STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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VENEZIA RINGRAZIA IL SUO COMANDANTE ...

 

MOROSINI È IL NUOVO DOGE (ANNO 1690)

 

L’11 gennaio del 1690, Francesco Morosini fa finalmente rientro a Venezia dove lo aspetta una accoglienza trionfale. A ritornare infatti non era solo un comandante, ma anche il nuovo doge

 

 

Dopo la conquista di Napoli di Romania, le armate e le navi cristiane proseguirono anche per tutto l’anno seguente nella loro vittoriosa avanzata in territorio nemico. Lepanto, Patrasso e Corinto vennero conquistate proprio in quel­l’anno dalle navi dell’inarrestabile ed intrepido Morosini, le vittorie scatenarono ovviamente l’entusiasmo a Venezia e procurarono allo stesso comandante un busto bronzeo in Palazzo Ducale.

 

Sull’onda delle inattese con­quiste, le navi del Morosini si portarono così lungo le coste dell’Attica puntando niente meno che su Atene. L’antica città da secoli ormai seguiva il suo triste destino di decadenza. Dell’antica e splendida città antica, culla della cultura e della civiltà occidentali, era rimasto poco più che il ricordo.

 

Eppure questo da solo bastava per fare della conquista di Atene un motivo di forte e profonda emozione. Tuttavia a prevalere non furono certo gli aspet­ti emozionali quanto quelli militari. Una volta posto l’as­sedio alla città da parte dei Veneziani, infatti, accadde poco dopo il fattaccio.

 

Morosini aveva fatto puntare un mortaio proprio sul Partenone, l’antico tempio della città sull’acropoli. Dal mortaio il 26 settembre del 1687 verso le sette di sera partì improvviso un micidiale colpo che prese in pieno lo storico monumento simbolo di Atene e della sua passata grandezza.

 

Non bastava. I danni dell’esplo­sione infatti vennero ulteriormente ingigantiti dal fatto che i turchi a loro volta avevano trasformato il Partenone in una polveriera. L’esplosione ebbe così proporzioni devastanti e deturpò per sempre il tempio distruggendo­ne completamente la cella e numerose colonne con la loro trabeazione a rilievi. Non contento, il Morosini, una volta conquistata la città, volle recuperare i cavalli e il cane di Atena che si trovavano sul frontone del tempio, ma al momento dello sciagurato furto, il gruppo scultoreo andò in mille pezzi.

 

Lo scempio di uno dei più antichi monu­menti d’Europa e simbolo stesso della sua civiltà, si era miseramente compiuto. Poco importava in quel momento ai soldati veneziani la misera fine di tanta bellezza sopravvissuta nei secoli. Troppo grande e cieco era l’entu­siasmo per la vittoria che procurò al Morosini niente meno che la nomina a nuovo doge nel marzo del 1688, nomina avvenuta eccezionalmente all’unanimità e al primo scrutinio.

 

Il segretario Giuseppe Zuccato venne incaricato di portare le insegne ducali al neo eletto dal momento che neppure l’alta nomina sembrò distogliere il Morosini dal suo impegno nell’Egeo che anzi proseguì a pieno ritmo. L’8 luglio del 1688 infatti, il comandante veneziano fece uscire le sue navi dal porto di Atene pun­tando dritto su Negroponte.

 

Veneziana per oltre 200 anni, Negroponte venne strappata alla Serenissima dai turchi nel 1470 con orribile strage della popolazione civile il cui ricordo veniva ora ravvivato dalla possibilità della sua riconquista. Ma ad attendere i veneziani e le truppe del conte svedese Von Konigsmark, non c’erano questa volta solo i turchi – numericamente molto, molto inferiori ai cristiani –-, ma anche un imprevisto destino di morte che avrebbe infatti ben presto sterminato l’esercito allea­to con una terribile epidemia, forse di malaria.

 

Lo stesso comandante svedese finì la sua esistenza in quelle tragi­che circostanze e neppure l’arrivo di 4000 soldati freschi da Venezia mutò la situazione che si fece veramente tra­gica anche a seguito di una ammutinamento degli uomi­ni. Morosini a quel punto fu costretto a retrocedere dal­l’intento e a toglier l’assedio.

 

La sconfitta dovette risultar­gli tanto più bruciante per essere stata causata da agenti esterni – l’epidemia – e di fatto dal tradimento dei soldati. Doveva assolutamente recuperare la faccia, tanto più ora che era anche diventato doge! E così, l’orgoglioso coman­dante veneziano decise di puntare su di un altro obbietti­vo: la fortezza di Malvasia nel Peloponneso sud-orientale.

 

Tuttavia anche Malvasia si trasformò per il Morosini in un altra cocente sconfitta personale. Fiaccato nel fisico da una grave malattia, Morosini si vide infatti costretto a cedere il comando a Girolamo Cornaro. Questi conquistò alla fine la cittadella fortificata che tornò così veneziana dopo 150 anni, ma Francesco Morosini allora era già sulla nave che lo avrebbe riportato a Venezia.

 

E Venezia si dimostra magnanima con quel suo condottiero...

 

Era il mese di gennaio del 1690 quando il comandante veneziano rimise piede nella sua città. Ad accogliere il “Peloponnesiaco”, come ormai era chiamato dal popolo il Morosini, c’erano i membri del Senato e una moltitudi­ne di persone, oltre a vari rappresentanti stranieri.

 

Le ultime tristi vicende avevano appena offuscato lo splen­dore delle precedenti imprese e in fondo a fare ritorno a Venezia non era solo un comandante alquanto provato, ma anche il doge di tutti i veneziani. Malgrado questo, l’indole guerriera aveva fatto indossare al Morosini in quella giornata gli abiti del comandante anche se ora si trovava nel più rassicurante Bucintoro, la nave ducale.

 

Risalito con questo il Canal Grande fino alla Piazzetta, Morosini venne accolto da un folla festante e da un arco trionfale fatto erigere per l’occasione. Un corridoio di colonne, con armi, trofei e scudi lo condusse poi fino a Palazzo Ducale, splendidamente addobbato a festa.

 

Morosini si accingeva così dopo anni e anni spesi al servi­zio della Repubblica ad impugnare le redini del potere supremo, dismettendo le vesti del comandante per indos­sare quelle del doge. Con l’assunzione alla massima cari­ca dello stato, Francesco Morosini poteva ritenersi soddi­sfatto. In quelle ore di giubilo e di calorosa riconoscenza anche le umilianti operazioni di Negroponte e Malvasia gli dovettero sembrare alquanto lontane.