STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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ARRIVA UNA NUOVA, TREMENDA EPIDEMIA

 

SI COSTRUISCE IL TEMPIO DELLA SALUTE

 

La peste del 1631 arriva anche a Venezia e come sempre è strage. L’eccezionale durata dell’epidemia spinge i veneziani ad erigere un tempio alla Vergine...

 

 

Che il clima della Venezia del Seicento non fosse sereno, lo si può dedurre da più di un episodio, non ultimo, e forse solo il più eclatante, quello di Antonio Foscarini. Sospetti, denunce anonime, calunniatori, spie, la città sembrava imbrigliata in una rete che, paradossalmente però, garantiva una certa sicu­rezza e stabilità all’interno.

 

Non così all’esterno, invece, dove l’attenzione di Venezia veniva richiamata ancora una volta per motivi, alla superficie, apparentemente nebulosi. Pochi giorni prima della fine del 1627, moriva a Mantova il duca Vincenzo II Gonzaga, senza lasciare eredi maschi. Il duca, tuttavia, prima di morire, aveva indicato nel cugino Carlo Gonzaga-Nevers il suo erede. Contro questa prospettiva, di vedere cioè un francese sedersi sul trono di uno dei ducati italiani, reagì pronta­mente la Spagna, impegnata proprio contro la Francia nella estenuante guerra dei Trent’anni.

 

Venne così oppo­sto a Carlo un controerede spagnolo, Ferrante II duca di Guastalla, appartenente ad un ramo collaterale dei Gonzaga. A complicare ulteriormente la delicata ed esplo­siva situazione dinastica si aggiunsero le sorti del Monferrato. Vincenzo Gonzaga per tenere unito al ducato di Mantova quel territorio, aveva fatto sposare l’erede, Maria, a un esponente dei duchi di Nevers. Si stavano così ricreando le premesse per un nuovo scontro in Italia fra le due potenze, Spagna e Francia, scontro a quel punto ormai divenuto inevitabile e che verrà poi chiama­to “guerra del Monferrato”. Ma in tutto questo che faceva Venezia? Certo la città e la sua classe dirigente non pote­vano stare a guardare.

 

Un momento delicato per il dominio di terraferma

 

La repubblica veneta aveva portato i suoi confini occi­dentali proprio fino al ducato di Mantova e l’idea di ritrovarsi come vicino di casa un duca spagnolo, non doveva certo essere cosa tanto gradita al governo ducale (l’eco della recente congiura spagnola di Bedmar era ancora assai vivo!).

 

La situazione, dunque, non offriva molte alternative e così Venezia si schierò prontamente e senza esitazioni con il candidato appoggiato dalla Francia e dal papa, Carlo di Nevers. Sull’altro fronte, intanto, anche la Spagna aveva racimolato il suo alleato italiano nella persona del duca di Savoia, Carlo Emanuele, che già da tempo aveva appuntato la sua attenzione sulle terre del vicino Monferrato.

 

Si aggiunsero infine anche gli imperiali e, quando questi presero a muovere contro Mantova, Venezia non poteva più stare solo a guardare. il governo ducale inviò prontamente nella città lombarda uomini, denaro e rifornimenti arrivando a spendere ben 638.000 ducati! Tutto fu però inutile. Dopo una durissima sconfitta a Valeggio sul Mincio, Mantova infatti veniva conquistata e saccheggiata dalle truppe imperiali.

 

Era il 18 luglio del 1630 e nella città che aveva resistito ad un assedio di dieci mesi, infuriava anche la peste. La conqui­sta della città da parte dei tedeschi, tuttavia, durò solo pochi mesi. I francesi infatti, riorganizzati, stavano avan­zando tanto che nel 1631, il 6 aprile, gli imperiali furono costretti a chiedere e fumare la pace riconoscendo quale nuovo duca di Mantova Carlo di Nevers.

 

Questi entrava finalmente nella “sua” città, o meglio in quella che sem­brava essere Mantova. Nove mesi di brutale occupazione da parte dell’esercito tedesco e la violenta pestilenza, ave­vano ridotto infatti la città allo spettro di se stessa. Come se non bastasse, quando l’esercito imperiale lasciò final­mente Mantova, portò con sé oltre al bottino anche il ter­ribile morbo disseminandolo così nell’intera pianura padana. Da qui giunse inesorabile infine anche in laguna.

 

Ci mancava pure la peste

 

Venezia doveva ancora recuperare il sensibile calo demografico registratosi in occasione dell’ultima pestilenza quando la nuova ondata portò nella tomba altre 46. 500 vite, senza contare i 35.000 morti delle isole vicine. Venezia si sarebbe ridotta a soli 102.000 abitanti, il minimo storico dal XV secolo. Di fronte al dilagare del morbo che sembrava inarrestabile, la popolazione e le autorità, impotenti, si rivolsero ancora una volta alla pietà celeste.

 

Come in precedenza era stata eretta una chiesa (il Redentore) quale ringraziamento per la fine della peste, ora si erigeva un nuovo tempio affinché la peste cessasse, un tempio da dedicare alla Vergine e chia­mato significativamente della Salute. Anche in questa occasione Venezia non badò a spese e volle per l’impresa uno dei massimi architetti del tempo: Baldassarre Longhena.

 

La prima pietra venne posta dal doge Nicolò Contarini, malgrado le gravi condizioni di salute in cui versava da tempo. Era il 10 aprile del 1631 quando il doge si recò sul posto prescelto per l’edificazione del nuovo tem­pio, proprio all’imboccatura del Canal Grande sul luogo dell’antico Ospizio della Trinità. Per Contarini sarebbe stato l’ultimo gesto per la sua città. Moriva infatti il gior­no dopo alle sette del mattino.

 

Alle casse dello stato la chiesa costò ben 400.000 ducati, una somma generosa­mente sborsata nella speranza che il morbo finalmente si placasse. E coincidenza o fatalità, la peste che fino ad allo­ra aveva infuriato in laguna, prese a scemare progressi­vamente per tutta l’estate fino a quando il 28 novembre la città venne ufficialmente dichiarata libera dalla peste. La costruzione del tempio, che era proseguita inevitabil­mente a rilento, era solo agli inizi. Dovevano passare anzi ancora molti decenni prima che la chiesa venisse conse­gnata alla sua città. Ciò avvenne nel 1687. Allora molti di coloro che ne avevano visto l’inizio non c’erano già più e la terribile pestilenza che aveva sconvolto la città era ormai poco più di un brutto ricordo.