QUADERNI DELLA RESISTENZA 
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Novembre 1978 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume VI
(da pag. 315 a pag. 320)

BRIGATA «PIETRO BARBIERI»
Magrè-Raga-Montemagrè-Pieve-Sanvito (Divisione «Martiri della Val Leogra»)


di E. Trivellato
 
 

 

La vallata del Leogra è divisa dalla valle dell’Agna da un crinale montagnoso collinare che scende dalle Prealpi a Campogrosso e digrada lentamente fino a lambire, verso Monteviale, la periferia di Vicenza capoluogo. Su questo lungo sperone si stanziarono varie formazioni partigiane: nella zona alta operarono a monte quelle del Comune di Valli del Pasubio con infiltrazioni di gente di Recoaro, nella zona bassa – da Monte di Malo fin quasi a Vicenza – si stabilirono i partigiani della brigata «ISMENE» comandati dal «Tar» e da «Chiodi»; invece nella zona intermedia (Magrè-Montemagrè-Raga-Pieve-Sanvito), che si trova alla sinistra di Schio guardando i monti e che comprende il crinale montano di Civillina, Castrazzano, Passo del Zovo, Montemagrè, Mucchione e parte del monte Faedo, si stanziarono le formazioni partigiane che nell’estate del 1944 si riunirono nel battaglione «MONTE CIVILLINA», il quale poi verso la fine di novembre diventò la brigata «PIETRO BARBIERI», e tale rimase fino alla Liberazione, inquadrata nella divisione «Martiri della Val Leogra».


Va comunque osservato che la separazione dell’area di competenza dell’«Ismene» da quella della «Barbieri» non è sempre agevole perché non fu rigorosa: innanzi tutto parecchi giovani nativi del Comune di Malo si aggregarono alla futura brigata «Barbieri»; in secondo luogo la «Barbieri» operò in più occasioni anche nell’area maladense fino a Priabona ed a sua volta le pattuglie della brigata «Ismene» intervenirono spesso a monte nella zona di Sanvito e vicinanze. Questa fluidità di interventi, di sconfinamenti, di spostamenti è un fenomeno tipico della guerriglia e lo si ritrova un po’ dappertutto.


Sulla nascita e lo sviluppo di una resistenza armata nel periodo pre-Garemi (settembre 1943-giugno 1944) lungo la direttrice Schio-Magrè-Raga-Montemagrè, con Pieve e Sanvito ai lati, si è già accennato qua e là nei precedenti Quaderni ed altre notizie saranno riferite più innanzi. Ma per avere subito un quadro d’insieme di questa area operativa situata alla sinistra di Schio, mi è sembrato opportuno considerare il periodo estivo-autunnale che va dalla metà di agosto ai primi di dicembre del 1944, poiché è proprio in questo lasso di tempo che si configura nella zona sopra detta una organizzazione partigiana ben articolata nelle gerarchie di comando e nei servizi logistici. Tale periodo può a sua volta dividersi in tre momenti: 1) il ritorno da Posina nella seconda metà di agosto; 2) la costituzione del battaglione «Monte Civillina» nel settembre-ottobre-novembre 1944; 3) la ristrutturazione di quest’ultimo in brigata «Pietro Barbieri» verso la fine di novembre.



A. IL RITORNO DA POSINA


Durante la «zona libera di Posina» numerose pattuglie dell’area di Magrè, Raga-Montemagrè-Pieve-Sanvito si spostarono, con tutti o parte dei loro uomini, nella zona libera. Dopo che questa fu colpita dal grande rastrellamento tedesco (12-13-14 agosto 1944) vi fu il rientro delle formazioni nelle rispettive zone e contemporaneamente una riorganizzazione generale. Anche per l’area di Magrè-Raga-Montemagrè-Pieve-Sanvito il fenomeno è confermato da Gino Manfron («Ivan») in una sua relazione del 17.2.1948 ed è appunto da questo documento che è possibile ricostruire l’organizzazione partigiana della zona ed il suo evolversi nell’estate-autunno 1944. Subito dopo il ritorno da Posina e quindi nella seconda metà di agosto la dislocazione delle formazioni era la seguente:

I - ZONA DI MONTENARO (Pieve): vi è la presenza del distaccamento «Cicchellero» comandato da Antonio Nardello («Thomas» di Pieve ed il nome del distaccamento deriva da Domenico Cicchellero caduto al Colletto di Posina il 12 agosto.

