QUADERNI DELLA RESISTENZA 
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Marzo 1980 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume X
(da pag. 495 a pag. 


LA STRATEGIA CENTRIFUGA DELLA GAREMI

 

di E. Trivellato
 
 

 

Nei mesi di marzo-aprile-maggio del 1944, passati i rigori dell’inverno, il movimento partigiano in montagna cominciò a diventare più consistente per l’afflusso di giovani renitenti di pianura che – tramite antifascisti o conoscenze particolari ¬si inquadrarono in quei nuclei di ex militari o di ricercati che erano rimasti attivi anche durante l’inverno. Come probabilmente in altri luoghi dell’Italia del Nord pedemontana, anche nel Vicentino vi fu la tendenza iniziale a salire sui monti subito sovrastanti i propri paesi d’origine, forse perché molti di questi giovani conoscevano le montagne più prossime fin da ragazzi e nelle contrade potevano contare su parenti o su conoscenze locali.


Così i pedemontani della zona di Bassano si sistemarono sul Grappa, quelli della zona di Thiene salirono di preferenza sull’Altopiano di Asiago, quelli di Schio si sparsero sul Novegno e sui monti e colline della Val Leogra, infine quelli della Valle dell’Agno finirono sui monti sopra Recoaro. Vi si unirono vari sbandati «foresti» che, per essere dell’Italia centrale o meridionale, si trovavano impossibilitati a tornare ai paesi d’origine. Avvenne poi naturalmente una fusione con i giovani che abitavano già in paesi e contrade di montagna.


Per quanto riguarda Schio (Val Leogra) e Valdagno (Valle dell’Agno), ambedue sedi di industrie tessili, l’organizzazione partigiana – per motivi già considerati in altri Quaderni – fu presa in mano soprattutto dai Comunisti (antifascisti locali, confinati, garibaldini di Spagna, emissari politici) e quindi le due vallate –Leogra ed Agno – i paesi ed i monti sopra stanti divennero in seguito e si mantennero esclusivamente in un’area garibaldina (Brigate d’assalto GAREMI). Ovviamente ciò non esclude che nella base partigiana ed in vari Comandi fossero presenti, e numerosi, gli elementi indipendenti, i cattolici, i simpatizzanti del Partito d’Azione, o più spesso gli indifferenti alla politica, sia per la giovane età sia perché il Fascismo non li aveva di certo abituati alla coscienza politica. Agli occhi comunque degli ambienti non garibaldini, quelli di Schio e della Valle dell’Agno erano considerati i comunisti, senza sottilizzare in distinzioni.


Invece nella zona di Thiene e sull’altopiano di Asiago, per cause che sarebbe interessante rivedere, prevalsero e si organizzarono elementi «autonomi» (futura ORTIGARA), che nel linguaggio sbrigativo dei garibaldini della Val Leogra venivano chiamati i badogliani, forse perché tra loro c’erano parecchi ex ufficiali dell’Esercito (alcuni ancora simpatizzanti per la monarchia ed il Governo Badoglio trasferitisi al Sud), convinti di agire unicamente «in senso patrio» contro i Tedeschi ed i Fascisti, senza una particolare prefigurazione politica del dopoguerra. Tale, dalle testimonianze, era perlomeno il parere dei partigiani di qui.


Stante il fatto che la configurazione di un’area garibaldina a Schio-Valdagno e di un’area autonoma a Thiene-Asiago fu abbastanza precoce, si potrebbe pensare che il torrente Astico poteva essere una equa linea di demarcazione fra le due aree e che poi le formazioni ed i rispettivi Comandi avrebbero fatto i fatti loro, ciascuno nella propria zona. Non fu così, tutt’altro, per un complesso di motivi: primi aviolanci in Asiago e solo più tardi in Val Leogra, presenza di Missioni alleate con comportamento ambivalente ma a volte anche equivoco, interventi del Comando Militare Regionale di Padova, necessità di spostamenti di formazioni, sottaciute considerazioni politiche e così via. A mio parere la mancata demarcazione geografica netta fra garibaldini ed autonomi fu utilissima ad ambedue, fu sorgente di scambi amichevoli e di attriti, aumentò l’aggressività e la competitività in un curioso insieme di rapporti di «amicizia-scontro» (a seconda delle situazioni) e di polemiche che si trascinarono per decenni anche dopo la Liberazione.


Nell’intera faccenda mi sembra che non sia stato tenuto in adeguata considerazione un aspetto «tipico» della Brigata d’assalto GAREMI: la strategia centrifuga. Il Comando garibaldino era affetto da un espansionismo di fondo sia per il suo tipo di guerriglia mobile sia per motivazioni politiche. (Gli uomini della GAREMI accumularono in quei 20 mesi migliaia di chilometri di percorsi a piedi). Dal Baldo all’alta Valsugana si potevano trovare dei gruppi di garibaldini un po’ dappertutto («Un partigiano dietro ogni cespuglio!» – soleva ripetere Nello Boscagli). Infatti i racconti e le notizie finora riportate nei Quaderni lo confermano in maniera lampante.


L’espansionismo della GAREMI promosso da «Alberto» non mi sembra un’illazione gratuita ma si deduce, a mio avviso, dai fatti:

- Presenza di Aramin e Miro sull’altopiano di Asiago nella primavera del 1944.
- Migrazione di Turco sull’altopiano di Tonezza (luglio) e rapporti con il Roveretano ed il Trentino.
- Spostamento di formazioni valleogrine in alta Val Posina e costituzione ad opera di Giulio di una vasta «Zona libera» (luglio-agosto).
- Invio di Miro e Gianni con un gruppetto di partigiani nell’alto Veronese (luglio).
- Spedizione di Norino in Asiago ai primi di agosto del 1944.
- Spedizione di Serra (24-25 agosto) per una costituenda Brigata nell’area delle formazioni autonome.
- Presenza stabile di Marte e della «Pino» sull’altopiano di Asiago.
- Calate e presenze garibaldine in pianura (Mameli e Martiri di Grancona).


In verità alcune di queste iniziative centrifughe appaiono giustificate dalla necessità di cambiare zona e di cercare uno spazio tranquillo dai rastrellamenti ed ospitale, perché era il sogno di ogni Comandante partigiano di. trovare la zona ideale, l’Eden della guerriglia, il luogo dove non fosse necessario guardarsi alle spalle di giorno e di notte con l’incubo di un’imboscata; ed in questa ottica rientrano sia lo stanziamento in Tonezza di Turco, che amava le altitudini, sia la «zona libera» di Giulio. Anche le puntate di Aramin e di Miro in Asiago per il recupero di armi sono motivate da necessità obiettive.


Ma, negli altri casi, l’invio di spedizioni al di fuori delle due valli (Leogra-Agno) che furono di origine e di base logistica della GAREMI denunciano la mira costante di “Alberto” di estendere il più possibile la presenza garibaldina, probabilmente secondo direttive del gruppo dirigente del Nord, del P.C.I. tramite Padova.


Se accettiamo questa ipotesi di una politica espansionistica del Comando GAREMI, devonsi per forza chiarire i motivi ed esaminarne le conseguenze sia all’interno del Gruppo GAREMI sia nelle relazioni «diplomatiche» con le formazioni partigiane limitrofe non garibaldine e con le missioni alleate. Sui motivi di questa strategia centrifuga possiamo ammettere che il Comando GAREMI volesse creare nei Tedeschi e nei Fascisti un’impressione di onnipresenza partigiana e quindi anche di una consistenza numerica ben superiore a quella reale; in secondo luogo la dispersione delle pattuglie e dei distaccamenti costringeva i vari Comandanti di Brigata ad arrangiarsi localmente nei problemi di sussistenza spicciola, sollevandone il Comando generale del gruppo GAREMI, come sarebbe invece avvenuto nel caso di una strategia di concentrazione partigiana in un’area più ristretta; infine questa espansione garibaldina non mancava di una sua utilità politico-ideologica, nei rendiconti di un immediato dopoguerra.


In fatto di conseguenze all’interno della GAREMI questa diaspora delle formazioni non mancò, a mio avviso, di alcuni effetti negativi. Innanzitutto i collegamenti pedibus calcantibus, a mezzo di staffette e di emissari, tra i Comandi di zona ed il Comando GAREMI risultarono affaticati da un’estensione così vasta in tre Provincie (Vicenza, Trento, Verona); in secondo luogo i Comandanti partigiani delle singole zone si trovavano ad agire in maniera praticamente autonoma; infine la presenza di Alberto e di parecchi del Comando Garemi risultò presso la base partigiana quasi fantomatica o perlomeno avulsa dall’operatività corrente (1).


In merito poi alle conseguenze della politica espansionistica della GAREMI nei rapporti con le formazioni partigiane limitrofe non garibaldine, sembra ovvio pensare che il fatto stesse un po’ sulle corna a tutti, come si suol dire, anche se non mancarono le relazioni personali amichevoli e forse un certo riconoscimento dell’incisività garibaldina nelle azioni di guerriglia o perlomeno di un diverso modo, più o meno discutibile, nel condurla. Di qui le innumeri grane con Marozin fino alla sparizione di quest’ultimo dalla Val del Chiampo ed i rapporti a volte piuttosto tesi, o comunque guardinghi, con i responsabili dell’ORTIGARA.
Né a questi ultimi obiettivamente si può far torto per le loro eventuali recriminazioni, se accettiamo l’ipotesi di questa tendenza espansionistica di Alberto, rivolta anche alle zone stanziali delle formazioni «autonome ». Ma di converso, a voler proprio cavillare per amore di imparzialità, resta da chiarire la veridicità o meno di sup¬posti tentativi provenienti dall’area «autonoma» di staccare dalla GAREMI alcuni garibaldini; che questo distacco sia stato tentato dal Maggiore Wilkinson (Freccia) è pure un altro argomento non privo d’interesse. Ambedue forieri di polemiche.


Restando in un tema più pertinente alla strategia centrifuga di Alberto, ho ritenuto utile approfondire ai fini storici due avvenimenti che – forse per non essere stati coronati da un grande successo – non hanno avuto risalto e sono rimasti nell’ombra:

la spedizione in Asiago di «Norino» (Giacinto La Monaca) con una trentina di uomini e l’altrettanto curiosa spedizione di «Serra» (Mario Prunas) il quale si avviò con 24 uomini da Raga per una costituenda Brigata in Asiago o sul Grappa (2). La prima partì dalla periferia di Schio, presente Alberto, ai primi di agosto del 1944 e restò sull’Altopiano di Asiago per parecchi mesi; la seconda aborti in maniera drammatica, durante il tragitto, a Marola di Chiuppano il 26 agosto. Potrebbe essere una coincidenza, ma queste due spedizioni, promosse personalmente da Alberto, ebbero luogo proprio nel periodo in cui il Comando GAREMI frequentava assiduamente i Comandi delle formazioni «autonome» in Asiago, non solo, ma il Maggiore Wilkinson (Freccia) si era colà paracadutato (11-12 agosto). Se ciò non fosse una coincidenza ma un disegno preordinato le spedizioni di Nonno e di Serra potrebbero assumere un’importanza maggiore di quanto finora si è creduto.


Da mesi si andava ventilando un aviosbarco alleato sull’altopiano di Asiago («Piano Vicenza») e l’annunciato arrivo del Maggiore Wilkinson aveva alimentato le speranze. Tutto questo veniva a focalizzare sull’Altopiano l’interesse generale dei Comandi partigiani, compresi quelli garibaldini: è sintomatico che il Comando GAREMI si trasferì quasi stabilmente in Asiago (3) ed è altrettanto significativo che la «zona libera» in atto a Posina (un fatto importante per l’area garibaldina) ebbe a mio parere poca attenzione da parte di «Alberto». Viceversa egli aveva curato quasi personalmente la costituzione del gruppo che, al comando di «Norino», partì per l’altopiano di Asiago (vedi in seguito le testimonianze).


In previsione del «Piano Vicenza» voleva forse Alberto disporre di una certa forza garibaldina in Asiago per non trovarsi sul luogo unicamente come ospite e non come protagonista? Quando arrivò Freccia fu abilmente giocata questa presenza del distaccamento di Norino? Perché quest’ultimo restò fino alla fine di dicembre del 1944? È una serie di quesiti ai quali sarebbe interessante dare una risposta.

 

A. LA SPEDIZIONE DI «NORINO» SULL’ALTOPIANO DI ASIAGO


A mo’ d’introduzione riporto integralmente, per la sua vivezza popolaresca, il testo del memoriale di Ferruccio Corzato (Romagnolo) di Valli del Pasubio:


«Da lì (Malunga) poi dopo (lo scontro di Camposilvano) passarono un paio di mesi, quindi il nostro Comando decise di formare un collegamento con la Brigata Bassano del Grappa, e perciò formavamo un nuovo Battaglione con tanti nomi famosi: il nostro Comandante era Norino (Giacinto La Monaca), Elvio Puccini, Scalabrino, Bob, Licio, naturalmente compresa tutta la Valanga, per cui eravamo una cinquantina (NdA– Anche ammesso che fossero una trentina si trattava di un grosso spostamento). (Ciò) Che rimase impresso a me fu un giovane di 21 anni, che si volle aggregare a noi e prese il nome di «Pipa» (Cicchelero Florindo. Fu Domenico e di Costa Luigia.

