La Brigata del terrore

 

Il Partito Fascista Repubblicano diventa una formazione militare, e anche a Vicenza nasce la “Brigata Nera”, la XXII^ “Antonio Faggion”, guidata all’inizio dal Federale Passuello, un fanatico che si macchierà le mani di sangue

 

di Giorgio Marenghi


Innocenzo Passuello sostituisce come Federale Giovanni Caneva nel giugno del 1944. Ma per avere qualche informazione sul profilo del nuovo “Capo” del Fascismo Repubblicano Vicentino occorre ritornare ai tempi in cui era soltanto un responsabile di Fascio, seppure importante come quello di Bassano. Vediamo cosa succede a Passuello a fine aprile, inizio di maggio del 1944.

 

Nel Vicentino i “ribelli” sono all’offensiva e gli obiettivi fascisti sono presi di mira dai colpi sempre più audaci della resistenza. I due documenti che pubblichiamo sono di fonte fascista repubblicana, sono le relazioni della “squadra di azione federale” della città di Bassano, squadra capeggiata per l’appunto dall’ing. Innocenzo Passuello.

 

Con la militarizzazione del partito e la costituzione delle Brigate Nere, queste squadre, a partire dal mese di luglio, verranno inquadrate militarmente sotto un unico comando. Ma nella primavera del 1944, l’organizzazione era ancora carente e i documenti che andiamo ad esaminare lo confermano. Assoluta è la subalternità ai tedeschi, che addirittura contano le munizioni per i “camerati”. Ma lasciamo che il Passuello ci illustri la situazione:

 

“24 aprile 1944: Nessuna novità di rilievo durante la mattinata. Alle ore 16,30 il Commissario del Fascio parte con la macchina per Schio. Alle ore 19 viene disposta la mobilitazione di tutti i fascisti - vedi in una cartella del giorno, foglio di presenza dei fascisti aeronautici. Si prende contatto con il comando dell’Aeronautica per ottenere armi e munizioni. Alle ore 20,30 giunge telefonata da Schio segnalante situazione tesa in quella località e dintorni, richieste notizie del Commissario non risulta giunto a destinazione, alle ore 21,15 insiste telefonata segnalante situazione aggravata - richiesta aiuti. Mentre si dispone controllo telefonico a Vicenza per accertamenti, si provvede per le armi e munizioni necessarie.

 

Alle ore 22 il Commissario telefona richiedendo 20 uomini possibilmente armati. Il comando tedesco non ha ordine di autorizzare l’armamento dei fascisti di Bassano. Requisita la corriera si parte alle ore 22,25. Comanda la spedizione il Capo gruppo Miccolis coadiuvato dal tenente Caciagli e dal Maresciallo Motta; partecipano i sottonotati fascisti: Miccolis Ubaldo, Caciagli Sergio, Motta Giovanni, Liberti Edmondo, Brongo Francesco, Bresciani Ferruccio, Cirioni Cesare, Antonelli Noris, Bracci oliviero, Palermo Pasquale, Lupi Sauro, Baldieri lorenzo, VeriIlo Domenico, Di Giulio Giuseppe, Di Giulio Fernando, Andreuzzi Renato, Viviani Silvio, Perelli Eupsiche, Di Vincenzo Alessandro, Arfi Stefano, Bartolomei Fernando, Galbani Renato, Basile Mario”.                                                                

 

OPERAZIONI DI ROUTINE        

 

“Durante il percorso di andata nessun incidente, si procede con disciplina e attenzione e spirito pronto a tutto. Sull’imperiale della vettura prendono posto il ten. Caciagli con il mitra ed i fascisti Cirioni ed Antonelli armati di moschetto in vedetta. Vengono osservati nel tratto tra Thiene e Marano a distanza sulle alture prima un razzo verde, lanciato con pistola Verrj, poi segnalazioni luminose ad intermittenza in tre punti. A Thiene si prende contatto con la G.N.R. e vien dato avviso a Schio ed a Bassano del nostro passaggio. Nulla di particolare sino a Schio. Alle ore 0,30 presentata la forza al Commissario nella sede del Fascio di Schio, si procede per S. Vito di Leguzzano, guidati da un fascista del posto. Compito: ricognizione della zona, rintracciare l’autovettura Aprilia inoltratasi con una pattuglia comandata da Lulli.