II - ZONA DI RAGA (sopra Magrè di Schio): vi è il distaccamento «Urbani» comandato da Guerrino Barbieri («Marat») di Raga ed il nome del distaccamento deriva da Francesco Urbani, caduto nella battaglia di Marola (Chiuppano) il 26 agosto 1944.

III - ZONA DI SOGGI E CORBARA (Montemagrè): vi rientra il distaccamento «Bruno Viola» comandato da Gino Manfron («Ivan») di Sanvito ed il nome del distaccamento deriva dal «Marinaio», fucilato a Malga Zonta, medaglia d’oro, il quale -prima dell’emigrazione in Posina -operava nella zona di Montemagrè.

IV - ZONA DEL MUCCHIONE (dorsale fra Montemagrè e Monte di Malo): vi si trova il distaccamento «Faini» comandato da Domenico Ruaro («Guido») di Montemagrè ed il nome del distaccamento deriva da Enrico Faini, un bersagliere di stanza a Torrebelvicino passato nelle file della Resistenza e caduto a Col di Xomo il 12 agosto.



B. IL BATTAGLIONE «MONTE CIVILLINA»


Nei mesi successivi la situazione subì dei mutamenti, a livello di comandi, in conseguenza dell’ingrossarsi delle formazioni, sicché nel settembre del 1944 troviamo i quattro distaccamenti riuniti in un battaglione che venne detto «Monte Civillina» ed era così costituito:


Comando del Battaglione (126 uomini armati) Comandante: Domenico Ruaro («Guido») Vicecomandante: Guerrino Barbieri («Marat») Commissario: Manfron Gino («Ivan») Vicecommissario: Pietro Barbieri («Battaglia»)

 

Distaccamenti:

1) «CICCHELLERO» (zona Montenaro-Val dei Mercanti-Pieve) - comandante Antonio Nardello («Thomas») - com.rio Guido Bortoloso («Vasco»).
2) «URBANI» (zona Raga-Magrè) - comandante Gino Barbieri («Danton») comm.rio Giovanni Bisogno («Bomba»).
3) «BRUNO VIOLA» (zona Montemagrè-Zovo-Siberia) - comandante Francesco Filippi («Tosca») - comm.rio Luigi Dalla Pozza («Beduin»).
4) «FAINI» (zona Montemagrè verso Monte di Malo e Priabona-Sanvito di Leguzzano) - comandante Silvio Manfron («Leone») - comm.rio Natale Plisco («Pola»).


Armamento: 134 armi individuali, 3 fucili mitragliatori tipo Breda, 1 mitragliatrice pesante Breda.


Nella Relazione di Gino Manfron si scrive testualmente:

«Alla costituzione del Battaglione seguì immediata l’attività dei Comandanti e dei Commissari nel raggio diretto del loro compito specifico, consistente nella organizzazione ed addestramento individuale militare delle singole pattuglie nell’ambito dei propri distaccamenti, acconsentendolo le circostanze ed il tempo. I responsabili del Battaglione a loro volta, oltre che ad assicurarsi dell’organizzazione e vettovagliamento dei relativi distaccamenti, si dedicarono con impegno ad avvicinare i componenti dei C.L.N. di Pieve, Magrè, Sanvito Leguzzano e Monte di Malo, per garantire nei limiti del possibile il rifornimento viveri e medicinali per le formazioni, e al fine di contribuire alla formazione dei Reparti S.A.P. che andavano sorgendo nei singoli paesi. In questo frattempo le singole pattuglie iniziarono delle azioni di carattere particolare recuperando armi mediante il disarmo di tedeschi e fascisti sorpresi nella propria zona di influenza.

