La vicenda del "doppiogiochismo"

Partigiani, "quasi partigiani", autentici poliziotti dell'Ausiliaria fascista, il cambio di casacca...

 

 

di Giorgio Marenghi

 

Anni orsono ho intervistato Raffaello Dal Cengio, nella sua abitazione, in provincia di Verona. Per chi non conosce il personaggio devo tracciarne un breve profilo prima di addentrarci nei labirinti della resistenza e del doppiogiochismo vicentino.

Dal Cengio Raffaello nasce l’8 aprile del 1921 in Vicenza. Allo scoppio della guerra partecipa alla campagna di Russia con la “Julia”, poi dopo l’8 settembre del 1943, ancora con i postumi delle ferite di guerra, trova un posto come impiegato presso l’azienda telefonica TELVE di Vicenza.

 

In quel periodo i tedeschi avevano occupato Vicenza. Lei cosa fece? Continuò nel suo lavoro?

 

“In un certo senso sì, poiché i tedeschi si lamentavano che quando chiamavano Padova rispondeva Torino,ecc. Era il permutatore che non funzionava. Dicevano che eravamo stati noi, io e altri impiegati, invece con il permutatore non trovarono nulla, era fuori che avevamo cambiato i cavi delle linee…”

 

E allora successe qualcosa?

 

“Volevano portarci in Germania, ci portarono prima a Porta Padova dove c’era un comando tedesco. Eravamo al primo piano, da una finestra scappammo tutti e quattro. A casa ovviamente non potevo più andarci. Ma avevo un fratello prete a S.Margherita (Verona). Ci sono andato e proprio lì conobbi il professor Nicoletti che faceva parte del CLN veneto.

 

Questo contatto ebbe delle conseguenze?

 

“Certo. Poiché Nicoletti conosceva tutti e io conoscevo di persona il Commissario di Pubblica Sicurezza dott. Follieri. Presi la decisione di arruolarmi nei ranghi della Polizia, alla Questura di Vicenza. Eravamo già nel gennaio-febbraio del 1944. Fui assegnato alla squadra politica del capitano Polga con l’incarico di avvertire Nicoletti con la tacita approvazione del questore Linari”.

 

Ma in quel periodo le cose si complicano per via di quei furti nelle case vicentine…

 

“Quello è stato un fatto che ha messo nel caos la questura di Vicenza. L’ufficio politico di Polga si attivò per capire chi poteva essere ad effettuare tutte queste rapine. Anche perché gli autori si spacciavano per partigiani. Invece eravamo un gruppo di giovani, sette poliziotti, io dell’ufficio politico e i due fratelli Righetto che avevano un’oreficeria sotto la Basilica…”

 

Anche lei dunque della banda?

 

“Sa..c’ero e comunque partecipai alla rapina in casa di Bassani a Longare. L’ultima rapina fatta in casa Paulon segnò poi la fine…Nicoletti mi avvertì e mi disse : Ma che fai? Diglielo al capitano Polga. Polga li fa arrestare, Linari invece mi fa scarcerare perché disse “Dal Cengio mi aveva avvertito, io ero al corrente”.

 

Sicchè il CLN vicentino e il questore erano al corrente?

 

“Sì, infatti mi misero in carcere a S.Biagio per 10-12 giorni e poi mi rilasciarono. Io ero in contatto con Carlo Segato, Oddo Capannari, Nicoletti, Ettore Busatta “Barone”, Nozze Aquilino. “

 

E Polga cosa c’entrava nella faccenda?

 

“Polga era un fascista retto, non è vero che lui fosse complice. E’ stato male quando seppe che sette dei suoi andavano a fare le rapine. E’ stata una cosa fatta spontaneamente…”

 

E lei aveva denunciato tutti…

 

“Io ero difeso da tutte e due le parti: era un doppio gioco…”.

 

Poi cosa successe?

