CREPUSCOLO D'INFAMIA
Non basta il mito della V2 a tenere in piedi il regime di Salò. Gli ultimi mesi vedono la massa dei fascisti preparare la fuga. Solo i "duri" si votano al suicidio e commettono le ultime bestialità. La fine è ingloriosa e i vari servizi segreti si sbracciano per tramare contro i tedeschi
di Giorgio Marenghi
(Contatti STORIAVICENTINA:
Si va verso la fine. Ormai a Vicenza ed in provincia lo sanno tutti, ma c’è chi vuol fare il suo “dovere” fino in fondo, e sono gli idealisti, e chi vuol vendicarsi, vuol giocare la sua pelle fino all'ultimo minuto.
E’ il caso degli appartenenti alle varie polizie fasciste repubblicane. Della G.N.R. abbiamo già tracciato un quadro generale: la struttura provinciale è adibita per lo più a compiti di rastrellamento e di ordine pubblico nei vari comuni del territorio.
E’ importante invece soffermarsi sulle modalità e caratteristiche della repressione: chi erano gli individui che torturavano, imprigionavano gli antifasci¬sti, commettendo ogni sorta di abusi ed illegalità? Di sicuro erano degli speciali¬sti, alcuni provenivano dalle fila della polizia, ma si erano fatti "la mano" con l'esperienza della lotta all'antifascismo e l'i¬nizio della guerra civile aveva solleticato il loro palato promettendo giorni avventu¬rosi a personalità malate.
La tortura come mezzo di lotta politica
Verso l’autunno del 1944, in ottobre, si forma il reparto del B.D.S. italiano (la sigla completa è: SICHERHEITSPOLIZEI U. DES S.D. IN ITALIEN - ITALIENISCHE SONDERABTEILUNG: PUBBLICA SICUREZZA E SERVIZIO SEGRETO IN ITALIA - REPARTO SPECIALE ITALIANO) passato alla storia come “banda Carità”, dal nome del Maggiore che comanda il gruppo. A questa formazione si aggregano militari di carriera ed altri avventurieri.
Tutti comunque si comportano ed agiscono come agenti di un servizio segreto. E conseguono naturalmente buoni risultati, poiché i loro infiltrati vengono a conoscere indirizzi, nomi e logistica dei gruppi clandestini della resistenza partigiana. Nelle loro mani cadono molti bei nomi della resistenza vicentina, capi e semplici patrioti.
Il centro del servizio di spionaggio nell'autunno del 1944 viene stabilito in una villa di Via Fratelli Albanese: accanto vi è pure una casermetta (foto sopra) dove alloggia una cinquantina di militi del reparto. Nella caserma della Guardia Nazionale Repubblicana, a San Michele a Vicenza, invece, si trova un’altra prigione, che è in pratica una sala d’attesa per i prigionieri prima di essere portati alla villa di Via Fratelli Albanese, nominata “Villa Triste” per le torture effettuate con la corrente elettrica sui poveri corpi dei detenuti.
Una specialità questa in cui eccellono sia gli uomini del reparto di Carità, sia quelli del Comandante della Marina Repubblicana con sede a Montecchio, Mario Spano, e tanti altri, sparsi anche in provincia.
Ma, restando a Vicenza, a San Michele, sempre nell’ottobre del 1944, si costituisce uno speciale Ufficio Politico Investigativo: l’U.P.I. Il servizio non desta l’attenzione di alcuno, usa i metodi sotterranei della delazione e dell’infiltrazione. Alcuni giovani “ribelli” cedono sotto tortura, parlano, e in alcuni casi “passano” dalla parte degli aguzzini diventando a loro volta informatori della rete poliziesca.
E’ difficile giudicare, adesso, dopo più di cinquant’anni da quegli avvenimenti, ma è un fatto inoppugnabile che solo i più forti fisicamente e moralmente potevano reggere sotto tortura: gli altri, i più fragili, almeno, venivano “lavorati” con maestrìa dai professionisti della “guerra civile”.
