STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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LEONARDO DANDOLO AFFRONTA I RIVOLTOSI

 

LA RIVOLTA DEI VENEZIANI DI CANDIA

 

Motivi economici produssero la più grave delle rivolte subite da Venezia nei suoi territori d’oltremare. A Candia si giocò una partita delicatissima, e la pazienza della Repubblica fu messa a dura prova dai rivoltosi veneti che alla fine però rimasero isolati anche dalla stessa popolazione indigena...

 

 

È una storia di continue rivolte e conseguenti repressioni quella del dominio veneziano su Creta. La grande isola era stata letteralmente acquistata da Venezia in occasione della quarta crociata nel 1204. Donata al marchese Bonifacio di Monferrato, uno dei fautori di quell’impresa, dall’impera­tore bizantino Alessio IV per l’aiuto ricevuto dai crociati, l’isola venne poi venduta dal marchese al governo vene­ziano per 1000 marche d’argento.

 

Creta costituiva uno scalo nevralgico nei traffici da e per l’Oriente, una sorta di ponte naturale di collegamento tra il Peloponneso e l’Asia Minore nel cuore del Mediterraneo. Chiamata dai vene­ziani anche Candia, dal nome arabo della loro capitale nell’isola, Khandak, presso l’antica Cnosso, Creta divenne per i successivi quattro secoli e mezzo uno dei più impor­tanti e irrinunciabili capisaldi dei traffici commerciali di Venezia con il Levante.

 

L’occupazione dell’isola tuttavia, si rivelò lunga e difficile, non solo inizialmente per la resi­stenza delle popolazioni locali, per la sua selvaggia e mon­tagnosa morfologia, ma anche per il confluire su Creta anche degli interessi di Genova, da sempre in accesa e violenta concorrenza con quelli veneziani. Avuta tuttavia ragione del corsaro genovese Enrico Pescatore che per alcuni anni dette del filo da torcere alla flotta ducale occu­pando una parte dell’isola, Venezia poteva finalmente inviare a Creta nel 1208 il suo primo rappresentante uffi­ciale nella persona di Jacopo Tiepolo col titolo di duca di Candia.

 

Negli otto anni del suo governo (1208-1216), il Tiepolo riuscì ad averla vinta sulle ultime guarnigioni genovesi, a reprimere e sconfiggere le prime rivolte locali e ad imporre l’amministrazione veneziana con la coloniz­zazione sistematica dell’isola che subì un vero e proprio processo di “venetizzazione”.

 

Creta venne infatti divisa in sei sestrieri ricalcando in pieno la divisione di Venezia, sestrieri a loro volta divisi in turme o castellanie. Un capi­tano, poi, era preposto ad ogni sestriere – l’esigenza e il carattere militare dell’occupazione e della sua difesa era inevitabile –, mentre iniziava di pari passo l’invio massic­cio di coloni veneziani a popolare l’isola. A questi nuovi arrivati veniva assegnata parte dei beni sino ad allora appartenuti alla chiesa greca.

 

I coloni, tuttavia, non pote­vano cedere i loro beni se non ad altri veneziani, dovendo inoltre impegnarsi a difendere personalmente l’isola o, non potendo, pagare delle tasse al comune. L’invio di colo­ni veneziani nell’isola si fece massiccio specialmente negli anni 1222-1233-1252 (in 40 anni ben 310 famiglie vene­ziane erano giunte a Creta), arrivando alla fine del secolo a concedere il permesso di contrarre matrimonio fra le due comunità nell’evidente tentativo di giocare anche e soprattutto la carta dell’integrazione molto più conve­niente al governo veneziano rispetto a quella della repres­sione armata.

 

Ma di integrazione vera e propria, almeno per i primi secoli, non si può certo parlare, dato che le rivolte locali, di fatto, non vennero mai definitivamente sedate e Creta continuava a rappresentare per il governo veneziano una vera spina nel fianco. Nel corso del XIV secolo ben tre furono le rivolte di una certa entità e peri­colosità, l’ultima delle quali, tuttavia, nel 1363, trovò sor­prendentemente ed eccezionalmente uniti per la prima volta greci e coloni veneziani, dai quali partì sostanzial­mente il moto di rivolta contro la madre patria.

 

L’occasione fu data dall’imposizione di nuove, ulteriori tasse per l’ampliamento del porto di Candia. Queste tasse, decise unilateralmente dal governo veneziano, andavano però ad aggiungersi ad un carico fiscale già di per sé eccessivo tanto da provocare la reazione indignata della comunità veneziana dell’isola.

 

Settanta notabili si erano così riuniti in una chiesa per eleggere una delega­zione di 20 Savi da inviare al più presto a Venezia presso il Consiglio Maggiore per esporre e far presente le lagnanze dei veneto-cretesi. Quando giunse al Consiglio la notizia di tanti preparativi, questo mandò a dire che non era sicuro che nella colonia vi fossero 20 persone degne di essere chiamate tali (Savi).

 

All’offesa ricevuta con questa sarcastica risposta, i veneziani dell’isola rispo­sero allora con la rivolta. li gonfalone di S.Marco venne ammutinato e al suo posto issato quello di S.Tito, patro­no di Candia, mentre il governatore veneziano Leonardo Dandolo, figlio del doge Andrea, andava incontro corag­giosamente ai rivoltosi che erano riusciti intanto a rag­giungere il suo Palazzo.

 

Era il 9 agosto del 1363 e fra i capi della rivolta c’erano i nomi del fior fiore del patriziato veneziano immigrato: Marco Gradenigo, Tito Venier, Leonardo Gradenigo detto Calogero (il monaco greco) dopo a seguito della sua conversione alla fede ortodossa e non a caso il più filo-greco dei rivoltosi, che avrebbe voluto portare sul trono dell’isola il cretese Giovanni Kalergis. Il Consiglio Maggiore intanto sembrava sottovalutare la rivolta scoppiata nell’isola e solo con il fallimento della seconda missione diplomatica si convinse di passare alle vie di fatto.

 

I ribelli nel frattempo avevano imprigionato lo stesso Leonardo Dandolo che invano aveva tentato di far rien­trare pacificamente la rivolta. li governatore, presentato­si ai coloni inferociti aveva tentato infatti di riportarli alla ragione cercando di far capire la gravità di una simile ini­ziativa Tutto era stato inutile e solo grazie all’intervento di due eminenti nobili veneziani il Dandolo ebbe alla fine salva la vita.

 

Al suo posto venne nominato dagli insorti Marco Gradenigo il Vecchio che per prima cosa proclamò un’amnistia generale mentre alle ragioni dei veneziani andavano sempre più affiancandosi quelle delle popola­zioni locali alle quali era stata promessa l’uguaglianza religiosa e civile. Peril governo veneziano si era a questo punto superato ogni limite. La situazione nell’isola era diventata insostenibile e doveva essere risolta al più pre­sto. Come spesso accadeva la via più celere anche in quel caso, fu quella delle armi. Intanto, di fronte alla prospetti­va di uno scontro armato con la madre patria, molti feu­datari veneziani incominciavano a ritirarsi dall’impresa alla quale mancò lo stesso aiuto – richiesto – dei genovesi. Le premesse per un tragico fallimento erano già chiara­mente delineate.