STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

sv50media

 

CONDANNATO PER CONGIURA CONTRO LO STATO

 

LA MORTE DI MARINO FALIERO

 

Fu l’odio per la classe degli aristocratici che non lo amava, o forse uno sgarbo e un’offesa all’onore. Sembra certo comunque che per Marin Falier la congiura doveva spianargli la strada per il potere assoluto. II rischio di un cambiamento politico radicale fu grave per Venezia ma la delazione ebbe il suo peso e la congiura fallì...

 

 

Il 7 settembre del 1354 moriva il doge Andrea Dandolo. Pochi mesi ancora e il doge avrebbe assi­stito ad una delle più tremende ed umilianti sconfit­te della flotta veneziana per mano dei mortali nemi­ci genovesi. Nel novembre di quel medesimo anno, infatti, presso Portolongo, tutte le 56 navi spedite da Venezia per combattere quelle della repubblica ligure vennero cattu­rate dal nemico mentre ben 450 marinai venivano infilza­ti, pare a sangue freddo, dai genovesi.

 

Toccò al nuovo doge, Marin Falier portare il peso della dura sconfitta. Esponente di una delle più antiche famiglie della nobiltà veneziana, prima della sua ascesa al trono ducale si era distinto tanto per la sua attività. diplomatica, quanto per le sue doti militari che poté esplicare durante la guerra con la ribelle Zara nel 1346.

 

Più volte membro del Consiglio dei Dieci pare abbia svolto in quel contesto un ruolo determinante nella repressione della congiura di Bajamonte Tiepolo e nella sua stessa scomparsa. Podestà di Chioggia, Padova e Treviso, proprio in questa città il Falier si ero distinto per il suo carattere aspro ed irascibi­le, arrivando a schiaffeggiare pubblicamente il vescovo di quella città.

 

Quando venne eletto doge, dunque, il Falier era pubblicamente e da tempo noto sia per il suo impegno a favore della Repubblica sia per il suo carattere eccentri­co e suscettibile del quale ben presto i veneziani avrebbe­ro avuto un’eclatante riprova. Tutto iniziò, si racconta, il giovedì grasso del 1345 durante i festeggiamenti che si tenevano abitualmente a Venezia in quel giorno. La festa, da Piazza S.Marco proseguiva poi nel Palazzo Ducale dove veniva offerto dal doge il tradizionale banchetto e fu proprio lì che ebbe inizio la rovina dello stesso Falier.

 

Un giovane infatti, tal Michele Steno, probabilmente ormai ubriaco, importunò pesantemente una damigella del seguito che accompagnava la dogaressa. Il doge offeso ed irritato fece cacciare dalla sala il giovane che prima di andarsene riuscì però ad intrufolarsi nella Sala del Maggior Consiglio e a scrivere sul seggio ducale: “Marin Falier da la bela mujer. Altri la galde (gode) e lu la man­tien”.

 

Di fronte a tanto affronto l’ira del doge apparve incontrollabile esplodendo ancor più violentemente quan­do la Quarantia pronunciò una sentenza tutto sommato assai mite nei confronti dello Steno, portando a sua discol­pa la giovane età e la sua naturale indole pacifica. Non era la prima volta del resto che l’organo chiamato a giudi­care chiudesse un occhio nei confronti dei rampolli della classe patrizia. Una classe che stava da tempo esagerata­mente insuperbendosi anche a scapito della figura e del ruolo ducali.

 

Un ulteriore episodio, che confermò al doge questa pericolosa tendenza, non tardò a verificarsi. Un certo Stefano Ghiazza detto Isarello o Ghisello, ammira­glio dell’Arsenale, veniva aggredito e sbeffeggiato pubbli­camente da un giovane aristocratico. Ricorso al doge per avere giustizia dell’affronto, Ghisello si sentì rispondere che se nemmeno al doge venne resa giustizia, tanto meno lui poteva aspettarsi tanto.

 

Ghisello intuito cosi lo stato d’animo del doge pare lo abbia in quell’occasione reso par­tecipe della congiura, una congiura che avrebbe visto per la prima volta nella veste del congiurato lo stesso doge. Ma una congiura contro chi, allora? Da sempre queste segrete iniziative avevano avuto lo scopo di rovesciare, cacciare o uccidere proprio il doge!

 

Qualcosa, evidente­mente, nella società. veneziana del Trecento era nel frat­tempo profondamente cambiato. Ad accomunare il Falier e il Ghisello sulla necessità. e sull’obbiettivo della congiu­ra era l’odio verso una classe aristocratica sempre più potente e l’insofferenza nei confronti di un apparato di governo che sempre più nei secoli aveva tolto spazio e peso alla figura del doge.

 

Appoggiarsi a Ghisello, il massi­mo ufficiale dell’Arsenale, era di per sé fondamentale per il doge dal momento che i dirigenti di quell’ente costitui­vano dalla metà del Trecento una sorta di corpo para­militare fedelissimo al doge stesso. Lo scopo dell’azione era quello di sovvertire dunque, e niente meno che, lo stes­so ordinamento della Repubblica al fine di instaurare anche a Venezia una sorta di Principato, scalzando così ogni forma di controllo e di vincolo sull’operato ducale.

 

Alla congiura, che prendeva via via sempre più consisten­za, partecipavano anche il nipote del doge ed il suocero di Ghisello, Filippo Calendario, da molti ritenuto niente meno che l’architetto del costruendo Palazzo Ducale. Tutto era dunque pronto per il giorno stabilito, il 15 apri­le, ma ancora una volta, come trent’anni prima per Bajamonte Tiepolo, qualcuno parlò.

 

Anzi, molto probabil­mente più di qualcuno andò ad informare i membri del Consiglio dei Dieci dell’imminente congiura ai danni della Serenissima. Con la tempestività e l’efficienza che gli erano ormai propri, il Consiglio mobilitò prontamente i suoi uomini in ogni sestriere (in tutto quasi 8.000!), pronti a sedare ogni minimo disordine. E cosi la congiura venne stroncata ancora prima di esplodere.

 

Tutti i con­giurati vennero in breve tempo catturati compreso il doge Marin Falier. Reo confesso di fronte al Consiglio dei Dieci, il vecchio doge si assunse in pieno ogni responsabilità. dichiarandosi pronto a pagare, e giustamente con la vita, il suo tradimento. E così fu.

 

II 18 aprile del 1355 Marin Falier venne prelevato dai suoi appartamenti in Palazzo Ducale. Venne quindi tradotto verso la scala esterna nel cortile e lì venne privato delle insegne ducali e del corno d’oro. Ribadita pubblicamente la giustezza della sentenza e posato il capo sul cippo, venne infine decapitato. Le porte del Palazzo Ducale, chiuse durante l’esecuzione, vennero riaperte ed il corpo esposto al popolo.

 

Dalle due colonne rosse nelle vicinanze del Palazzo dove venivano comune­mente decapitati i malfattori, venne proclamata l’avvenuta esecuzione e che giustizia era quindi fatta. A Venezia, ancora una volta, niente era mutato anche se il pericolo non era mai stato così inaspettato e grave. Ancora nel 1366 il doge ­cospiratore non trovava pace, tanto che il suo ritratto nella sala del Consiglio Maggiore dove si trovavano dipinti tutti i dogi, venne coperto da un velo nero con su scritto poche, lapidarie parole: “Questo fu il posto di Marin Falier, decapi­tato per delitto di tradimento”.