 

“Fui espulso dalla polizia e dovetti darmi da fare con un negozio di frutta e verdura per poter vivere. Ricordo che proprio vicino al negozio un giorno passò Polga in bicicletta e mi salutò. Disse: “mi interesserebbe proprio sapere di questo prof. Nicoletti che deve essere uno dei capi del CLN”. Nicoletti che era lì presente sbiancò in volto. Io risposi: quando è possibile se saprò qualcosa..”

 

Ma lei era in contatto con i partigiani?

 

“Sì e da un pezzo. Entrai nel gruppo di Tavernelle con Carlo Segato. Feci molte azioni di disturbo, tra le quali fare trovare delle munizioni al Commissario dott. Follieri in modo che lo si considerasse in questura un “fascista leale”.”

 

Siamo arrivati al settembre del 1944. Cosa succede?

 

“Succede che arrestano Nicoletti, Carlo Segato, quasi tutto il comando partigiano. Io cercai di rifornire di sale i partigiani della montagna. A San Felice avevamo due carretti con i cavalli, siamo andati al Cotonificio Rossi e abbiamo riempito due carri di sale. Abbiamo saltato i posti di blocco perché Follieri dava indicazioni sbagliate ai suoi uomini. Ma la situazione in città era pericolosa. Dovetti alla fine andare in montagna…”

 

Gli arresti continuavano..

 

“Sì, fu arrestato anche Follieri, però Linari non fu carogna. Intanto io con Tom Beltrame cercammo di arrestare Marozin (capo partigiano della formazione badogliana “Pasubio” che operava nei Lessini) poiché era stato emesso un ordine di condanna a morte da parte del CLN veneto. Ma arrivati a Cornedo non trovammo nessuno. Marozin, avvisato, era già fuggito…”

 

Ma dopo gli arresti di parecchi capi partigiani cosa facevate?

 

“Io ero in contato con molti gruppi, tenevo i collegamenti. Ricordo che una sera ci riunimmo in una casa a Costabissara, da Ottorino Bertacche, lui teneva i collegamenti con il capitano Polga e con il dott. Follieri. Era quello che univa i due poli…”

 

Ma Carlo Segato riuscì a scappare dalla prigione…

 

“Sì e io lo portai a casa mia a San Felice…”

 

Lei dell’eccidio di Schio non ne sa nulla?

 

“Io so che uno dei capi della polizia partigiana di Schio, Ruggero Maltauro “Attila” aveva partecipato pure lui alle rapine della “Banda Righetto, quella dei poliziotti ,ecc. Già nel 1944 il Maltauro era ricercato dai partigiani di Segato ma l’incontro con Maltauro fallisce perché ci si mette di mezzo “el gato”, il partigiano che  avrebbe poi ucciso il capitano Polga a Monteviale. Perciò Maltauro con il nome di “Attila”, da rapinatore inizia la sua avventura partigiana…”

 

Nient’altro?

 

“Mi mandò a chiamare il capitano Baker della Polizia Militare alleata di Vicenza. E mi chiese: conosci questi? Loro sospettavano già. Mi inviò a Schio ma Maltauro mi deve aver visto e decise di fuggire in Jugoslavia…!

 

Passiamo al processo per l’omicidio dell’avvocato Tricarico. Lei fu condannato e accusato di aver sparato all’avvocato in piena faccia? Che ha da dire?

 

“Quello che ho detto ai giudici. Io ero là ma non ho sparato. Io so il nome di chi ha sparato ma non lo dirò mai. Segato magari c’entra tecnicamente…io però facevo parte del gruppo dei 3…”

 

Era tutto preordinato, preparato?

 

“A me mi hanno ordinato di fare così e io ho fatto…E’ stato un processo abbastanza…ma è stata una cosa improvvisa!..”

 

Ma quale fu il movente?

 

“Tricarico fu eliminato perché c’era il pericolo che quelli delle Brigate Nere venissero tutti scarcerati grazie a lui!”

 

Parliamo del mandante o…dei mandanti?

 

“Segato non sa niente dello sparatore…lo so solo io.. Al processo dissero un sacco di balle. Tom Beltrame che disse che mi aveva visto vicino a Galla…Aldo Scavazza, tutte balle! Anche sui giornali, tutte balle!”

