QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Novembre 1978 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
Volume VI
(da pag. 321 a pag. 322)
ANEDDOTICA E CURIOSITA'
di E. Trivellato
Fra i combattenti di tutte le guerre s’incontrano spesso alcuni tipi ameni, a mezzo tra il milesgloriosus e la persona seria, i quali inframezzano i loro discorsi con fatterelli gustosi che diventano decisamente umoristici per il fatto di svolgersi in una situazione tragica. E la molla del sorriso o addirittura della risata scatta proprio da questo contrasto. Lo spavento di allora è ormai lontano e quindi gli eventi riaffiorano alla memoria con leggerezza e con brio.
Di solito questi racconti suscitano una manifesta irritazione in qualche loro compagno d’arme, più serioso e poco incline all’umorismo, ritenendo quantomai indecoroso il «buttare in vacca» delle cose tragiche. Invece il «semi serio» rientra nel carattere dei popoli mediterranei e nello spirito di coloro che nel buio di certi periodi dell’esistenza vanno cercando, comunque, uno spiraglio di sole. Fra i tanti aspetti della Resistenza italiana, in opposizione alla tetraggine teutonica del tempo, anche una nota umoristica merita un suo modesto spazio.
I. UNA SUORA IN BICICLETTA DA CORSA
Il giovane A.P. era appena fuggito dal Distretto militare di Vicenza, in quei giorni dell’8 settembre 1943, e transitava preoccupato verso Porta Monte. D’un tratto vide sbucare all’angolo di una strada una reverenda suora che pedalava di gran lena su di una bicicletta da corsa. I tempi non consentivano allora grandi mezzi di trasporto ed ogni veicolo poteva andar bene, tutto sommato anche al clero, specialmente se quella suora – pensò il giovane A.P. – doveva recarsi con urgenza al capezzale di qualche malato grave.
Ma i primi dubbi su quell’insolito corridore nacquero in A.P. quando notò già da lontano che la suora, di sotto alle sottane svolazzanti, calzava scarponi da montagna legati alla meglio con gli spaghi. Povere suore – pensò tuttavia il nostro A.P. – così ridotte a mal partito e costrette a portare scarpe tanto pesanti per un piede femminile. Intanto la reverenda stava arrancando a fatica sulla salita di Porta Monte ed A.P. era sul punto di salutarla con un «riverisco madre» come d’uso per un giovine timorato e di buona famiglia come lui; aveva già aperto la bocca al saluto, quando di sotto al gran cappellone e tra le pieghe svolazzanti dei veli usci un vocione da orco: «Porcassa d’un can, viliaco Badoglio che «’l ne ga ciavà tuti!».
A.P. restò impietrito, si voltò e vide la reverenda scomparire in discesa verso la Riviera.
II. 8 SETTEMBRE 1943: CLERO IN AUMENTO
Alla Stazione di Vicenza un trenino d’epoca gettava sbuffi di vapore e pazientava sul binario. Un sacerdote alto e dall’aspetto simpatico alzò con decoro la sottana, mise un piede sul predellino e si issò nel vagone scrutando qua e là per un posto libero. Finalmente riuscì a sistemarsi d’angolo, vicino al finestrino, e qui s’immerse nella lettura del breviario, occupazione d’obbligo di ogni prete .., in treno, forse perché il libro è noto a memoria e non richiede quindi grande concentrazione mentale, tuttalpiù uno stato d’animo.
Di fronte al reverendo trovava posto una vecchietta dal viso a mela grinza, sorridente, contenta forse di una compagnia così importante e discreta. Il trenino stava ancora in attesa dei ritardatari sbuffando vapore da tutti i lati ed in stazione si udiva già quell’animazione che precede ogni partenza. La vecchietta intanto aveva osservato il bravo reverendo con certi suoi occhi neri a succhiello, guardando anche sulla pensilina dove un paio di Tedeschi armati se ne stavano a gambe larghe con aria indagatrice.
