DIRIGERE NEL CAOS
Il Commissario Prefettizio di Schio, Giulio Vescovi, un fascista moderato costretto dai tempi ad assicurare il funzionamento della burocrazia di una città ostile alle prese con i problemi della guerra civile
di Giorgio Marenghi
Schio nella “guerra civile” e nella “guerra di liberazione” combattute nel periodo che va dall’8 settembre del 1943 al 28 aprile del 1945 è, nel Vicentino, il centro urbano che meglio può fungere da esempio e da simbolo. Come esempio di amministrazione locale sotto la tutela tedesca, come esempio di modus vivendi tra le due parti in lotta, come esempio di efferatezze da parte dei fanatici delle Brigate Nere e delle altre polizie.
Chi guida la città in questo periodo di barbarie è il Commissario Prefettizio Giulio Vescovi, una figura di militare già distintosi in Africa, un fascista convinto dell’idea, ma anche un uomo rispettoso della legalità e onesto.
Durante la sua dirigenza a Schio succedono gravi fatti: i partigiani circondano la zona pedemontana, sono attivi a volte anche in città con alcune azioni “esemplari”. Ma il centro rimane pur sempre controllato dai tedeschi e da incattiviti e disperati reparti di Brigate Nere e Guardie Nazionali Repubblicane.
Le difficoltà sono tante, c’è poca legna per il riscaldamento, la benzina che è in mano ai tedeschi viene concessa con il contagocce. Anche i rifugi antiaerei sono per metà inagibili, poiché manca il cemento o i tubi in ferro per le strutture di rinforzo, ecc. Insomma è una gran brutta aria quella che tira a Schio. Per di più il Partito Fascista Repubblicano raggruppa pochi iscritti, quasi tutti sfiduciati.
Solo alcune decine di esaltati pronti a tutto sono attivi e vogliosi di vendicarsi. E’ a questa gente, e per riflesso all’intera cittadinanza, che il Commissario Prefettizio si rivolge il 17 settembre 1944 in una riunione “riservata” nella sala del Cinema Centrale.
Giulio Vescovi ha molti problemi da risolvere: l’estate partigiana si è quasi conclusa e la situazione delle strutture dello Stato Repubblicano è preagonica. Quello che sta in piedi è dovuto solo alla forza della Wehrmacht. In città l’ostilità nei confronti del Regime la si respira come l’aria. Sono le stesse famiglie di sfollati fascisti provenienti dall’Emilia Romagna, dalla Toscana, che lo possono confermare.
Si vive uno accanto all’altro, ma ognuno è pronto alla resa dei conti. E Giulio Vescovi che queste cose le conosce bene, con il suo stile da militare poco avvezzo ai misteri della politica, lo dice con ruvida schiettezza: la situazione è peggiorata per i rifornimenti alimentari, le restrizioni di guerra sono un fatto incontrovertibile, “dobbiamo tutti tirare la cinghia”. Fin qui tutto normale, è esattamente quello che succede in migliaia di altri centri dell'Italia del Nord. Ma l’inverno 1944-45, per il Commissario Prefettizio, sarà duro, anzi durissimo.
Nell’assemblea dice di più: a guastare ancor più il quadro, già assai grave, ci si mette pure gente infida, gli “affaristi”, che con il loro mercato nero affamano la popolazione. Vescovi ricorda l’istituzione a Schio delle mense aziendali e della “Cooperativa Scledense”, che serve le categorie operaie dell’industria. Si riserva di organizzare scorte alimentari di magazzino per poter superare i momenti diffìcili che verranno.
Ma tutto è legato - dice convinto - all’atteggiamento corretto di alcune categorie di cittadini. E qui non può tacere il ruolo dei contadini: “D’ora in avanti non deve essere più possibile che mentre la distribuzione del latte viene limitata soltanto ad alcune categorie di ammalati ed ai bambini, esistano dei contadini che danno latte ai maiali; nè deve verificarsi più, quanto già accaduto, che degli operai vengano a protestare per questioni annonarie e vengano scoperti a loro volta colpevoli di reati annonari..”.
ERA MEGLIO NELL'ESERCITO!
Che differenza la vita militare in Africa, quando il nemico era davanti! Vescovi fa fatica ad afferrare il senso della “guerra civile strisciante”, della mancata consegna del grano all’ammasso, del frantumarsi della solidarietà sociale. Vorrebbe un insieme di cittadini coscienti e collettivamente responsabili ed invece si trova categorie e classi in lotta tra di loro: la vacuità dell’idea fascista di mettere d’accordo operai e padroni per decreto, distruggendo la libera dialettica del conflitto sociale non gli permette di analizzare la malattia e di trarne le necessarie conseguenze. Militare era e militare resta, anche se le sue intenzioni possono apparire buone. Intende mettere d’accordo tutti, e a testa bassa lancia critiche durissime verso chi non fa il suo dovere, se la prende anche con i suoi camerati fascisti che in più di un’occasione sono come i topi nel formaggio.
