STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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VOLUTO DA TUTTI QUALE DOGE DI PACE

 

ORSEOLO I SCEGLIE IL CONVENTO

 

Da sempre fortemente religioso, eletto dal popolo alla somma carica proprio per le sue virtù, dopo aver gover­nato facendo molte buone opere sceglie di ritirarsi in convento per essere coerente con lo spirito di carità che aveva sempre informato la sua vita. Una scelta la sua che verrà poi celebrata da Papa Clemente XII quale segno di santità. ..

 

 

Non si era ancora spenta la rovente atmosfera ... nella quale si era consumata l’atroce esecuzio­ne di Pietro Candiano e del suo figlioletto che il 12 agosto del 976 il popolo veneziano riunitosi nella chiesa di S.Pietro di Castello, elesse il suo nuovo doge, Pietro Orseolo.

 

La famiglia degli Orseolo, pur di antica tradizione, non si era tuttavia mai distinta nei secoli precedenti per aver ricoperto alcuna carica impor­tante. Pietro era il primo della famiglia ad assurgere a tanta altezza, inaugurando la dinastia ducale degli Orseolo. In un momento estremamente delicato per la storia di Venezia, nuovamente scossa da violenti disordi­ni che portarono alla deposizione ed uccisione del Candiano, il popolo veneziano con l’elezione di Pietro Orseolo, dimostrava tutta l’esigenza di un lungo periodo di pace. E principalmente alla pacificazione interna, non a caso, si votò il doge Pietro, dimostrando la sua indole di uomo saggio e pio.

 

Non è da escludere, tuttavia, che la sua elezione fosse in realtà il prezzo che i Veneziani accet­tarono di pagare in cambio della disponibilità dell’Orseolo in occasione della rivolta contro il suo prede­cessore. Pare infatti che l’incendio con il quale i rivoltosi riuscirono a stanare il doge Candiano fosse iniziato pro­prio dalla casa di Pietro Orseolo. La notizia, se vera, dimostrerebbe la piena e totale adesione di quest’ultimo alla causa dei rivoltosi. Incambio avrebbe chiesto di esse­re portato sul trono ducale qualora le cose fossero andate a buon fine.

 

In realtà non è dato sapere con certezza quali siano state le circostanze che portarono all’elezione di Pietro Orseolo. Certo è che il nuovo eletto “ ...fin da princi­pio del suo potere governò le cose di Venezia pel bene comune e si contenne in tutto secondo le norme della legge”.

 

Evidentemente con Pietro I i diritti e i poteri del Gran Consiglio, come la Costituzione del 959 trovavano una solida garanzia e con essi quel ‘bene comune” tanto caro al popolo veneziano e calpestato invece dal preceden­te doge con la sua politica personalistica o presunta tale. E al bene comune effettivamente Pietro I si dimostrò instancabile servitore, in molti sensi. Innanzitutto fece in modo di rinnovare il trattato con i Capodistriani dato che il precedente trattato era andato distrutto con tutto l’archivio ducale durante la rivolta. il nuovo trattato con­fermava la piena libertà di commercio per i Veneziani nella città di Capodistria (allora Giustinopolil, con la garanzia della loro totale incolumità.

 

Ma le premure del nuovo doge si concentravano soprattutto all’interno dove c’erano da sanare i danni provocati dall’incendio che aveva portato alla quasi totale distruzione del palazzo Ducale e dell’annessa cappella di S.Marco. Pietro I prov­vide allora a far ristrutturare quest’ultimo edificio e diede inizio ai lavori per la ricostruzione del Palazzo. Ma anche ad altre opere il nome del doge Pietro restò per sempre legato.

 

La sua considerazione e la sua attenzione per i poveri e i diseredati della città, si concretizzarono infatti, nella costruzione di un “Hospitale” non molto lontano dallo stesso Palazzo Ducale dove potevano trovare allog­gio anche i pellegrini che venivano a visitare le sacre reli­quie dell’evangelista Marco al quale era probabilmente dedicato lo stesso ospedale ancora visibile alla fine del Medioevo.

 

Alla natura benevola del doge rispondevano positivamente anche i sudditi e i membri del Consiglio. Quando, per risarcire la vedova di Pietro Candiano, Waldrada, fuggita presso la corte italica dell’imperatore Ottone II a Pavia, il doge ebbe bisogno di un comune sfor­zo economico da parte dei veneziani, questi si dimostraro­no pronti a versare il tributo al proprio doge che in questo modo si liberò da ogni tipo di possibile rivendicazione da parte dell’ex duchessa.

 

Tuttavia, la fazione rimasta fedele al doge trucidato e alla sua famiglia, mal sopportava la politica del nuovo eletto. Lo stesso Patriarca di Grado, Vitale, figlio del predecessore trucidato, era fuggito da Venezia al momento dell’ascesa al trono ducale di Pietro, trovando rifugio presso il fautore dei Candiano, l’impera­tore Ottone Il.

 

Giunse così, inesorabile e quasi inevitabile, anche per Pietro, il tempo nefasto delle congiure. Se ne ha notizia di una, in particolare, miracolosamente scampata dal doge che prese a meditare sulla possibilità di lasciare il pro­prio, alto incarico.

 

Arrivò a Venezia in quei giorni, l’abate Marino di Cusano, lontano centro dei Pirenei e famoso per il suo monastero. L’abate era giunto a Venezia per rendere omaggio e devozione alle sacre reliquie di S.Marco, sottratte, fra l’altro, alla vista dei più dopo la ristrutturazione della Cappella ducale da parte del doge.

 

Ma non solo, probabilmente. La ripresa delle congiure e delle cospirazioni contro il doge da parte del partito filo­imperiale, dovevano preoccupare non poco, anche gli esponenti della chiesa veneta che certo non potevano accettare l’idea di venir inglobati in una chiesa dove era l’imperatore a fare il bello e cattivo tempo. Si doveva assolutamente salvare Pietro I.

 

La presenza dell’abate Marino a Venezia, forse, si giustifica con la possibilità di questi ad ospitare eventualmente il doge nel suo sicuro e lontano monastero. Con il doge dovevano essere assoluta­mente tratti in salvo anche Giovanni Gradenigo, uno dei capi della congiura contro il Candiano, e Giovanni Morosini, genero del doge. Con loro, solo altri due frati, l’abate Guarino e il monaco Romualdo, il futuro fondatore dell’eremo di Camaldoli e del medesimo ordine.

 

Romualdo fu probabilmente anche l’assistente spirituale dello stesso doge, una volta che questi ebbe raggiunto sano e salvo il monastero di Cusano. Qui i tre veneziani intrapresero la durissima vita del noviziato e Pietro della santità. Non tornerà mai più a Venezia il doge Pietro Orseolo, accettando invece di vivere e di chiudere la pro­pria vita, il 10 gennaio del 997, nella pace del piccolo con­vento. La sua scelta di vita, troverà il massimo riconosci­mento solo 800 anni dopo la sua morte, quando il papa Clemente XII nel 1733 lo dichiarò santo ed inviò a Venezia una sua preziosa reliquia custodita nella Basilica Marciana.