 

All’ingresso dell’abitato si assume la disposizione prescritta, dopo aver lasciati a guardia dell’autovettura i camerati: Bartolomei, Galbani, Arfi, Palermo. Divisi in due squadre di dieci si percorre il paese per vie diverse, punto di incontro la piazza. A congiunzione effettuata si dispongono 6 uomini allo sbocco delle cinque strade sulla piazza e si procede con altri 15 uomini su verso la fine dell’abitato in direzione Nord.

 

In prossimità della Chiesa si rinviene l’Aprilia con un camerata a guardia e l’autista. Dopo assunte informazioni sulla direzione dell’esplorazione che compie la pattuglia d Lulli, si opera una ricognizione intorno la chiesa ed oltre sino al ponte sul corso d’acqua. Dalle ore 2,30 alle ore 3,15 si rimane sul posto, intanto si rimanda l’autovettura aSchio a comunicare la situazione e richiedere ordini.

 

Dopo 15 minuti ritorna l’autovettura con l’ordine di rientrare per altra destinazione. Si ritorna a Schio e dopo brevissima sosta al Fascio si prosegue per Torrebelvicino. Compito:3 pattuglie in appostamento sulle tre strade che portano al paese e sul pendio del monte Enna. Controllare tutti i passaggi sino alle ore 6. Vengono osservate luci che si spostano lentamente sui monti in direzione di Valli del Pasubio.

 

Si fa una puntata sino all’Albergo delle Acque. Nulla di nuovo sino all’ora stabilita, vengono controllate e perquisite tutte le persone in transito, si tratta di operai e operaie che vanno in fabbrica a lavorare. Alle 6 si rientra a Schio e dopo una brevissima sosta al Fascio si prosegue per Bassano. Tutto in ordine, uomini, armi, munizioni e il mezzo; alle ore 8,15 cessa i servizio. Durante la notte hanno prestato servizio al Fascio, Guidi, Nota, Carnazza. Il Capogruppo MiccolisJbaldo (firma); Il Commissario Passuello (firma)”.

 

RISCHIOSA E’ LA NOTTE! 

 

Il 1 maggio 1944: “Alle ore 19,30 circa il Commissario Passuello ordina una spedizione con la collaborazione di soldati germanici ad Enego, essendo pervenuta una segnalazione telefonica da quel paese che in quella notte temevano una scorribanda di ribelli. Si dispone la requisizione di un torpedone della ditta S.A.V.A., alle ore 21 sono pronti 50 uomini, tra i quali 30 fascisti e 20 soldati germanici.

 

Si parte alle ore 22,15. Comanda la spedizione il Commissario Passuello, comanda il drappello tedesco un Feldwebel. Prendono posto sulla vettura i seguenti fascisti: Passuello, Zilio, Miccolis, Giannone, Bresciani, Dazza, Di Mauro, Furlanetto, Toniolo, Bertizzolo, Vittorelli, Cirioni, De Pisa, Bracci, Di Vincenzo, Andreuzzi, Conte, Motta, Vazio, Perocco, Arfi, Rach, Perelli, Orio, Negrin, Liberti, Lupi, Baccin, Basile.

 

Durante il percorso d’andata nessun rilievo da segnalare, salvo numerose segnalazioni luminose ad intermittenza verso i monti. Arrivati sul posto il Commissario Passuello stabilisce 10 pattuglie di 5 uomini ciascuna tra soldati germanici e fascisti. Compito di ciascuna pattuglia il seguente: controllare tutte le persone che escono dal paese per tutte le strade che conducono fuori di Enego.