Nato a Valli del Pasubio 1’11.6.1922, residente a Torrebelvicino, caduto a Chiuppano il 5.8.1944) e così abbiamo cominciato il cammino, naturalmente camminando solo alla notte e passando attraverso di fianco a Schio dalla parte dell’Ospedale vecchio (Baratto), fino a che abbiamo trovato gente che ci ospitò in una fattoria, che ci diedero del cibo, così poi dopo abbiamo potuto riposare, viene sera; a notte inoltrata passavamo un piccolo paesino, ma il nostro obbiettivo era quello di oltrepassare il torrente, l’astego(Astico),e ci siamo riusciti. In questo frattempo tre dei nostri partigiani – Licio, Rolando, Dumas – andarono a chiedere da mangiare per noi, ma guarda a caso sono andati proprio a bussare la porta del Commissario politico di Chiuppano vicentino. Non vi potete immaginare, lui ci diede il cibo, ma ci mandava appresso tre camion tedeschi, (per cui) ci fu una sparatoria e (noi) ci trovammo in cima alla montagna in un posto stabilito da prima in caso di combattimento.

Dopo (è) intervenuto il Comitato di Liberazione e ci dissero (che) quella sparatoria fu provocata dai compari Fascisti del luogo che erano cinque; così preparammo i piani per il prelievo di quei cari signori. A sera inoltrata (5 agosto) scendemmo dalla montagna e per prima cosa bloccammo le strade, mentre sette partigiani avevano il compito di andare all’assalto delle scuole. Invece Norino, Scalabrin, Garbo, Pipa ed io dovevamo andare al cinema, che si doveva trovare il pesce più grosso; ma purtroppo siamo stati sfortunati (perché) abbiamo preso solo un suo compare che ci servì come ostaggio per prendere il Commissario politico di zona, (in quanto) ci condusse alla sua abitazione.

 

Quando io, Pipa e Garbo (c’erano anche Norino e Scalabrin) entrammo dentro il cortile, ci attese una brutta sorpresa, perché (i Fascisti) erano già postati davanti all’abitazione e quando siamo entrati inconsapevoli, cominciò tutto fuoco dalle raffiche di mitra: a sinistra mi vidi cadere il Pipa, a destra cadde Garbo, mentre io mi gettai indietro e scaricai tutto il caricatore del parabello, colpendo tutti i quattro Fascisti; cessato il fuoco, raccogliemmo il Pipa con una coperta, ma morì dopo una decina di minuti (dopo un paio d’ore) perché una pallottola era entrata nel braccio sinistro vicino al cuore.

 

Fu portato in cima alla montagna e qui lo abbiamo sepolto. Dopo si camminò tutta la notte fino ad una malga, per poi rimetterci in cammino. Alla fine siamo arrivati ai paraggi dei bassi piani di Asiago in un paese che si chiama Conco e ci siamo sistemati in una malga. Prima cosa da fare era di andare a contatto con le nostre prime amicizie partigiane del luogo (Brigata Bassano), il cui comandante si chiamava “Boris” ed il suo aiutante “Negro” e con essi abbiamo fatto un vero esercito.

Abbiamo formato dei posti di blocco e ci siamo messi in collegamento con le formazioni badogliane. Un giorno Scalabrin, Rolando, Mastrilli, Clinto ed io abbiamo fermato due macchine a Bocchetta di Conco; nella prima c’erano un maresciallo degli Alpini ed un sergente suo aiutante ed avendoli disarmati, io mi feci il mitra; nell’altra macchina c’erano quattro jugoslavi deportati politici che abbiamo lasciati liberi. Nel frattempo sbucarono tre camion di Brigate Nere e non vi potete immaginare ragazzi che inferno; ma abbiamo avuto la fortuna di uscire tutti illesi. Passarono i giorni, la vita diveniva giornalmente sempre più difficile, più sparatorie, aumentavano i morti ed io ragazzi avevo paura sinceramente, non reggevo più ed avevo tanta nostalgia di vedere i miei genitori che da sei mesi non li vedevo. (Ciò) che mi diede la decisione fu il grande rastrellamento di Granesa (Granezza: 5-6 settembre 1944), dove ci fu molti morti.

Dopo io formai un piccolo nucleo (chi mi voleva seguire) e ci fu della contestazione, sì perché stavano andando via i migliori, (così) alla fine gli abbiamo fatti convinti. Finalmente cominciò il ritorno a casa, dove abbiamo saputo che i nostri paesi erano stati messi a ferro e a fuoco, il mio papà arrestato dalle Brigate Nere, quindi la mia mamma per sfuggire la sorte del papà si mise a dormire nel bosco come vivevamo noi, come (pure) il papà di Dumas e di Pertica, la Ida dei Giotti e tanti altri. Certo rimasi molto male nel sentire che sono state sciolte le formazioni partigiane, quindi non c’era altro da fare che ricominciare tutto da capo. lo e Dumas ci siamo collegati con un nucleo formato da Ombra (Pianalto Pietro), Franco, Bari, Ciancio, Cei; si ricominciava con tanta pazienza e buona volontà, naturalmente con l’intervento dei grandi nomi (Giulio, Bruno, Brescia) ed il comandante di tutte le formazioni Garibaldine Ateo Garemi “Berta”.

A un mese dalla fine della guerra ci fu l’ultimo rastrellamento, dove vennero saccheggiate le nostre case, prendendo i bambini per sapere dove si trovavano i partigiani: un Dalla Riva Alessandro e poi un altro bambino e un Danzo Gelindo della contrada Lomi che furono legati dalle Brigate Nere con una fune alla caviglia e li appesero a testa in giù ad una pianta, e non potete immaginare gli strilli di quei bambini, mentre noi dal nostro bunker vedevamo tutto e non potevamo intervenire per paura della rappresaglia dei signori Tedeschi. Ci restava solo di pregare il buon Dio che andassero via al più presto possibile per poterli liberare, come fecero le loro mamme quando le Brigate Nere furono sazie di rubare».


Altrettanto interessante e senza dubbio più puntuale è la testimonianza di Mauro Petroni (Puccini) (4) di Vicenza:


«Nella seconda quindicina di luglio 1944 Nello Boscagli (Alberto) decise “‘di inviare un nostro distaccamento sull’altopiano di Asiago riunendo un nostro gruppo che sarebbe partito da Civillina ad un gruppo di Malunga. Fu nominato Comandante Giacinto La Monaca (Norino) e Commissario Virgilio Zilio (Licio). Noi partimmo dal Civillina e sulle colline sopra Schio incontrammo Alberto che ci aspettava (qui conobbi Marte); poi arrivò il gruppo di Malunga con Scalabrin e gli altri. Ho avuto l’impressione che Norino non avesse molta esperienza di guerriglia partigiana, se penso che abbiamo camminato lungo tutto lo stradone di Santorso in una trentina di uomini per imboscarci poi in una fattoria durante il giorno.

Ripartiti a sera, ci siamo portati sopra Caltrano in una zona brulla, da dove Licio, Dumas ed altri 3-4 sono scesi in paese in tabaccheria. Licio mi raccontò che, appena uscito con il pacco di sigarette, fece: «Toh, guarda, c’è un tedesco!» (ne era arrivato un camion). Scapparono via in mezzo agli spari. L’altra azione fu il prelevamento del Commissario politico di Chiuppano; io fui mandato a bloccare il centralino telefonico e quando sentii la sparatoria strappai la cornetta e corsi sul posto; vidi “Ivano” che con un 91 tirava contro la casa, allo scoperto a gambe larghe, mentre gli altri dopo aver sparato alcune raffiche erano spariti. Ivano voleva i fiammiferi per dar fuoco alla casa. Poi è stato raccolto Pipa con una coperta ed abbiamo guadato l’Astico con l’acqua che ci arrivava quasi alle spalle. Arrivati a Camisino Pipa morì.

Norino partì con il distaccamento diri¬gendosi ai Casoni del Paù, mentre io presi Pipa sulle spalle per portarlo a seppel¬lire: nel frattempo arrivò «Elio» (Deganello Bortolo Antonio di Malo) che mi aiutò nel trasporto. Pipa venne infatti seppellito ai Casoni del Paù. Dopo aver camminato tutto il giorno finimmo a Malga Bertiaga(mt. 1356) sopra Conco. Qui la nostra base era la “Tosca” e mi sembra un certo “Marco” di Gomarolo (poi depor¬tato a Mauthausen). Parecchi elementi del luogo confluirono nel nostro distaccamento, che cosi aumentò di numero (una cinquantina); poi ci spostammo nella zona di Biancoia alla Capanna Keno. Verso fine agosto-primi settembre 1944 capitarono Alberto  ed altri del Comando GAREMI per conferire con Norino; poi Alberto ritornò presso la «7 Comuni».

Alcuni giorni dopo ci piombò addosso il famoso rastrellamento del 5-6 settembre 1944. Noi il primo giorno, secondo un metodo collaudato, ci siamo sparpagliati nel bosco in gruppetti di 3-4 uomini e ci siamo ritrovati la notte alla capanna Keno; qui, tenendo presente che tutti i passi obbligati erano occupati dai tedeschi, decidemmo di raggiungere la «7 Comuni», ma a causa del tempaccio e di errori della nostra guida, siamo finiti verso il Bosco Nero. L’alba ci sorprese in una zona boscosa tutta rotta da camminamenti dell’altra guerra, nei quali appunto ci imbucammo a 7-8 metri uno dall’altro (eravamo una sessantina e non tutti armati). Nella zona sentivamo l’ira di Dio ma non ci siamo mossi, malgrado la fame e la sete, per tutto il 7 e 1’8 settembre.

Finalmente il giorno 9 divenne tutto calmo e dopo aver cercato qualcosa nelle malghe senza risultato siamo giunti verso sera a Bertiaga, che era ancora carica di bestiame. Siccome ero un forte camminatore, Norino il mattino dopo decise di mandarmi alla ricerca di Alberto. Partii con un altro (mi sembra Dumas) ed a Cima Paù non lo trovai. Passando per Bocchetta Granezza vidi “Schena” che, aiutato dalla popolazione, stava seppellendo gli uccisi di Granezza. Lo spettacolo era raccapricciante: si trovavano ancora per terra nudi e ricordo che sul corpo avevano molti fori di baionette triangolari, a quel tempo in dotazione sia ai fascisti che agli ucraini. Non avendo trovato il Comando GAREMI nemmeno a Bocchetta Paù ritornammo in Bertiaga. Nuova mia partenza, questa volta con  Augusto Ortolani («Pulce») di Padova, per Gallio, per la Val di Nos ed il costone di Lòngara, dove finalmente i malgari ci dissero di aver visto un gruppo di partigiani a Malga Fiaretta.

Qui infatti trovammo Alberto, il maggiore Wilkinson (Freccia), Aquila Nera, mi sembra anche Aramin, nell’insieme una ventina di persone. Il giorno successivo ritornai da Norino per portarlo al Comando e poi feci una nuova andata-ritorno per trasferire tutto il distaccamento a Malga Fiaretta. Nel frattempo Alberto se ne era andato. Il nostro distaccamento restò lì a Malga Fiaretta fino alla prima neve (mi pare sia caduta il 27 settembre), poi tornammo alla capanna Keno. Qui Scalabrin decise di tornarsene in Malunga con tutta «La Valanga», mentre Licio restò con noi, essendo il commissario di Battaglione. Norino restò sull’Altopiano di Asiago fino a dicembre del 1944, poi si trasferì nel Veronese per ordine di Alberto».


IL RACCONTO  DI «PIPER»


SERGIO CADDEO («Piper»). Nato a Chiusa d’lsarco (BZ) l’1.1.1926, residente a Schio dal 1933, preside. Figlio di Salvatore da Paulilatino (Cagliari) e di Sacchetto Luigia di Piove di Sacco.


«Nella primavera del 1944 venni precettato per lavori presso la TODT di Arsiero e qui rimasi solo per pochi giorni, in quanto, fui licenziato in attesa di essere trasferito in Germania in lavori agricoli assieme a tutto il primo Quadrimestre del 1926. “Se dovevo morire – decisi – meglio qui, tra i miei monti”. Sapevo che in montagna c’erano i partigiani, ne discussi con i miei compagni di Liceo, i quali infatti mi accompagnarono in gruppo fino a S. Caterina con un gesto di solidarietà a cui mancava solo la fanfara. Colà ci fu una persona che mi accompagnò direttamente in Malunga in alta Val Leogra, dove venni a conoscere Scalabrin, Licio ed un’altra quindicina di persone che formavano la pattuglia detta “La Valanga”. Virgilio Zilio (Licio) conosceva mio padre e mi prese sotto la sua protezione: era un uomo equilibrato, ardimentoso nelle azioni, e per me fu come un padre per tutto il periodo della mia vita partigiana.

Poco tempo prima un mio amico mi aveva regalato un pupazzetto di nome Pipper con l’augurio che mi portasse fortuna e questo diventò il mio nome di battaglia. Erano i primi di giugno del 1944. A mio parere la vicenda della Missione giapponese si era già conclusa. In Malunga incontrai Alberto solo un paio di volte, così Jura e Tigre (Elio Scortegagna). Non avevo l’impressione che le varie azioni e assalti avessero un piano prestabilito; provenivano di solito da necessità o da situazioni contingenti o dall’estro del capopattuglia. In questo clima partecipai al sabotaggio dei camions tedeschi ad Ala, che si svolse come appunto descritto nei Quaderni.

In merito allo scontro avvenuto subito dopo a Camposilvano devo dire che fra quelli di Malunga e la Polizia trentina di stanza a Raossi esisteva un certo accordo di ignorarsi reciprocamente. Campasi Ivano era zona franca. Purtroppo nel caso di Ala salirono dalla Val Leogra numerosi camions di Tedeschi, i quali si disposero lungo tutta la strada che dalla Streva scende a Raossi: spiavano boschi e prati con i binocoli e bastava il movimento di una foglia per far arrivare una scarica di mitragliatrice pesante. La Polizia trentina fu quindi costretta ad intervenire a Campasi Ivano per attaccarci da quella parte.

