MOBILITARE CAMERATI!

 

Sono i primi anni di guerra e le prospettive appaiono rosee. Ma ben presto la perdita dell'Impero e le restrizioni alimentari ed energetiche gettano nella disperazione gli strati popolari

 

 

di Giorgio Marenghi

 

 

 

Il 16 Luglio 1940 il Prefetto Alliaudi comunica al Podestà di Vicenza cav. Angelo Lampertico la composizione del locale Comitato comunale di resistenza cvile. Il Direttorio è formato dal Podestà medesimo, dal Segretario Politico della Federazione dei fasci di combattimento Comm. Bruno Mazzaggio, dal cav. Dott. Alessandro Silvestri, di nomina prefettizia. I componenti il comitato sono: prof. Annina Giacometti, Fiduciaria provinciale dei Fasci femminili, ing. Bruno Beltrame per l’Unione provinciale fascista degli industriali, Alessandro Caoduro per gli agricoltori, Pietro Caneva per i commercianti, Alessandro Andolfato per i lavoratori dell’industria, cav. Ubaldo Gallo per i lavoratori dell’agricoltura, Umberto Signorini per i lavoratori del commercio, cav.dott. Jacopo Colbertaldo per i professionisti artisti, dott. Giuseppe Pozza per i mutilati invalidi di guerra, cav. Luigi Valente per l’associazione nazionale combattenti e il cav. Carlo Serini per l’Unione naz.le ufficiali in congedo.

 

 

Tutta questa serie di nomi però non dura molto: infatti il 2 agosto 1940 in Prefettura appongono il timbro “passi in archivio” alla delibera di costituzione del comitato di resistenza civile poiché la legge n.415 sulla organizzazione della Nazione per la guerra dispone la costituzione in ogni Comune di un “ufficio di mobilitazione civile”. Di comitati per la resistenza civile non se ne parlerà più.

 

 

In Comune avevano fatto un bel pasticcio, si erano dimenticati delle disposizioni di legge ed avevano già organizzato tutto. Il bello è che le disposizioni categoriche si contraddicono anche nelle date, è un incrociarsi di delibere viziate nella forma e nella sostanza e di documenti che le smentiscono. Un vero putiferio cartaceo.

 

 

A chiarire i contorni della questione che aveva coinvolto i più “bei” nomi della nomenklatura fascista vicentina ci si mette d’impegno la Prefettura che il 23 Luglio 1940 scende nei particolari. “Gli uffici di Mobilitazione Civile presso ogni Comune devono essere costituiti con lo stesso personale del Comune alle dipendenze del Podestà e del Segretario Comunale; i compiti di detti uffici, elencati nella circolare sopra richiamata, si riferiscono ai servizi interni del Comune, il cui funzionamento deve essere in ogni caso assicurato, tenendo costantemente aggiornato il progetto di mobilitazione civile di ciascun comune. Nel progetto di mobilitazione civile, come elementi precettabili per i servizi comunali, dovranno essere compresi, ove sia possibile, i nominativi che facevano parte dei Comitati di Resistenza Civile e che, per la soppressione dei comitati stessi, si rendono ora disponibili”.

 

 

Fin qui il Prefetto Alliaudi che, in poche righe, spazza via la pompa dei comitati precedenti, nel più puro spirito fascista, come si addice ad un paese che deve rigare dritto. Del resto lo aveva già disposto il Duce ed il suo più piccolo sodale, il Re, con l’applicazione della legge di guerra il 10 Giugno 1940.

 

La campagna del ferro

 

In perfetta “assonanza di intenti” con il Regime anche la nostra provincia non è da meno nell’osservare i divieti promulgati dal Consiglio dei Ministri in preparazione della guerra. Già il 24 Gennaio 1940 il Prefetto aveva dato comunicazione ai Podestà della provincia che nuovi acquisti di mobili in ferro per gli uffici statali non se ne sarebbero più fatti. Consigliato invece l’uso di materiali autarchici.

 

 

Il divieto vale ovviamente anche per gli enti “ausiliari”, le Opere Pie, ecc. Acque agitate invece in casa degli artigiani per queste disposizioni. I responsabili della categoria chiedono chiarimenti, si vuole conoscere cioè se, ad esempio, il “censimento dei rottami e manufatti di rame” impedisca di fatto la permuta con oggetti nuovi, che permetterebbero  alle ditte artigiane di proseguire l’attività.