 

Visto che lei era là ci racconti meglio cosa avvenne…

 

“Non era vero che ci eravamo nascosti sulle scale…ci trovammo due o tre sere prima.”

 

Lo sparatore?

 

“Di una certa importanza come partigiano sabotatore. Era molto bravo. Era della “divisione Vicenza”. Il fatto è che…lì a decidere ci sono volute delle persone che avevano fatto delle azioni militari…e lì..è stata fatta una azione militare per ordini ricevuti…basta…noialtri non sappiamo niente. Abbiamo sbagliato o fatto giusto? Lo sentii io per telefono l’ordine da Palazzo Giustiniani, a Roma…So la persona e non lo dirò mai”

 

Ma è andato in carcere con l’accusa di omicidio!

 

“Io potevo cavarmela benissimo. Sono stato stupido perché se avessi mostrato il Brevetto Alexander (riconoscimento di partigiano combattente rilasciato dagli Alleati a fine guerra n.d.r.) non mi arrestavano neanche. Io non ero comunista…”

 

Prima ha parlato di una telefonata…

 

“Sì e veniva da Roma…quella dell’ordine, poi ce ne fu un’altra il giorno dopo che fu ucciso Tricarico..”

 

E chi la fece?

 

“Non la ricevetti io…e le persone che possono averla fatta a quel tempo furono indicati Ettore Gallo, l’avvocato Ronzani, l’avvocato Segala…ma io credo che non c’entrino niente..”

 

Mandanti vicentini?

 

“Forse Mariano Rossi, ma era sua mamma la pasionaria…So che sono state fatte delle riunioni sempre due o tre giorni prima. Ho sentito accennare a Segato..si vede che loro si erano riuniti…Io ho eseguito gli ordini..”

 

Cosa dissero in quella telefonata da Roma?

 

“Potevate farne a meno!”

 

Qualche dubbio…

 

“Secondo me la causa è nel processo di Grancona..”

 

Al processo cosa avete pensato, di cavarvela?

“Noi eravamo convinti di uscire liberi dal processo. Poi abbiamo fatto sapere di volere tre anni , questo prima di andare in carcere. Difatti la legge di amnistia è venuta giusta dopo il 16 gennaio 1946 (data dell’avvenuto omicidio dell’avv. Tricarico)…”

 

Quando siete stati scarcerati?

 

“A natale del 1953 siamo stati scarcerati. In quei tre anni…chi ci ha fatto vivere bene…Io non ho mai avuto contatti…ho ricevuto ordini….Erano stati stabiliti tre anni e hanno rispettato il patto…e io non ho mai saputo chi mi inviava soldi quando ero in carcere…”.

 

 

Intervista effettuata e registrata da Giorgio Marenghi il 6 settembre 1990 nell’abitazione di Raffaello Dal Cengio in un paese della provincia di Verona.

 

 

Pubblichiamo un contributo sulla vicenda della "banda della Questura" che si intreccia con le "rivelazioni" di Raffaello Dal Cengio. g.m.

 

 

LA BANDA DELLA QUESTURA

23 agosto 1944: Il processo al gruppo degli "strani" rapinatori "partigiani" (Vicenza).

Azione partigiana.

 

 

La vicenda:

La “Banda della Questura”, così chiamata perché organizzata da "ambienti" della Polizia Ausiliaria repubblichina (secondo la resistenza clandestina il "capo" sarebbe stato il capitano Giovanni Battista Polga), agisce spacciandosi per formazione partigiana, mettendo a ferro e a fuoco, con furti, rapine, violenze, violazioni, saccheggi, maltrattamenti, stupri e omicidi la provincia di Vicenza.

 

Per la Resistenza è quindi indispensabile individuare e smascherare al più presto la formazione, inchiodando i responsabili delle azioni criminose alle proprie responsabilità.