 

Mentre la pattuglia del camerata Cirioni si dirigeva sul posto da sorvegliare si sono visti due uomini confabulare fra di loro ed alla vista della pattuglia darsi alla fuga; intimato l’alt senza aver nessun esito un soldato tedesco sparò su di loro ferendone lievemente uno ad una gamba. L’altro visto il compagno ferito si fermò immediatamente. Riconosciutane la loro identità si accertò trattarsi di due giovani che noncuranti dell’ora ormai sorpassata del coprifuoco si intrattenevano a discutere fra loro, e intimoriti se l’erano data a gambe all’intimazione dell’alt, senza comprendere il grave pericolo a cui si esponevano con la fuga.

 

Nella parte centrale del paese si procede alla perquisizione di case di renitenti, cominciando dall’albergo Alpi, dove si perquisisce lo stabile da capo a fondo, si provvede ad identificare tutti i presenti, in gran parte sfollati, accertando anche le registrazioni prescritte nell’apposito libro giornale. Si preleva il padrone e si passa in consegna ai Carabinieri perchè ha un figlio renitente.

 

Analogamente si procede per altri tre casi del genere. I camerati Miccolis e Giannone procedono all’interrogatorio del sacrestano del paese, di sentimenti nazionali, per accertare se è vero che il Parroco abbia raccomandato durante la prima Messa del mattino, alla popolazione di mantenersi calma nel caso che nella notte fossero entrati in paese i ribelli. Risultato invece che il Parroco aveva dato lettura di uno stampato ricevuto dal Comune, relativo alle sanzioni previste per i complici e i favoreggiatori dei ribelli, giusto il seguente decreto del Governo Repubblicano.

 

Dopo circa un’ora e mezza, senza alcunché di rilevante, si ordina alle pattuglie di rientrare al posto di adunata, la piazza principale di Enego. Tutti presenti, si risale in vettura, nella quale prende anche posto una signorina, insegnante ad Enego, che si reca a Ferrara. Alle 3 del mattino si rientra in Bassano ed a tale ora finisce il servizio. Il Capogruppo Miccolis (firma), il Commissario del P.F.R.”

 

PASSUELLO AL COMANDO 

 

Appena arriva al soglio fascista l’ingegnere di Lusiana scatena la “guerra civile”. Le Brigate Nere d’ora in poi diventeranno formazioni militari atte a condurre una vera “guerra di guerriglia”. Per lo meno così la pensa il Passuello. La realtà però è più grama e triste.

 

Basti guardare alla “brigatina nera” di Altavilla, distaccamento che, neanche un mese dopo la sua costituzione conta già un morto: nientedimeno che il capo del gruppo, lo sfortunato “Reggente” Romano Rigotto, ucciso in uno scontro a fuoco con ribelli dei gruppi “guastatori” comandati dal capitano Nino Bressan. Il Commissario Prefettizio Arsenio Celsan narra di “civili armati che si spostavano nottetempo verso Altavilla..” Erano per l’appunto i “guastatori” che preparavano un’azione ai binari della ferrovia oppure stavano trasportando dell’esplosivo. Immediata la reazione fascista: grande mobilitazione ma poi non se ne fa nulla: in paese resta il gruppetto della Brigata Nera che con il passare del tempo si demoralizza sempre di più. Alcuni vanno a finire poi (comandati) nella Seconda Brigata Nera Mobile (che fa sul serio) dislocata ad Asiago, ma non vedono l’ora di tornare già in pianura e soprattutto a casa, ad Altavilla: lo dice a chiare lettere lo stesso Alcide Celsan che subentra come “capo” del Fascismo Altavillese.

 

I DURI E I MENO DURI 

 

Quanti erano i brigatisti neri di Altavilla? Per saperlo è sufficiente scorrere le righe di un documento scritto dal reggente Alcide Celsan. Nell’elenco troviamo varie categorie di personaggi: ci sono i “non mobilitati”, che sono otto, poi ci sono i duri, di cui uno mutilato agli arti inferiori, un altro mutilato alla mano sinistra mentre il terzo è mutilato al braccio destro.

