STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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INCARCERATO PER INGIURIE SI AMMALò GRAVEMENTE

 

VENIERO NEGA LA GRAZIA Al FIGLIO

 

È sicuramente un episodio minore della storia veneziana ma il più simbolico per il conflitto dei sentimenti: l’attaccamento allo Stato e alla famiglia. Il doge tenne duro e applicò con esemplare durezza la legge che non voleva favoritismi nei confronti del figlio reo di ingiurie...

 

 

Il 6 gennaio del 1382 moriva il vecchio doge Andrea Contarini l’eroe della guerra di Chioggia, il salvato­re della patria. Aveva appena fatto in tempo a sigla­re la pace con Genova il doge veneziano che pochi mesi dopo lasciò libero il trono ducale peril suo successo­re Michele Morosini.

 

Il nuovo doge, destinato a restare sul trono solo un breve periodo di tempo, era uno dei più noti e stimati uomini politici veneziani, rappresentante della Repubblica alle trattative di pace con Genova a Torino. Il Morosini era innanzitutto, però, un uomo ric­chissimo. il suo patrimonio, già consistente prima della guerra divenne eccezionale proprio in occasione dello scontro traVenezia e Genova quando nella città lagunare il prezzo delle case crollò in modo catastrofico.

 

Alla notizia del probabile, imminente arrivo dei genovesi a Venezia, tutti cercavano disperatamente di vendere a prezzi strac­ciati mancando d’altro canto gli acquirenti. Fra questi c’era invece Michele Morosini che non fece altro che acquistare, acquistare e ancora acquistare le case di cui gli altri si disfacevano per quattro soldi salvo rivenderle, dopo la guerra, a prezzi più che quadruplicati data la cre­scente domanda dovuta alla ripresa della fiducia dopo le prime vittorie.

 

A bloccare comunque la carriera ducale e l’accrescimento del proprio, personale patrimonio, arrivò impietosa per Michele Morosini la peste. Al defunto doge venne dato quale successore un uomo completamente diverso per carattere e spessore: Antonio Venier.

 

Alcune fonti sostengono che il nome del Venier venne preferito a quello di un altro eroe della guerra di Chioggia, Carlo Zeno. Tuttavia la personalità dell’ancor giovane coman­dante mal si addiceva, si pensò, agli spazi chiusi e agli intrighi di Palazzo Ducale. Il suo posto era sul mare dove certamente con miglior profitto avrebbe potuto continua­re ugualmente a servire la repubblica come infatti accad­de nei successivi 36 anni.

 

Scartata così la candidatura dello Zeno, al trono ducale venne portato Antonio Venier. Ilnuovo doge al momento dell’elezione era capitano di Candia (Creta) dove l’intera sua famiglia si era trasferita qualche anno prima. Agli inizi del conflitto con Genova, poi, il Venier si era rifiuta­to di cedere l’isola di Tenedo ai genovesi dando prova del suo carattere risoluto ed intransigente.

 

A questo uomo spettava il duro compito di risollevare la propria città e lo Stato da una delle più buie crisi economiche in cui si tro­varono. In soli nove mesi, quelli più tragici del conflitto nel 1380, il governo veneziano aveva lanciato ben 10 pre­stiti forzosi in un momento in cui lo sforzo per l’impegno bellico impegnava tutti i cittadini di Venezia attraversan­do tutte le categorie e classi sociali.

 

Ed infatti l’onere delle spese militari non gravò solo sulle famiglie ad alto reddito chiamate obbligatoriamente al sacrificio economico, ma incise ancor più profondamente e negativamente su una miriade di piccoli e medi commercianti ed artigiani. Chi non ce la faceva a pagare e ad acquistare le nuove cartelle dei prestiti per un valore del cento per cento, si vedeva infatti confiscare e venderele proprietà.

 

La guerra di Chioggia per molte famiglie veneziane signi­ficò così la rovina, la crisi o comunque la perdita di una sicurezza economica. Fu un periodo di grandi rivolgi­menti, anche sociali, quello della guerra con Genova, dove a bilanciare le famiglie che precipitavano nella miseria, c’erano quelle che invece dalla guerra trassero immensi profitti economici e politici – la speculazione di Michele Morosini non era stata certo un caso isolato –.

 

Malgrado la disperata situazione economica e sociale interna, il nuovo doge poteva tuttavia contare sulla fedeltà delle colonie, specialmente Creta, rimaste infatti fedeli a Venezia malgrado la guerra e su di una struttura politica che nella sostanza non venne minimamente scal­fita o compromessa dalla pericolosa e tragica esperienza bellica. Nessun governo di nessuno Stato italiano di allo­ra si presentava con una simile solidità come quello vene­ziano. Una solidità di cui si faceva garante e degno inter­prete lo stesso doge.

 

Un fatto in particolare restò nella memoria di Venezia relativo proprio al carattere risoluto e incorruttibile di questo suo doge dalle poche parole. Antonio Venier aveva un figlio, Alvise, che aveva come amante la moglie di un nobile veneziano. A seguito di una furibonda lite con la donna, il giovane con un amico, tal Marco Loredano, non trovò di meglio che appendere nottetempo alla porta della casa della donna, un paio di corna accompagnate da scritte ingiuriose contro l’amante, sua sorella e sua nipote.

 

Il marito, Giovanni dalle Boccole, scoperta l’indomani mattina la spiacevole sorpresa, si recò dal doge per avere soddisfazione. il doge giustamente, demandò il tutto all’organo giudicante competente che condannò Alvise Venier e il suo compagno a due mesi di carcere e a 100 ducati d’oro di multa.

 

Dopo poche settimane di carcere, tuttavia, il figlio del doge –quest’ultimo aveva accettato la sentenza senza bat­ter ciglio, si ammalò gravemente. A quel punto tutta la famiglia di Antonio Venier si precipitò dallo stesso a chie­dere pietà per il giovane sventurato. II doge fu irremovibi­le. Suo figlio aveva sbagliato ed offeso e giustamente era stato punito. Il fatto che fosse figlio del doge non modificava assoluta­mente questa realtà. E così, dopo pochi giorni di agonia, Alvise Venier moriva rinchiuso nei cosiddetti Pozzi di Palazzo Ducale.

 

Il padre pianse naturalmente la morte del figlio come gran parte della cittadinanza Lo spietato rigore, infatti, non fu tanto da padre a figlio, quanto da supremo capo e tutore dello Stato a cittadino. Un severo; altissimo e dolorosissimo esempio lanciato probabilmente da Antonio Venier ad un’intera società, spesso dilaniata da quotidiani atti di violenza e di ingiu­stizia. E proprio per non perderela suafama di uomo giu­sto – così si legge sulla lapide sepolcrale –, Antonio Venier alla fine scelse la soluzione certamente più dura, ma ine­vitabile ed esemplare.