 

 

Ma arriva la risposta affermativa e gli artigiani tirano un sospiro di sollievo. Il sì è sotto condizione però, gli oggetti dovranno essere dello stesso peso, altrimenti ci sarà sanzione.

 

 

Non tutto fila liscio in provincia: a Schio il Podestà Radi scrive al Prefetto lamentando qualche possibile pericolo. “In risposta alla circ. n.669 gab. In data 5 Aprile 1940 XVIII mi pregio informare l’E.V. che questo Comune nel periodo della decorsa guerra d’Africa ha tolto le cancellate esistenti nei propri edifici e versate regolarmente. Tali cancellate sono state sostituite fin da quell’epoca con reti metalliche e trecce di fili spinosi sostenute da ritti in legno castagno. Solo alle scuole di Piane c’è un piccolo tratto di mt. 5,30 di ringhiera di ferro esile alta mt. 0,90 del peso di circa kg.80 indispensabile perché serve di parapetto al cortile onde impedire la caduta dei bambini nella sottostante strada con un salto di vari metri. Questo Comune può versare una vecchia cassaforte in ferro del peso di circa kg. 154. La locale amministrazione delle Opere Pie Riunite invece, ha solo due tratti di cancellata, parapetto interno, di complessivi mt. 51,00 alta mt. 1,15 del peso totale di kg. 450,00 circa, indispensabile per la sicurezza degli ammalati e per impedire agli stessi di cadere da oltre 2 metri di dislivello”.

 

 

 

Le motivazioni delle Opere Pie Riunite di Schio erano state illustrate dall’ing. Spiller, presidente facente funzioni, con argomenti incontrovertibili: il materiale ferroso ricavabile dalle cancellate sarebbe stato esiguo a fronte del ben più corposo (e drammatico) salto nel vuoto per i pazienti dell’ospedale.

 

I Podestà protestano quando possono

 

Il Podestà di Schio, Radi, cerca di far ragionare l’ingegnere Capo del Genio Civile di Vicenza sempre a proposito della famigerata e ridicola raccolta di materiali metallici. Per Radi “..non è una cosa facile l’accertamento dei dati richiesti senza l’esposizione di un avviso per mezzo del quale i possessori (di ferro, n.d.c.) vengano invitati a presentare la denuncia delle cancellate e ringhiere esterne ed interne di loro proprietà con il peso relativo. Infatti se si dovessero visitare tutti i 4800 appartamenti urbani di Schio e frazioni e calcolare il peso del ferro in essi impiegato occorrerebbe oltre ad un notevole numero di personale e di giorni, anche il nulla osta per poter entrare in detti appartamenti privati”.

 

 

Il buonsenso del Podestà cerca di porre rimedio al modo di agire sconclusionato delle autorità provinciali. Per il Prefetto è sufficiente un proclama, per i Podestà della provincia vicentina no. Se proprio si deve calcolare il quantitativo di ferro, si faccia una media, suggerisce Radi, si calcoli per 4800 unità immobiliari una quantità media di kg. 5 di ferro e ci si accontenti.

 

 

Il Prefetto Alliaudi, come da ordini superiori, però non demorde e spedisce una raffica di avvisi diktat ai malcapitati Podestà. L’8 Luglio rammenta agli amministratori locali che fingessero di non sapere che il termine ultimo e “improrogabile” per la rimozione delle cancellate di proprietà dei privati è il 30 Settembre. “Alla data suddetta, pertanto – infierisce Alliaudi – tutte le cancellate di proprietà dei privati dovranno essere pronte per la raccolta da parte dell’Ente Distribuzione Rottami”.

 

 

Si potranno salvare dalla razzìa di regime solo quelle cancellate di notevole pregio artistico, storico, ecc. A scanso di equivoci il Prefetto ricorda pure che vi sono gravi sanzioni per le infrazioni alle norme. Quattro giorni prima della scadenza dell’ultimatum per il ferro il Prefetto fa conoscere ancora il suo pensiero. “Nessuna proroga può essere concessa – raggela l’Alliaudi – Gli stanti o piantane delle cancellate vanno pure rimossi e tagliati raso muro…”. Seguono istruzioni particolareggiate che fanno la gioia dei proprietari del ricercatissimo ferro. “La rimozione deve avvenire a cura e spese dei proprietari”. In chiusura le solite minacce di sanzioni.