Campioni in questo genere di lavori nel periodo in questione sono Foggi Osvaldo, proveniente dalla G.N.R. di Arezzo, ed alcuni personaggi della G.N.R. di Bologna arrivati a Vicenza: il tenente Amleto Salmi, il milite Vancini, il brigadiere Moselli, il milite Bentivoglio, il milite Loreta ed il sottotenente Pietro Zatti. Il tenente Di Fusco invece aveva funzioni di “ordine superiore”, probabilmente coordinava l’attività “investigativa” degli altri militari.
Nella Villa di Via Fratelli Albanese operano, nell’autunno del 1944, anche il tenente Usai, il capitano Bacoccoli, il tenente Bianchi, tutti della B.D.S., gruppo sontuosamente chiamato “Reparto Speciale Italiano” (data la sua appartenenza alla S.D. tedesca). La simbiosi della G.N.R. di San Michele con il gruppo di “Villa Triste” è naturalmente sotto il diretto controllo tedesco, cioè del servizio segreto di sicurezza, la S.D., diretto a Vicenza dal tenente Ehrke.
Le infamie dei "patrioti" neri
Gli episodi di tortura sono talmente numerosi e raccapriccianti che, per ovvi motivi di opportunità, non vogliamo insistere sui particolari. Merita invece, almeno per avere un’idea dei fatti accaduti, narrare di uno scontro politico avvenuto tra le gerarchie del fascismo vicentino e quelle tedesche a proposito della condotta tenuta da ufficiali e militari nei confronti dei prigionieri “politici”.
Un documento rivelatore, scritto dal comandante la G.N.R. di Vicenza, colonnello Amedeo Camerucci (Arch.di Stato-Vic.) così informa le gerarchie superiori di un diverbio verificatosi con il Capo della Provincia:
"Il giorno 18 corrente (18 febbraio 1945, n.d.c.) il mio ufficiale di collegamento con la Gendarmeria ZUG (organismo tedesco, n.d.c.) mi presentava l'unito promemoria. Poiché mai avevo ricevuto un ordine di passare a disposizione della S.D. germanica le persone arrestate comunque dalla G.N.R. ritenni utile chiarire, per prima cosa la richiesta della gendarmeria con il nuovo Capo della Provincia, rag. Mirabelli. In tale intento nel pomeriggio del giorno 19 corrente andavo dalla prefata autorità...".
E qui il buon colonnello Camerucci mente spudoratamente, poiché gli arrestati dalla “sua” GNR finivano nelle mani del “Reparto Italiano” di “Villa Triste” che altro non era se non la longa manus delle SS di Ehrke che, per motivi di opportunità politica, non volevano sporcarsi le mani.
Ma proseguiamo con la relazione dell’ufficiale:
"Il Prefetto mi disse, per prima cosa, che gli arrestati o fermati dovevano essere passati alle carceri entro le 24 ore dall’arresto e che gli interrogatori avrebbero potuto aver luogo in quella sede medesima. Poi affermò che sarebbe stato utile dividere i compiti tra Guardia e Polizia, lasciando alla prima le mansioni di ricerca di reati politici..".
E’ evidente che il Prefetto, funzionario di un regime che sa di essere in agonia, vuole salvare il salvabile. Le informazioni che Mirabelli ha, lo convincono a rompere gli indugi e a fare un cicchetto all’ufficiale della Guardia.
Lo scontro tra militari e politici
Il Colonnello comunque non si dà per vinto e passa al contrattacco:
"Poiché obiettai che la Guardia non poteva rinunciare alla ricerca e smascheramento di individui responsabili di reati politici, il Prefetto scattando disse: “Adesso tutti vogliamo pretendere di fare i poliziotti!”. “La Guardia che ci sta a fare?” “Vada a combattere al fronte!”. Soggiunse poi che a Savona egli aveva messo a disposizione della G.N.R. locale tre funzionari di Polizia per lo svolgimento di indagini, istruttorie, ecc. e mi fece analoga offerta per Vicenza. Poi mi avvertì che per le ore 16 del giorno 21 (febbraio 1945, n.d.c.) aveva indetto una riunione dei rappresentanti le forze di polizia italiane e tedesche per concordare unicità di operato, in quanto egli come Capo della Provincia, oltre che ad autorizzare preventivamente qualunque azione da parte delle forze di polizia italiane intendeva essere al corrente di tutti i fermi ed arresti operati da quelle germaniche..".
