STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

  

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I DA CARRARA CHIEDONO PIETA' AL DOGE

 

LA FINE DI UNA DINASTIA

 

Dopo la conquista di Verona, strappata ai carraresi, pro­segue nel 1405 lo scontro decisivo fra i signori di Padova e la Serenissima per il predominio dell’entroterra veneto. Alla fine anche Padova verrà conquistata e i due da Carrara tradotti a Venezia come prigionieri

 

 

Nel 1392, dunque, Venezia aveva spregiudicata­mente aiutato Novello da Carrara a fuggire da una prigione viscontea e sostenuto lo stesso con armi e denari nella riconquista della sua città, Padova. La città infatti era stata annessa agli altri terri­tori che costituivano lo stato del potente signore milanese, Giangaleazzo Visconti, suscitando crescenti preoccupazio­ni a Venezia.

 

Al posto del tradizionale nemico padovano, i da Carrara, la città lagunare vedeva rafforzarsi ora alle sue spalle, un’altra e forse più pericolosa minaccia. E così, spinto certamente più da calcolo politico che da una reale convinzione, il governo ducale decise di recuperare il figlio di Francesco da Carrara e rimpiazzarlo al governo di Padova per contrastare o arginare in qualche modo il crescente strapotere dei Visconti nel Veneto.

 

Aiutando Novello a recuperare la sua città, il governo lagunare pensava infatti di essersi assicurato un alleato o, quanto meno, un tranquillo vicino. Dapprima alleata coi Visconti contro Francesco da Carrara e successivamente disposta invece ad appoggiare il figlio di questi contro gli stessi Visconti, Venezia cercava evidentemente di destreggiarsi tra le due potenze “terrestri” di Padova e Milano, al fine di destabilizzarne o controbilanciarne l’impeto espansionistico.

 

Con l’aiuto fornito a Novello, Venezia era già la seconda volta che aiutava a questo scopo un da Carrara, ­normalmente suoi mortali nemici, a recuperare il gover­no della città patavina. Nella prima metà del secolo era stata infatti la volta di Marsilio da Carrara che si era visto sottrarre Padova dal potente signore veronese Mastino II della Scala.

 

Anche allora, e praticamente per i medesimi motivi, Venezia scelse di aiutare il signore padovano nel recupero della sua città. Ora, era il turno di Novello che il 24 novembre del 1392 si presentò dinanzi al doge nella sala del Maggior Consiglio per rin­graziare ufficialmente la repubblica di Venezia per aver restituito ancora una volta alla sua casta la città di Padova.

 

Erano trascorsi appena 19 anni da quando nel 1373 lo stesso Novello si era ritrovato in quella stessa sala a supplicare ai piedi del doge la pace in vece del padre Francesco che non aveva accettato di sottomettersi alla umiliante richiesta del governo veneziano.

 

Eppure, già nel 1405, Novello sembrava aver persa la memoria dell’aiuto ricevuto dai veneziani – la riconoscenza non doveva essere considerata a quei tempi una gran dote politica! –. In lui come nel padre Francesco evidentemente, il tarlo del potere risultava molto più forte di quello della propria convenienza. Non solo Novello si mosse in quel­l’anno contro i Visconti, ma iniziò a tramare contro la stessa Venezia.

 

Il signore padovano avrebbe aiutato i della Scala in esilio a recuperare Verona in cambio della cessione di Vicenza. A quel punto il governo veneziano, stanco dei continui voltafaccia dei da Carrara, si decise a scendere in campo con il proprio esercito. Da allora fu per Venezia un susseguirsi di clamorose e vittoriose conqui­ste.

 

Dopo Vicenza, consegnatasi spontaneamente a Venezia, era stata la volta di Verona che cadde in mano ai veneziani nel 1405. A quel punto restava di conquista­re a Venezia solo Padova dove intanto Novello si era asserragliato con il figlio Francesco III. L’intenzione del da Carrara era naturalmente quella di resistere, ma soprattutto di guadagnare tempo. Un tempo nel quale il signore padovano confidava per ricevere nuovi aiuti e poter ribaltare così la situazione.

 

Nella città assediata giungevano intanto le prime offerte per un’onorevole resa, tutte ovviamente respinte dal da Carrara. Le pro­poste erano portate a Novello da un altro ben noto perso­naggio della storia veneziana, Carlo Zeno, per l’occasione nel ruolo di ambasciatore per conto del senato veneziano.

 

Lo Zeno, dunque, portò le proposte del suo governo: libe­razione del figlio Jacopo catturato durante la presa di Verona; la corresponsione di 50.000 ducati d’oro; 30 carri dove mettere tutti i suoi beni quando avrebbe lasciato la città, trasporto che si sarebbe tenuto completamente a spese della Serenissima e che avrebbe dovuto portare il da Carrara in un luogo di sua scelta ma distante almeno 100 miglia da Padova.

 

Ancora una volta l’orgoglioso e pre­suntuoso signore padovano rifiutò. Fu la sua ultima occa­sione per aver salva la sua vita e quella dei suoi figlioli. Temporeggiava, il da Carrara, ma nella città, intanto, oltre al malcontento per i continui rifiuti delle offerte veneziane, iniziava a dilagare anche la peste. E così ini­ziarono, in una città affamata e devastata dal morbo, i primi tradimenti con la consegna nottetempo ai venezia­ni di una delle porte cittadine. Il 22 novembre del 1405 l’esercito veneziano poteva così finalmente entrare anche a Padova.

 

Fuggito dalla città con il figlio Francesco il da Carrara venne infine catturato, pare, lungo la strada che lo avrebbe portato a Venezia per poter trattare personal­mente la resa. I due nobili signori vennero invece tradotti a Venezia quali prigionieri e rinchiusi nella prigione ducale detta “Orba” (Cieca). Dopo pochi giorni di duro carcere, Novello si piegò a chiedere udienza al doge Michele Steno.

 

Giunto al suo cospetto, gli si gettò ai piedi chiedendo pietà e misericordia. Troppe volte i veneziani avevano conosciuto la natura infida del padovano alle cui parole nemmeno il doge si piegò. Padre e figlio vennero anzi separati di cella, mentre in un’altra si trovava già da mesi l’altro da Carrara, Jacopo. Si doveva decidere, ora, cosa fare dei tre carraresi. Le discussioni si protrassero da dicembre al mese di gennaio dell’anno successivo, ma alla fine prevalse la proposta del generalissimo della Repubblica, Jacopo dal Verme, per una soluzione definitiva e radicale.

 

I tre da Carrara, così, vennero presto strangolati nelle rispettive celle. “Homo morto vera (guerra) finìa” si mormorò tra il popolo. Venezia chiudeva dunque in questo modo oggi sentito come ripugnante, ma allora certamente avvertito come opportuno e necessario, il suo primo ciclo di conquiste sulla terraferma. Dopo 900 anni i discendenti dei primi profughi che quella stessa terra avevano dovuto abbando­nare sotto l’urto delle invasioni barbariche, vi rimetteva­no finalmente piede da vincitori.