Ma nell’assemblea Vescovi ce l’ha contemporaneamente con i contadini, responsabili ai suoi occhi di comportamento antisociale (cosa del resto vera). “Quanto poco senso di solidarietà esista su questo terreno - continua il Commissario Prefettizio- può arguirsi facilmente dal fatto recentemente verificatosi, per cui è bastato l’annuncio dell’ammasso obbligatorio delle uova, destinate alla popolazione civile, per far morire improvvisamente la quasi totalità delle galline del territorio comunale..”.
Naturalmente le galline non erano morte e le uova continuavano a produrle, vendute poi a lire 15 al paio al mercato nero! La requisitoria di Vescovi contro i mali della città non si ferma solo all’alimentazione: c’è pure chi non fa nulla per venire incontro alle centinaia di profughi, ospiti di Schio. E qui Vescovi fa la voce grossa: minaccia severe sanzioni, dice chiaramente che sarà istituito un comitato di cittadini che vaglierà la situazione degli alloggi ed eventualmente provvederà alle requisizioni.
Nel discorso del Commissario Prefettizio c’è poco che si salva: Schio è una città ove la solidarietà sociale si è frantumata in mille rivoli, in personalismi ed egoismi privati. Poi Vescovi si addentra nel terreno più pericoloso, anche dal punto di vista politico: la disobbedienza civile. Parla dell’esercito e della renitenza alla leva, tocca tasti pericolosi, indica episodi di imboscamento di materiali utili alla produzione di guerra: “Stigmatizzo qui pubblicamente l’inqualificabile contegno di alcuni, pochi, per lo più appartenenti alle classi che meno hanno sofferto della guerra, i quali hanno cercato con sotterfugi meschini di sottrarsi perfino alla consegna di biciclette destinate a soldati italiani. Lo stesso sta verificandosi oggi per quanto riguarda l’imposta di consegna delle reti metalliche e del filo spinato. Non era passata un’ora dall’affissione del manifesto di requisizione, che già un carico di reti metalliche nuove, prendeva la via di Malo..”.
IL PROBLEMA DEI GIOVANI
Giulio Vescovi sul problema della renitenza non può comportarsi diversamente dagli altri suoi amici politici: deve condurre un gioco di equilibrio, da un lato dimostrarsi funzionario severo e ligio agli ordini del Ministero della Difesa, dall’altro deve usare la mano leggera, perchè a Schio ci vive e conosce bene che le famiglie non intendono regalare i loro figli alla Repubblica Sociale, creatura nata già morta e sotto tutela dell’odiato tedesco. “E’ bene sappiate - dice Vescovi ai fedeli del fascio - che ho dovuto agitarmi non poco per risparmiare alla città le logiche rappresaglie..posso anzi dire che sono riuscito ad evitarle soltanto per un filo..”.
Anche sul fronte del lavoro obbligatorio le cose vanno male: “Avevo organizzato queste precettazioni in modo che venissero mobilitate solo poche classi di giovani e giovanissimi, e ciò allo scopo di lasciare indisturbata la massa più forte dei lavoratori. Le ingiustificate assenze mi hanno costretto a mobilitare ben dieci classi in più del previsto..”
Vescovi si lancia contro coloro che con la loro assenza rovinano tutto, addita al pubblico disprezzo quei giovani che “..invece di imboscarsi presso compiacenti case di campagna ed in luogo di esercitarsi nel lancio di bombe incendiarie contro l’anagrafe municipale, pensino che il più umile dei reduci dai vari fronti ha sofferto, e per anni interi di seguito, disagi dieci volte maggiori di quanti sono loro richiesti..”. Non è onesto, sostiene Vescovi, ricorrere all’Autorità quando si ha bisogno di qualcosa e poi lavarsi le mani quando l’Autorità chiama al dovere sociale”.
Ma è proprio questo che si è rotto: il meccanismo normale in tempi normali. E il 1944 non è l’anno del consenso al regime Fascista. Sulle montagne di Schio operano interi gruppi di partigiani organizzati militarmente, sono alcune centinaia di combattenti che hanno lasciato centinaia e forse migliaia di simpatizzanti in città, la stessa classe operaia non si può certo definire filo tedesca. E allora?
