QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - LUGLIO 1980 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume XI
[DA PAG. 599 A PAG. 602]

ANTOLOGIA  


di E. TRIVELLATO

 

 

 

I.

I PARTIGIANI IN SCIOPERO


Bob racconta: “Verso la fine di giugno del 1944 Giulio mi inviò un bigliettino perché ci presentassimo al fortino del Novegno. Io e Pinco siamo andati su e vi abbiamo trovato altri 3-4 uomini, dei quali ricordo Latte ed uno di Marano.

 

 

Il nostro compito era di accendere dei fuochi appena si sentivano rumori di aerei; in seguito mi recai da Mario Valmora perché mi procurasse delle batterie e scesi ad ascoltare la radio con Mario Ramina e Nello Pegoraro, sempre in attesa di questi lanci. Finalmente arrivò il segnale poitivo ed allora con Glori e tutta la pattuglia ci siamo recati sul posto del lancio ad accendere fuochi, aiutati poi anche da quelli di S.Caterina.

 

 

I paracaduti finirono nella buca, vennero aperti i bidoni che pesavano sul quintale, si provvide a sistemare la roba: a fine lavoro ci trovammo tutti inzuppati dall’acquasso notturno. Al mattino presto dopo il lancio vennero sul Novegno Sergio (Attilio Andreetto), Giulio (Valerio Caroti), Randagio (Sandro Cogollo) ed anche Carlo (Alberto Sartori) con una pattuglia della Valdastico.

 

 

Gli ultimi arrivati della pattuglia di Carlo cominciarono aprenderecalzetti e scarpe nuove ed a cambiarsi. “Fermi!” intervengo io “prima dividiamo”. Non mi diedero retta e allora a baruffare o lasciar fare; Glori ed io siamo andati da Sergio, Giulio e gli altri a protestare, ma ci dissero di lasciar perdere.

 

 

A quel punto Glori fa “Guardate che spartendo le armi dovete riarmarci perché le nostre nel rastrellamento alle Guizze, quando catturarono Pompei”. Siccome stavamo pulendole fummo costretti a piantar lì i pezzi smontati. Sergio allora disse: “Se le avete perse andate a riconquistarvele!” Io ribattei in maniera pesante: “Ma sì, va a ramengo ti e tuto el to esercito”.

 

 

Sergio aveva un’aria da comandante che ci urtava, perché noi eravamo abituati a discutere una questione tutti assieme; inoltre aveva spesso un tono ironico e prendeva in giro anche sulle cose serie.

 

 

Allora tutta la nostra pattuglia e quei 3-4 che erano con noi si è riunita e abbiamo detto: “Bene, tenetevi tutto, armi e materiali, noi andiamo a casa!” Ci siamo spostati una cinquantina di metri più in là. Glori, io e tutti gli altri e ci siamo distesi sullerba a prendere il sole come se fossimo in montagna in vacanza. A quel punto si avvicinarono Giulio e Randagio per cercare di mettere pace. “Avanti, dai, non ci mettiamo a litigare” dicevano. Alla fine ci diedero filo da mina, plastico e roba da cambiarci; così siamo partiti e siamo andati giù a Colle Xomo a fare la guardia”.

 

 

A mio parere è difficile trovare un racconto che in breve riassuma i caratteri di alcuni personaggi ed i comportamenti nell’ambiente della GAREMI nel luglio del 1944: una certa invadenza di Carlo, l’atteggiamento sostenuto di Sergio, l’intransigenza di Bob e la solidarietà di Glori, la compattezza della loro pattuglia, i buoni uffici di Giulio e Randagio per comporre la vertenza.

 

 


II.

IL CAMALEONTE

 

 


Ignota la persona. Maa Colle Xomo nella pattuglia di Morgan vi fu per un certo periodo un partigiano che poi sparì improvvisamente e che Morgan non riuscì a ritrovare. Un bel giorno Bob lo vide a Schio, in mezzo ad un gruppo di Fascisti, in divisa della G.N.R.e fu costretto a nascondersi per non farsi riconoscere. Subito dopo la Liberazione Bob se lo ritrova a Vicenza vestito da partigiano e con il fazzoletto rosso a gardia di un gruppo di fascisti. Bob naturalmente va a protestare con forza nell’ambiente partigiano di Vicenza fino a che riesce a farlo tradurre a Schio in Caserma Cella, donde però riuscì tranquillamente a fuggire.