 

Ognuno si faccia le sue campane

 

Il 21 Agosto 1940 –sempre Alliaudi – dà l’ordine per il censimento di tutte le campane, escluse quelle del Fascio perché ci pensa il Partito! Ma il ridicolo non viene avvertito dagli uomini del regime. Il 26 agosto 1940 il Prefetto sa finalmente che “…sulla torre civica del colle del Castello di Schio vi sono due campane fisse che formano parte integrante dell’orologio pubblico a due quadranti e che servono per battere le ore, le mezze ore e i quarti d’ora del peso complessivo di kg. 700”.

 

 

Sempre il Podestà Radi fa presente che nel cortile delle scuole Pietro Maraschin di Schio vi è pure una campanella di kg.6 circa, un’altra suona ogni tanto alle scuole di Avviamento Professionale per complessivi kg. 5, mentre il Civico Ospedale all’ingresso della portineria è in possesso di altri 5 chilogrammi di ferro (sempre a forma di campana).

 

 

In ritardo arriva però una serissima del Prefetto che dice: “Giusta superiori disposizioni sono escluse dal censimento delle campane disposto con la circolare 21 Agosto scorso n.1957, le campane degli orologi pubblici adibiti al suono delle ore…”. Oltre alle campane a Schio qualcuno ride anche per le Carceri Mandamentali. Radi, infatti, volente o nolente, deve inviare per conoscenza al Pretore di Schio una lettera, datata 14 Agosto 1940, in cui rende noto che nel carcere vi sono 8 grosse maniglione in ferro applicate a vecchie porte e che potrebbero essere sostituite con altrettante in bachelite!

 

 

E a proposito di surrogati o, meglio, di materiali autarchici, è questo il momento d’oro per le aziende che li producono. Infatti l’ing. Dalle Molle, capo dell’Ufficio Tecnico Municipale di Schio, riceve una sollecita nota della Società Anonima Feltrinelli (per l’industria e il commercio della masonite). La citata ditta si fa avanti con sollecitudine e rclamizza il prodotto: la masonite appunto, che è in vendita presso la ditta Mauro Laghi, in Via San Felice 133 a Vicenza.

 

Chi semina raccoglie

 

In guerra può capitare di tirare la cinghia e allora il regime la pensa in grande: perché non coltivare tutte le superfici inutilizzate? Dagli orti privati ai giardini per arrivare infine ai parchi pubblici? Chissà che ben di Dio ne verrebbe fuori. Detto e fatto. Il 5 Aprile 1941 il Prefetto di Vicenza dà il via alla campagna per l’utilizzazione di terreni, parchi e giardini. “In alcune città è stata presa l’iniziativa, di utilizzare durante l’attuale periodo bellico, le zone di terreno dei parchi pubblici e dei giardini per coltivazioni agricole di largo rendimento e di consumo popolare. Si avverte che, giusta superiori disposizioni, l’iniziativa merita di essere seguita e sviluppata ovunque sia possibile, adibendo allo scopo anche zone lasciate incolte in vista di futuri ampliamenti dell’abitato. E’ altresì opportuno incrementare la piantagione di alberelli da frutta in luogo delle solite piante ornamentali…”.

 

 

Il 18 Agosto 1941 il Prefetto richiama all’ordine i Podestà vicentini poiché c’è di mezzo un telegramma del Duce che parla chiaro e conclude: “Avverto che a mezzo di Ispettori provvederò ad assicurarmi della esecuzione dell’ordine”. Il 20 Agosto 1941 Alliaudi specifica: “…aggiungo che anche terreni campi corse, fatta eccezione piste, terreni campi golf, tiro segno, devono essere coltivati”. Il 23 Alliaudi, ormai sperimentatissimo in ordinanze, rincara rivolto ai Podestà. “In relazione agli ordini emanati dal Duce per la coltivazione di tutti i terreni utilizzabili, Vi invito a mettervi immediatamente in relazione coll’Ispettorato Agrario Provinciale, il quale Vi potrà dare tutte le istruzioni necessarie per il migliore sfruttamento dei terreni (parchi e giardini, pubblici e privati) non ancora coltivati. Attendo intanto immediato riscontro ed assicurazione circa programma che intendete adottare con l’elenco delle zone pubbliche e private suscettibili a trasformazione a culture agrarie o a piantagione di ortaglie”.