 

A questo scopo, il Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale (CLNP) e il Comando Militare Provinciale (CMP), agendo in stretta collaborazione, costituiscono un gruppo di azione “anti-Polga” (questo il vero obiettivo) che comprende il prof. Giustino Nicoletti (insegnante all’Istituto Tecnico Commerciale), Carlo Segato “Marco – Vincenzo” del CMP, il dott. Luigi Follieri (Commissario Aggiunto alla Questura di Vicenza, addetto all’Uff. Centrale), Ottorino Bertacche, Raffaello Dal Cengio, Dalla Pria, Gian Battista Bassan e altri, tutti patrioti quest'ultimi infiltrati nella polizia ausiliaria repubblichina di Vicenza.

 

Questo gruppo ("semiclandestino") riesce a individuare i componenti della "banda" (però "solo" gli agenti in divisa) e a denunciarli pubblicamente, obbligando le autorità repubblichine a processarli e a farli condannare dal loro stesso Tribunale Speciale fascista il 23 agosto 1944:

 

- Eugenio Rigon di Giovanni, Stefano Rambaldelli di Giuseppe, Aldo Montresor di Luigi, Luigi Terreran di Domenico, Armando Negrello di Tulio, Mario Sisti di Pasquale, tutti della PAR e Giacinto Salco di Riccardo della GNR Ferroviaria, sono condannati alla pena capitale;

 

- I fratelli Bruno Silvio e Novenio Righetto, in quanto civili, ottengono la “grazia” e la commutazione della pena in 20 anni di prigione;

- Dori Lino viene assolto per insufficienza di prove.

 

 

Le condanne capitali vengono eseguite il 4 settembre 1944 presso il Poligono di Tiro di Vicenza.

 

 

 

I "civili" che la fecero franca...

 

E gli altri? I "civili" che avrebbero fatto ammontare ad una quindicina in totale il numero degli "operativi" della "Banda della Questura"? Costoro erano "giovani sbandati" (?), come gli agenti fascisti della Polizia Ausiliaria, ma disposti anche a infilarsi nelle fila della Resistenza, quella vera, quella che combatteva rischiando, quando avvertirono il pericolo di essere scoperti. Ma, come si vedrà poi, apparirà in tutto il loro squallore la natura mercenaria della loro avventura.  

 

 

Alcune delle azioni di cui si è macchiata la “Banda della Questura”:

 

“Il 21 luglio u.s. (21 Luglio 1944) alle ore 2, in località Scodegarda del comune di Longare, una decina di banditi, mediante scalata, penetravano nella villa del benestante Girolamo Bassani saccheggiandola ed asportando circa lire 20.000, una bicicletta, alcuni oggetti d'oro ed altro, arrecando un danno complessivo di circa lire 50.000.” dal Notiziario (“Mattinale”) della GNR di Vicenza di Vicenza al Duce del 2.8.44, pag. 14.

 

“Tra le operazioni di maggior rilievo si menzionano: l'arresto di nove persone partecipanti ad una associazione a delinquere che terrorizzava le zone limitrofe al centro urbano di Vicenza, mediante rapine per valori rilevanti che si calcolano in complessivo a circa dieci milioni. Gli arrestati sono stati condannati, dal tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, alla pena capitale, poscia commutata, limitatamente a due condannati, ad anni venti di reclusione, in accoglimento di ricorso per grazia. Dei giustiziati, numero sei appartenevano alla Polizia Ausiliaria e uno alla Milizia Ferroviaria.” dalla relazione sull'attività della Questura di Vicenza al Capo della Polizia del 12.10.44.