E’ evidente che il Mirabelli si deve essere montato la testa, poiché tutti i suoi predecessori in quella carica avevano dovuto abbassare la testa a fronte dei diktat germanici e che non valeva proprio la pena fare finta di essere un leone in condizioni di così assoluta sudditanza. E’ ancora più interessante, invece, la relazione sulla riunione, di pugno sempre dello stesso Colonnello Camerucci che prosegue nel suo racconto ai superiori.
La riunione in Prefettura
I responsabili dell'ordine pubblico si trovano il 21 febbraio 1945 a Vicenza negli uffici del Capo della Provincia Mirabelli. Il Colonnello Camerucci, da buon osservatore, riporta i passi salienti:
“Erano presenti, oltre al sottoscritto che era accompagnato dal capo del Nucleo Politico Investigativo Capitano Rossi e dall'ufficiale di collegamento con la Gendarmeria ZUG, S.D. e Questura, Capitano Bonavia dell'Ufficio, il Commissario Federale (Raimondo Radicioni, n.d.c.) con i suoi elementi per le Brigate Nere, il Comandante Spano per la Marina Repubblicana, il Tenente Ehrke, comandante la S.D. di Vicenza, il maestro Boitling, comandante la Gendarmeria ZUG di Vicenza, il Tenente Usai, comandante la B.D.S. di Vicenza, il Capo gabinetto della Questura, il Commissario Feliciani, Capo dell’Ufficio Politico della stessa.
Il Capo della Provincia che al momento in cui le autorità italiane venivano introdotte nel suo gabinetto era già in colloquio unitamente al suo segretario con il comandante la Gendarmeria ZUG, esordì subito dicendo che il giorno precedente era stato a visitare le locali carceri di San Biagio e che da tale visita aveva riportato una impressione penosa e di disgusto poiché aveva trovato, tra i trecento e più carcerati, persone arrestate dalla Guardia e denunciate (sono circa settanta) per le quali, secondo lui, si sarebbe dovuto procedere alla fucilazione sommaria, mentre altre denunciate per favoreggiamento ai ribelli, languivano ingiustamente nella casa di pena in attesa del processo, in quanto si trattava di “povere donne che avevano dato a qualche ribelle un piatto di lenticchie sotto la minaccia del parabellum o della pistola”, e che il loro gesto non poteva certamente essere considerato favoreggiamento...".
Il Prefetto Mirabelli con queste parole si inimica sia il colonnello Camerucci, poiché lo accusa di non aver fatto fucilare settanta “ribelli”, ma anche i tedeschi, che avevano sempre sostenuto che chi appoggia, alimenta o sostiene i “ribelli”, viene considerato tale e deve essere fucilato sul posto. Strano funzionario questo Mirabelli, vuole razionalizzare la lotta antipartigiana e al tempo stesso vuole la “legalità” nei grossi centri urbani.
Si entra nei particolari
Ma è sul resoconto della discussione sulla situazione delle carceri che viene fuori il bello. Dice sempre il Camerucci, parlando del Capo della Provincia:
"..aveva inoltre trovato persone sottoposte a violenze o lesioni da parte della Guardia e più precisamente: una donna che aveva le dita irrigidite in seguito ad applicazioni elettriche; una ragazza che aveva subito violenza carnale da parte di un ufficiale della Guardia e una terza, e di questa fece il nome, signora Setti, che era diventata pazza in seguito ad applicazioni elettriche. Mentre il Capo della Provincia così parlava, il suo segretario, che non si comprende perchè dovesse essere più eccitato di lui, traduceva le parole del Prefetto ai Germanici. Dopo l’argomento trattato dal Capo della Provincia, quella che doveva essere una riunione di coordinamento, per circa tre ; ore rimase invece una discussione a due di argomenti che dovevano essere trattati in sede diversa o comunque non alla presenza di tutte le persone in quel momento convocate..".
Povero Camerucci, trattato a pesci in faccia da Mirabelli, e forse guardato con aria di compassione dagli altri responsabili della repressione, non certo agnellini, come il tenente Ehrke o il tenente Usai, per non parlare degli ufficiali delle Brigate Nere.