 

 

Il 19 Settembre 1941 arrivano le prime marce indietro. Una circolare del Direttorio Divisioni Superiori – Roma – Stadio P.N.F. spiega ai Direttori di zona e a tutte le società calcistiche di serie A, B e C che i “campi sportivi non debbono essere considerati quali aree disponibili agli effetti delle disposizioni generali per orti e coltivazioni di guerra in quanto indispensabili per educazione fisica gioventù italiana et inidonei per coltivazioni”.

 

 

A Schio è sempre il Podestà Radi che cerca di spargere un po’ di acqua sul fuoco della retorica di regime. Per dovere Radi prepara la lista delle superfici coltivabili ma fa anche notare che “nel territorio di questo Comune la proprietà privata è molto frazionata e coltivata minutamente dai piccoli proprietari e affittuali che la possiedono per modo che la coltura intensiva non ha bisogno di essere spronata essendo già spinta al massimo dagli interessati. Con l’abbattimento di siepi, disboscamenti, arature profonde, il terreno privato di Schio è stato totalmente utilizzato fin dallo scorso anno. Per il terreno dei parchi di questo Comune è stato disposto quanto segue: 1) Parco adiacente al Cimitero Civile Centa, attualmente coltivato a prato, verrà nella prima metà del mese venturo arato, concimato e coltivato a frumento. 2) Aree adiacenti al Campo Sportivo del Littorio attualmente coltivate a prato verranno, nella prima metà del venturo mese, parte lavorate, concimate e coltivate a frumento e parte preparate per la coltivazione di ortaglie. 3) Delle aiuole dei giardini pubblici (Piazza Statuto) verranno coltivate ad ortaglie, radicchi, insalate, ecc. 4) Il colle del Castello e Valletta per la loro natura, configurazione e alberatura continueranno ad essere coltivate a prato con raccolta ed utilizzazione dell’erba per i conigli e bestiame bovino”.

 

 

Il 18 Agosto 1941 Mussolini invia un telegramma a tutti i Podestà del regno. Con stile cameratesco, stile “Nazione in armi”, il Duce ricorda agli amministratori locali il dovere di dare da mangiare al popolo: “Ti impegno personalmente – scrive il primo guerriero d’Italia – a non lasciare incoltivata una sola zolla, dico una sola dei territori del vostro Comune alt. Superat ogni evntuale ostacolo aut pigrizia aut misoneismo di singoli alt Dovete contribuire e contribuirete ad alleviare il problema alimentare e lo farete alt. Premierò quelli più meritevoli. Mussolini”.

 

Le patate da guerra

 

Anche sul fronte delle patate la mobilitazione procede con speditezza. Il Podestà di Schio Radi non intende farsi scavalcare dall’avvedutissimo Prefetto Alliaudi e tempesta di avvisi e richieste il Consorzio degli agricoltori di Vicenza: si vuole ottenere 2 quintali di patate da semina poiché il terreno è già pronto, bello arato e in centro città. Ci sono difficoltà di approvvigionamento ma alla fine arrivano anche le sementi.

 

 

Si affaccia però un altro problema. Gli orti di guerra diventano obiettivi strategici, occorre sorvegliarli poiché c’è qualche “venduto al nemico” che ne approfitta per saccheggiarli. Il Prefetto invita all’istante alla massima vigilanza. E anche il Podestà Radi nel chiedere aiuto al Consorzio per l’alimentazione rivela che “…dato che negli orti di guerra di questa città ignoti ladri avevano cominciato a far sparire le patate benchè non fossero completamente mature, si è creduto giusto raccoglierle. Siccome però non sono colpetamente mature e non si prestano per essere ammassate e conservate a lungo, questo Comune prega codesta Spett.le Sezione di volergli rilasciare il nulla osta per poter consegnare direttamente e gratuitamente tale raccolto di q.li 7,00 di patate alle cucine popolari dell’Ente Comunale di Assistenza il quale le consumerà subito per la confezione delle minestre per i poveri di questa città”.

 

 

A Schio gli orti di guerra sono estesi in tutto il centro cittadino: all’Isola Verde, in Via Impero, 80 sono i metri quadrati coltivati, vicino al monumento al Tessitore ben 200 mq. Fanno bella figura e ispirano i passanti, vicino al monumento ad A.Fusinato vi sono 75 mq., 60 in Via dei Nani, 140 davanti alla Cappella di Santa Maria, 390 alla Chiesa di S.Francesco, 360 alla Chiesa del Cimitero, ben 860 dietro la stessa, 1464 davanti al Cimitero sulla destra, mentre sulla sinistra ve ne sono a disposizione 2060. 656 infine al Campo Sportivo del Littorio. Il totale è di mq. 6.345.

