Una paura da inchiesta
 
 
Sotto le bombe tutti hanno paura ma chi lavora in Comune a Schio dopo il 14 febbraio 1945 ha paura anche dell'inchiesta prefettizia a causa di alcune assenze ingiustificate.
 

 

di Giorgio Marenghi

 

Il 14 febbraio 1945 una formazione di cacciabombardieri inglesi ed americani sorvola Schio lanciando molte bombe sulle installazioni industriali ed anche su alcuni quartieri cittadini. Le zone più colpite sono quelle adiacenti al Lanificio Rossi. SI contano molti morti e feriti, la gente terrorizzata si getta nel rifugi, mentre i soccorsi vengono subito allertati. Ma qualcosa non va nel verso giusto: scoppiano feroci polemiche perchè al posto di soccorso n.4 presso l'Ambulatorio Mutua del Lanificio Rossi non è presente il personale medico comandato.


 Il Commissario Prefettizio ordina una ispezione, delega l’avvocato Angelo Dal Savio e vuole immediatamente una relazione sull’accaduto. Il giorno dopo l’avvocato fa trovare sul tavolo di Giulio Vescovi la relazione che in sintesi può così essere riassunta:

il dott. D.C., medico di fabbrica e dirigente dell’ambulatorio Mutua del Lanificio Rossi sede del posto n.4, “non era a Schio perchè partito al mattino per tempo senza aver chiesto il permesso all’Amministratore della Mutua Sig. Cappelletti Sergio nè il dott. Egone Costa Direttore del Lanificio Rossi nè all’lng. Antonio Orlandi Presidente della Mutua”.


E questa è la prima mancanza


Poi è la volta di un secondo medico: “Il dott. G.C. medico addetto al Posto n.4 giunse al posto circa 15-20 minuti dopo lo sgancio quando per un panico ingiustificato e provocato da alcuni militari tedeschi si gridava: “Fuggite tutti perchè scoppiano le caldaie del Lanificio”. Il dott. C. si affacciò un attimo al Posto e con le infermiere D. M. e L. sentito il grido “Fuggite tutti” lasciò il posto per trasferirsi al rifugio Leogra dove lo seguirono i feriti che potevano camminare. E’ da notare che il pericolo non poteva apparire nè grave nè immediato perchè moltissimi operai erano nel cortile della fabbrica adiacente al Posto n.4. Meglio avrebbe fatto il dott. C. a rimanere al suo posto facendovi rimanere anche le due infermiere senza lasciarsi impressionare da un ipotetico pericolo, così come rimase sul posto il custode Manoli.

Il dott. C. soltanto rimanendo al Posto poteva curare i feriti gravi incapaci a muoversi e quindi più bisognosi di assistenza. I feriti leggeri che potevano camminare potevano essere avviati al Rifugio Leogra. Per tale abbandono di posto il dott. C. non potè assistere i feriti più gravi ed i morenti che furono portati dal Lanificio al Posto n.4”.


Ma i rimproveri riguardano anche le infermiere


“Giunsero sul posto non meno di un quarto d’ora dopo lo sgancio; iniziarono qualche medicazione ma tosto si allontanarono impaurite dall’allarme dato da soldati tedeschi e da operai uscenti dal Lanificio circa il possibile scoppio delle caldaie. Ripararono al Rifugio Leogra. In tal modo non poterono assistere i feriti gravi e i morenti che dal Lanificio venivano portati al Posto n.4. E’ vero che il Posto n.4 era assai lesionato per gli scoppi che furono vicinissimi, ma non era in condizioni inservibili..”.



L’unico che si merita gli elogi del relatore è il custode del Posto “..per avere continuato il suo servizio da solo senza cedere al panico provocato da un allarme presso che ingiustificato”.


Come ci si discolpa


Cosa risponde il dott. D.C. del Lanificio Rossi all’avvocato Dal Savio che conduce l’inchiesta? Motiva l’improvvisa partenza di un mezzo di fortuna che doveva servire per raggiungere Venezia come causa del suo affrettato viaggio e, poiché doveva accompagnare la moglie, ha ritenuto “sufficiente” comunicare al dott. G.C. la sua momentanea assenza, convinto che la presenza del collega sarebbe stata una garanzia per il funzionamento del Posto n.4.