L’attività del Battaglione si svolgeva in momenti particolarmente difficili date le continue puntate della Brigata Nera “Tagliamento” di stanza a S. Vito e Torrebelvicino, che costituiva con la sua presenza un continuo allarme per le formazioni partigiane di cui i nazifascisti ne avevano già sentore della loro presenza nelle limitrofe località montane. In una delle suddette puntate un nostro compagno di nome Zanrosso Miraldo fu fatto prigioniero dai fascisti e tradotto in caserma; a Sanvito di Leguzzano venne poi fucilato» (dr. questo Quaderno).

«Il 28.10.44 in seguito ad una puntata improvvisa di nazifascisti, eseguita nel cuore della notte in località Raga, venne ucciso proditoriamente il vice-commissario di Battaglione Pietro Barbieri» (dr. questo Quaderno). «Durante ben due riusciti colpi di mano, eseguiti uno al 29.10.1944 e il secondo verso la metà di novembre, vennero presi e giustiziati n° 4 tedeschi ed un appartenente alla brigata nera di stanza a Schio. Il giorno 11.11.1944 venne eseguito da una pattuglia del Battaglione un atto di sabotaggio sulla teleferica della ditta Cementi, recando danni agli impianti».




C. LA BRIGATA «PIETRO BARBIERI»


Il Battaglione «Monte Civillina» restò tale e quindi mantenne l’organizzazione sopra detta per un breve periodo, poco meno di tre mesi (settembre-ottobre-novembre 1944), in quanto verso la fine di novembre diventò «brigata» e vi fu quindi un rimaneggiamento dei Comandi; anche il nome subì un cambiamento e la brigata si chiamò «Pietro Barbieri», che era appunto caduto nella notte del 28 ottobre 1944.


Nella Relazione di Gino Manfron viene riferito che alla fine di novembre, in seguito all’inquadramento nel Battaglione delle formazioni S.A.P. di S. Vito, Monte di Malo, Case di Malo, Monte Magrè, Magrè, Pieve e per esigenze tattiche in previsione dell’inverno che avrebbe ostacolato il movimento delle singole pattuglie, e per la maggiore manovrabilità dei reparti stessi, il Comando della «Martiri della V al Leogra» venne nella determinazione di promuovere il Battaglione a Brigata, cui venne dato il nome di Brigata «Pietro Barbieri», a sua volta suddivisa in due Battaglioni: «Faini» e «Urbani».

Comando di Brigata (150 partigiani armati e 150 patrioti) Comandante: Domenico Ruaro («Guido») Vicecomandante: Guerrino Barbieri («Marat») Commissario: Gino Manfron («Ivan») In sostanza il Comando di Battaglione diventò il Comando di Brigata.

Battaglioni:

1) «URBANI» (zona da Pieve a Magrè-Raga) - comandante: «Thomas» - vice: «Bomba» - comm.rio: «Danton» - vice: «Vasco» - capo di S.M. Giovanni Baron («Lampo»).
2) «FAINI» (zona Montemagré-Monte di Malo-Sanvito) - comandante: «Leone» - vice: «Beduin» - comm.rio: «Tosca» - vice: «Pola».


Armamento 300 circa armi individuali, armi di reparto come nel Battaglione «Monte Civillina» con aggiunta di un fucile mitragliatore Bren.


Con questa situazione di Comandi e di organizzazione la zona di Magrè-Raga-Montemagrè affrontò l’inverno 1944-45 e tale giunse fino alla Liberazione. Già ai primi di dicembre 1944 fu investita da due pesanti rastrellamenti, ma di questi e delle varie azioni svolte si riferirà in altri Quaderni a completamento di apposite Inchieste.