Il fallimento della riunione di coordinamento
In pratica la riunione fallisce: tutti si imbestialiscono perchè è venuto fuori un vespaio che doveva restare “top secret”. Il Capo della Provincia fa presente al Colonnello Camerucci che d’ora in poi
"..la Guardia avrebbe potuto fare a meno di nominare il suo rappresentante (nella commissione di esame delle denunce proposta dal Mirabelli), perchè il riesame delle denunce, per la Guardia, lo avrebbe fatto lui stesso, sotto la sua responsabilità, qualora gli fossero presentati tutti gli incartamenti...".
Sembra proprio che Mirabelli faccia il “patriota”, magari di Salò ma che tenga alla bandiera nazionale, invece subito dopo, sempre nella relazione del Camerucci, viene improvvisa la delusione:
"Successivamente il Capo della Provincia unitamente ai due rappresentanti germanici stabilì che d’ora in avanti tutte le operazioni da parte della polizia italiana dovevano essere da lui autorizzate e quelle più importanti dovevano essere autorizzate anche dai germanici, che tutti gli arrestati o fermati devono essere messi a disposizione della S.D. e che le polizie italiane, fatti gli interrogatori, devono trasmetterne una copia alla S.D. ed una al Capo della Provincia, ai quali spetta la decisione di stabilire se e a chi devono essere denunciati o se devono essere messi in libertà o assegnati al servizio del lavoro..".
La riunione, ed è questo il commento finale del Camerucci, ha comunque fallito lo scopo, che era quello di coordinare l’attività delle polizie, italiane e tedesche.
L’impressione è che i tedeschi, nel febbraio del 1945, a trattative segrete già ben avviate per la resa agli Alleati del gruppo di armate della Wehrmacht in Italia del Nord vogliano temporeggiare: sono finiti i grandi rastrellamenti dell’estate e dell’autunno 1944.
Ora è tempo di trattative, di sondare il terreno, di disfarsi dei fanatici, che sono poi quelli che non capiscono quando è giunta l’ora di ritirarsi dalla scena. Camerucci, nel finale del documento, nota anche l’assenza del capitano Buschmajer, comandante il battaglione russo di stanza a Marano, della Feldgendarmerie di Vicenza, della S.D. di Bassano del Grappa.
Un centro specializzato nello spionaggio
Dove si studiava per diventare spie? Ma nel Vicentino naturalmente. A Villa Ca’ Bianca in Longa di Schiavon per la precisione. In questa deliziosa villa, immersa nel verde, protetta da alcune batterie dell’antiaerea, difesa da garitte, filo spinato, dove erano accasermati almeno un centinaio di SS italiane ed alcuni tedeschi, si insegnava a giovani allievi l’arte dell'infiltrazione e del sabotaggio. Lo scopo era “nobile”: danneggiare o distruggere, nella migliore delle ipotesi, il movimento partigiano. Il capo di questa struttura nella primavera del 1944 è il Generale Visconti.
Lo scopo della “scuola”, come s’è detto, è la formazione di agenti di spionaggio e per far ciò gli uffici vengono ripartiti in due branche: la branca principale è quella che forma gli agenti in borghese, le spie. L’altro ufficio o branca del Servizio, è formato da militi in uniforme delle SS italiane, manovalanza addestrata ai compiti dei rastrellamenti.
L'ufficio “spionaggio”, nel periodo fra la primavera e l’inverno del 1944, è retto da Mario Minozzo, di Marostica, ufficiale al quale vengono passate tutte le informazioni, smistate all’interprete Pegoraro per la traduzione in tedesco. In questo ufficio lavora pure il maresciallo SS Pellegrini, di Bassano del Grappa. All’Ufficio posta un certo Battaglin. Per il servizio in “borghese” si prestano Vittorelli, Rach, Benetti, Baccin, Toniolo, Heller e altri. L’attività è intensa. Ogni sabato il generale Visconti II riceve nel suo ufficio e concorda con loro le linee di tattica per l’infiltrazione. Per fare un esempio tra le azioni meglio riuscite alla scuola di Ca’ Bianca è da annoverare il rastrellamento sul massiccio del Grappa, azione voluta proprio dal generale Visconti, coordinata dai tedeschi ed incoraggiata dal Maresciallo Graziani.