“Non ha avvertito il Presidente della Croce Rossa di Schio in quanto - dice una memoria difensiva del dott. C. - il fatto che nel mio posto di pronto soccorso fossero assegnati due medici mi faceva pensare che nel caso di assenza di uno dei due medici era sufficiente che il partente avvertisse il medico che rimaneva per il funzionamento del pronto soccorso..”.


 La difesa del medico sotto inchiesta è molto ingenua e pasticciona. Invece di ammettere l’errore per avere mancato al suo compito annaspa in scuse fragili e facilmente smontabili. Il collega dott. G.C. è ancora più “ingenuo” poiché ammette nella relazione, controfirmata da lui e dall’avvocato Dal Savio, di avere impiegato ben trenta minuti per partire dalla sua casa di Schio ed arrivare a ..Schio! Poi il medico in questione non giunse al Posto n.4 perchè impedito da un soldato tedesco che gli diceva di scappare! In parole povere il medico rimasto e le infermiere suggestionate dall’allarme dato dai militi italiani e tedeschi circa un eventuale scoppio delle caldaie abbandonarono il Posto n.4 e si portarono in zona sicura nel Rifugio Leogra.


 Dopo che il pericolo di scoppio fu cessato infermiere e medico ritornano al posto di soccorso e medicano gli altri feriti. Il Presidente della Croce Rossa di Schio, Rizzoli, investito della questione, comprende all’istante come la cosa sia di una gravità inaudita e stende una sua relazione che coinvolge ancora più pesantemente, malgrado le sue intenzioni contrarie, i due medici sotto inchiesta. Infatti Rizzoli precisa che “..i posti di soccorso dovevano funzionare 15 minuti dopo la cessazione di sgancio di bombe da parte di aerei nemici..”.



Oltre a ciò Rizzoli precisa anche che: “Nei posti principali e cioè più importanti per ubicazione (vicinanza ai maggiori stabilimenti industriali) avevo designati due sanitari, allo scopo di garantire il funzionamento di tali post di pronto soccorso anche qualora uno dei due medici all’uopo incaricati si fosse venuto a trovare nell’impossibilità materiale di trovarsi presente..”.



Ed uno di questi posti importantissimi è proprio il n.4. E le motivazioni per il viaggietto del dott. D.C. non possono proprio rientrare nella casistica accennata dal Presidente Rizzoli. Naturalmente il funzionario della Croce Rossa sa bene che tirando lo sgambetto ai due medici si azzoppa anche lui e perciò infiora la relazione divagando sui disastri dell’incursione.


 E’ opportuno (per conoscenza storica, riportare integralmente il testo:

“Portatomi ieri 14 corr. al posto di riunione di tutti i dirigenti il servizio antiaereo (municipio) pochi minuti dopo lo sgancio dell’ultima bomba, notai, strada facendo, che tutta la complessa organizzazione antiaerea stava già mettendosi in moto, nonostante la permamenza del pericolo e la difficoltà della visibilità e della respirazione, dovuta a dense nubi di vapore acqueo e di calcinacci che, in certi punti della città, toglievano il respiro e quasi del tutto la visibilità, specie per chi, come il sottoscritto, andava in bicicletta.
 
Incontrati i primi feriti in barelle, disposi il loro invìo all’ospedale, che avevo in precedenza avvertito onde far aprire i cancelli e tener pronto il persona¬le straordinario ivi previsto, per ricevere feriti e loro registrazione.
 
Avvertito che il posto di pronto soccorso n.4 non funzio¬nava, mi recai colà e riscontrai subito che le sale di medicazione erano state forte¬mente lesionate, ingombre di rottami di vetro ed altro, medicinali alla rinfusa, tavoli e lettini a soqquadro. Sulla porta c’era il milite della C.R.I. Rampon Giuseppe e nell’interno l’infermiere delle Casse Mutue.