D. PIETRO BARBIERI
medaglia d’argento alla memoria


Il nome della Brigata è a ricordo di un caduto – Pietro Barbieri – che aveva accolto nella sua casa tutti gli uomini della Resistenza in transito da Raga. Da «Figure della Resistenza» del 1973, una breve pubblicazione edita a Schio nel trentennale, riportiamo il testo stilato da Valerio Caroti:

«Aveva fatto il muratore in Francia. Con i pochi risparmi s’era fatto una casetta in Raga Alta: un cubo di pietra del luogo senza intonaco. Aveva moglie, una figlia di sei anni. Cinque suoi fratelli militavano nelle file della Resistenza. Lo chiamavano «Papà Piero» per l’età e perché trattava, accoglieva e aiutava i partigiani come fossero dei suoi figlioli. Mutilato all’occhio, poteva benissimo starsene fuori dalla mischia. Ma egli aveva conosciuto la povertà, la sofferenza e la persecuzione e non gli andava che quelle cose dovessero durare sempre; e poi quei ragazzi fuggiaschi e braccati gli facevano pena.

Aprì la sua casa sepolta nel verde del crinale di Raga subito dopo l’8 settembre. Tutte le formazioni dell’alto vicentino transitarono dalla sua casa almeno una volta, trovandovi ospitalità. Lassù ebbero luogo i maggiori incontri tra i capi della Resistenza Vicentina. Innumeri notti egli vegliò il sonno dei suoi “tusi” reduci da un’azione di guerra o da una lunga scarpinata. Lassù convergevano le staffette da ogni luogo della provincia. Pietro Barbieri e la sua casa erano una fiamma che splendeva e rincuorava tanto da sembrare inestinguibile.


In un oscuro e piovoso mattino di fine ottobre del 1944, quando i partigiani da oltre una settimana più non sostavano nei dintorni, vennero i nazisti e circondarono la casa. Sparò Pietro Barbieri, sparò a lungo ma non poteva durare, tanto più che dentro la casa c’erano sua moglie, la figliola e una nipotina. Allora Pietro Barbieri da una finestra del piano superiore della casa si lanciò nel vuoto sparando con il mitra e cadde riverso segato da decine di raffiche. Lo scompiglio dell’improvviso avvenimento consentì la fuga della donna e delle due bambine.

La sua salma fu raccolta poche ore dopo dai suoi “tusi” e avvolta in un drappo tricolore in una bara improvvisata. La terra di un vallone di Raga prese in consegna le spoglie di Pietro Barbieri fino alla vittoria dell’aprile del ‘45».

Da quel tragico giorno che vide cadere Pietro Barbieri sono trascorsi molti anni, ma la casa ed il luogo hanno suscitato l’immaginazione e la meditazione di un poeta scledense:

RAGA ALTA
Quàssemo in costiera.
Là soto: Siberia!
tera roversa
da brosema, muscio:
presepi de tempi lontani...
Vao vanti, spantéso
me fermo, me volto:
là in fondo,
in mexo ale cassie:
Magrè.
Ancora su, in alto:
le tenpie sconbate;
davanti ‘sta casa de piera, rifata,
xe meio fermarse:
scoltarse el silensio ...
sentirse el profondo, potente respiro
che vien dala tera
che sa da Calvario
traverso ’l Martirio ...
2 novembre 1977

Gianmaria Grandesso




E. I SEI FRATELLI PARTIGIANI


È probabilmente un caso unico nella storia della Resistenza vicentina, e fors’anche veneta, che una famiglia abbia avuto sei fratelli partigiani ed uno deportato in Germania. La vicenda di ognuno di questi fratelli, negli anni della guerra, potrebbe costituire un racconto a sé, denso di fatti, di drammi e di preoccupazioni e sarebbe la storia di tanti e tanti italiani strappati alle loro famiglie ed alla quiete della propria provincia ed inviati nelle caserme e sui fronti di mezza Europa a combattere, non sempre e non in tutti con convinzione, una guerra di sterminio.


Il «caso Barbieri» è interessante e merita di essere sottolineato perché tutta una numerosa famiglia si trovò coinvolta nel dramma e, dopo 1’8 settembre 1943, fece una scelta univoca: la resistenza contro l’occupazione tedesca e contro il ritorno del fascismo.