Io ero appena arrivato in paese e mi ero tolto le scarpe a causa di una vescica al piede: la ruppi con una roncola per infilarmi subito le scarpe appena si scatenò l’attacco. In pratica ci salvò Mastrilli che, buttatosi verso Campogrosso, tenne lontano i rastrellatori con il mitragliatore e ci consentì quei pochi minuti che ci permisero di salire verso il bosco dall’altra parte dove c’è lo strapiombo della Vallarsa; verso di questo infatti mi buttai restando attaccato ad un tronco, che però si ruppe e feci un salto di 7-8 metri.

Rimasi lì fino a sera. Quando la domenica mattina mio padre venne in Malunga, Licio non sapeva come dirgli che probabilmente ero morto; invece arrivai incolume poco dopo. In Malunga si trovava anche Franco Dalla Serra (“Franco”), ora ingegnere a Padova, che ha sposato la Grazia Saccardo e forse lui ricorda qualcosa di più. Nella pattuglia avevamo anche “Ada”, un austriaco, e due polacchi “Fiore” e “Pala”, che lavoravano nella TODT di Recoaro e che fuggirono a causa di un loro furto di sacchi di cemento.

Per la migrazione de “La Valanga” sull’Altopiano di Asiago venne scelta la nostra pattuglia perché la zona di Malunga ormai scottava ed era continuamente battuta da rastrellamenti anche massicci; inoltre non si poteva pesare ancora sulla povera gente del luogo per il vettovagliamento e continuare ad esporla a pericoli e vessazioni.

“Norino” venne in Malunga piuttosto sul tardi e fu al comando della spedizione in Asiago. Il racconto di “Puccini” del viaggio fino a Conco, in quanto ricordo, è esatto; colà si iniziò un certo reclutamento e si arrivò quasi ad una sessantina di giovani, non tutti armati, che però si dispersero subito dopo Granezza. Ricordo l’azione di prelievo notturno di cuoio in una conceria di Bassano, dove ci recammo da incoscienti e senza paura con un camion BL a gassogeno. Sull’Altopiano conobbi la Missione Inglese e quando si trattò di dare un nome di battaglia a “Dardo”, proposi questo nome perché il Maggiore aveva quello di “Freccia». Ricordo che in quel periodo venne su anche Gigi Donadelli per farmi un po’ di compagnia e che armati fino al denti ci siamo recati a trovare il nostro professore di filosofia “Gigetto” Calderaro che si spaventò appena ci vide.

Come studente di liceo diventai anche infermiere: una volta medicai un braccio ferito con una pasta gialla, inviata con i lanci, ma che poi “Dardo” mi spiegò trattarsi di una pomata per dare sollievo ai piedi stanchi; un’altra volta mi chiamarono perché a Treschè Conca si era ferito al braccio con un fucile un giovane che chiamano “il Furbo”; tagliai, disinfettai la ferita e somministrai dei sulfamidici. Per riconoscenza mi diedero due uova ed una “scarselà de noséle”. Dopo Granezza I raccogliticci sparirono, Scalabrin ed altri ripartirono per Malunga, mentre io restai con Licio. In seguito partirono per il Veronese anche Norino, Franco, il conte Serra, Nosetta, Milord e tutti gli altri.

Tornai a casa a Schio a Natale, ma alla vigilia di S. Silvestro fui arrestato con mio padre e trattenuto in carcere per una settimana: a causa del mio nome, pensavano che fossi “Sergio” (Attilio Andreetto), ma alla fine li convinsi che a 19 anni non potevo di certo essere al comando di brigate partigiane. Restai a casa alcuni giorni ma mia sorella, che conosceva la moglie di un comandante di Thiene, fu da questa avvertita che quelli di Schio, per non figurare, avevano dato ordine a suo marito di partire da Thiene per venire nuovamente ad arrestarmi. Tramite mia sorella, che studiava in Accademia, me ne andai a Venezia e qui mi inserii nelle “Brigate d’Azione”. Nei giorni della Liberazione mi trovavo appunto a Venezia».


Terminato il suo racconto, ho chiesto a Sergio Caddeo quali fossero allora i problemi politici in discussione. «Da quando sono salito in Malunga fino alla Liberazione non ho mai sentito discutere né di partiti né di politica». In merito alla tattica della guerriglia, la risposta è stata la seguente: «Per la mia giovane età non ero a livello di comandi, ma alcune regole erano diventate istintive: azioni rapide e fughe altrettanto veloci, continua mobilità per evitare la localizzazione di un posto fisso, dispersione in una data zona in pattuglie e, in caso di rastrellamento, in nuclei di 2-3 persone. Mi auguro comunque che un periodo così drammatico per tutti non debba più ritornare».

Sergio Caddeo conserva alcune foto, tra le quali in una, scattata a Malga Bertiaga sull’Altopiano di Asiago, figurano: Silvio De Molo (Bob) di Torrebelvicino, Enrico Vagliotanet (Milord), Sergio Caddeo (Piper), «Calabria», «Nosetta» di Verona, «Carlo» di Milano, Franco Dalla Serra (Franco) di Torrebelvicino e Gigi Donadelli di Schio.




B. LA SPEDIZIONE DI «SERRA» DA RAGA
LA BATTAGLIA DI MAROLA



La vicenda si concluse in maniera drammatica perché il distaccamento partito da Raga fu investito da un massiccio rastrellamento sulle falde delle Bregonze, mentre in contrada Marola di Chiuppano si scatenò una vera e propria battaglia.


In questo capitolo sono riportate le varie testimonianze.


Guerrino Barbieri (Marat) così racconta: «Nella seconda quindicina di agosto del 1944 Alberto diede l’ordine di costituire un distaccamento (5) che, al comando del conte Serra, avrebbe dovuto portarsi verso il Grappa. Il conte Serra era un ufficiale di 27-28 anni, forse artigliere, oriundo da Cagliari, credo un nobile, che portava un anello con lo stemma reale; mi fu detto che la nobiltà veneziana mandò un emissario a Conca per indurlo a nascondersi a Venezia, ma lui rispose che il suo posto era con i partigiani; difatti spartiva con noi i pericoli ed i disagi, con affabilità e senza autoritarismo.

Da Raga siamo partiti in 34 riunendo alcuni elementi locali e parecchi “foresti’, tra i quali ricordo un maresciallo di Sanità meridionale e “Bomba” (Giovanni Bisogno) da Salerno. Qualcuno era della zona di Verona, mentre dei nostri rammento Urbani Francesco (Lupo), Nello Tarquini (Pascià), Cenzato Pierino (Tempesta), Giacomo Rampon (Jak), Marino Santacaterina (Pippo) (6) e parecchi altri. Camminando durante la notte dal 25 al 26 agosto siamo arrivati nei paraggi di Chiuppano e qui si decise di fare una sosta per rifornirei.
Alle 4 del mattino ci trovammo accerchiati dalla G.N.R. e per aprirci un varco ci impegnammo a fuoco per quasi 4 ore. Furono catturati Lupo e Pascià, che poi vennero torturati ed uccisi, mentre io stesso rimasi ferito. Dopo lo sganciamento ci portammo sull’Altopiano di Asiago al Bosco Nero, dove tra gli altri conobbi anche Freccia e Silva. Si restò lì solo 5-6 giorni, perché ai primi disettembre ci spostammo a Conca ed a Forte Corbin dove c’era Marte con quelli della PINO. Non siamo stati investiti dal rastrellamento di Granezza e poco dopo io passai in Posina perché avevo bisogno di convalescenza, mentre il conte Serra con 6-7 uomini restò con Marte, Spiridione, Regolo».



L’anziano sacerdote don Giuseppe Euginelli, ora pensionato di 82 anni, mi ha cortesemente inviato (13.1.1980) da Centrale la seguente RELAZIONE STORICA DEL RASTRELLAMENTO SULLE BREGONZE (26.8.1944):


«Sabato mattino 26 agosto 1944, con una limpida giornata, il sole non era ancora sorto quando squadre fasciste racimolate nei paesi vicini iniziarono a Centrale un rastrellamento alle falde delle Bregonze. Ne fu motivo il fatto che nella serata del venerdì era arrivato sulle Bregonze, proveniente dalla zona del Pasubio, un gruppo di circa 30 partigiani con un mulo e si era fermato per un rifornimento. La presenza del gruppo sulla collina fu notata da qualche scrupoloso simpatizzante fascista e subito comunicata al Comando.

Dopo aver precettato i Fascisti del paesi vicini e forse anche con l’intervento di Brigate nere, di tedeschi e della X MAS, fu subito organizzata una spedizione in grande stile da eseguirsi nelle prime ore del sabato con l’obiettivo di catturare al completo il gruppo partigiano. La cosa però non andò così liscia come previsto. Quando infatti i partigiani se ne accorsero, cercarono una ritirata strategica verso l’Astico, che era l’unica via di scampo, ma continuando a sparare per evitare l’avanzata e l’accerchiamento degli assalitori; attraverso balze e valloncelli, arrivarono alla casa Balzan in contrada Marola dove il terreno scende ripidamente verso l’Astico.

Qui avvenne lo scontro a fuoco violento tra la retroguardia dei partigiani e l’avanguardia dei fascisti. Due partigiani caddero feriti e, raggiunti dai fascisti, furono crudelmente finiti sul posto, dove poi fu eretto un piccolo ricordo marmoreo: i loro nomi sono Urbani Francesco di Magrè e Nello Tarquini da Quargnenta (Cornedo), ventenni. I loro cadaveri rimasero abbandonati sul posto sotto il sole cocente di agosto fino alla ore 13 della domenica 27 agosto.

Dopo lo scontro altri due partigiani si salvarono nascondendosi tra le foglie di granoturco mentre tutti gli altri trovarono scampo precipitandosi al fondo valle e oltrepassando l’Astico. Le squadre fasciste bruciarono la casa dei Balzan e rastrellarono a tappeto tutte le colline catturando quanti giovani ed uomini trovarono nei campi e nelle case e ritenuti presunti favoreggiatori; trasportati con autocarri in città, dopo scrupolosa indagine, la maggior parte dei rastrellati fu rilasciata ma, tra i giovani, diversi (come Giacomo Dal Santo) furono spediti in campo di concentramento in Germania. Terminata la triste impresa – verso le 12 – anche i Fascisti si ritirarono portando con sé i loro feriti e forse qualche morto: l’obiettivo sognato non fu raggiunto e la spedizione fascista fu pagata a caro prezzo.

Fra la ridda di notizie incerte e confuse che circolavano a Centrale la notizia più certa e più impressionante quel sabato fu che in contrada Marola c’erano due partigiani morti; allora alcuni partigiani di Centrale della futura Brigata Ma¬meli accertatisi della cosa e venuti a conoscenza che a Chiuppano il Segretario del Fascio (soprannominato Bivi) aveva preparato due casse funebri per una decorosa sepoltura (per crearsi così un buon titolo di benemerenza per l’avvenire), decisero di prelevare clandestinamente le due salme e dar loro una sepoltura provvisoria. La mattina di domenica 27 agosto 4 partigiani (Balbo Primo «Artiglio» - Genitali Agostino «Giorgio» - Dal Bianco Domenico - Dal Maso Giovanni «Cavallo») si portarono a Thiene col mulo e carretto di Agostino, comperarono un partita di cocomeri e, trasformatisi in venditori di angurie e smerciata tutta la merce tra Carré e Chiuppano, salirono verso mezzogiorno la collina.

Nascosto mulo e carretto tra gli alberi presso la Scuola e costruita una rudimentale barella, attraverso prati e valloncelli raggiunsero i morti e li trasportarono fino al carretto, dove li nascosero con foglie di granoturco. Infilata la strada che scende a Centrale giunsero verso le 14 in un campo di Genitali vicino al Cimitero. Primo Balbo mi avvisò e, inforcata la bicicletta, in pochi minuti fui sul posto. Dopo aver benedette le salme, le feci avvolgere in teli da tenda e le feci seppellire all’ombra di una vite. Pochi giorni dopo, di notte, le salme furono riesumate, pulite e composte in due casse funebri provvedute dalla sorella del caduto Urbani Francesco e risepolte nello stesso posto. La prima domenica di maggio 1945 ebbero luogo i solenni funerali nella chiesa parrocchiale di Centrale con intervento di Autorità civili, partigiane e grande concorso di popolo».



Di URBANI FRANCESCO da Magrè di Schio si è già scritto mentre di TARQUINI NELLO abbiamo avuto notizie dai familiari (7).



Su questa spedizione di «Serra» piuttosto critico è Valerio Caroti (Giulio): «La notizia della partenza da Raga del distaccamento di Guerrino Barbieri (Marat) assieme al conte Serra, che io non conoscevo, e la notizia della battaglia di Marola mi giunsero contemporaneamente. Ricordo che mi arrabbiai moltissimo per due motivi. Anzitutto stavamo proprio allora leccandoci le ferite e ricucendo l’organizzazione dopo il tremendo rastrellamento di Posina e quindi il sottrarre un distaccamento intatto e ben condotto alle formazioni della Val Leogra piuttosto provate, mi pareva una cosa enorme. lo non ero stato nemmeno avvertito della decisione. In secondo luogo fu una pazzia, dal punto di vista tattico, far transitare un grosso distaccamento per la pianura, anche se di notte. Lo scontro di Marola, ove il reparto era stato addirittura accerchiato, ne fu la conferma. Il transito, se pure molto più lungo, doveva essere fatto per le montagne e, anche su queste, a pattuglie staccate.