 

 

Se un segretario comunale scoppia

 

 

Cosa succede se un Segretario Comunale, nella fattispecie quello di Schio, scoppia? Normalmente succede che se la prende con qualcuno. E’ quello che capita nel Luglio del 1941 al funzionario del comune valleogrino.

 

 

Esaperato per le continue lamentele, proteste, lagnanze di vario tipo confezionate e trasmesse in varie forme dagli agricoltori della zona il Segretario ha un battibecco con un funzionario della Prefettura. Il Podestà Radi corre ai ripari chiedendo scusa anche per il Segretario e, scendendo nei particolari, traccia un quadro reale della situazione sociale del periodo.

 

 

“Il Segretario di questo Comune – scrive il Podestà – mi ha pregato di comunicarVi che deplora la forma con la quale insistette, dopo il primo diniego da parte del funzionario addetto al servizio di distribuzione di farina da polenta alla domanda di una assegnazione per esaudire le insistenti richieste dei piccoli agricoltori, e Vi prega a mio mezzo di credere che il suo scopo era soltanto quello di ottenere l’assegnazione stessa perché ritenuta indispensabile all’approvvigionamento dei richiedenti. Assegnazione che venne poi concessa. Ha aggiunto infine che è pronto a dare, se richiesto, le più ampie giustificazioni dato che in quel giorno ebbe a sentire richieste e proteste da parte di molti cittadini, che egli ogni mattina riceve in gran numero, e per i servizi annonari e per i sussidi militari. Per i primi si lamentarono le assegnazioni di pasta non seguite da distribuzione, e per i secondi, specilmante le madri, protestarono perché non era stato concesso loro alcun aumento di sussidio militare, mentre per le spose e per i figli dei richiamati era stato diffusamente comunicato a mezzo della stampa i recenti aumenti del sussidio stesso”.

 

 

Il 29 Settembre 1941 è la volta del Podestà di lamentarsi con una “riservatissima” al Prefetto del tesseramento del pane: "...non avrebbe fatto cattiva impressione – scrive Radi – dato che a Schio era già di fatto avvenuto col primo agosto, se si continuasse a distribuire di tanto in tanto e in aggiunta farina gialla per polenta, come si è fatto dal 1 Agosto in poi in modo da raggiungere i 100/150 grammi al giorno per persona. In un centro laborioso qual è Schio la razione limitata a grammi 200 al giorno di pane sia pure con supplemento di 100 o di 200 grammi al giorno rispettivamente per i cittadini addetti a lavori manuali ed a lavori pesanti, senza agiunta di farina per polenta, tenuto conto della rarefazione ed in alcuni casi di assenza completa di altri generi commestibili, prevedo che abbia delle ripercussioni sfavorevoli benchè in complesso lo spirito di questa patriottica popolazione sia rassegnato a compiere tutti i sacrifici possibili”.

 

Si comincia ad imboscare

 

Ai primi del mese di Febbraio del 1942 è quasi ultimato il censimento dei quadrupedi e dei carri disponibili nei Comuni della provincia. Il Prefetto perora caldamente i Podestà di fornirgli informazioni esatte e tempestive sui mezzi ippotrainati per il trasporto delle merci alimentari, i nomi e gli indirizzi di tutti coloro che potrebbero essere precettati. Il tutto deve essere fatto con la massima riservatezza. Non ci si deve mai dimenticare di essere un paese in guerra. Oltre ai trasporti nei Comuni agricoli i Podestà devono risolvere il problema scottante della scrsa o nulla collaborazione dei contadini nei confronti delle autorità.

 

 

E’ sempre il Podestà Radi di Schio, in una confidenziale ai parroci della zona e ai funzionari, a tracciare efficacemente i contorni della questione. “Dalle notizie finora pervenute risulta che solo una piccola parte dei coltivatori di grano, segala ed orzo ha presentato ai Podestà la denuncia prescritta dal R.D.L. 10 Ottobre 1941 n.1249, per ottenere il premio di semina in ragione di l.200 per ettaro. I motivi per cui la maggior parte degli interessati non ha richiesto il premio in parola possono essere diversi: ignoranza pura e semplice della istituzione del premio; timore che la denuncia anzidetta possa servire a scopi fiscali; intenzioni di non far conoscere con precisione la superficie investita a cereali autunno-vernini allo scopo di poter più facilmente compiere eventuali evasioni all’obbligo di conferire il prodotto agli ammassi.