 

Interessante è anche quanto ricorda della vicenda e del processo contro la “Banda della Questura”, il giovane repubblichino Umberto Scaroni (autista personale del capitano Polga):

 

“Nella zona di Longare, ...una banda di rapinatori prese di mira le famiglie del posto, irrompendo di notte nelle loro abitazioni e commettendo furti, violenze e soverchierie d’ogni genere. Anche la casa della zia (la famiglia del prof. Bassani) fu visitata dai banditi, che vi entrarono mascherati e con la minaccia delle armi ne asportarono denaro, vestiti e tutti gli oggetti di valore che trovarono. Un giorno, infine, la clamorosa notizia. I rapinatori – che talvolta avevano anche usato violenza alle donne immobilizzate – erano stati scoperti e arrestati: si trattava di cinque (in realtà nove) agenti della polizia ausiliaria che per compiere le loro azioni criminose si erano giovati dei privilegi e degli speciali permessi di circolazione connessi alle funzioni del loro servizio pubblico. Tutti “rei confessi”, furono deferiti al Tribunale Militare di Guerra, che si riunì a Palazzo di Giustizia, ... Quello che maggiormente mi colpì, fu la strana ed incredibile tecnica adottata dagli imputati per sostenere non l’innocenza, dato che avevano confessato il reato, ma la loro “buona fede”. Tutti, infatti, chiamati a deporre, giunti davanti ai giudici scattavano ostentatamente sull’attenti, eseguendo un perfetto “saluto romano”; quindi, proclamando ad alta voce la loro assoluta fedeltà all’Idea Fascista, affermavano di aver agito con l’intenzione di “procurarsi i mezzi per continuare a combattere contro il nemico anglo-americano anche dopo la possibile invasione del territorio italiano”! ...”.

 

Altre rapine compiute dalla “Banda della Questura”:

 

 

- La notte dal 19 al 20 febbraio 1944, la “Banda della Questura” compie una rapina in Viale Verona, 163, nell'abitazione dell'avv. Eugenio Pisoni di Domenico.

 

- La notte dal 30 giugno al 1 luglio ‘44, la “Banda della Questura” compie una rapina a Villa Colpi Silvestri a Povolaro di Dueville a danno di Lucia Colpi Salvetti, gli avv.ti Giulio e Antonio Tozzi, Ugo Zanfrà.

 

- La notte del 11 al 12 agosto 1944 la “Banda della Questura” compie una rapina a Bertesina, nel rustico in Via Quintarello di Paulon Antonio di Giovanni (proprietario in Vicenza del noto negozio di biciclette, moto e macchine da cucire in Via Manin, 11) e dove è sfollata la famiglia di Monteverdi Italo di Carlo: asportano vestiario, oggetti personali, salami, denari e alcuni gioielli.

 

- Il 14 agosto ‘44, rapina compiuta da 14 banditi della “Banda della Questura” presso l’abitazione di Angelo e Romolo Cecchetto a Ghizzolle di Montegaldella; tra gli altri vengono rapinati, Michele De Zotti di Massimiliano e il prof. Bordin Eros di Fausto, figlio di un gioielliere da Padova, lì sfollato, a cui vengono sottratte monete, bracciali, un portasigarette d’oro e 3.000£.

 

- Altre rapine: a Longare nelle ville del prof. Bassani e di Elia Bassani, allora segretario politico del fascio di Longare, che al processo dell’agosto ‘44 si scagliò violentemente contro i componenti la banda, guadagnandosi il loro rancore che esplose la notte del 29.8.45 nel corso della seconda rapina compiuta dopo la Liberazione; all’Esattoria Consorziale di Isola Vicentina; contro il principe Gonzaga, le famiglie Giacomelli, Bordin e Tedescon di Polegge; alla Latteria di Colzè; a danno dell’ing. Pietro Stefani a Villa Valmarana e ad un altro benestante di Grantorto (Pd).

 

 

 

Risolto abilmente il problema dei falsi partigiani, al CMP rimaneva da eseguire la “condanna a morte” decretata dal CLNP nei confronti del capitano Giovanni Battista Polga, reo (per il CLNP) non solo di aver organizzato la banda, ma anche di aver diretto molte azioni di rastrellamento contro le formazioni partigiane vicentine e responsabile di varie esecuzioni, anche di civili. L’occasione giusta per dare esecuzione alla condanna è il 28 novembre ‘44, nei pressi di Priabona di Monte di Malo.