 

Al dodicesimo posto della classifica ce n’è uno che lavora alla TODT e che risponderebbe alla “chiamata” qualora ce ne fosse veramente bisogno (garantisce il Reggente). Il tredicesimo invece neanche su invito risponderebbe alla “chiamata”. Gli altri si sono imboscati, chi al Comando tedesco fortificazioni (“se invitato non risponderebbe”), un altro viene così illustrato da un indignato Alcide Celsan: “Invitato non risponderebbe. Allude come gli altri precedenti a vari motivi ingiustificati. Esibisce denaro onde evitare il richiamo. Dichiara di essersi iscritto perchè invitato dal deceduto reggente per promessa di vantaggi senza condizione di arruolamenti od obblighi militari”. E questi dovrebbero essere i militi della Brigata nera, distaccamento di Altavilla?

 

LA SITUAZIONE E’ DIVERSA IN ALTRI LUOGHI 

 

A Schio e Vicenza, a Thiene ed in altri centri, soprattutto a Valdagno, la situazione è però decisamente diversa. A Vicenza le cose sono nell’ordine della “normalità”: la tortura viene sì praticata nella Casa del Fascio, ma chi eccelle è la Guardia nazionale Repubblicana e la “banda Carità” che esamineremo più avanti.

 

A Schio i gruppi delle Brigate Nere sono pericolosi, poiché rimpinguati da emiliani e romagnoli, a Valdagno tal ragionier Emilio Tomasi diventa capitano della “IVA Compagnia A.Turcato”, che si macchierà dei più nefandi delitti nella Valle dell’Agno. Sull’Altopiano infine i distaccamenti della XXII Brigata Nera sarebbero composti da derelitti se non fossero integrati da giovani della 2A Brigata Nera Mobile con ComandoGenerale a Padova e Comando territoriale a Schio. E’ con questi distaccamenti, con alcune centinaia di uomini che l’ingegner Passuello, un fanatico ed un sanguinario, si trova a combattere la guerra civile contro i partigiani. La XXII darà il “meglio” di sè proprio durante il rastrellamento del Grappa, quando i suoi quadri daranno la caccia ai renitenti ed impiccheranno ai balconi dei municipi decine di giovani.

 

LA BRIGATA NERA SI MACCHIA DI SANGUE 

 

Nel corso dell’estate gli scontri con i “ribelli” sono intensi. Sull’Altopiano la XXIlA “A.Faggion” deve intervenire spesso, con l’ausilio della G.N.R. In Valle del Chiampo si attende l’autunno per dare il colpo di grazia a Marozin, con la sua “Pasubio”, a Vicenza, Schio e Thiene si assolve ai “compiti di istituto” che vogliono dire: spionaggio, tortura, persecuzione degli antifascisti. Il 15 luglio, fresco di nomina, il Passuello si permette di scrivere al Vescovo Zinato sperando di ricevere una “investitura” per lo meno simbolica.

 

Ma il presule vicentino non fa errori e risponde con un cortese ma fermo “no”. Ed aggiunge: “Sono note le mie lettere al clero ed al popolo, i miei discorsi tenuti in circostanze dolorose per la nostra città..Come uno dei primi atti dell’opera di distensione oso chiedervi che venga posto termine a quell’atteggiamento ostile al clero, che anche in questi giorni si è manifestato con l’opera di agenti provocatori, e con altri atti che mettono in serio dubbio la sicurezza della vita di altri sacerdoti”.

 

Ce n’è e ce ne avanza per capire all’istante che la Chiesa ha preso un’altra strada. Ed infatti Passuello, e l’organo del P.F.R. “Avanguardia”, diventeranno sempre più anticlericali, sempre più bramosi dello scontro armato risolutore con i “ribelli”. Nella vita quotidiana il Passuello dà fondo alla sua cattiveria politica combinandone una dietro l’altra: il 30 agosto invia una lettera al Dirigente dell’Ufficio Unico di Collocamento, Bertoldi, segnalando un certo Micciarelli Aquilino perchè fosse preso, impacchettato e spedito ai lavori forzati in Germania. Il che equivale a una condanna a morte.