Dagli stessi appresi che dott. D.C. era assente da Schio e che il dott. G.C., unitamente al personale della C.R.I., si era trasferito presso il rifugio Lungo Leogra, date le condizioni di non agibilità delle salette destinate alle medicazioni e perchè pochi minuti prima era stato segnalato il pericolo del crollo del tetto del fabbricato adibito alle Casse Mutue e principalmente perchè era stato dato il “si salvi chi può” per l’imminente scoppio di una grossa caldaia a vapore del Lanificio Rossi - a pochi metri di distanza - scoppio che (se si fosse avverato) avrebbe distrutto per un ampio raggio tutti i fabbricati ivi esistenti.
 
Effettivamente il sottoscritto recandosi alle Casse Mutue aveva incontrato varie colonne di persone atterrite che correvano, in senso inverso a quello percorso dal sottoscritto, gridando, atterrite, di non avvicinarsi al Lanificio Rossi perchè stava per scoppiare la caldaia. Feci del mio meglio per calmare la popolazione, pur nulla sapendo di preciso circa la fondatezza di tale panico, al fine di evitare maggiori confusioni e soprattutto perchè donne, vecchi e bambini non avessero a farsi del male con una fuga così disordinata...”.


In sostanza Rizzoli sostiene che la presenza del dott. C., il collega del medico partito per Venezia, aiutato poi da altri sanitari fu sufficiente a tenere sotto controllo la situazione e che il pericolo era davvero consistente.


 Ma la tesi del responsabile della Croce Rossa viene smentita dal direttore dell'Ufficio Tecnico Comunale, ing. Antonio Saccardo, che nella sua relazione al Commissario Prefettizio precisa:

“Il sottoscritto ha stamane visitato il locale del pronto soccorso n.4 (situato in Via Maraschin) ed ha riscontrato che il locale delle medicazioni non presenta alcuna traccia di danneggiamento salvo la rottura di qualche vetro. Nell’andito tra la porta d’ingresso ed il locale di medicazione si osserva una vetrata staccata e alcuni vetri rotti e (nella parte in fondo) il distacco di un piccolo tratto di intonaco dal soffitto. Dalle condizioni attuali e dalla piccola entità dei danni il sottoscritto ritiene che subito dopo lo scoppio delle bombe (avvenuto nel lanificio ma a notevole distanza) il locale era benissimo abitabile”.


 Anche le infermiere raccontano


Le infermiere del Posto n.4 devono giustificarsi del mancato soccorso. La cosa presenta aspetti interessanti poiché chiarisce aspetti della vita quotidiana molto importanti, sono i piccoli (ma in realtà grandi) drammi familiari e individuali, che hanno una loro dignità non sempre capita da chi detiene le redini di enti od istituzioni.


 La sig. C.B. da Schio all’avvocato Dal Savio riferisce in questi termini:

“Stamane alle ore 8 circa appena sentii lo sgancio di bombe ero in casa a pochi metri dal posto di soccorso. Con la mia bambina di anni due e mezzo mi rifugiai in casa fra due porte perchè il segnale di allarme fu quasi contemporaneo al primo sganciamento. Ebbi la casa lesionata e non appena potei credere che il tiro fosse cessato o per lo meno interrotto, mi affrettai a portare la mia bambina al Rifugio Leogra, la consegnai a estranei e corsi al posto n.4.

Incontrai le sorelle Ida e Maria D.M. infermiere e ci furono portati due feriti leggeri che medicammo e ripartirono senza assistenza perchè le ferite erano leggere. Non era ancora giunto il dott. C….i feriti stessi non volevano farsi curare nel posto n.4 perchè impressionati dal pericolo dello scoppio della caldaia e a mezzo di incaricati furono avvertiti che il servizio si svolgeva al Rifugio Leogra”.



Naturalmente non tutti nascono leoni, in ogni caso il buon Manoli Emilio, il custode, rimase tutto il tempo a curare i feriti che venivano portati nel Posto n.4 anche se infermiere e medico se ne erano andati. La stessa Direzione detto stabilimento deve alla fine ammettere che il pericolo di scoppio delle caldaie era limitato a pochi minuti e il posto di soccorso n.4 avrebbe potuto essere d’aiuto se ci fosse stato qualcuno.