Il Commissario Prefettizio queste cose non le dice, non può dirle, deve tirare dritto, fare un discorso da dirigente fascista, con evidenti limiti. Non si capisce dalla prosa del Vescovi se il quadro della situazione gli fosse chiaro per intero, anche perchè sul tasto della guerra partigiana il suo commento si presta a parecchie considerazioni: Vescovi rinnova l’appello ai renitenti, lancia il monito delle rappresaglie, lui le vuole scongiurare ma se tutti rifiutano? Si rifà all’onore, ma a quello militare dopo l’8 settembre e l’occupazione del paese c’è ancora qualcuno che ci crede veramente? Coloro che prestano servizio nelle file della RSI in parte ci credono, ma gli altri? Vescovi invita al lavoro i renitenti, dice che il Generale Peano “..è ben disposto a fare largo uso delle facoltà conferitegli da un certo articolo del Codice Penale Militare in virtù del quale egli può fare annullare o far archiviare ogni azione penale nei confronti di coloro che si dimostreranno pentiti della loro diserzione..”.
E LE RAPPRESAGLIE TEDESCHE?
Sulla questione il Commissario Prefettizio è schiavo di un sogno: “Dopo aver scongiurato il pericolo di danni più gravi, chi vi parla sarebbe, quasi certamente, riuscito a salvare tutto intero l’abitato di Poleo, se non avesse trovato nella popolazione una irriducibile omertà, una spaventosa confusione di idee, una assoluta mancanza di carattere ed una completa sfiducia nelle autorità italiane..”.
Vescovi non è capace di andare a fondo di questi problemi, resta abbarbicato alla fedeltà all’idea che, e lo tocca con mano ogni giorno, è abbandonata ed osteggiata da quasi tutti i cittadini di Schio.
Purtuttavia, parlando proprio di loro, Vescovi usa la retorica e si autoinganna. Per lui la cittadinanza è sana, chi miete vittime, fa terrorismo, uccide, “sono elementi venuti da fuori". Il Commissario Prefettizio, quasi un “garantista” dei giorni nostri, non può dire di più, non può neanche fare di più, cerca il compromesso, parla di riconciliazione, cerca di fare capire che lui è dalla parte di coloro che vogliono la lotta politica trasparente e corretta, senza violenze di sorta.
Ma dove pensava di essere Giulio Vescovi nel settembre del 1944, con una Wehrmacht in casa, pronta a dare fuoco al primo casolare ove ci fosse passato un “ribelle”, con militi delle Brigate Nere che assomigliavano più a delle bande di malavitosi che a delle formazioni di combattenti regolari?
IL COMMISSARIO PREFETTIZIO VA IN CRISI
Neanche un mese dopo questa sfuriata davanti ai maggiorenti del partito, Giulio Vescovi deve fare una brutta esperienza con i tedeschi. Scosso per l’accaduto informa, con nota del 13 ottobre 1944, il Comandante della 1^ Wachkompanie: “..oggi alle ore 15 un soldato, staccatosi da un gruppo che procedeva per Via Trento-Trieste, all’altezza di Via Venezia, si avvicinava al sottoscritto ingiungendogli con un fischio ed un cenno di seguirlo. Lo scrivente, allo scopo di non dare pubblicità alla cosa, faceva cenno al soldato di avvicinarsi, ma quello non si dava per inteso, insistendo per farsi seguire con cenni di mano. Naturalmente il sottoscritto reagì declinando ad alta voce la propria qualifica e facendo presente che tale modo di agire non era corretto. A questo punto si avvicinò un sottufficiale, senza distintivi di grado, che gli ingiungeva di abbassare la voce. Mentre il sottoscritto esibiva i propri documenti si avvicinò un terzo sottufficiale, sprovvisto di distintivi di grado (col semplice distintivo di paracadutista sulla camicia) il quale con modi poco corretti interveniva nella discussione, fra l’altro sostenendo che non riconosceva nessuna autorità nel posto essendo loro (forse la Vostra Compagnia) l’unica autorità. Costui arrivò perfino a minacciare d’arresto sulla pubblica via lo scrivente. Allo scopo di evitare uno scandalo il sottoscritto non reagiva, riservandosi di chiedere in seguito le generalità a detto sedicente sottufficiale. Qualche minuto dopo, infatti, si avvicinava al sottufficiale in questione e gli chiedeva le generalità, presente il dott. Isidoro Marchioro fu Domenico ed il lavoratore Gresele Bruno di Eugenio, ambedue residenti a Magrè. A Tale richiesta, avanzata con dovuti modi e dopo che il sottufficiale aveva preso visione dei documenti dello scrivente, il sottufficiale si rifutò di aderire, affermando altezzosamente che gli avrebbe declinato le proprie generalità al Comando di Compagnia. Tanto si porta a conoscenza per i provvedimenti del caso che si gradirà conoscere..”.