Una struttura marcia all'interno
Se il Generale Visconti conseguiva qualche successo nel campo della lotta ai partigiani, il Servizio di Ca’ Bianca non era certo inattivo su altri fronti: negli archivi della villa si ammucchiano informazioni sullo stesso Duce del Fascismo, sul Pontefice, sui massimi gerarchi hitleriani e su alti ufficiali della Wehrmacht in Italia.
Le schede vengono poi tradotte e passate al Servizio delle SS tedesche e alla S.D. Per il servizio informazioni si attiva anche il prof. Velo, tal Bertizzolo, il figlio del farmacista Dall'Oglio, Signori per la zona di Milano e Brescia, Zaborra, Gobbi, Baron, Vianello. Scanagatta, di Marostica, anche questo per il servizio in borghese, è per un certo periodo capo del servizio informazioni, assieme a Primo Borella, confidente del generale Visconti, a Lorenzoni e a Bonollo. Lino Gasparin, invece, milite capitato nel posto sbagliato, non vede l’ora di fuggire dalla villa e si mette in contatto con la resistenza.
Altri tipi strani vivono nelle fila delle SS di Ca’ Bianca: un certo Betetto, ad esempio, viene considerato un ottimo elemento e a lui vengono affidate operazioni di fiducia. Ma il Betetto ha allo stesso tempo relazioni con uomini della resistenza e consiglia ad uno di loro di tenersi alla larga da un’altra spia di Ca’ Bianca, il De Gasperi, l’uomo di fiducia del generale Visconti.
Betetto opera a Padova e poi a Milano. Durante il rastrellamento del Grappa è ovviamente presente, ma “stranamente” salva da sicura morte un partigiano. L’epilogo di Villa Ca’ Bianca lo si può condensare nell’avventurosa ricerca del “tesoro degli ebrei”; un carico di oro e argento, trafugato dalla sinagoga di Firenze dal Maggiore Carità e finito a Ca’ Bianca negli ultimi giorni dell’aprile del 1945. Recuperato dai partigiani viene restituito intatto ai legittimi proprietari (da documenti Archivio di Stato di Vicenza).
Il clima rarefatto e allucinato della caduta
Ma come vivevano i relitti del Regime in attesa del crollo finale? Male senza alcun dubbio: quasi tutti, a parte gli esaltati che credevano ancora a quello che veniva pubblicato sui fogli della SS italiana (“Avanguardia”) per cui le “armi segrete” tedesche avrebbero capovolto la situazione, la maggioranza preparava le valigie.
C’è anche chi, nel tran tran della vita quotidiana si preoccupa di cose spicciole, di vivacchiare. Come quell’ufficiale, tale Caporilli Ubaldo, tenente del Comando del 4° Gruppo Contraereo di Vicenza, addetto anche alla Propaganda, che chiede al Prefetto alcuni generi di “conforto” per i suoi uomini:
"..mi permetto di sottoporvi, Eccellenza, quanto segue: il IV° Gruppo AR.CO. conta circa 500 uomini e costituisce l’unico reparto italiano operante nella Provincia. Gli artiglieri si comportano al fuoco ottimamente e, in data di ieri, è stato abbattuto il sesto aereo. La massima parte dei nostri soldati è costituita da ex ribelli, ex renitenti, ex sbandati. La vita nelle batterie è particolarmente dura per la continuità degli allarmi, per la mancanza di libera uscita e perchè le provvidenze materiali non si sono, fino ad oggi, potute completare...".
In poche parole il tenente chiede aiuto al Prefetto per un reparto che qualsiasi esperto di cose militari reputerebbe di scarsa “affidabilità” sotto il profilo politico-militare. Ma il Caporilli non ci sente, lui vuole aiuti e aiuti avrà, dalla Prefettura.
Infatti con notevole senso dell’umorismo il Capo della Provincia assegna al reparto un notevole quantitativo di “libri di lettura amena” con nota n.495 del 14 marzo 1945.