Siamo nell’agosto del 1944 e dopo mesi di guerriglia queste cose erano ovvie. Sicuramente il Comando GAREMI avrà avuto le sue buone ragioni per decidere quel trasferimento, ragioni di ordine politico generale, ma lo scopo di far raggiungere a quel reparto l’Altopiano o il Grappa con obiettivi non precisi e concreti, mi sembrò aleatorio e assurdo di fronte alle reali ed impellenti necessità della nostra vallata in quel periodo. Ancor oggi confermo che la scelta di quel reparto, di quel momento e di quel tragitto fu un errore. Gli uomini rientrarono per la maggior parte nella loro zona ed un nuovo distaccamento, ben supportato, costituì poi uno dei capisaldi della guerriglia in Val Leogra dal settembre del 1944 all’aprile del 1945». Valerio Caroti - 6.3.1980.



APPENDICE

CHIUPPANO


Durante la Resistenza il paese di Chiuppano si trovò tragicamente coinvolto in azioni partigiane cruente, in arresti e deportazioni, in rastrellamenti pesanti condotti da Fascisti presenti in paese in una caserma della G.N.R. e, dal febbraio del 1945, in un distaccamento di militi della X MAS stanziati fra Chiuppano e Carrè.


Il 10 luglio 1944 un gruppo dell’iniziale Btg.ne Pretto (futura PINO) scese dall’altopiano di Asiago – al comando di Arturo Valente (Mica) e di Lorenzo Valente (Spartaco) – ed attaccò la caserma della G.N.R.; il 5 agosto, durante la migrazione di «Norino» verso l’Altopiano, Cicchelero Florindo (Pipa) venne ferito in paese e poi morì; il 26 agosto la spedizione di «Serra» fu investita da un massiccio rastrellamento sulle Bregonze ed in contrada Marola si scatenò un violento scontro a fuoco tra partigiani e fascisti.

I tre avvenimenti si verificarono per cause esterne al paese (attacco e transiti partigiani), anche se il tentativo di prelevamento del 5 agosto del Commissario politico sembra sia stato suggerito da qualcuno di Chiuppano ed il rastrellamento sulle Bregonze sia derivato da una soffiata del luogo; si ha infatti l’impressione che nell’ambiente di Chiuppano vi fossero antichi rancori tra i fascisti locali, sembra numerosi, e gli antifascisti.


 

Durante l’inverno 1944-45 nei paesi di Chiuppano, Carrè, Centrale, Zugliano, Lugo,Calvene ed altri viciniori si configurò un consistente movimento partigiano che entrò nel¬l’organizzazione garibaldina del Gruppo Brigate GAREMI e che ebbe il nome di Brigata «MAMELI»; si costituì dall’unione del precedente Btg.ne «Urbani» e da vari gruppi sparsi della zona. Ne fu comandante ROBERTO VEDOVELLO (Riccardo) e vice comandante Giovanni Carollo: per la composizione dei suoi 4 Btg.ni e dei Comandi di questi e per le azioni partigiane dal dicembre 1944 all’aprile 1945 vi è una breve relazione di Sereno Schiro in «Brigate d’assalto GAREMI», 1978 a pgg. 154-155.



La Brigata MAMELI ebbe 32 caduti. Il rapporto diretto con la GAREMI si rileva dalla nomina a commissario o intendente di Mario Prendin (Lama) di Schio e dalla presenza in zona di Alberto Sar-tori (Carlo), in quel periodo responsabile della stampa e propaganda e interessato ad un giornaletto partigiano «FRATELLI D’ITALIA» (1° numero del gennaio 1945) che veniva edito in ciclostile proprio in un bunker a Lugo presso la famiglia Gnata.


I paesi sopra considerati sono tutti disposti geograficamente vicino al torrente Astico in una zona pianeggiante e basso-collinare situata fra Piovene e Thiene ed a quest’ultima cittadina convergono di solito gli abitanti della zona per motivi commerciali. Si potrebbe quindi presumere che i giovani renitenti di quei paesi si fossero aggregati alle formazioni autonome dell’ORTIGARA, sia in pianura che sull’Altopiano di Asiago (ad una ricerca attenta forse parecchi lo fecero). Ma sembra invece assodato che il movimento partigiano della zona, almeno a partire dal febbraio 1945, fu in prevalenza garibaldino. Ciò fa pensare che i Comandi GAREMI abbiano colà trovato un ambiente favorevole e che esistano particolari motivi, a mio parere interessanti, da accertare.



ANTOLOGIA DELLA RESISTENZA A CHIUPPANO


L’esperienza dei “Quaderni della Resistenza” ha dimostrato che una buona conoscenza dei fatti può deri¬vare solamente da una ricerca molto approfondita dei documenti e delle testimonianze relative. Infatti la realtà di un paese, per quanto minuscolo, è sempre complessa e diversa rispetto ad un altro che disti anche pochi chilometri, perché il comportamento comunitario e dei singoli ha spesso le radici in una storia precedente, che solo uno studio attento può portare alla luce. Quindi ad una rassegna completa ma generica di avvenimenti ho preferito riportare qui una breve antologia, che riunisce alcuni memoriali di gente di Chiuppano, pur con la possibilità scontata che altre persone ed altri eventi di rilievo siano stati omessi. A mio parere dovrebbe essere un costante impegno culturale di ciascun Comune il promuovere degli studi organici sulla sua storia; Il che, per l’assillo politico del presente, di rado avviene.



Antifascismo prebellico - Un caso interessante è quello di Gaetano Fongaro: nato a Valdagno il 2.9.1907 e sposato con Vittoria Dal Prà di Chiuppano; nel 1936 dal Belgio dov’era emigrato, tramite il Soccorso rosso partì per la Spagna dove combatté fino al 1938; rientrato in Belgio e poi trasferitosi in Germania per lavoro, appena tentò di rientrare in Italia fu arrestato al Brennero in base ad una foto segnaletica. Dopo 3 mesi di carcere a Vipiteno, fu tradotto a S. Biagio in Vicenza e finì a Ventotene, dove conobbe Mauro Scoccimarro ed altri. Là rimase fino alla caduta del Fascismo. Durante la Resistenza si distinse nelle azioni della MAMELI durante la Liberazione. Militante comunista.

Ceresara Giuseppe e Mariano - I due fratelli, noti come antifascisti e sospetti di appartenere ai ribelli della zona, furono arrestati ed incarcerati nel gennaio-febbraio 1944: Mariano venne rilasciato dopo breve tempo, invece Giuseppe fu sottoposto a pesanti interrogatori e trattenuto per vari mesi.


De Rossi Giuseppe«Rino» - Nato a Chiuppano l’1.11.1924: di famiglia notoriamente antifascista e frequentata abitualmente dai partigiani. Dopo l’uccisione del Dal Zotto in Thiene. la casa De Rossi fu improvvisamente circondata alle due di notte del 25 aprile 1944  da un gruppo di fascisti in divisa tedesca e coadiuvati da 2  militari germanici. Rino fu tradotto nel campo sportivo di Thiene in attesa di essere fucilato assieme ad altri per rappresaglia. Invece il giorno dopo finì a S.Biagio, poi a Bassano, e infine venne condannato a Vicenza a 28 anni dal Tribunale fascista r trasferito nelle carceri speciali di Torricella a Verona. Avviato poi in Germania con altri, passò vari campi di concentramento e finì a Dachau in baracche fuori campo con il lugubre compito di seppellire in fosse comuni quella cinquantina di morti al giorno che le S.S. non riuscivano a cremare. Dopo circa 4 mesi, con l’inizio della ritirata tedesca, fu trasferito per 600 km. da un posto all’altro sempre sotto la minaccia delle S.S.: finché i reparti francesi di De Gaulle lo liberarono il 27 aprile 1945. Rino tornò a Chiuppano il 15.8.1945.


De Rossi Daniele - Nato a Chiuppano il 5.12.1925. Fu Agostino. Questo in sintesi è il suo racconto: «Il mattino del 23 aprile 1944 mi presentai al Distretto militare di Vicenza per ottenere l’esonero come orfano di entrambi i genitori e con fratelli più piccoli a carico. Invece i fascisti della X MAS, dopo aver cercato di farmi dire i nomi di altri renitenti, mi consegnarono ai Tedeschi, che mi trasferirono in una caserma a Verona a Borgo Trento. Lì, quando fummo in quasi 5000, ci caricarono in 45 per ogni carro bestiame e ci spedirono in Germania; dopo 3 giorni senza mangiare né bere, arrivammo a Kaiselente, dove incontrai con gioia il mio compaesano Rino De Rossi. I Tedeschi ci fecero correre per un giorno intero sotto la pioggia e chi si fermava veniva frustato (uno venne fucilato sul posto e lasciato lì).

Dopo un mese si parti per il campo di Bahndorf dove incontrai un altro compaesano –Ebocioni Guerrino – e inoltre Vittorio Trevisan di Caltrano e Giuseppe Centralini di Dueville, con il quale rimasi fino al momento della fuga. Ci prelevavano ogni giorno dal campo per lo sgombero delle macerie nelle città bombardate. Il vitto era di 1 Kg. di pane in sei e 3 patate a testa spesso marcite. Poi fui trasferito a Dachau e qui lavoravo a costruire i bunker dove venivano nascosti gli aerei. Con l’avanzata dei Russi e degli Americani ci trasferivano qua e là, sicché con l’amico Centralini assalimmo due guardie tedesche durante un trasferimento e con le loro divise siamo riusciti ad allontanarci. Si camminò per 2 mesi solo durante la notte, nascondendoci di giorno in case bombardate, dove si trovava a volte qualcosa da mangiare. In questo modo rientrammo in Italia e si arrivò a Torbole del Garda, ma qui fummo costretti a restare nascosti perché i Tedeschi occupavano ancora la zona. Arrivai finalmente a Chiuppanto il 6 maggio 1945: i miei genitori stentarono a riconoscermi perché pesavo appena quaranta chili. È la prima volta che metto per iscritto questi miei tristi ricordi, ma spero che servano almeno ai giovani per capire quanto crudele e disumana sia una guerra».


La casa dei Dal Santo - Il 15 agosto 1944 numerosi militi della G.N.R. di stanza a Piovene bloccarono le strade di Chiuppano e, circondata la casa di Dal Santo Giuseppe, minacciarono di incendiarla se entro le ore 18 il figlio Giovanni, renitente, non si fosse presentato. A sera il padre, con i figli Antonio e Bortolo e con un loro parente Giovanni Dal Santo, furono caricati su un camion per destinazione ignota. Il 18 agosto i fascisti diedero fuoco alla casa e solo col tempo gli arrestati furono liberati. La foto della casa bruciata è a pg. 118 del volume «Brigate d’assalto GAREMI», 1978.


Il Battaglione «Urbani» - Un primo avvio della Resistenza della zona si ebbe già nell’autunno del 1943 allorché i giovani di leva ed alcuni sbandati si riunirono più volte ai Casoni a nord della Bregonza per cercare di organizzarsi; ma la mancanza di mezzi, di armi e soprattutto di collegamenti con altri non consentirono la costituzione di un gruppo armato locale. Alcuni giovani si aggregarono quindi nella primavera del 1944 alle varie formazioni partigiane che operavano nell’alto Vicentino. Solo più tardi, dopo la battaglia di Marola (25 agosto 1944) prese consistenza un gruppo, denominato Battaglione «Urbani» dal nome del caduto di Magrè a Marola, e costituito da vari giovani e da staffette, tra i quali si ricordano: il ten. Teodoro Marini, i fratelli Mario (Bill) e Aldo (James) Saugo di Carrè, Luciano Polga, Silvestro Lazzaroni, Silvio Carollo, Bortolo Carollo,  Antonio Dal Bianco, Lucia Dal Bianco, Maria Faccin, Bortolo Busato. La costitu¬zione ebbe luogo in casa di Pio Simonati in via Tugurio di Bregonza.


La Brigata «MAMELI» - Un relatore di Chiuppano, a firma F.R., scrive: «Successivamente si costituì la Brigata Mameli dai partigiani Vedovello Roberto (Riccardo) comandante: Luminia Vincenzo (Villa) vicecomandante, Sartori Alberto (Carlo) commissario, Prendin Carlo (Lama) vettovagliamento e questi provenivano dalla PASUBIANA; si affiancava il sottotenente Sambastian Armando e molti altri giovani, anziani, donne. I giovani provenivano quasi tutti dai paesi di Chiuppano, Carrè, Zanè, Marano, Zugliano, Lugo, Fara, Calvene e Caltrano. Il bunker del Comando si trovava in località Rosa nel Comune di Lugo presso la famiglia Gnata Esterina, una donna che ha messo in pericolo i suoi figli e che merita un riconoscimento. Qui a Chiuppano in quel periodo si è costituito un distaccamento della Brigata Nera, gli aderenti in maggioranza erano da Chiuppano, e successivamente a Carrè arrivò un reparto della X MAS sempre pronti a dar la caccia ai partigiani».

I fucilati di Carrè - F.R. scrive: «Ai primi giorni di aprile 1945 venivano arrestati 5 partigiani: ten. Teodoro Marini (res. Carrè), Polga Luciano (n. Carrè), Lazzaroni Silvestro (n. Piovene). Aldo e Mario Saugo di Carrè. In quei giorni nei pressi di Zanè-Thiene fu ucciso un milite della X MAS e quindi per rappresaglia i cinque arrestati vennero fucilati presso il Cimitero di Carrè 1’8 aprile 1945».


I caduti di Treschè Conca - Sempre F.R. scrive: "Un buon gruppo di partigiani della MAMELI operava a Tresché Conca-Valdassa nella Brigata PINO con Marte, Spiridtone, Nembo, Saturno. Il 27 aprile un distaccamento della PINO, appostato sulle alture a Treschè Conca, subiva uno scontro a fuoco con una colonna tedesca in ritirata; poiché una colonna di russi attaccò alle spalle, si accese una disperata battaglia ed i partigiani furono costretti a ripiegare in direzione Sculason-Valdassa.