 

 

E’ forse superfluo ricordare che con la istituzione del premio di semina si è inteso invitare gli agricoltori ad investire a grano, segala ed orzo la maggior superfice consentita da un bene scelto avvicendamento delle colture e dare ai rurali la dimostrazione che da parte dello Stato si pone ogni cura per sostenerli nella loro fatica e per alleviare fin dove è possibile le immancabili difficoltà cui essi, specialmente nell’attuale momento, vanno incontro.

 

 

Dato il significato che potrebbe essere attribuito all’astensione dal richiedere il premio di semina – qualunque sia il motivo da cui essa risulti determinata – e l’opportunità, in ogni caso, per evidenti ragioni di natura politica, che il premio stesso venga domandato dagli interessati e a questi corrisposto, Vi invito a svolgere, nei modi più opportuni, la più efficace azione di propaganda e di persuasione affinchè in ogni Comune, nel più breve tempo possibile, gli agricoltori che non hanno ancora chiesto il premio di semina siano indotti a richiederlo, presentando all’uopo, redatta sull’apposito modulo a stampa la prescritta domanda. S’intende che, pur senza dirlo espressamente, dovrete nella accettazione delle denuncie di cui trattasi, prescindere dal termine stabilito dalla Legge per la presentazione delle denuncie stesse”.

 

 

La Confederazione Fascista degli Agricoltori è molto preoccupata della piega che stanno prendendo le cose: al 7 Maggio 1942 risulta all’associazione di categoria che gli agricoltori evitino di consegnare il grano nonostante ritornino compilate le bollette di intimazione. L’Ispettore Centrale dott. Gioacchino Gobbi da Vicenza in Via Porti tempesta di telefonate e lettere le sedi periferiche della Confederazione minacciando denuncie e provvedimenti.

 

 

Lo scopo è unico e improcrastinabile: portare all’ammasso più grano che si può. Ma i produttori continuano nel boicottare gli sofrzi del regime. Le denuncie mancano dei dati del fittavolo, oppure non esiste rapporto tra conferimento e denuncia, altre mancano del calo per impurità od umidità, ecc. I dati finali per il conferimento del grano all’ammasso danno comunque questi risultati: kg. 36.498.36; per il granturco: 74.799.36.

 

Il regime vuole figli

 

L’Italia Proletaria ha bisogno anche di braccia che lavorino o impugnino un fucile se vuole conquistare il Mediterraneo. Ed ecco che il regime invita le coppie a procreare: con il premio di nuzialità e di natalità esteso ai pubblici dipendenti si vuole favorire le unioni e la costituzione di famiglie numerose. La Regia Prefettura di Vicenza con circolare del 22 Ottobre 1940 dispone per un trattamento economico per i dipendenti comunali non inferiore a quello percepito dagli statali. Ma poiché il Comune di Vicenza è deficitario, i premi vengono contenuti nella misura minima. Il Podestà cav. Angelo Lampertico delibera che i premi siano assegnati nella seguente proporzione: per i funzionari e gli impiegati lire 1.000 se uomini, lire 700 se donne; per i salariati lire 700 se uomini e lire 500 se donne. Il criterio è, ovviamente, ingiusto, oltre che fondamentalmente stupido, ma non si può chiedere lungimiranza agli uomini in orbace.

 

 

Si pensi poi che per il primo figlio si può “guadagnare” lire 300, 350 per il secondo ed il terzo, 400 per il quarto e ciascuno dei successivi, e nientedimeno che lire 100 in caso di aborto spontaneo o terapeutico! Naturalmente tutti questi premi sono corrisposti a coloro i cui matrimoni siano stati celebrati dal 21 Settembre 1939 in avanti. Per le nascite stesso criterio. Occorre poi dire che il dipendente che volesse conquistare il premio deve contrarre matrimonio non oltre il 32° anno di età, se si tratta di un funzionario, non oltre il 30° se si tratta di impiegato d’ordine o di salariato.