 Non solo i medici


Quella del 14 febbraio 1945 è stata vera¬mente una giornata nera, non solo per i morti e i feriti e le distruzioni, ma anche perchè ha scatenato le ire dei responsabili della cosa pubblica, Commissario Prefettizio in testa che, giustamente, vogliono vederci chiaro nel comportamento di molti dei loro dipendenti.



“Nel caso di organizzazione dei servizi di pronto soccorso in caso di incursione aerea nemica è stata disciplinata anche l’attività degli impiegati comunali, sia per assicurare l’immediato funzionamento dei servizi - scrive Giulio Vescovi - subito dopo il bombardamento, sia per eventuali compiti straordinari; a tale scopo è stato fatto firmare per conoscenza dagli interessati un ordine scritto...Tale ordine è stato ribadito in una successiva riunione precisando che dovevano essere in Ufficio, al massimo, un quarto d’ora dopo il segnale di cessato pericolo..”.


Ma le cose il giorno 14 febbraio 1945 non sono andate come il Commissario Prefettizio voleva ed infatti Vescovi precisa: “Nel bombardamento di Schio, avvenuto alle ore 8,10 circa del 14 corrente, c’è stata dell’incertezza da parte di vari impiegati nel presentarsi in ufficio..”.


Prende avvìo così una inchiesta che a noi interessa più per il modo con cui fotografa il vissuto quoti¬diano che per l’ipotetico anomalo funzio¬namento degli uffici del Comune di Schio.


E’ il dott. Rocco Rodighiero a condurre l’inchiesta: il funzionario ascolta pazientemente impiegate ed impiegati sui motivi dei toro ritardi nella giornata del 14 febbraio 1945.


Cecchetto Giuseppe, applicato, dichiara: “Il mattino del 14 febbraio c.a. alle ore 8 e minuti cinque circa ero in casa con la famiglia quando improvvisamente fu bombardato da cacciabombardieri nemici il Lanificio Rossi. Abito poco distante da detto Lanificio, cioè in Via Cimatori al n.1 A. Corsi subito con la famiglia nel vicino rifugio Lungo Leogra e ritornai a casa alle ore 10,20 circa cioè appena dato i segnale di cessato allarme. Trovai la mia casa notevolmente danneggiata, cioè con tegole e vetri rotti e da una cameretta era caduto anche parte del soffitto. Mi sono quindi trattenuto un po’ di tempo per calmare ancora la mia bambina e la moglie, quindi alle ore 11.15 mi presentai in Ufficio per riprendere il lavoro..”.


Costeniero Elda, impiegata presso l’Ufficio Annonario così racconta la sua vicenda: “Abito in Via Fusinieri n.45 vicino al Lanificio Rossi. Al momento del bombardamento del Lanificio Rossi avvenuto il 14 corr. alle ore 8.10 circa, ero in casa con la mamma, alla quale avevo appena praticato un’iniezione d’iodio perchè sofferente di artrite deformante. In conseguenza del bombardamento mia mamma venne presa da un forte choc nervoso con tremito a tutto il corpo, quindi sono stata costretta a non abbandonarla sola in casa...”.

Dal Lago Lucinda, impiegata all’Ufficio Annonario cosi ha vissuto quei momenti: “..Subito dopo il bombardamento aereo nemico del Lanificio Rossi di Schio mi recai in Ufficio. Non vedendo nessun impiegato all’Ufficio Annonario ritornai verso la Piazza A.Rossi e durante il percorso, nel mentre veniva dato anche il segnale di bombardamento, vidi passare varie barelle con i morti e i feriti, e fui fortemente impressionata; incontrai inoltre una mia vicina di casa, cioè la Dalle Carbonare Elisa..occupata presso il Lanificio Rossi, ridotta in pessime condizioni, con il vestito rotto, sporco di terriccio e tutta spaventata; pensai quindi fosse mio dovere di accompagnarla a casa..ove mi preoccupai ad assisterla ed incoraggiarla..Ripresi regolare servizio dopo pranzo al solito orario delle 14,30..”.


Il risultato dell’indagine comunque non produce effetti disciplinari: tutti o quasi tutti avevano delle ragioni valide, valide quanto l’umana paura.