Del gruppo di 15 partigiani, 9 caddero combattendo in parte feriti e in parte trucidati, 5 ed un ferito riuscirono a salvarsi. Per rappresaglia i Tedeschi allinearono 11 civili lungo un muretto della strada, semprea Treschè Conca, e li uccisero. Quattro di questi giovani erano di Chiuppano: Dal Prà Virginio di Nicolò di anni 20, Terzo Valentino (Lino) CI. 1926 , di Michele, Busato Luigi di Valentino, n. a Chiampo 1927, resid. a Chiuppano, Rudella Francesco di Bortolo di anni 18. (NdA - Gli altri caduti a Tresche Conca furono: Blekar Vittorio n. Pola 1886 - Carlassare Rito n. Cogollo - Cossigich Pellegrino n. Lussingrande 1912 - Dadich Rocco - Frigo Mario n. Chiuppano 1918 - Martini Giuseppe reso Altavilla - Mattioli Mario n. Salice 1889 - Mazzacavallo Romolo n. Cogollo - Mesiano Pasquale n. Reggio Calabria 1922 - Panozzo Giovanni fu Luigi n. Treschè Conca 1901 - Giovanni fu Sabino n. 1895 - Giovanni fu Antonio n. 1868 - Giuseppe (Corda) n. 1924 - Irma n. 1927 - Usmiani Giovanni n. Zara 1899 - Volpe Giovanni n. Chiuppano 1924" (cfr. Brig. ass. GAREMI - Elenco caduti a pago 161).


«Fratelli d’Italia» - giornale garibaldino ciclostilato a Lugo. Il ciclostile venne trafugato dal Municipio di Zugliano e la stamperia si trovava a Lugo in contrada Lazzarini (una sola casa) in un tunnel. Valentino Gnatta, CI. 1939, ora residente a Schio, riferisce che una sua zia Artemia ebbe un ruolo importante come partigiana, e che l’archivio della MAMELI era conservato da Mario Prendin (Lama), che Alberto Sartori (Carlo) era stato nominato responsabile della propaganda e stampava il ciclostilato.


«Carlo» mi ha inviato fotocopia di 3 numeri del giornale (n.ro 1 gennaio 1945 - n.ro 2 febbraio - n.ro 3 febbraio) e di alcuni volantini che venivano incollati sui pali della luce, sui balconi delle case, nelle piazze della zona. La testata del giornale era stata incisa su di un pezzo di gomma dallo stesso Carlo. In merito al responsabile della STAMPA E PROPAGANDA del Gruppo GAREMI è interessante il seguente documento inviatomi da «Carlo»:

CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA' - Zona operazioni li, 15/12/1944 - Ai Comandi: Gruppo Brigate «A. Garemi» - Btg. Marzarotto - Btg. C. Battisti -Btg. Apolloni - Btg. Ismene - Si comunica che dal responsabile «Stampa Propaganda» del Gruppo Comando Brigate è stato nominato responsabile delle funzioni di stampa e propaganda, per il gruppo Battaglioni della Brigata Pasubiana, il garibaldino Max; il quale svolgerà detta funzione alle dirette dipendenze del Comando Gruppo Brigate. - L’incaricato Stampa Propaganda del Gruppo Brigate «A. Garemi “ - Rino (firma autografa). N.B. Il garibaldino Max è anche nominato responsabile del lavoro del P. nella Brigata «Pasubiana». - Il Responsabile del P. del Gruppo Brigate «A. Garemi» - Rino (firma).


Alberto Sartori così lo commenta (13.1 .1979) . «È un documento che mi è giunto tra le mani solo recentemente. Ho sempre avuto molta stima di “Rino” (Luigi Sella) ed ho imparato molto da lui in carcere e nelle formazioni; in effetti, e indiscutibilmente, “Rino” era il responsabile di partito nel Comando GAREMI, ma poi (malauguratamente!) emarginato dal Boscagli. La preparazione politica di “Rino” era di alto livello, avendo frequentato la “Scuola di Partito” al confino con i massimi dirigenti del P.C. di allora. Fu “compare” di Amendola (al confino) quando questi si sposò con una francese che io conobbi, poi, a Parigi. Nel documento purtroppo, forse a causa della situazione confusa dell’inverno 1944-45, “Rino” parla di responsabili di partito, mentre in nessun documento ufficiale diretto ai Comandi si sarebbe dovuto parlare di “responsabili di partito” nelle Formazioni, perché a molti questo faceva venire il voltastomaco e soprattutto a “Freccia”. Inoltre il Responsabile Stampa-Propaganda del Gruppo Brigate GAREMI nomina un responsabile che avrebbe dovuto dipendere dal Comando GAREMI; a mio parere spettava al Comando di nominarlo. A fine dicembre 1944 il Comando GAREMI mi nominò responsabile della Stampa e Propaganda, in sostituzione di “Rino” e così mi dedicai a Lugo al periodico “Fratelli d’ltalia”».



Amministrazioni civiche di Chiuppano - Il 24 giugno 1945 si costituì l’Amministrazione civica ed il primo Sindaco fu Romolo Lucca. Dopo le sue dimissioni (13.7.45) la nuova Amministrazione risultò così composta: Dal Pra Eugenio (sindaco), Dal Pra Natale (1° Ass.), Busato Bortolo (2° Ass.), De Rossi Pietro fu Valentino (suppl.), Dal Pra Clemente (suppl.). Con le dimissioni (1.11.45) di Eugenio Dal Pra per il suo arruolamento nella Polizia, si costituì la nuova Amm.ne: Ceresara Pietro Mariano (sindaco), Dal Santo Angelo (1° Ass.), Busato Bortolo (2° Ass.), De Rossi Carlo (suppl.), Chilò Candido (suppl.), Maddalena Mario (segr.). Tale rimase fino alle elezioni amministrative del 24.3.1946.






AGITAZIONI OPERAIE E CONTADINE IN PROVINCIA DI VICENZA

di Antonio Dal Lago


Ancora poco si conosce delle lotte condotte dai lavoratori nelle fabbriche e nelle campagne durante il tragico e sanguinoso periodo della R.S.I. e di come essi siano riusciti ad organizzarsi per far riuscire l’UNICO SCIOPERO GENERALE che vi sia stato in tutta l’Europa occupata dai nazisti. Le ragioni sono principalmente la carenza di documentazioni scritte e la difficoltà di costruire l’intero mosaico delle lotte sulla base delle testimonianze dirette di chi ha partecipato e vissuto tali eventi.


Uno squarcio, nel velo dell’oblio che il tempo e certi uomini – timorosi di veder messo in discussione potere e privilegi da chi da sempre ne è escluso (ricordiamo che anche nel CLN era forte l’opposizione agli scioperi da parte dei moderati) – stendono su parte della storia della Resistenza – quella con più marcati caratteri progressisti e rinnovatori – è stato aperto dagli Autori del Libro «RISERVATO A MUSSOLINI» edito nel 1974 da Feltrinelli. Per la prima volta vengono pubblicati integralmente i Notiziari quotidiani raccolti nelle Sezioni «Ordine e Spirito pubblico» e «Astensioni dal Lavoro» ordinati e conservati nel proprio archivio dal bresciano Luigi Micheletti. Di altre Sezioni vengono solo degli stralci.


I «Notiziari» erano i rapporti che un apposito Ufficio del Servizio Politico della G.N.R. (milizia di partito comandata dal fanatico Ricci) redigeva ogni giorno per fornire la «situazione» economica, politica e militare ad alcuni alti gerarchi di Salò, raccogliendo e ordinando sinteticamente i rapporti provenienti dagli Uffici periferici e da informatori introdotti in ambienti quali i Comandi tedeschi. Iniziano a partire dal 20 novembre 1943. La raccolta non è completa, ma tuttavia è possibile ricavare un quadro sufficientemente completo, ricco di notizie di agitazioni e di obiettivi che sono comuni in tutta l’Italia del Nord occupata dalla R.S.I. La prosa è priva della retorica trionfalistica del Fascismo perché è inutile (o impossibile) mascherare la realtà proprio per le caratteristiche di opposizione sempre più aperta e antagonista al Fascismo.



DICEMBRE 1943 - GENNAIO, FEBBRAIO 1944

 

Il funzionario dell’Ufficio politico deve ammettere che la campagna di iscrizioni al nuovo Partito Fascista Repubblicano trova scarse adesioni anche tra gli ex iscritti al PFN, mentre la popolazione mantiene un atteggiamento ostile. Scioperi si verificano in qualche officina per motivi economici e contro la precettazione al lavoro in Germania (uno dei prezzi che la R.S.I. paga all’alleato-padrone). I bandi di chiamata alle armi arrivano alla scadenza senza produrre gli effetti sperati, perciò vengono continuamente aggravate le sanzioni. Si effettuano rastrellamenti resi vani dall’aiuto che i renitenti ricevono dalle popolazioni. Del resto chi si presenta ai Distretti lo fa di malavoglia o perché costretto con il ricatto dell’incarcerazione del propri familiari. Nelle caserme c’è penuria di vestiti e di viveri.


Ecco appunto il testo del «Notiziario» di quei mesi:




PROVINCIA DI VICENZA
Not. 26-12-43, pp. 3-4 - Vicenza

"Il 18 c.m. circa 150 operai delle officine ferroviarie veicoli si sono raggruppati davanti all’ufficio del Capo delle officine stesse per chiedere, oltre un miglioramento economico, la regolare distribuzione di grassi, combustibili, scarpe e vestiario. Invitati a presentare una richiesta scritta, riprendevano il lavoro.
Dagli accertamenti prontamente eseguiti, è risultato che tutti costoro avevano già avuto, in novembre, quanto richiesto".


Not. 28-12-43, pag. 1-2

"Le varie industrie in provincia hanno lavorato durante il decorso mese con andamento normale.
Rimangono sempre disagiate le condizioni di vita della popolazione per ciò che concerne la distribuzione dei viveri tesserati e contingentati. Molti alimenti mancano al consumatore da parecchi mesi. I prezzi del calmiere non vengono rispettati. La legna ed il carbone vengono distribuiti in misura irrisoria. Il «mercato nero» è più che mai fiorente. In genere, la massa lavoratrice oggi percepisce uno stipendio migliore di quello che percepiva in passato e ricorre all’acquisto di merce contrabbandata.
L’avversione della gran parte della popolazione contro il Governo Sociale Repubblicano permane. Gran parte della massa non vuole più sentire nominare il Duce; altri non vogliono più sentire pronunciare la parola Fascismo. La recente radiotrasmissione pronunciata dal Duce ha provocato gioia e commozione ai soli pochi fascisti esistenti in provincia; la rimanente massa è rimasta completamente inerte. La propaganda che viene fatta con emissioni radiofoniche viene assorbita profondamente e l’oro nemico riesce facilmente a corrompere animi e idee di numerose persone. In provincia, ma specialmente nella zona montana, vi sono ancora numerose bande armate di ribelli che vengono rifornite di viveri ed altro dalla compiacente popolazione. Il locale Comando Germanico è sempre stato informato, ma azioni di rastrellamento, per ora, non sono state compiute.
Il clero lavora assai e s’ingerisce, seppure in forma occulta, di questioni politiche e militari. L’omertà in questa zona è fortissima e le persone che vengono colte in fallo, per questioni politiche o non, si fanno piuttosto fucilare che fare i nomi dei loro mandatari.
Nell’ambiente militare, per ciò che riguarda la presentazione dei giovani nelle classi attualmente richiamate, dopo attiva opera di convincimento e dopo alcune azioni di rastrellamento di giovani e prelevamento dei loro familiari, si è raggiunta la cifra di circa 1500 reclute.
Il locale Comando Militare Provinciale incontra però delle difficoltà per ciò che riguardala vestlzlone ed il vettovagliamento di dette reclute. Presso il locale distretto militare si vedono nuovamente quegli ufficiali che già prestavano servizio 1’8 settembre e parecchi di loro lasciano molto a desiderare dal lato politico e anche militare.
Le truppe germaniche dislocate in provincia mantengono un contegno più che corretto. Il nuovo Questore, che è ufficiale superiore della Milizia in s.p.e. [servizio permanente effettivo], ha dato nuova vita a tale organo di polizia e le operazioni che compie sono continue ed efficaci.
Pochissimi sono gli iscritti al P.F.R. Il nuovo Commissario Federale lavora intensamente ma a tutt’oggi non si nota un sensibile miglioramento circa la mentalità della massa. Ancora molta gente sta alla finestra in attesa di eventi. Nello stesso ambiente fascista si nota un certo senso di sfiducia verso gli organi politici superiori.
Da troppo tempo il fascista aspetta l’esito dei risultati della Commissione giudicatrice dei membri del Gran Consiglio".


Not. 10-1-44, p. 3 [AS]
"Il 5 c.m., le maestranze della Officine Elettromeccaniche di Giacomo Pellizzari (Arzignano) si sono poste in sciopero per motivi di carattere amministrativo. Nessun incidente di O.P. Mancano particolari circa la ripresa, o meno, del lavoro".


Not. 16-1-44, p. 2 [5]
"Il 7 corrente, in frazione Magrè di Schio, circa 50 operai del setificio Arnaldo Bressan sospesero il lavoro per un’ora non avendo avuto il saldo dell’indennità di lire 350 loro spettante come da accordo sancito dall’Unione Fascista Industriali di Vicenza".