Per l’occasione si mobilita anche il Municipio che, nella persona del Podestà Antonio Corna, non trova di meglio che deliberare per l’acquisto di “24 volumi di lettura varia da destinare al 4° Gruppo AR.CO. di stanza a Vicenza per la spesa complessiva di lire 2031,50”.
Ma ci sono anche altri aspetti, ancora più esilaranti: interpellato dal Prefetto su quali aiuti offrire al tenente Caporilli ed ai suoi “ex”, il Podestà, il 26 febbraio, aveva informato il Capo della Provincia che un pallone da calcio, "seminuovo, sequestrato in questi giorni dai vigili urbani ad alcuni ragazzi che giocavano in Piazza delle Erbe..” era a disposizione. “Qualora vogliate autorizzare la requisizione, non essendo possibile trovarne sul mercato..potrebbe essere posto a disposizione del IV Gruppo AR.CO...".
Ma il Prefetto Mirabelli, ligio e rispettoso della legge, dice chiaro e tondo che no, il pallone deve essere restituito al suo legittimo proprietario, il signor Pasquale Formaggio abitante in Piazza delle Erbe a Vicenza! La vicenda si chiude con un ordine alla Libreria Giovanni Galla per la fornitura di libri. Purtroppo non si conosce l’indice di gradimento tra gli artiglieri del IV° Gruppo.
La GNR scrive al Duce
Sempre più fosche le “previsioni” e le informazioni che gli uffici della Guardia forniscono al Quartier Generale da Vicenza. Il 7 aprile 1945 il Colonnello Amedeo Camerucci riporta queste impressioni:
"Situazione militare. Il morale dei soldati è sempre maggiormente in ribasso. Le offensive ad Oriente ed Occidente (evidentemente favorevoli agli attaccanti) hanno fatto perdere ogni fiducia nella tanto conclamata riscossa della Germania, che, allo stato attuale delle cose, subisce ancora passivamente l’invasione del suo territorio. Si osserva, come la forma di propaganda degli Enti responsabili della Repubblica non sia la più indovinata per dar vigore agli spiriti depressi. L’assoluto disinteresse ed anche per alcuni strati sociali, lo scherno della popolazione verso i militari ha una forte ripercussione su questi...".
E qui Camerucci ha una grande pensata
"Bisogna che si compia il “miracolo” della riscossa della vittoria per rivedere come un tempo il cuore del soldato battere all’unisono con quello del nostro popolo, di questo nostro popolo che oggi è orientato a salvare il salvabile e ad affrettare con la speranza ed i voti la fine della guerra, costi quel che costi. Nel mese di marzo si sono avuti 12 casi di diserzione tra la truppa dell’E.R....".
Con questi uomini e con queste idee è chiaro che, neanche nel momento del crollo, i fascisti repubblicani possono pretendere di uscire di scena con dignità.
Gli italiani che vogliono la libertà si organizzano
Tutti altri discorsi sul versante della resistenza armata contro il nazifascismo: i comandi delle brigate partigiane danno gli ordini di mobilitazione generale. A partire dal febbraio 1945 è in atto il riordino dei reparti, il munizionamento, la stesura dei piani particolareggiati per l’offensiva finale.
L’8 aprile 1945 dal Comando Militare Regionale ai Comandi di Brigata dei gruppi “Garemi” vengono date queste disposizioni:
"Ogni azione di sabotaggio deve corrispondere ad uno stretto criterio militare. Deve cioè portare un’immediata ripercussione in quella che è l’organizzazione militare del nemico paralizzando per periodi di maggiore o minore durata una determinata attività.
Così le azioni dirette contro le linee di comunicazione dovranno essere effettuate tenendo presente quale sia “nel momento attuale” l’arteria o il fascio di arterie, rotabili o ferroviarie, delle quali il nemico fa o deve fare maggiore uso. Nel determinare singoli obiettivi (interruzione di ponti, aspor¬tazione di impianti ferroviari ecc.) bisogna scegliere mezzi che, a parità di rendimento, arrechino il minor danno possibile al nostro patrimonio.
