1954), 1974, Firenze, Vallecchi pp. 54-57.
Di esso viene riferito che, dopo il 25 luglio 1943, fu diffuso un breve scritto con il titolo “Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana” steso da De Gasperi con la collaborazione di molti altri. Vi furono contrasti sulla questione del nome del nuovo partito cristiano, tra i quadri dell’ex-Partito Popolare e il Movimento guelfo d’azione di Milano. Alla fine prevalse la tesi del cambiamento di nome e nel suo articolo sul “Popolo” clandestino del 19 dicembre 1943, a firma “Demofilo”, De Gasperi scrisse che il cambiamento di nome avvenne perché “gli anziani volevano evitare anche l’impressione di invitare i giovani ad un’assemblea ove podio e poltrone fossero già occupate in forza dei meriti passati in base all’anzianità di servizio”. I sostenitori del vecchio nome di Partito Popolare (Ppi) ritenevano invece che esso avrebbe meglio evidenziato una continuità di tradizione antifascista.
c. ANTIFASCISMO “SOCIALISTA”
Il socialismo di Schio ha radici lontane e risale ai tempi del “Circolo socialista” in via Venezia di fine ottocento, citato nelle cronache e promotore della discussa conferenza tenuta a Schio sul “socialismo scientifico” dal famoso deputato Andrea Costa. Il lavoro dei socialisti in seno alle fabbriche mantenne sempre viva la rivendicazione operaia e proseguì anche dopo l’avvento del fascismo. Le testimonianze ci sono, ma laboriose da reperire, a livello di singole persone, per cui in questa sede ci limitiamo a segnalare una presenza significativa per la Resistenza scledense:
SAGGIN GIUSEPPE. Nato a Schio (magrè) il 18-12-1887. Artigiano del legno. Consigliere comunale socialista prima dell’avvento del fascismo. Durante il ventennio fu nella lista “nera” e quindi arrestato regolarmente in più occasioni. Figura di retto comportamento e di attiva e assidua presenza. Fin dall’inizio della Resistenza fu membro del C.L.N. di Schio come rappresentante socialista. Consigliere comunale dopo la Liberazione. Deceduto il 5-7-1957.
Anche per i socialisti parecchi altri nomi figurano a Schio fra gli antifascisti pre-bellici e nella Resistenza armata e civile, per cui queste note sono in sostanza una proposta di studio.
d. PARTITO D’AZIONE
Sempre con un criterio restrittivo ricordiamo, ai fini dell’inchiesta sull’8 settembre 1943, che il Partito d’Azione era allora rappresentato in seno al primo C.L.N. scledense da:
BOLOGNESI PIETRO. Nato a Conselice (Ravenna) il 21-4-1893: Coniugato con Pesci Isolina. Padre di Dante e Cesare Bolognesi. Ragioniere. Segretario Comunale di Schio. Fu a Schio (da Cervia) fino alla pensione. Membro del C.L.N. scledense per il P.d.A. e attivo nella Resistenza civile. Deceduto a Malo (Vi) il 20-1-1977.
Per quanto riguarda il Partito Liberale viene riferito da Remo Grendene che l’intervento fu successivo.
EMILIO TRIVELLATO