Not. 26-1-44, p. 2 [6]
"Permane fra la popolazione il disinteresse per tutto quanto si riferisce alla situazione politica.
Il pensiero dominante è quello di lasciare la città per rifugiarsi in campagna, al riparo dalle offese aeree.
I non abbienti si sobbarcano giornalmente al disagio di sfollare dalla città alle ore 10 antimeridiane per rientrare solo nel tardo pomeriggio.
Per quanto lenta, si constata una graduale rinascita nel Fascio Repubblicano del capoluogo e nei Fasci della Provincia.
Migliorata la situazione alimentare per effetto d’una più regolare assegnazione e distribuzione dei generi razionati".



MARZO 1944

 

Gli eventi di questo mese sono conosciuti come «Gli scioperi di Marzo». Ho già detto nell’introduzione che è stato l’unico sciopero generale in tutta l’Europa oppressa dalla svastica. L’agitazione avvenne prima nelle grandi fabbriche di Torino, Genova e Milano per miglioramenti  economici adeguati al costo della vita, riduzione dell’orario di lavoro e contro la precettazione del lavoratori destinati al lavoro nelle fabbriche tedesche che scarseggiano di manodopera a causa del prolungarsi della guerra. Si allarga poi anche alle altre regioni coinvolgemdo grandi e piccole fabbriche. Le motivazioni sono le stesse ma si hanno anche scioperi di solidarietà (Fabbrica Cioccolato di Santorso).

L’apparato poliziesco «svolge opera di persuasione» e repressione; gli industriali effettuano serrate ma l’agitazione non cessa. A questo punto i nazisti intervengono: arrestano e fucilano gli operai in sciopero (30 marzo: Arzignano), i treni diretti ai lager si riempiono di rastrellati e deportati.

 

Le parole d’ordine e l’ampiezza dimostrano a sufficienza che non fu uno sciopero casuale, ma alla sua realizzazione contribuì in modo determinante una rete che andava dai CLN ai Comitati Segreti di Agitazione fino agli organismi territoriali armati (GAP e SAP), chiamati a difendere i manifestanti.


Pietro Secchia ha raccolto dei dati sulla partecipazione che riteneva incompleti:

 

Stabilimento Scioperanti
Smalterie Italiane (Bassano) 1.200 - Lanificio Rossi (Schio) 1.300 - Lanificio Rossi (Pieve) 967 - Lanificio Rossi (Torre) 900 - Lanificio Cazzola 900 - Lanificio Conte 900 - Setificio S. Vito 200 - Fonderia De Pretto 300 - Fomit 200 Smith 150 - Lanificio Marzotto (Valdagno) 4.000 - Sava (Vicenza) 600 - Canapificio (Cavazzale) 900 - Safta (Este) 300

Un numero imprecisato di operai inoltre avrebbero scioperato alla fabbrica Navette Saccardo e alle Industrie tessili vicentine, nel vicentino, alle officine Stanga e Breda. Anche senza questi ultimi, gli scioperi del marzo 1944 nel Veneto avrebbero partecipato circa 17 mila operai, cifra enorme per l’epoca e la situazione, che dà un’idea dell’ampiezza e della forza del movimento.


Nei «Notiziari» di RISERVATO A MUSSOLINI il funzionario dell’Ufficio politico così scrive in merito agli scioperi del marzo 1944:


Not. 3-3-44, pp. 5-6 [O]
L’andamento delle operazioni militari nell’Italia meridionale influisce favorevolmente sulle condizioni dello spirito pubblico, inducendo la popolazione ad un più realistico esame della situazione militare.

Non pertanto la situazione politica interna permane sempre difficile a causa soprattutto della cattiva impressione prodotta nei vari ambienti dai noti atti di violenza commessi dalla disciolta squadra di azione della locale Federazione del P.F.R. La situazione economica non ha subìto mutamenti degni di rilievo. Persistono le note lagnanze per l’irregolare distribuzione dei generi tesserati. Nel decorso febbraio la razione personale di burro venne limitata a soli 50 grammi. Motivo di viva lagnanza e poi sempre costituito dal progressivo rincaro del costo della vita. Le maestranze cotoniere e laniere della provincia sono vivamente preoccupate in seguito alla notizia secondo la quale la Società Elettrica Adriatica sarà costretta a ridurre del 35% il consumo di energia per scarsità di acqua nei bacini e perché la centrale elettrica di Terni, che e allacciata alla rete di Vicenza, è stata danneggiata dai recenti bombardamenti.
Il figlio del Senatore Cavazzi ha preannunciato la chiusura totale dello stabilimento tessile di Dueville (Vicenza) per le cause sopradette e anche per mancanza di materie prime.
Se tale chiusura dovesse realmente avvenire, sarebbero oltre 3000 operai che rimarrebbero senza lavoro.
Le recenti disposizioni emanate dal Duce per i giovani che appartengono alle classi di leva richiamate hanno provocato una immediata reazione, ed infatti si nota in questi giorni un continuo e forte afflusso di giovani che si presentano al distretto militare. Questo provvedimento è stato naturalmente visto con gioia da parte di quelle famiglie che hanno i loro figli alle armi già da qualche mese.


Not. 8-3-44, p. 18 [5]

Il 29 febbraio u.s., in Schio, circa 1000 operai e operaie del lanificio «Rossi» 1300 operai e operaie del lanificio pure di «Rossi» di Pieve e Torrebelvicino, 450 del lanificio «Conte» e 750 del lanificio «Cazzola” sospesero il lavoro in segno di protesta contro la precettazione degli operai e operaie da destinarsi in Germania. Per lo stesso motivo 350 operai della fonderia «De Pretto-Escher Wiss» e 71 della carrozzeria per auto «Luigi Della Via», sospesero il lavoro rispettivamente dalle ore 13,30 alle 15,15 e dalle ore 14 alle 16,15. Nessun perturbamento per l’ordine pubblico.


Not. 3-3-44, p. 19 [5]
Il 1° corrente, in Schio e dintorni, oltre 40.000 operai delle varie industrie hanno iniziato lo sciopero. Cause apparenti dovute alla precettazione di operaie e operai per l’avviamento al lavoro in Germania.


Not. 9-3-44, p. 8 [5]
Il 1° corrente, in Santorso, 70 lavoratori della ditta «Gregori» e 150 della ditta «Saccardo», recatisi al lavoro, rimasero inattivi in segno di protesta per la precettazione degli operai italiani destinati in Germania.


Not. 5-3-44, p. 9 [5]
Il 2 corrente, in Santorso, gli operai della fabbolta dalla G.N.R.
 rica cioccolato, circa un centinaio, rimasero inattivi ai posti di lavoro per solidarietà con gli scioperanti della provincia. Anche gli operai, circa un centinaio, della filanda «Maule&Massigna», di Malo, sospesero il lavoro riprendendolo dopo circa due ore per l’opera di persuasione sv

 

Not. 6-3-44, p. 17 [U]
Il 3 corrente, circa 4000 operai dei lanifici «Marzotto» di Valdagno e Maglio di Sopra (Vicenza) hanno iniziato lo sciopero bianco, pare in segno di protesta contro la recente chiamata dei giovani per l’avviamento al lavoro in Germania.


 

Not. 15-3-44, p. 8 [AS] - Vicenza
Giunge ora notizia che il 6 corrente, alle ore li, gli operai dipendenti dalle officine veicoli FF.SS. abbandonarono in massa il lavoro protestando perché la giornata lavorativa è stata portata da 8 a 9 ore e reclamando i supplementi del pane del mese di marzo e una sufficiente assegnazione di grassi, nonché una paga adeguata al costo attuale della vita. Intervennero immediatamente la Polizia ferroviaria G.N.R., il rappresentante germanico presso le officine e il capo dell’impianto, i quali riuscirono a calmare gli operai, tra cui però permane vivo malcontento.


Not. 11-3-44, p. 5 [S]
iL’8 corrente, gli operai dei lanifici Marzotto di Valdagno ripresero il lavoro. Il giorno di ripresa era stato precedentemente fssato dalle competenti autorità.


Not. 11-3-44, p. 19 [U]
Il mattino dell’8 corrente, in Vicenza, le maestranze del cotonificio Rossi (470 operaie) si misero in sciopero, pare per protestare contro la precettazione di operaie per la Germania.
Ripresero il lavoro alle ore 18 dello stesso giorno.


Not. 17-3-44, p. 8 [S] - Vicenza
L’a corrente. circa 400 operaie dello stabilimento «Industrie tessili vicentine» rifiutarono di intraprendere il lavoro in segno di protesta per il sorteggio di mano d’opera da avviare in Germania. Il segretario dell’unione lavoratori industria svolse opera persuasiva, ma non riuscì a far desistere le manifestanti dal loro atteggiamento. Le maestranze hanno dichiarato di essere disposte a continuare il lavoro purché restino In Italia.


Not. 18-3-44, p. 34 [V]
Il 9 corrente alle ore 10,30, nel cotonificio Rossi di Chiuppano, ove lavorano 145 donne e 15 uomini, per ordine dell’Autorità Provinciale vennero sorteggiati 11 donne e 3 uomini da inviare in Germania. La massa operaia disapprovava e i dirigenti, per evitare inconvenienti, sospesero il lavoro per la giornata. Il proprietario del cotonificio sospese il lavoro anche il giorno dopo in attesa di istruzioni da parte delle Autorità Provinciali. L’11 corrente, il consigliere delegato intrattenne gli operai sul servizio del lavoro in Germania, calmando le apprensioni delle maestranze.


Not. 13-3-44, p. 25 [U]
Il 10 corrente, in Rossano Veneto (Vicenza), circa 70 operaie della locale filanda si astennero dal lavoro per protestare contro l’aumento delle ore lavorative. Nessun incidente.


Not. 21-3-44, p. 8 [O]
Il 13 corrente, la commissione di fabbrica del Canapificio G. Roi di Cavazzale, comune Monticello Conte Otto, chiuso per ferie fino al 20 corrente, avrebbe dovuto procedere al sorteggio di 60 donne e 21 uomini da inviare al servizio del lavoro in Germania. Per protesta circa 500 operai, in prevalenza donne, forzato il portone dello stabili¬mento, entrarono tumultuosamente nell’interno gridando: «non vogliamo andare in Germania, ma vogliamo lavorare per i tedeschi stando in Italia –, allontanandosi soltanto alle ore 18, dopo che il segretario dell’unione lavoratori industria di Vicenza e dirigenti assicurarono che sarebbero partiti soltanto i volontari.


Not. 24-3-44, p. 25 [U]
Fa seguito alla segnalazione inserita nel notiziario del 23 corrente. Le maestranze del lanificio Rossi di Dueville (Vicenza) ripresero il lavoro nel pomeriggio dello stesso giorno in cui avevano iniziato lo sciopero.


Not. 17-3-44, pp. 3-4 [O]
Le condizioni dello spirito pubblico sono depresse. Esiste nelle masse diffuso senso di stanchezza, determinato dall’incertezza dell’avvenire, dal timore dell’inutilità dei sacrifici e dal crescente rincaro del costo della vita, che comporta, specie nelle classi meno abbienti, gravi sacrifici. Le recenti chiamate alle armi e le più disparate voci che corrono sull’impiego dei reparti dell’Esercito Repubblicano (si dice che andranno a combattere fuori del territorio nazionale) costituiscono altrettante fonti di depressione. La recente precettazione delle donne per il servizio del lavoro in Germania ha creato una vera e propria rivolta spirituale nella concezione latina e religiosa della famiglia italiana, rivolta che si ripercuote sulle già scarse simpatie della popolazione verso i tedeschi. La conseguente affrettata selezione di uomini e donne da parte dei Sindacati – uomini con numerosa prole, donne con figli lattanti, ragazze in particolari condizioni familiari – ha determinato vivo malumore nella massa. Le voci, poi, che da qualche tempo a questa parte corrono con insistenza, e secondo le quali i tedeschi assumerebbero in provincia la direzione della cosa pubblica, aumentano l’apprensione e, sotto certi riguardi, ledono il prestigio del nostro Governo. La situazione del lavoro può ritenersi normale nonostante la diminuita attività di alcune industrie che, per mancanza di materie prime, hanno ridotto i turni di lavoro o addirittura sospeso la loro attività. In complesso, però, la disoccupazione è molto limitata, tenuto conto della grande maggioranza di operai agricoli. Non è tuttavia da nascondere il disagio materiale delle classi lavoratrici, le quali, in conseguenza dell’elevato costo della vita, sono costrette a seri sacrifici.
La situazione alimentare è pesante. Scarseggiano i generi: i grassi sono pochi e non sempre le assegnazioni, già insufficienti per se stesse, vengono distribuite tempestivamente. Recentemente si è verificato la completa scomparsa dal mercato della verdura, cosa questa che ha inciso sensibilmente sulla situazione generale. Il mercato nero è sempre attivo nonostante la vigilanza degli organi responsabili.




APRILE 1944

 

Continuano a scioperare gli operai di alcune aziende mentre si allargano in tutta la Provincia di Vicenza le agitazioni ad opera di donne principalmente contro la scrematura del latte ed i ritardi nella consegna dei generi razionati. La G.N.R. in qualche caso interviene. Di fronte al fallimento di tutti i bandi precedenti viene lanciata l’«offensiva di pace» con il Decreto del 26 aprile che promette ai renitenti e ribelli che rientrano ai Distretti il perdono; ma intanto nelle caserme continuano le fucilazioni e i processi davanti ai Tribunali Militari Straordinari.


Not. 5-4-44, p. 54 [V]
Viene ora segnalato che, il 17 marzo u.s., alle ore 11, in Caltrano, davanti al Municipio si radunarono circa 150 donne per protestare contro le disposizioni concernenti l’ammasso delle uova, ritenute eccessive. Le convenute emisero grida contro il Commissario Prefettizio, bruciarono alcuni awisi affissi all’albo e lacerarono cartoline personali di avviso per la consegna delle uova stesse. Intervenuta la G.N.R., le dimostranti si allontanarono.