Ad es., volendo impedire la erogazione di energia elettrica da una centrale, è assolutamente sconsigliabile l’azione contro i bacini di carico e gli impianti della centrale stessa, mentre molto più economica e facile da attuare è l’azione di brillamento contro i piloni di sostegno dei cavi di trasporto dell’energia.
Per quello che riguarda fabbriche che producono materiale per il nemico evitarne la distruzione completa, poiché lo stesso scopo può essere raggiunto danneggiando, ad esempio, le sole caldaie od asportando le sole cinghie di trasmissione, oppure asportando o distruggendo le materie prime o i manufatti.
Concludendo: le distruzioni da arrecare non debbono essere fini a se stesse, ma studiate nelle loro ripercussioni sia ai fini del danno che si arreca all’organizzazione militare nemica, sia nei riguardi della salvaguardia del patrimonio nazionale. In questo campo ha particolare importanza la conservazione delle centrali elettriche, per le quali gli stessi Alleati hanno rivolto viva raccomandazione di evitare distruzioni totali o indiscriminate.
Le azioni di controsabotaggio si prefiggono lo scopo di impedire che il nemico all’atto della sua ritirata asporti o distrugga impianti di interesse militare o generale. A tale scopo in ogni zona il Comando Militare Responsabile dovrà esaminare attentamente e definire quali siano gli impianti (comprendendo in questa voce anche i ponti, gli acquedotti, le centrali elettriche e relativi bacini montani, le centrali di produzione di gas, centrali telefoniche, stabilimenti radio, ecc.) che occorre proteggere ad ogni costo dall’azione del nemico.
E’ importante provvedere altresì alla protezione degli impianti idrovori e reti di canalizzazione (tutti gli impianti per bacini idrici artificiali, dighe, chiuse, canali di sfogo ecc.) onde evitare allagamenti particolarmente dannosi sia ai fini militari che a quelli agricoli. Ogni comando, in relazione alle forze disponibili ed alla importanza degli impianti esistenti nella propria zona, provveda senz’altro a preparare la difesa degli impianti stessi, stabilendo tutti i particolari per il raggiungimento dello scopo..".
Altre le intenzioni delle Brigate Nere
Di tutt’altro avviso che conservare il “patrimonio nazionale” sono i militi delle Brigate Nere” di Vicenza. Il Federale Radicioni nei giorni 25 e 26 aprile 1945 si presenta armato e accompagnato da suoi camerati, altrettanto armati, agli uffici della Banca d’Italia di Vicenza e “chiede”, armi alla mano, che gli vengano rilasciati per il pagamento dei funzionari e militi della Brigata Nera ben 14 milioni di lire in contanti.
Il Federale in quei giorni aspettava dal Governo la cifra di 50 milioni di lire, ma, visto che non arrivava nulla, pensa bene di andarseli a procurare. Radicioni poi il 27-28 aprile si reca a Venezia per cercare di mimetizzarsi.
Per lo meno i suoi si asserragliano in cinquanta nella sede di San Marco e chiedono per arrendersi l’onore delle armi! Nella caserma della “Banda Carità” altre cose strane succedono: i tenenti Usai e Bianchi già da tempo avevano formato un gruppo di “alpini SS” formato da sbandati, ex partigiani, ex renitenti, che avrebbe dovuto entrare in azione contro i tedeschi al momento della fuga della Wehrmacht.
Questo per dimostrare quale grigiore e quale confusione ideale impera nei giorni della disfatta! A Vicenza comunque si smobilita alle caserme di Borgo Casale, dove si bruciano carte e documenti, alla caserma di San Domenico gli agenti della Polizia Ausiliaria si eclissano. Molti di loro si uniscono ai partigiani che entrano in città.
Il 28 aprile si forma una autocolonna con circa millecinquecento fascisti che si avvia verso Rovereto. Nessuno la molesta, tanto si sa che poi ritorneranno indietro tutti. A Marostica, per stanare la Decima Mas, ci vogliono i partigiani a cui si uniscono alcuni ex militi della locale Brigata Nera.