 

Anche un ex fascista, che ora fa il “tiepido”, viene segnalato dal Passuello e spedito nei campi tedeschi. Un tenente della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale che non vuole iscriversi alla G.N.R. nè prendere la tessera del Partito viene spedito pure lui nei lager, per non parlare delle segnalazioni del Federale per qualsiasi fermato dalla G.N.R. che non avesse documenti in regola.

 

Passuello, assieme a Ottorino Caniato, capo dei fascisti di Arzignano, a Tomasi di Valdagno ed al capitano Giambattista Polga della Polizia Ausiliaria, forma un gruppo di “duri” che allontanerà ancora di più i cittadini dai brandelli del Regime. A Vicenza e negli altri centri della provincia sotto la gestione del Passuello il P.F.R. diviene il partito delle scorribande e non certo dell’ordine.

 

Verso la fine del mese di settembre 1944 il Federale Passuello chiama a ricoprire la carica di Vice uno sfollato politico dalle Marche, tale dott. Raimondo Radicioni che si era sistemato in un primo tempo a Schio. Raccomandato dalla stessa Direzione Nazionale del Partito, al Radicioni viene affidata l’assistenza ed in tale occasione, anche a detta degli oppositori, si fa notare per senso di rettitudine.

 

“Raffrontato con il Passuello - scrive un aderente del Cln nel dopoguerra - era come vedere una iena vicino ad un agnello”. A questo punto il Governo Fascista di Salò nell’ottobre 1944 sostituisce ed allontana da Vicenza il Passuello, macchiatosi di troppe infamie. Con lui vengono allontanati dalle cariche di partito “tutte le più bieche figure che godevano della sua benevolenza...’’(Arch. di Stato di Vicenza, Busta 17 Cartella Informazioni).

 

E cioè gli estremisti: dott. Ubaldo Miccolis, eminenza grigia della Brigata Nera, Di Vincenzo, Arfi, Rodolfo Boschetti, Paolo Indelicati (della guardia del corpo di Passuello), il tenente Enea Francesco ed il tenente Cacciavillani, assieme a Perelli, Bracci, Brongo ed altri ancora che avevano commesso omicidi, rapine, angherie.

 

Dopo il repulisti Raimondo Radicioni viene nominato Federale. Come Vicecomandante della Brigata Nera è incaricato il Tenente Colonnello Basso Jacopo Ugo di Pojana Maggiore, Capo di Stato Maggiore, sempre della “XXIIA A. Faggion”, il Radicioni fa nominare il prof. Caniato Ottorino di Arzignano. Capo dei Servizi Politici e capo del personale furoreggia l’ex capitano dei CC.RR. Ercole Labate, a capo dei servizi economici viene confermato Roberti Roberto, mentre per la delicatissima branca delle Informazioni e delle investigazioni (si legga spionaggio e tortura) viene indicato l’avvocato Giovanni Pianezzola di Marostica. Capo dei servizi amministrativi il ragionier Zordan Francesco.

 

A questo punto nella Federazione si scatena il caos: c’è chi tra i facinorosi rimpiange il Passuello, l’uomo della guerra civile e della rappresaglia costi quello che costi. Da un’altra parte c’è la frangia dei “moderati”, più sensibili ai richiami del Prefetto, rappresentante dello Stato, dell’ambiguo questore Cesare Linari, ed in fin dei conti anche dei tedeschi, che non se ne fanno nulla di scherani sanguinari e ottusi.

 

Ormai le trattative segrete tra le SS, il Comando della Wermacht dell’Italia del Nord e gli Anglo-americani sono già avviate. Cosa se ne possono fare di questi disperati in camicia nera i tedeschi, soprattutto se continuano a sfidare la pazienza della popolazione?

 

Ed ecco che il Radicioni sembra impersonificare una linea più “morbida”, anche se questo non vuol dire che il Radicioni stesso non abbia firmato delle condanne a morte di giovani partigiani. A Vicenza, negli ambienti fascisti, il nuovo Federale viene chiamato ad un certo punto il “seminarista” per il suo supposto animo mite e perchè “era sempre proclive al perdono”. Ma se Radicioni è la “pecorella” il lupo è il prof. Ottorino Caniato che porta avanti il lavoro iniziato con tanta “passione” dall’ing. Innocenzo Passuello.