Not. 5-4-44, p. 28 [U]
Solo ora giunge notizia che il 28 marzo U.S. in Arzignano (Vicenza), circa 1500 lavoratori della fabbrica motori Pellizzari e della conceria Brusarosso si astennero dal lavoro per protestare contro il provvedimento di precettazione di operai da inviare in Germania per il servizio del lavoro. Avendo l’autorità tedesca sospesa la precettazione, le maestranze ritornarono al lavoro senza dar luogo ad incidenti.


Not. 16-4-44, p. 21 [V]
Il 30 marzo U.S., ad Arzignano, le autorità tedesche del posto fucilarono quattro operai dello stabilimento di Pompe e Motori Pellizzari colpevoli di aver organizzato lo sciopero in detta fabbrica. La sentenza è stata letta, alle ore 9 del giorno successivo, da un maggiore germanico alla presenza di tutti gli operai.


Not. 4-4-44, pp. 4-5 [O]
La situazione politica della provincia non ha subìto sostanziali mutamenti e nel suo complesso permane delicata.
In vari ambienti va prendendo consistenza la voce secondo la quale lo sciopero bianco che, come è avvenuto in altre province, è completamente fallito, sia stato una prova di assaggio per conoscere l’animo delle maestranze. Queste attualmente sono calme apparenza, ma l’assieme della situazione politica-economica-militare fa temere a molti che fra non molto venga proclamato altro sciopero di più vaste proporzioni. Lo si  deduce dal fatto che la massa, e si può dire quasi tutta la totalità, è nettamente contraria al Governo Repubblicano.
Non pertanto si ha motivo di ritenere che la situazione potrebbe migliorare notevolmente qualora si potesse in qualche modo risolvere il problema alimentare e la guerra prendesse uno sviluppo favorevole alle potenze dell’Asse.
La situazione economica non manifesta alcun sintomo di miglioramento.
Nel settore alimentare si continua a lamentare che i viveri tesserati o contingentati sono insufficienti e distribuiti con ritardo; che i mercati scarseggiano di prodotti ortofrutticoli; che il costo della vita è in progressivo aumento.
Nel settore industriale, poi, si constata come il lavoro sia in diminuzione a causa della mancanza di materie prime e di energia elettrica.
Da qualche tempo Vicenza è soggetta ad allarmi aerei.
Il più delle volte le sirene annunciano l’imminenza del pericolo quando già gli apparecchi nemici sorvolano il cielo della città. Ciò provoca forte risentimento, specialmente nella massa operaia, la quale si scaglia contro il Comando Germanico, cui attribuisce la causa del ritardo, ed afferma che, ove non si provveda ad eliminare l’inconveniente, si asterrà dal lavoro.


Not. 14-4-44, p. 26 [V]
Il 4 corrente, alle ore 9,30 in Sandrigo, circa 100 donne si radunarono davanti alla sede del municipio per protestare contro il provvedimento, emanato dal Capo della Provincia, inerente alla scrematura del latte per uso alimentare.
Il pronto intervento di militari della G.N.R. valse a ristabilire l’ordine.
Analoga manifestazione fu svolta in Zugliano da circa 40 donne.


Not. 18-4-44, p. 23 [V]
Il 7 corrente, alle ore 18, in Thiene, circa 150 donne, radunatesi davanti alla latteria centrale  protestarono contro la scrematura del latte, impedendo che il prodotto venisse conferito all’apposito centro di raccolta.
Analoghe manifestazioni vennero inscenate il 6 e il 7 andante nei comuni di Marano Vicentino, Zanè, Zugliano, Chiuppano e Carrè.
Disposti, da parte della G.N.R., i servizi di vigilanza del caso.


Not. 16-4-44, p. 10 [S]
Il 7 corrente, alle ore 16.30, circa 1500 operai dello stabilimento Rossi di Piovene iniziarono lo sciopero in segno di protesta contro i salari, ritenuti troppo bassi in rapporto al costo della vita.
Il lavoro venne ripreso il mattino successivo, dopo l’intervento della commissione alimentare tedesca, che ha ritenute giustificate le richieste avanzate dagli operai.


Not. 15-4-44, p. 17 [V]
Il mattino del 10 corrente, in Albettone, circa 100 donne improvvisarono una manifestazione per protestare contro il provvedimento concernente la scrematura del latte per recuperare grassi. -L’intervento della G.N.R. valse a ristabilire l’ordine.


Not. 23-4-44, p. 27 [V]
Il 10 corrente, in Sandrigo, una cinquantina di donne si adunarono per protestare contro le disposizioni in atto, circa la scrematura del latte, impedendo ai contadini di portare il prodotto nelle latterie e obbligandoli a consegnarlo a loro.
Si ritiene che tali atti di protesta abbiano a ripetersi.
L’11 corrente, in Chiuppano, un centinaio di donne si adunarono davanti la sede del municipio per protestare circa la mancata distribuzione mensile del sale, dei grassi, del sapone e delle marmellate, incolpando del fatto il Commissario Prefettizio.


Not. 21-4-44, p. 22 [V]
Il 12 corrente, alle ore 17,30, nel comune di Longare, un centinaio di donne si riunirono davanti al palazzo municipale per protestare contro la disposizione del Capo della Provincia concernente la scrematura del latte nella misura del 2%.
Intervenuti tempestivamente militi del locale distaccamento delle G.N.R., le convenute si allontanarono.


Not. 24-4-44, p. 23 [V]
Il 13 corrente, alle ore 19,30 in Canove di Roana, una ventina di donne tentarono di impedire l’afflusso del latte nel locale spaccio asserendo che quello distribuito la mattina era andato a male, in seguito alla scrematura. Il commissario prefettizio ordinò che venisse distribuito il latte integro.


Not. 1-5-44, p. 5 [O]
Le condizioni dello spirito pubblico tendono, in questi giorni, a peggiorare. La popolazione è sfiduciata, specie nei riguardi dell’opera esercitata dalle autorità competenti nei servizi alimentari. I recenti prezzi massimi, stabiliti per i generi di prima necessità, hanno determinato l’immediata rarefazione dei prodotti e, in conseguenza, aspre critiche contro il provvedimento. Nel settore economico non si nota un miglioramento, nonostante l’aumentata razione giornaliera del pane. Ciò è dovuto, principalmente, alle penuria dei grassi, che vengono irregolarmente distribuiti e in quantità insufficiente al reale fabbisogno. Il mercato nero è sempre attivissimo. Le piogge cadute in questi ultimi giorni hanno determinato il superamento della crisi di siccità nelle colture e si spera di ottenere dei buoni raccolti. Nel campo industriale continua il lavoro ad orario ridotto per la scarsità delle materie prime e la limitazione nel consumo dell’energia elettrica.



MAGGIO 1944

 

Questo mese inizia con la tradizionale festa cara al movimento operaio che anche durante il ventennio ha continuato a celebrare nonostante la repressione fascista giocata spesso con espedienti astuti come racconta Meneghello nel suo libro. Fin dalla vigilia sui muri compaiono inviti alla lotta raccolti dalle lavoratrici della filanda di Malo che scioperano per mezza giornata. Le Autorità continuano a registrare l’aumento dei prezzi e del mercato nero contro cui nulla possono le misure adottate. Il 25 maggio scade il bando del 26 aprile, («bando del perdono»), perché promette l’amnistia a chi depone le armi e ai renitenti che si presentano. Per la R.S.I. è l’ennesimo fallimento. Le Autorità cominciano ad avvertire la presenza partigiana.

 

Not. 10-5-44, p. 12 [S]
II 30 aprile U.S., verso le ore 24, in Malo, elementi della G.N.R. rinvennero sui muri delle abitazioni alcune scritte sovversive incitanti gli operai a scioperare il 1° maggio.
Il mattino del giorno successivo 200 operaie delle locali filande si astennero dal lavoro, ripresentandosi negli stabilimenti alle ore 13 dello stesso giorno.


Not. 2-5-44, p. 29 [U]
Il 1° corrente, fino alle ore 20, in Vicenza completa normalità.


Not. 14-5-44, p. 3 [O]
La situazione politica non ha subito sostanziali mutamenti. Le famiglie che hanno congiunti a lavorare in Germania si lamentano perché non ricevono tempestivamente le rimesse in denaro. Di ciò approfitta naturalmente la propaganda avversaria per insinuare che i tedeschi non rispettano gli accordi contrattuali. Nella zona prealpina, la presenza di ribelli continua a preoccupare quelle popolazioni, e ciò, nonostante che le operazioni di rastrellamento abbiano già liberato le zone montane di molti elementi fuori legge. I prezzi politici del vino non hanno prodotto l’effetto desiderato perché grossisti e produttori in genere preferiscono imboscare la merce piuttosto di venderla a prezzi che loro ritengono non remunerativi; né valgono a normalizzare la situazione le fortissime multe già applicate dall’ufficio provinciale controllo prezzi. Recentemente il Tribunale Militare Straordinario ha condannato 53 renitenti a pene variabili dai 10 ai 24 anni di reclusione. L’esecuzione della pena è stata sospesa perché tutti i condannati hanno chiesto di essere avviati nella zona di operazioni.


Not. 22-5-44, pp. 2-3 [O]
Permane il malcontento fra le famiglie dei lavoratori avviati in Germania, perché non sono stati finora corrisposti gli assegni o sussidi previsti.
II costo della vita ha segnato, in questi ultimi tempi, un sensibile aumento sui mercati locali. Si lamenta la sparizione dai mercati delle verdure. Ciò è dipeso dal fatto che sono stati stabiliti prezzi non ritenuti rimuneravi dai produttori e rivenditori. Intanto le verdure si possono trovare al mercato nero, a prezzi inaccessibili al popolo minuto.
Le operazioni inerenti la costituzione dell’Esercito Repubblicano procedono abbastanza regolarmente, ma permangono le note difficoltà relative all’accasermamento, all’equipaggiamento e all’armamento. Queste difficoltà influiscono in senso negativo sullo spirito della truppa e sul morale degli ufficiali preposti alla riorganizzazione. Attraverso l’esame della corrispondenza da parte della censura si è rilevato che fra le truppe viene svolta una propaganda generica tendente a dimostrare che la partita è perduta per cui ogni sforzo è pressoché inutile. Tale propaganda mira a indurre i militari a disertare, facendo apparire come prossimo il sopravvento dei nemici e quindi la completa catastrofe nostra e degli alleati germanici.
Fra gli operai delle Officine Ferroviarie di Vicenza serpeggia vivo malcontento sia per l’incomprensione e la trascuranza di alcuni dirigenti (ing. Luilio Bertola e ing. Manlio Simonetti) sia per altri motivi, quale l’insufficienza e la non buona qualità del rancio, il ritardo nella distribuzione delle paghe, la soppressione delle indennità di trasferta e di bombardamento per gli operai sfollati da Foggia e da Napoli, l’insufficiente trattamento economico previsto per gli avventizi, tanto più evidente nel confronto con le retribuzioni stabilite per il personale di ruolo. Le suddette cause sono state segnalate al ministero delle Comunicazioni dall’Ispettorato di Polizia Ferroviaria della G.N.R., insieme con un elenco di operai identificati quali sobillatori dell’astensione dal lavoro recentemente verificatasi.


Not. 8-6-44, pp. 1-2 [O]
Continua, ed in modo piuttosto accentuato, l’opera occulta di propaganda antinazionale, che viene svolta da elementi al soldo del nemico fra le masse operaie e i reparti militari. Questa propaganda mira a persuadere la massa che quanto prima ci sarà la disfatta dell’Esercito Germanico con la conseguente soppressione dei fascisti ed a convincere che il Governo Repubblicano non ha alcun potere di iniziativa. Le masse restano però in po¬sizione di attesa.
Si è verificato che sono scomparsi dal mercato certi tipi di ortaglie e se ne attribuisce la causa al fatto che i prezzi fissati dall’apposita commissione provinciale sono troppo bassi rispetto a quelli fissati in altre province sicché il produttore trova conveniente esportare la merce nonostante le sensibili spese di trasporto. Per mancanza assoluta di materie prime, numerose filande hanno dovuto sospendere il lavoro con la conseguente disoccupazione delle rispettive maestranze.
Gli operai del lanificio Rossi di Piovene Rocchette manifestano sintomi di malcontento perché non hanno ancora ricevuto l’aumento di lire 30 settimanali, che era stato loro promesso.
Segnalato il continuo spostamento da una vallata all’altra di gruppi armati (dai 30 ai 50 elementi) di banditi i quali compiono le solite gesta di brigantaggio e rapina ai danni di quiete popolazioni e di piccole industrie, come caseifici ecc. Per contro sono state compiute azioni di repressione anche da reparti germanici. Un renitente, che già faceva parte di bande, e che è stato lasciato libero dai suoi capi perché ammalato, ha dichiarato che una banda comandata da un ufficiale superiore —inglese e da diversi luogotenenti di diverse nazionalità è dislocata nella zona di Cima 11 e Cima 12 ed altre località dell’Altipiano di Asiago e che conta circa un migliaio di uomini, suddivisi in diversi reparti. La vita è durissima, le marce di questi reparti sono quotidiane, di lunghissimi percorsi, a forte andatura, in modo da allenare i componenti alle fatiche ed ai disagi più duri in maniera da potere agevolmente sostenere il peso della guerriglia fatta a base di imboscate, di sorprese, di arditi colpi di mano e di veloci manovre di sganciamento da forze attaccanti e d’assalto ai fianchi ed alle spalle delle stesse. Il giovane ha riferito pure che il rifornimento con aerei è costante ed assolu¬tamente puntuale e che le riserve di viveri e armi sono cospicue e bastanti per diversi mesi".