Del resto Giulio Vescovi non era nuovo a incidenti con i tedeschi: già il 7 luglio aveva chiesto di poter usare la rete telefonica per poter comunicare con la Prefettura di Vicenza e ne aveva ricevuto un secco no da parte del locale comando tedesco. E si era anche lamentato perchè i tedeschi lo costringevano ad “illecite requisizioni” di macchine da scrivere, ferri da stiro, cuscini, materassi, letti ed armadi, tutto materiale che non poteva essere acquistato in commercio e che l’amministrazione doveva togliere ai privati. Ma Vescovi si ricrede anche nei confronti dei “camerati” che si dimostrano proprio un’accozzaglia di tagliagole piuttosto che forze dell’ordine.
Il 25 novembre, indignatissimo, scrive al Prefetto di Vicenza in questi termini: “Da qualche tempo a questa parte noto un acuirsi di fatti spiacevoli dei quali sono responsabili dipendenti da enti militari di stanza in questa città. Si verifica infatti con una certa frequenza che militari isolati danno ordini a cittadini, magari in contravvenzione con le norme vigenti, litigano con fornitori, pretendono prestazioni ingiustificate, procedono a verifiche di abitazioni, ed a controlli che non trovano riscontri in precisi ordini delle autorità competenti, mentre abitazioni, automobili, binoccoli ed altro vengono requisiti dai singoli Comandi senza che gli stessi si attengano alle norme in vigore. E’ evidente che una tale situazione genera nella popolazione uno stato d’animo tutt’altro che favorevole nei riguardi delle istituzioni repubblicane e menomano grandemente il prestigio dell’idea Fascista. Per quanto sopra riterrei opportuno un Vostro energico intervento al riguardo tendente ad ottenere dai singoli (ufficiali compresi) una rigida disciplina nei rapporti con la popolazione e con le autorità civili. Analogo Vostro intervento ritengo opportuno in ordine alla disciplina dell’attività investigativa che attualmente è svolta unicamente ad iniziativa dei singoli. Al riguardo proporrei che detta attività venisse coordinata da un unico organo avente il compito di disciplinare la materia e che al contempo si assuma per intero la responsabilità del servizio..”.
Vescovi qui tocca un tasto delicatissimo: l’attività delle varie polizie, italiane e tedesche, che frequentemente si sovrapponevano, che torturavano e uccidevano. Forse Vescovi non sapeva che autentici delinquenti erano stati presi sotto protezione della Feldgendarmerie di Schio, due ex agenti delia Polizia Ausiliaria di Vicenza finiti sotto inchiesta per l’uccisione a freddo di un loro commilitone sospetto di simpatie per la resistenza.
E poi c’erano gli emiliani e i romagnoli, tutta gente che non aveva niente da perdere e che spadroneggiava nel territorio. Ma il massimo della delusione politica ed anche umana Giulio Vescovi deve provarlo quando viene a conoscenza di fatti incresciosi che sconvolgono la sua morale, fatta di valori militari. Il 4 gennaio del 1945 si sfoga in una “riservata personale” con il Capo della Provincia: “..Comunico che in questi giorni si sono verificati spiacevoli incidenti ad opera di elementi, sembra dell’U.P.I. del Comando Provinciale G.N.R., presenti a Schio per operazioni di polizia. Costoro si sono presentati in due case per eseguire degli arresti, mascherati ed armi alla mano, per cui sono stati scambiati per ribelli dalle famiglie interessate. Il più notevole incidente si è verificato ieri sera allorché gli agenti di cui sopra si sono presentati in una casa di Via Mazzini, gettando il panico fra i presenti tanto è vero che una donna, credendo di trovarsi in presenza di ribelli, si gettò da una finestra fratturandosi una gamba. Nel frattempo qualcuno chiedeva l’intervento del locale Comando Brigata Nera che accorreva prontamente sul posto iniziando una sparatoria contro i presunti ribelli. Fortunatamente non vi sono da lamentare vittime..”.
UN FASCISTA MODERATO?