Il sacerdote notò, per parte sua, gli sguardi insistenti che gli rivolgeva la donnetta ed incuriosito le chiese: «Qualcosa che non va?». E lei: «Eco reverendo, lu come prete noi starìa gnanca male, ma se el se tira dentro le stelète che ghe spunta fòra dal coléto, mi credo che’l starìa mejo e che, di sti tenpi, ghe farìa ben par la salute. Ghe xé soto du compari che me piàse poco».
III. UNA SCOMMESSA DA CINQUE LIRE
Le indiscrezioni di una domestica sono come i cuscinetti di acciaio che, quando cadono sul pavimento, non si sa mai dove vanno a finire. Infatti un gruppo di amici di S. Ulderico seppe nei minimi dettagli che in casa di un fascista di Schio erano nascoste delle armi: una «sipe» in ogni vaso da fiori, della sala da pranzo, un mitra sopra un grande armadio e le munizioni nel cassetto in fondo.
Un gotto tira l’altro, finché nella discussione «F» lanciò la scommessa che sarebbe andato lui a recuperare quelle armi, di persona. Accettato, lire cinque. «F» il giorno dopo tirò fuori una bella divisa delle brigate nere, nuova fiammante, dal guardaroba che gli amici avevano nascosto in montagna; si procurò una scatola da scarpe di cartone, la riempì di quattro cianfrusaglie e con essa confezionò un bel pacco da regalo.
Tirato a lucido, «F» si presentò a Schio nella casa presa di mira e, dopo aver suonato, riferì alla vecchia domestica che il Comando gli aveva ordinato di portare un pacco al signor «G». La donna ringraziò: «El lo daga a mi, che lo porto de sora». «Neanche per sogno» ed «F» la convinse che il suo comandante gli aveva proprio ordinato di posarlo di persona sul tavolo della sala da pranzo e tanto fece e tanto trafficò che, mentre la domestica si trovava in cucina, «F» raccolse tutte le sipe e munizioni e si mise a tracolla il mitra, con una tale indifferenza che all’uscita la domestica non si rese nemmeno conto che il giovanotto era entrato senz’armi. Risalito in montagna, gli amici versarono a malincuore un’aquilina d’argento da cinque lire.
NOTE
(1) La sede della Scuola Media era a Palazzo Fogazzaro in Via Pasini e, nel caso di allarmi aerei, ci si comportava come segue:
– Segnale di bombardamento: se suonato di primo mattino, tutti al rifugio del Castello o dei Giardini Rossi con l’obbligo di rientrare in classe al cessato pericolo; se suonato nella tarda mattinata si poteva ritornare a casa.
– Segnale di mitragliamento: si rimaneva in aula, l’insegnante faceva uscire un alunno «di guardia» nell’orto dietro al palazzo. L’arrivo degli aerei era segnalato da una vedetta che esponeva una bandiera colorata sulla torretta del Lanificio Conte. Al segnale di avvistamento ci si rifugiava nella cantina del Municipio. A proposito del sistema di segnalazione degli allarmi aerei, a Monte Magrè – sulla punta del «Muciòn» – era stata installata una postazione di avvistamento munita di numerazione di direzione e collegata telefonicamente a Schio. In essa prestavano servizio operai delle varie industrie scledensi, preferibilmente residenti a Monte Magrè.
(2) Non deve meravigliare la «confidenza» che si era fatta con i «bombardieri» anglo americani; oramai ci si era abituati al loro quotidiano, e fortunatamente fino allora innocuo passaggio.
(3) Fortezza volante: grande aereo da bombardamento, plurimotore, con potente armamento e forte protezione.
(4) Adriano Gramola e Silvano Banato riferiscono che esperti dell’epoca, visti i danni causati dalle esplosioni ed esaminate alcune schegge ritrovate, hanno classificato quali bombe dirompenti da 250 kg. gli ordigni caduti su Magrè.
(5) I resti degli animali furono seppelliti in una buca di calce nel cortile.
(6) Luigi Zanella (classe 1922 – rimpatriato dalla Russia nel Gennaio del 1943 per la morte del padre – era rientrato a Magrè dopo l’8 Settembre: al momento dell’incursione non era in casa.