 

La Brigata Nera, la XXIIA “A. Faggion”, che si guadagnerà la stima e l’elogio del Duce per la strage di partigiani compiuta a Bassano del Grappa, è retta in pratica dal Caniato e da Ugo Basso che di Radicioni ne fanno uno zimbello. Nelle assemblee del Fascio si arriva perfino a contestare al Federale di non andare tra i suoi “soldati”, di mancare agli appuntamenti più importanti (rastrellamenti).

 

E’ interessante notare il comportamento del Radicioni: a Schio due fascisti vengono prelevati dai partigiani. La Brigata Nera minaccia la fucilazione di 10 ostaggi, ma Radicioni riesce a far rientrare la decisione. In un’altra occasione vieta ai tre fratelli Boschetti di assistere e prati-care torture nei locali della Federazione. I fratelli Caneva allora osteggiano ancor di più il Federale e ne nasce quasi una spaccatura nel partito, che viene ricomposta dando una minima soddisfazione agli oltranzisti con la nomina a vice Federale del direttore del “Popolo Vicentino” Angelo Berenzi.

 

LE "OMBRE” DI RADICIONI 

 

Naturalmente il Radicioni è un fascista, repubblicano per giunta, con un passato di militare e anche di truffatore e di imbroglione durante l’intermezzo civile negli anni trenta. Un uomo pasticcione ma non certo dal cuore duro. Deve però interpretare una parte e anche lui si macchia le mani di sangue: suo è l’ordine d passare per le armi quattro renitenti arrestati ed imprigionati a Padova e trasportati a Priabona il giorno dopo l’uccisione del capitano Polga.

 

Accusato dell’uccisione del patriota Urbani Luciano (fucilato in Piana di Valdagno il 26 dicembre del 1944) avrebbe sulla coscienza altre fucilazioni. Ma il condizionale è d’obbligo poiché il personaggio è contraddittorio, legalitario a Vicenza evidentemente truce in mezzo ai “camerati” in provincia. Sull’episodio di Priabona, si può affermare che responsabile dell’ordine d fucilazione dei quattro giovani è il Prefetto, ma in un documento trovato poi a Vicenza in una caserma di polizia compare anche la firma del Radicioni che segnala due patrioti per la fucilazione.

 

Altro grave delitto di cui è indubbia la paternità è quello, come già accennato di Urbani Luciano. La cosa viene decisa nella Casa del Fascio di Valdagno, presente Radicioni e il capitano Tomasi, e il Federale, interpellato sul da farsi, chiede se il giovane fosse stato trovato armato. Avuta la risposta affermativa Radicioni sentenzia: “Ma non sapete che dovete fucilarlo?” (Sentenza Corte di Assise Straordinaria di Vicenza dell'8 agosto 1945).

 


UN AUTUNNO CUPO E MICIDIALE

 

Ottobre 1944. I partigiani escono stremati da un’estate di combattimenti, un’estate che ha visto alcuni  loro importanti successi ma anche la disgregazione di interi reparti, l’infiltrazione di spie, l’arresto di molti esponenti del CLN, un fatto questo che scompagina la componente politica della resistenza vicentina.

 

 

In questo quadro l’uccisione del capitano Polga rappresenta una inversione di tendenza: dopo lo scacco sul Grappa, dopo la dissoluzione del gruppo di comando vicentino, il simbolo della lotta antipartigiana, il più duro ed efficiente dei poliziotti fascisti cade sotto il piombo di una pattuglia nei pressi di Priabona.

 

 

Caso o informazione particolareggiata? Per capire qualcosa di più di questo avvenimento che suscita tanto scalpore in città e provincia è necessario accostare alla morte del Polga la vicenda di Giacomo Possamai, un giovane renitente, passato ai partigiani e poi preso sotto la “protezione” del Comandante il Battaglione della Polizia Ausiliaria di Vicenza.