 

 

Naturalmente il premio viene concesso anche al personale femminile. Ma si sa che gli italiani sono ingegnosi e che anche questa storia del premio di nuzialità deve avere stuzzicato la fantasia a più di qualcuno. Così il regime presto deve correre ai ripari, poiché i bilanci sono quello che sono, le spese di guerra sono già alle stelle, e nessun gerarca vorrebbe mai che l’economia si inceppasse per un’ondata demografica. Così il 22 Giugno 1941 il Capo Divisione Bertoldi del Comune di Vicenza fa presente che “…non è ammesso il cumulo di premi nel caso che il coniuge del dipendente comunale abbia titolo a conseguirlo da altra pubblica amministrazione”.

 

 

Poi la legge sul premio di nuzialità e natalità subisce vari aggiustamenti anche perché ci si accorge che i dipendenti statali o pubblici che sono sotto le armi verrebbero penalizzati per l’impossibilità di far valere il loro diritto, ecc. Alla fine si eleva il limite di età per gli appartenenti alle forze armate. Nel Novembre del 1940 l’E.I.A.R., Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, vara una importante iniziativa: con il 1° Gennaio 1941 lancia una manifestazione di propaganda allo scopo di favorire coloro che intendono formarsi una famiglia. A questa manifestazione “…potranno concorrere tutti coloro che contrarranno matrimonio nel periodo dal 1° Gennaio  al 31 Dicembre 1941”.

 

 

I premi concessi ai novelli sposini sono: un abbonamento gratuito per il 1941 a coloro che alla data del loro matrimonio risultano non abbonati; sorteggio tra le coppie di sposi di un primo premio di lire 50.000 in Buoni del Tesoro, trenta altri premi per un valore di lire 5.000 cadauno “di particolare interesse per la casa e per l’economia domestica, come mobilio sala pranzo, macchina per cucire, pianoforti, frigoriferi, ecc.”. L’EIAR si rivolge per l’occasione ai Comuni, a Vicenza la richiesta arriva il 18 Novembre 1940, per ottenere un invìo settimanale di nominativi di sposi con relativi indirizzi che hanno richiesto l’affissione delle pubblicazioni. Questo per poter inviare un opuscolo contenente le norme del concorso e una circolare di propaganda.

 

Figli della lupa o della mamma?

 

Anche a Vicenza nei primi anni di guerra ferve l’attività della “Unione Fascista fra le famiglie numerose”. Il Presidente ing. Leonardo Pagello chiede al Comune più attenzione per la sua associazione benemerita, dato che le famiglie numerose, secondo i dati forniti dal Pagello, sono per la provincia di Vicenza ben 11.788 on un totale di 88.789 figli, sparsi nei 120 comuni. Tutte queste famiglie fanno capo alla “Unione Fascista tra le famiglie numerose”. Il Pagello nella lettera del Podestà chiede un contributo economico, dato che le casse dell’Unione sono asciutte e i bisogni sono molti. Fare figli insomma poteva essere per alcuni un “affare” mentre per altri restava un problema, talvolta drammatico.

 

 

Sempre l’Unione fa pressione sul Comune affinchè vengano riesaminati i criteri per l’ammissione all’Elenco dei poveri. Il Pagello propone al Podestà Lampertico che venga soppresso o “aggiornato” l’art.7 del Regolamento per la formazione e la tenuta dell’Elenco dei poveri, laddove dice: “Sono ammessi ai benefici contemplati dal presente regolamento…i dipendenti di enti pubblici che abbiano a carico almeno 7 figli di nazionalità italiana; contribuenti che abbiano che abbiano a carico almeno 10 figli di nazionalità italiana; contribuenti che abbiano avuto almeno 12 figli nati vivi e vitali di nazionalità italiana e ne abbiano a carico almeno 6”.

 

 

Il Pagello propone in sostituzione un articolo alternativo del seguente tenore: “Sono ammessi ai benefici contemplati dal presente Regolamento indipendentemente dalle condizioni economiche i residenti nel Comune regolarmente iscritti nel Registro di Popolazione municipale che ne facciano domanda e che abbiano a carico almeno 7 figli, computati fra essi i figli caduti nella grande guerra o per la causa nazionale”.