 

 


III.

MEZZOGIORNO DI FUOCO A TERRAGNOLO

 

 

“Io (Tom), Vinci e il Mantovan eravamo scesi in Terragnolo paese per aggiustare un camioncino che poteva servirci per il trasporto di merci. Ci occorreva un traino per tentare di farlo partire e, al rumore di un’auto in arrivo, siamo usciti in strada e ci siamo trovati davanti lo Stato Maggiore tedesco, un autonezzo con alcuni alti ufficiali. Per fortuna nel lavoro al camioncino avevamo lasciato il parabello e le bombe nel garage e Vinci riuscì a nascondere prontamente un pugnale che aveva alla cintola. Non era il caso di chiedere il traino ai Tedeschi, però loro ci domandarono dov’era la piazza di Terragnolo e qui vi si recarono sfoderando i binocoli ed osservando attentamente la zona (circa una settimana dopo ci piombò il rastrellamento di Posina).

Intanto noi tre siamo corsi all’interno del garage a prendere le armi e le bombe a mano per attaccarli. Tra raffiche ecolpi di rivoltella i Tedeschi riuscirono a postarsi al caporto dell’auto mentre noi eravamo in mezzo alla strada allo scoperto. 

Mandai il Mantovan a chiamare rinforzi e nella confusione partì con il parabello, sicché io e Vinci restammo solo con la pistola e le bombe a mano. Lui scese stto la strada con l’idea di sparare all’autista se fosse risalito in macchina, mentre io mi portai su di un muretto a monte cercando di far scivolare una bomba a mano sotto la macchina; ma vi passavano sotto e scoppiavano al di là e con questo gioco di bocce ne sprecai ventiquattro.

Vidi l’autista salire ma non sentii lo sparo di Vinci, anzi i Tedeschi si precipitarono in macchina e partirono a tutta velocità recando un ferito grave. Appena scesi da Vinci lo investii di male parole per il suo mancato intervento, mi disse che proprio nell’attimo che aveva puntato la pistola contro l’autista si era visto davanti una vipera”.

 

 


IV.

MILITARI GERMANICI DISFATTISTI

 

 


18 FEBBRAIO 1945 . XXII – Al Comando Presidio Germanico – SCHIO -
Risulterebbe che alcuni militari Germanici dei reparti di stanza a Schio svolgano pubblicamente un’opera di disfattismo, dichiarando apertamente che la Germania ha ormai perduta la guerra. Questo inconveniente riguarderebbe specialmente elementi giunti di recente dalla Germania. Quanto sopra per i provvedimenti di competenza. IL COMMISSARIO PREFETTIZIO.

 

18 febbraio 1945 – XXII – Al Capo della Provincia – VICENZA -
Come d’intesa verbale Vi assicuro di aver fatto presente al locale Comando di presidio Germanico che soldati dei reparti di stanza a Schio (specie quelli giunti di recente dalla Germania) svolgono opera di disfattismo. IL COMMISSARIO PREFETTIZIO.

 

V.

ESPULSIONE DAL P.C.I.

 

Vi sono tre importanti ARCHIVI SEGRETI ai quali non è facile accedere: gli Archivi del Partito Comunista Italiano, gli Archivi Inglesi, gli Archivi Vescovili e Vaticani. Anche avendone l’accesso, ritengo improbabile la possibilità di consultazioni di certi documenti riservati e personali, in quanto la stessa legislazione archivistica italiana impone alcune limitazioni ed obblighi.

 

Chiunque pertanto si accinge a scrivere una Storia della Resistenza deve tenere presente questo impedimento e carenza d’informazioni e quindi non illudersi di poter la parola definitiva sugli eventi allo studio.

 

Da questa considerazione consegue, a mio avviso, che fra un centinaio d’anni, ammesso che esista ancora una storia dell’umanità, potranno esserci indirizzi ideologici diversi dagli attuali, con una diversa tensione politica, per cui le faccenduole del nostro secolo saranno viste con lo stesso occhio e distacco che noi oggi andiamo a leggere e scrivere sul Lombardo Veneto, argomento di cui l’Austria oggi non ha alcun interesse politico e non è probabilmente preoccupata di tener nascoste certe cose.