 

Almeno cinque componenti la “Banda della Questura” sarebbero però sfuggiti all’arresto e quindi alla condanna.

 

Sembrerebbe infatti che, Augusto Losco e Ruggero Maltauro, dopo essersi resi responsabili di un furto (o più furti) di opere d’arte su mandato del loro capo in Questura (Polga?), quando il loro capo decide di disfarsi di loro in quanto testimoni scomodi, fuggono e passano con i partigiani del Distaccamento “Lampo” del Btg. “Ismene”, assumendo i nomi di battaglia di “Gatto” e “Attila”. Ma purtroppo il lupo perde il pelo non il vizio.

 

Altri tre della “Banda della Questura” si sarebbero prima salvati dalla retata e poi infiltrati nel Btg. “Cocco” della Brigata “Stella”, si tratterebbe di: Aurelio Pilotto e certo Muterle detto “Maresciallo” da Caldogno, e certo Cortiana detto “Broca”. Questi tre provocatori e spie, il 26 ottobre ’44, alle ore 23:00 assalgono a Vivaro di Dueville il mulino di Ennio e Vittorio Bagarella, cassieri della Brigata Territoriale “Loris” del Gruppo Brigate “Mazzini”, rubando 10.000 lire.

 

Il comandante della “Loris”, Italo Mantiero “Albio”, si convince (o lo convincono) che a compiere la rapina siano stati tre garibaldini del Btg. “Ismene”, guidati da Bruno Micheletto “Brochetta”, uomo di fiducia del “Tar”.

 

Ma la vicenda è completamente diversa da quella che, in buona o malafede, ha raccontato “Albio”, è convinzione, infatti, negli ambienti vicentini della resistenza, che sia una vera e propria "provocazione" del capitano Polga (il comandante di questi uomini in divisa) per spargere zizzania tra le formazioni partigiane. Infatti, interessato il CMP di Vicenza, la Brigata “Stella” e il Btg. “Ismene”, si accerta velocemente la verità e vengono presi drastici provvedimenti: Aurelio Pilotto è arrestato (dai partigiani, g.m.) già il 29 ottobre, ma dopo essere stato interrogato da Carlo Segato “Marco”, tenta di fuggire e viene ucciso; “Maresciallo” e “Broca”, infiltrati prima nel Btg. “Cocco” della Brigata “Stella” e poi nei distaccamenti “Lampo” e “Fra-Sardo” del Btg. “Ismene” della Brigata “Pasubiana”, vengono processati e giustiziati verso la metà di novembre.

 

 

I nazi-fascisti coinvolti:

- Compagnia della Polizia Ausiliaria presso la questura repubblichina di Vicenza.

- Giovanni Battista Polga, Eugenio Rigon, Stefano Rambaldelli, Aldo Montresor, Luigi Terreran, Armando Negrello, Mario Sisti, Giacinto Salco, Dori Lino, Bruno Silvio e Novenio Righetto, Augusto Losco “Gatto” e Ruggero Maltauro “Attila”, Aurelio Pilotto, … Muterle “Maresciallo” e … Cortiana “Broca”.

 

 

Concludendo... 

Una gran brutta faccenda perchè tutte e due le parti ne escono parecchio acciaccate. I cosiddetti "partigiani" sono a dir poco fuori controllo, non è facile inghiottire le verità del CLN, di Raffaello Dal Cengio e soci, e sull'altro versante, quello fascista, fare rapine poteva significare sviluppare una strategia della tensione (gestita dal capitano Polga?), una provocazione che avrebbe dovuto scaricare le colpe sulla resistenza partigiana facendo passare i "ribelli" come tanti delinquenti. Ma è andata veramente così? Ricordiamoci che avevano tutti vent'anni o poco più, e che tutti quanti hanno dimostrato un livello morale assai basso, specie i cosiddetti "partigiani" che infiltrati nella Polizia Ausiliaria fascista poi si rifugiano nei gruppi della resistenza e non cessano di sporcarsi le mani (vedi "el gato", "Attila" e altri).   g.m.