 

 

In mezzo a tutta questa agitazione per matrimoni, figli e premi vari non ci poteva mancare un’attenzione particolare per una categoria di cittadini particolarmente sfortunata in quel frangente: i celibi. La Tassa sui celibi contribuirà a coprire di ulteriore ridicolo il regime, agli occhi dei posteri però. Nel 1940 la maggior parte dei ceti popolari beveva ancora tranquillamente il fiume di parole roboanti che fluiva dai microfoni dell’EIAR e dei giornali asserviti. Il 9 Dicembre 1940 a Vicenza sono scovati ben 478 celibi che devono disciplinatamente pagare la tassa.

 

Ti saluto per radio

 

Estate 1940. Le nostre truppe combattono in Etiopia e in quel che resta dell’Impero. Ormai l’avventura coloniale italiana sta per finire sotto l’urto dei più ben organizzati ed attrezzati soldati inglesi. In patria il regime vara una grande operazione propagandistica e sentimentale, di facciata: l’invio di messaggi da parte dei familiari con apposite trasmissioni radiofoniche. Il Ministero della Cultura Popolare “…presi accordi con l’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche EIAR, ha stabilito di facilitare loro (ai soldati, n.d.c.) la possibilità di ricevere notizie e saluti dai propri congiunti mediante le trasmissioni radiofoniche”.

 

 

Naturalmente le notizie devono essere “positive”, riguardare gli affari, le nascite, le gioie della vita, non devono deprimere o demoralizzare, il contenuto non deve essere critico ma teso al bene del combattente. Altrimenti non saranno prese in considerazione dagli uffici preposti nei vari Comuni. “le lettere approvate saranno immediatamente inviate dai Municipi all’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche EIAR, Via Asiago 10 Roma, i cui uffici includeranno le notizie nelle quotidiane trasmissioni per le forze armate”.

 

 

Il Prefetto di Vicenza invia la circolare il 19 Luglio 1940 ai Podestà della provincia. Pochi giorni dopo il Comune di Vicenza affida alla V Divisione (Gabinetto e Personale) le attribuzioni inerenti allo svolgimento del servizio che viene denominato “Servizio notizie via radio ai combattenti”. Le notizie ci mettono poco ad arrivare. Tanta è la voglia di comunicare, di far sapere ciò che succede in famiglia, nel paese o in città. Si scrive per comunicare con i combattenti in Africa, ma anche per avere notizie di connazionali residenti in Francia, ecc.

 

Notizie di vita quotidiana e di gemellaggio

 

C’è chi combatte e c’è pure chi rimpatria. Ma, a sentire una nota del Prefetto Alliaudi in data 1 Marzo 1941, c’è anche chi fa il furbo. “Accade talvolta – scrive Alliaudi – che alcuni connazionali rimpatriati dall’estero, prima di raggiungere il proprio comune di origine, si trattengano per un periodo di tempo più o meno lungo in alberghi o pensioni del capoluogo o di altri Comuni, alle cui spese deve poi provvedere la Prefettura con i fondi destinati all’assistenza ai rimpatriati dall’estero. Il Commissariato Migrazioni ha avvertito che non può consentire tale eccessivo e ingiustificato dispendio, dovendo il soggiorno in alberghi o pensioni dei rimpatriati costituire un fatto del tutto eccezionale, limitato a quei singoli casi in cui i rimpatriati non possano immediatamente raggiungere il proprio Comune di origine, e che non dovrà pertanto essere protratto oltre i quattro, cinque o al massimo sei giorni. Si ritiene opportuno conseguentemente segnalare la necessità di far avviare senza indugio i connazionali che rimpatriano verso le rispettive destinazioni, facendo loro presente che, in caso di prolungato o ingiustificato soggiorno in albergo, le spese relative saranno a loro carico esclusivo”.

 

 

Il 28 Agosto 1941 il Podestà Lampertico prende invece una “storica” decisione, sempre connessa ai rapporti con l’estero. “Non appena le ali della vittoria fascista – scrive dannunzianamente il Podestà vicentino – ricongiunsero la martoriata Dalmazia alla Patria Italiana, Vicenza esultante per il vaticinio così gloriosamente compiutosi offerse – quale segno di amore e di ammirazione verso i fratelli redenti – la bandiera alla città di Traù che era ed è particolarmente cara al suo cuore per la fede conservata nei destini d’Italia anche in momenti oscuri, quando l’usurpatore infieriva persino contro le storiche memorie venete che ne testimoniavano l’alta e civile origine”. Per questi motivi il drappo del Comune di Vicenza viene confezionato in tutta fretta, per una spesa di lire 4.600, grazie ai “fondi per le spese impreviste”.