 

A quel punto, nel duemila ed oltre, i futuri studiosi sul Novecento, avendo a disposizione tutti i possibili Archivi segreti dei Governi e dei Partiti che erano in lotta durante la Seconda Guerra Mondiale, nel leggere questi nostri scritti d’oggi potrebbero sorridere amabilmente e sistemarci tutti, anche quelli che scrivono di Storia nazionale, nella categoria degli storici “volenterosi”.

 

 

La coscienza di questa scontata previsione dovrebbe da sola invitarci ad una ragionevole prudenza nell’esprimere giudizi categorici e definitivi sulla Seconda Guerra Mondiale e sulla Resistenza in particolare, come invece, per un motivo o per l’altro, vorrebbero alcuni nostri contemporanei.

 

 

Un esempio curioso e interessante è il seguente. Penso che poche persone siano al corrente che il nostro Domenico Baron, rappresentante del P.C.I. in seno al C.L.N. di Schio, fu espulso dal Partito Comunista proprio durante la Resistenza, almeno verbalmente. Veniamo ai fatti.

 

 

A Poleo, come si è visto, era stato ucciso un soldato russo militarizzato dai Tedeschi (cfr. Incendio di Poleo). Il locale Comando germanico aveva rastrellato numerosi abitanti di quella frazione di Schio e teneva degli ostaggi in Caserma Cella, in attesa di accertamenti sulla sparizione del russo. 

 

In via Riboli a Schio, presso la Gina Panizzon ebbe luogo una riunione di varie person del P.C.I. locale e per l’occasione era venuta da Padova una certa “Rosa”, circa trentenne e consorte di Mercandino, che dopo la Liberazione fu Segretario Prov.le del P.C.I. a Paodova.

 

 

In quella riuione Livio Cracco, responsabile del Partito nell’ambiente operaio del Lanificio Rossi, sostenna la necessità di promuovere uno sciopero per indurre i Tedeschi a liberare gli ostaggi dalla Caserma Cella. Domenico Baron si oppose per due motivi: innanzitutto lui riteneva corretto interpella, prima, anche gli altri componenti del C.L.N. di Schio, inoltre temeva che i Tedeschi, già inferociti per la scomparsa del russo, di fronte ad un improvviso sciopero potessero decidere di fucilare gli ostaggi.

 

 

In sostanza Baron preferiva attendere lo sviluppo degli avvenimenti sperando che, con il passare dei giorni, dimnuisse la tensione. La “Rosa” di Padova non aprì bocca durante tutta la riunione. Alcuni giorni dopo giunse a Schio da Vicenza Antonio Emilio Lievore, puredel P.C.I., ed in questa seconda riunione comunicò che il Triumvirato del P.C.I. di Padova aveva deciso l’espulsione di Domenico Baron dal Partito.

 

 

Menegheto non fece scenate, per il suo carattere calmo e riflessivo, ma disse che a quel punto lui si sarebbe ritirato da ogni attività. I compagni di Schio gli furono solidali e decisero anch’essi di abbandonare ogni azione in favore della Resistenza locale. Allora a quel punto Domenico Baron pregò Antonio Emilio Lievore di riferire a Padova che lui avrebbe continuato l’attività fino a che Lievore non avesse recato un documento scritto di espulsione in modo da vedere chi si assumeva la responsabilità della firma.

 

 

La riunione si sciolse con questo accordo, Baron restò in attesa del documento (lo aspetta ancora) e proseguì nel suo lavoro a favore della Resistenza locale. Non farà quindi meraviglia se in futuro dovesse “saltar fuori” una documentazione sulla faccenda ed anche un giudizio negativo nei riguardi di Baron, per non essere stato pronto e deciso nel promuovere lo sciopero.

 

 

Confrontando questo racconto curioso con gli eventi descritti per l’incendio di Poleo e con i documenti dellarchivio del Triumvirato di Padova, sarà possibile dare a tali documenti una migliore interpretazione.