Giulio Vescovi, nel dopoguerra, rimarrà ucciso per mano di un gruppo di ex partigiani nella notte drammatica dell' eccidio di Schio”, fra il 6 ed il 7 luglio 1945. Non aveva ammazzato nessuno, era sì il responsabile amministrativo della città, era sì un politico iscritto al Fascio Repubblicano, ma era anche un “moderato”, portato naturalmente alla mediazione piuttosto che a soluzioni estreme.
La conduzione del Comune lo può dimostrare: Giulio Vescovi scontò con la vita l’appartenenza alla famosa “Idea" che aveva portato tanti lutti agli italiani, ma che non poteva essere addebitata come un delitto ad un individuo che aveva cercato di barcamenarsi, pur con errori macroscopici, tra tedeschi e fascisti estremisti. Le lettere alla moglie, scritte nel carcere di Schio nei mesi di maggio-giugno 1945, chiariscono molti particolari e molte vicende della storia della “guerra civile” e di “liberazione” a Schio e dintorni: “Non ho mai partecipato a rastrellamenti, nè ho mai torto un capello a nessuno” dice alla moglie il prigioniero (del resto nessuno lo accusava di queste cose). “Ho cercato anzi di fare in modo che non venissero commesse delle ingiustizie, tanto è vero che dove ho potuto ho fatto liberare dalle prigioni italiane e tedesche decine e decine di italiani ed ho agevolato molti che erano rientrati dalla Germania in licenza perchè rimanessero in Italia. Le mie idee sono compendiate nel famoso discorso a stampa (di cui abbiamo trattato nei paragrafi precedenti, n.d.c.) che è stato approvato da tutti e alle quali sono stato sempre coerente. Ho lottato strenuamente contro Passuello, Ceracchini e Radicioni (gerarchi del P.F.R.. n.d.c.) per le loro azioni poco corrette e per il loro sistema contrario ai miei princìpi, tanto che ho fatto cacciare i primi due da Schio e stavo per far cacciare da Vicenza il terzo. Analogamente ho combattuto i soprusi del Battaglione “E. Muti” della S.S. Italiana e del Battaglione “Firenze” della G.N.R.. A suo tempo ho fatto allontanare da Schio il comando del reggimento “Cacciatori degli Appennini” che aveva iniziato a fare un monte di fesserie. Non mi si può accusare di collaborazionismo coi tedeschi perchè ho sempre difeso gli interessi italiani, cioè della popolazione. Infatti quando si trattava di bruciare Poleo ho lottato a fondo fino a che sono riuscito a far circoscrivere l’azione a solo una parte dell’abitato, salvando così Folgare e parte di Poleo. Quando venne l’ordine di mobilitare per la TODT tutti gli uomini dai 14 ai 60 anni io sono stato l’unico Podestà della provincia che si è rifiutato di eseguire l’ordine e sono riuscito a spuntarla. Dopo ogni rastrellamento sono intervenuto per fare liberare numerosi arrestati. Nei giorni 27-28-29 aprile, di mia iniziativa e forse a scapito mio, ho iniziato e condotto le trattative tra il comando tedesco, quello italiano e quello partigiano. Questa mia iniziativa ha valso a risparmiare alla città morti e distruzioni certamente ingenti. Il mio intervento, anzi, ha salvato i partigiani da un notevole rovescio perchè io ho comunicato loro l’arrivo a Schio di una divisione tedesca in perfetta efficienza (sera del 28). Nel caso contrario il massacro ed il sac-cheggio non li avrebbe evitati nessuno..”
Vescovi cita anche l’appoggio degli operai del Lanificio Rossi, di cui era divenuto Commissario il 14 aprile 1945 per decreto del Ministro del Lavoro Spinelli, ricorda pure il tentativo di mediazione che aveva cercato di sviluppare tra i comandi tedeschi e partigiani prima del suo discorso al Cinema Centrale il 17 settembre del 1944. Insomma dalla ricostruzione degli atti amministrativi, dai documenti vistati ed analizzati, emerge, oltre che una fotografia della vita quotidiana di Schio vista da un osservatore particolare, anche il ritratto di un funzionario della Repubblica Sociale Italiana che, sia pure talvolta in modo confuso e contraddittorio, ha contribuito a reggere le redini dell’amministrazione comunale di Schio.
E in quei tempi assicurare un funzionamento minimo della macchina burocratica e dei servizi comunali non era certo cosa facile. Va riconosciuto quindi al Vescovi l'utilità della sua funzione e l'uso non facinoroso che ne fece. Non si può però addebitargli la colpa di aver pronunciato un discorso “fascista" o di aver pensato da "fascista", poiché fascista lo era, come altre centinaia di migliaia di italiani fuorviati dal regime di Salò.