Il capofamiglia Giuseppe Barbieri, macellaio, aveva sposato una Amalia Veronese e negli anni del periodo giolittiano e della prima guerra mondiale aveva avuto ben nove figli, 2 femmine e 7 maschi; questi ultimi nel secondo conflitto mondiale si trovarono quindi quasi tutti in età di servizio militare. GIOVANNI BARBIERI (cl. 1900), macellaio a Pieve, all’8 settembre si trovava in famiglia ed entrò in seguito nella Resistenza («Giustiziere»).


PIETRO BARBIERI (cl. 1905), muratore carpentiere, monocolo per un incidente sul lavoro, partigiano («Battaglia»), caduto il 28 ottobre 1944, medaglia d’argento alla memoria.

TARCISIO BARBIERI (cl. 1908), carpentiere, alpino nella zona di Marsi¬glia (Francia), catturato dai tedeschi e deportato in Germania.

ROSA BARBIERI (cl. 1911), staffetta partigiana. GINO BARBIERI (cl. 1914), operaio tessile, in Fanteria a Trento, tornò in famiglia ed operò nella Resistenza («Danton»). TERESA BARBIERI (cl. 1916).

GUERRINO BARBIERI (cl. 1919), operaio tessile, sergente maggiore guardia frontiera a Nizza, dopo 1’8 settembre attraversò le Alpi a Briga e con altri, a piedi, in borghese, tenendosi sulle colline, passò Vercelli, Novara, il lago di Garda su di una barchetta, Verona, Vicenza e finalmente arrivò a casa. Entrò nella guerra partigiana («Marat») come comandante di squadra fino al 14 giugno 1944, poi vicecomandante di Battaglione e dal 15 novembre 1944 fu vicecomandante di Brigata. Decorato di medaglia di bronzo al V.M. per il suo comportamento nella battaglia di Marola.

VASCO BARBIERI (cl. 1921), operaio tessile, nel Genio a Ferrara, ritornò ed entrò nella Resistenza («Fanfulla» ). ALBERTO

BARBIERI (cl. 1924), operaio tessile, recluta di artiglieria campagna, entrò in seguito nella guerra partigiana («Spartaco».


Le motivazioni «militari» furono quindi determinanti nelle scelte della famiglia Barbieri, dopo l’8 settembre 1943, ma ad esse va aggiunta la particolare situazione geografica della casa di Pietro Barbieri in Raga Alta, che costituiva un ottimo rifugio, al limite del bosco e fuori mano. Influirono poi alcune amicizie con gente di Magrè, come Domenico Baron, e di Schio e Pieve.


Eppure quanti altri nelle nostre zone non si trovavano in condizioni favorevoli per «dare concretamente una mano» agli sbandati prima ed ai partigiani poi e tuttavia non ebbero né il coraggio né la disponibilità? Molte famiglie risolsero il «loro» problema strettamente individuale, nascondendo o «imbusando» i propri figli o fratelli con mezzi propri o mettendo in pericolo qualche altra persona o famiglia, ma non andarono un pelo più in là.


Altre famiglie invece, come quella dei Barbieri e con essa molte altre di Schio e della V al Leogra, trasformarono il loro problema in un fatto collettivo e l’aiuto dato ai loro familiari fu dato in eguale misura, senza discriminazione, agli amici dei propri figli e fratelli ed agli amici degli amici, in una parola a tutta la Resistenza.


La famiglia Barbieri è un caso forse unico per il numero di fratelli che contribuirono, in varia misura, alla guerra partigiana, ma altre famiglie delle nostre zone meriterebbero una «storia», un lungo racconto di sacrifici e di privazioni. Purtroppo molto di tutto ciò va perduto nella memoria dei posteri, che affaticati dal passato ed ancor più dal presente, preferiscono cogliere e ricordare le situazioni e le figure più emblematiche. Il compito dello storico è, tra i molti, anche quello di fissare questi emblemi con evidenza e convinzione personale. E nel «caso Barbieri», che è soprattutto un emblema di «disponibilità sociale» di un’intera famiglia, mi è sembrato doveroso sottolinearne la validità resistenziale.