A Thiene, Marano, Schio, le trattative sono lunghe, ma dovunque il crollo è immediato, anche se reso difficile da una massa notevole di militari provenienti da diverse direzioni. La Decima Mas si scioglierà, ad esempio, a Thiene, dopo essersi riordinata a Marostica: il Comando viene preso dal generale di Brigata Corrado, con gli ufficiali Mario Miselli, Giannino Lombardi, mentre il Battaglione “Fulmine” e “Sagittario” sono agli ordini dei tenenti di Vascello Giuseppe Orrù e Ugo Franchi.
Il 22 aprile 1945 il Comandante Valerio Borghese da l’ordine di spostare i reparti verso il Friuli, ma il precipitare degli eventi impedisce di muoversi. Il Battaglione “Fulmine” si sposta a nord di Thiene, due compagnie convergono su Chiuppano. Il 29 aprile 1945 a Thiene i comandi della Decima Mas fanno un “consiglio di guerra”. Concitate sono le trattative. Il “Fulmine” cerca di partire per Pian delle Fugazze ma alla fine si concentra nel campo sportivo di Schio e si arrende il 30 aprile agli americani.
A Montecchio Maggiore il battaglione “Pegaso”, istituito per difesa del Sottosegretariato della Marina Repubblicana, si consegna ai partigiani. A Valdagno il tenente Ferraro, comandante del gruppo “Gamma”, si arrende anch’esso al CLN. Gli altri gruppi e reparti, ormai dissolti, vengono rastrellati e catturati dalle forze partigiane e dalle truppe Alleate.
Ma si continua a morire sino all'ultimo minuto
A Vicenza le cose però non sono così semplici. Il 28 aprile in città ci sono anco¬ra nuclei molto forti di soldati tedeschi della Wehrmacht, soprattutto ci sono i reparti di guastatori che hanno il compito di far saltare in aria ponti, installazioni industriali, ecc. Come si è detto le Brigate Nere si sono radunate e una parte cerca di raggiungere l’Alto Adige, mentre i restanti gruppi si arroccano nelle loro caserme per arrendersi poi ai partigiani.
In città la calma è apparente. Le strade sono vuote, chi si avventura rischia una fucilata da parte di qualche ronda tedesca. E purtroppo numerosi civili lasciano la vita proprio nei giorni della “Liberazione”, sia per gli ultimi sciagurati bombardamenti Alleati sulla città, effettuati senza alcun motivo militare, sia per le rappresaglie o il nervosismo dei soldati tedeschi in ritirata.
"A nemico che fugge ponti d’oro”: è una massima che molti partigiani dell”ultima ora” non applicano nei giorni roventi di fine aprile. Lo si può comprendere per la repressione bestiale a cui è stata sottoposta la popolazione durante i tragici mesi dell’occupazione, ma non lo si può giustificare perchè decine di civili innocenti perdono la vita a causa del pretesto offerto ai tedeschi su un piatto d’argento.
Le retroguardie non aspettano altro che fare terra bruciata: a Vicenza muoiono donne inermi alle finestre delle loro case solo per aver socchiuso una persiana mentre nella strada sta sfilando un reparto di SS. In provincia decine e decine di civili sono massacrati perchè qualche isolato “patriota” sparacchia sulle colonne che arrancano sulle rotabili verso il nord.
Succede così a Monte Crocetta nei pressi di Vicenza, dove perdono la vita 14 abitanti delle frazioni, mentre le donne ed i bambini devono assistere al massacro. La stessa scena a Campedello per l’uccisione di un soldato tedesco. In altri luoghi, per la verità, non sono solo i partigiani dell’ ”ultima ora” a causare, sia pure indirettamente, danni ai civili, ma è l’odio dei soldati germanici verso gli italiani che si sfoga senza ritegno.
Guido Zemin, 19 anni, dopo essere stato costretto a portare per conto di soldati tedeschi una cassetta di munizioni nei pressi del cavalcavia di Via Vaccari, a Vicenza, viene freddato a rivoltellate. Sono gli ultimi lutti, per la città, altri ce ne saranno nei giorni 30 aprile, fino ai primi di maggio, nelle località a nord della provincia. Ma in questi casi le vittime appartengono a formazioni partigiane impegnate a spegnere la resistenza delle retroguardie nemiche.