Sul problema della presenza partigiana riportiamo il testo integrale di un volantino (originale presso Archivio di Alberto Sartori -Vicenza) che fu lanciato su tutto l’arco alpino, covo presunto di bande partigiane; nel volantino la propaganda della R.S.I. tocca tutte le corde dell’animo italiano: onore, famiglia, patria, .nazione, Risorgimento e così via.


TU, che non ti sei presentato alla chiamata alle armi, che sei fuggito, ti sei nascosto, o vagoli sbandato nelle campagne: perché hai fatto questo? Per insofferenza della disciplina militare? Per opposizione contro la Repubblica Italiana? Per vigliaccheria?

 

Se è per quest’ultima ragione, restati pure dove sei. Ti sei qualificato da te. I vigliacchi  non hanno posto nelle file dell’esercito della Repubblica Italiana. Non sappiamo che farcene di te. Ti arriverà la fucilazione nella schiena, e il tuo nome e il nome della tua famiglia sarà infamato per sempre. Amen. Sei fango, e in fango finisci. O invece hai un proposito: sei contro la Repubblica Italiana. Ma la Repubblica Sociale Italiana è oggi il tuo Stato, la tua Nazione, la tua Patria. La rinneghi? E tu rinneghi i millenni di storia dell’Italia, la più gloriosa storia che mai sia stata al mondo; tu rinneghi la nobilissima discendenza della tua stirpe da Roma eterna; tu rinneghi ogni nostra grandezza passata, il travaglio di cento generazioni per dare al mondo la più alta civiltà che mai l’umanità abbia raggiunta.

 

Tu rinneghi tutta la schiera dei nostri Santi, dai nostri Eroi, dei nostri Poeti, e i Geni tutelari. Tu rinneghi la nostra religione cattolica apostolica e romana, e i màrtiri di ogni fede, e i caduti di tutte le guerre. Tu rinneghi il nostro Risorgimento, e sprezzi il nostro avvenire. Tu rinneghi questa grande immortale madre: l’ITALIA. Preferiresti essere dall’altra parte? Preferiresti essere trattato come uno schiavo negro dai plutocrati anglo-americani, come essi ora trattano, i nostri prigionieri, come trattano le popolazioni derelitte e affamate di quella parte d’Italia purtroppo invasa, per colpa dei traditori, come trattano i tuoi fratelli del mezzogiorno e delle Isole, alternando gli scherni alle scudisciate e alle fucilazioni? O preferiresti essere ridotto a uno strumento meccanico di lavoro, all’annientamento della tua personalità, schiacciato dal supercapitalismo di stato dei soviet, nella zaristica repubblica bolscevica?

 

Apri gli occhi, sciagurato. Cerca di ragionare col tuo cervello, e non con le castronerie di cui ti hanno imbottito il cranio gli agenti prezzolati del nemico, le radio del nemico, la malvagia menzogna organizzata dal nemico. Vedi tu una via di salvezza diversa da quella di stringerci tutti alla difesa del nostro paese, di conquistare con le armi la nostra libertà di popolo, per decidere poi noi, noi soli, del nostro destino? Ti credi più antiveggente di Mazzini, che preconizzò e preparò questa nostra Repubblica? Ti credi più geniale di Cavour, che fece l’unità d’Italia? Ti credi più eroico di Garibaldi, che combatté su tutti i campi dell’indipendenza italiana?

Povero illuso, o traviato che tu sia: medita, un poco su qualche verità fondamentale. Medita con te stesso. E ti convincerai, se hai soltanto un grano di buon senso, che per gl’italiani non c’è che questa via d’uscita: combattere fino in fondo questa tremenda guerra, e vincere. Non c’è remissione. Mancare a questa prova decisiva significa precipitare nell’estrema catastrofe, uccidersi, scomparire come popolo. Ma se si supera questa cruenta prova tremenda, noi saremo i fondatori dell’ordine nuovo nel mondo, inizieremo l’era nuova: un’era di libertà, di giustizia, di fratellanza umana, autenticamente era cristiana, Abbattute le tirannidi ipocritamente mascherate di democrazia e quelle brutali del bolscevismo, saranno soppresse le ingiustizie internazionali e sociali; e noi instaureremo quel regime di equità che Mazzini profetava, augurando che la Giovane Italia preparerebbe gli stati uniti d’Europa.

La giovane Italia oggi sorge in piedi, è pronta al suo dovere, si accinge in armi alla sua sacra missione redentrice, la quale comincia di necessità e logicamente dalla difesa e dalla liberazione del nostro territorio. E TU MANCHI ALL’APPELLO? TU SOLO? TU TRADISCI?

Oppure tu non ha risposto alla chiamata alle armi, non ti sei ancora presentato, per pigrizia, per insofferenza della disciplina militare? E puoi pensare che esista una qualunque organizzazione umana senza disciplina, senza costrizione per l’individuo, senza sacrifici? E non sai che qualunque attività tu pratichi e praticherai nella vita esige disciplina? Non vige una disciplina nella tua famiglia, regolata dal padre? Il tuo lavoro, e d’intelletto e di braccia, o professione o lavoro d’arte o di mestiere o di commercio o manovale, sempre e comunque non è regolato da una propria disciplina? La natura stessa, l’universo non obbedisce a una disciplina inviolabile, in dipendenza dalle sue leggi eterne?

E tu ti sgomenti e rilutti d’essere costretto alla disciplina militare? Perché a questa piuttosto che a qualunque altra? Eppure questa, se l’esperimenterai, riconoscerai che è semplice, equilibrata, ispirata a norme tradizionali, che per essere, nel fondamento e nella sostanza, pressoché eguali in tutti gli eserciti, dimostrano d’essere indispensabili e appropriate. Questa militare è una disciplina educatrice dello spirito e del corpo, la cui esperienza ti avvantaggerà poi e gioverà nella vita quanto tu non puoi immaginare: farà di te un uomo nel senso pieno e più nobile della parola,.

Ora, decidi tu.

Da un lato hai la via del dovere e dell’uomo, e ti si promette la gratitudine della Patria; dall’altro lato e la via della viltà e del disonore, e prima o poi ti colpirebbe implacabile condanna. Scegli tu.

Scegli tra l’essere il soldato di una santa causa, o il traditore dei tuoi fratelli. Tu scegli – bada – tra la VITA e la MORTE. Esiteresti ancora? È la Patria che ti chiama: l’ITALIA. Se hai sangue italiano nelle vene, se non sei nato bastardo e non sei un rinnegato, la tua risposta non può essere che una:

Eccomi: ITALIA."



 

Per concludere questa rassegna di notizie sulle agitazioni operaie e contadine in provincia di Vicenza riportiamo uno stralcio da G. Gaddi(I Comunisti della Resistenza Veneta - Vangelista ed., 1977):


Sempre in provincia di Vicenza uno sciopero particolarmente significativo aveva luogo a Schio il 25 e 26 ottobre 1944. Di questo siamo in grado di riprodurre il verbale-relazione, steso già la sera del 27 ottobre dal Comitato sindacale:


"Alcuni giorni prima dello sciopero un gruppo di operaie avevano già manifestato il loro malcontento per le precarie condizioni economiche della massa lavoratrice, protestando a viva voce contro il locale Commissario Prefettizio, senza alcun esito favorevole, quando giunsero voci di violenze carnali perpetrate da due ufficiali e tre militi della brigata nera ai danni di alcune ragazze e donne, abitanti alla periferia di Schio. Al mattino del giorno 25 una delle ragazze violentate si presentò al Lanificio Cazzola ove lavorano circa 700 operai.

 

Al racconto del fatto accadutole gli operai, e specie le donne, cominciarono subito a manifestare la loro indignazione che si concretizzò con la fermata di tutto lo stabilimento alle ore 9. Intervennero le autorità che, chiesto alla ragazza se avesse potuto nconoscere i colpevoli, avutane risposta affermativa, la condussero seco al Comando militare promettendo severe misure. Lo sciopero cessò alle ore 15 ma la voce si era ormai sparsa in tutti gli stabilimenti cittadini creando uno stato d’animo tale da far preludere ad una manifestazione unanime. I vari Comitati di Agitazione e i Gruppi per la Difesa della Donna riunitisi decisero lo sciopero generale per le ore 9 del giorno successivo 26 ottobre, facendo diffondere un manifestino tra la massa a firma i Gruppi per la Difesa della Donna, che metteva in risalto l’inaudito affronto subito.

Al mattino del giorno 26 alle ore 9 precise lo sciopero era totale in tutti gli stabilimenti cittadini: Lanificio Rossi centrale (1.800 operai), Lanificio Cazzola (700), Lanificio Conte (400), Lanificio Rossi Pieve (500), Fonderia De Pretto (300), Industria Navette (160). Il tentativo di sabotaggio fatto dalla direzione fascista dello stabilimento Rossi centrale telefonando alle altre industrie per far credere che gli operai lavoravano fu sventato dai nostri compagni, sicuri della perfetta riuscita dello sciopero. Si tentò allora di soffocare il movimento promettendo vaghe sanzioni contro i colpevoli, alle sole maestranze del Lanificio Rossi centrale, ma l’intervento tempestivo dei compagni e delle compagne sventò anche questo tentativo.

Così il locale Commissario Prefettizio, che funge anche da vicedirettore dello stabilimento dovette promettere pubblicamente la punizione dei colpevoli, chiamando tutte le rappresentanze dei vari stabilimenti, fra cui due delle ragazze violentate, a deporre in un verbale i fatti avvenuti. Il Commissario controfirmò il verbale assicurando esemplare punizione, in assenza della quale gli operai avrebbero ripreso lo sciopero, che terminò alle 11,15».


A questo rapporto il Comitato Zona di Schio del PCI faceva seguire una breve postilla:

«La massa risponde sempre unanime all’invito dei Comitati di Agitazione purché le questioni poste siano veramente sentite, dando così prova di coscienza di classe, pur difettando di maturità politica. Le rappresentanze che di volta in volta devono discutere con le autorità locali e con le direzioni non sono capaci di mantenere chiare e precise le loro richieste e sono quindi soggette a facili compromessi, non potendo i compagni troppo noti partecipare. Inoltre si nota nella massa una stanchezza che toglie la possibilità di una lotta continuata, ciò che si spiega con le condizioni contingenti create dal conflitto in corso».



DE PRETTO - ESCHER WYSS
SCHIO

1943-1945
XVIII. Inchiesta di E . Trivellato


La De Pretto-Escher Wyss di Schio è un’importante industria italo-svizzera del settore metalmeccanico, una delle più antiche, ed il cui sviluppo tecnologico è stato costante nel tempo a partire dalla fondazione della iniziale De Pretto, alla successiva fusione con la Escher Wyss di Zurigo e fino ai giorni nostri. Durante l’ultima guerra la ditta non fu militarizzata dai Tedeschi come avvenne per altre industrie meccaniche e tessili scledensi, tuttavia andò incontro a quella grave situazione di stagnazione produttiva conseguente alla guerra.


Da sempre i suoi dipendenti, in assoluta prevalenza scledensi, sono operai altamente specializzati nel settore della meccanica, girano il mondo come aggiustatori e montatori, rappresentano una forza produttiva di prim’ordine.


Pertanto, mi è sembrato interessante ricostruire, attraverso le testimonianze degli operai e di qualche impiegato, l’ambiente interno della ditta durante il periodo che va dall’8 settembre 1943 al 29 aprile 1945: furono tempi difficili per tutti a causa della carestia di materie prime, dei pericoli di bombardamenti, del rallentamento del trasporti, del blocco delle commissioni estere e di infinite altre situazioni di disagio attualmente impensabili.


I racconti degli operai, nella loro semplicità e verità, ne sono la testimonianza. Dall’insieme si ritrae un’impressione generale e cioè che a tutti  i livelli, dirigenti e semplici operai, si cercò di fronteggiare la difficoltà del momento drammatico con uno spirito di solidarietà nei bisogni individuali e nel contempo di fermezza contro il pericolo di deportazione in Germania.


Benché facilitati, sia pur relativamente, dalla neutralità svizzera i dirigenti ed i tecnici della De Pretto-Escher Wyss si preoccuparono di proteggere l’archivio dei disegni industriali ed i macchinari più delicati e di pregio in modo da poter riprendere la capacità produttiva appena finita la guerra ed iniziare così l’altrettanto difficile ricostruzione. Molti altri elementi e dati sarebbero necessari per un giudizio complessivo ma a mio avviso le testimonianze qui riportate sono significative per un panorama dell’ambiente e della situazione di allora. Ringrazio quanti hanno collaborato, in piena disponibilità, alla stesura della presente Inchiesta (24.5.1978) ed in particolare l’Ing. Walter Borer ed il Sign. De Grandis.


I. UFFICIO TECNICO


L’ufficio tecnico di un’industria metalmeccanica è un punto nevralgico dell’attività della ditta. Nel 1944 vi si trovava, tra i vari dipendenti, anche Giovanni Meneghini, appena tornato da lunghi anni di servizio militare. Egli così riferisce:


«A quel tempo la direzione era affidata all’ing. Froelich del quale non ricordo molto perché avevo poche occasioni d’incontrarlo. Alla direzione amministrativa si trovava invece l’ing. Widmer, che aveva come suo dipendente Merito Costalunga ed una o due impiegate; Widrner, fu, a mio avviso, una colonna portante dell’azienda durante quegli anni difficili, indubbiamente un lavoratore instancabile ed una persona equilibrata e di buon senso.

Ugualmente importante fu l’opera dell’ing. Fiorio nel reparto turbine idrauliche e pompe, mentre in quello delle macchine per cartiere si trovava l’ing. Bramati, che aveva sposato una berlinese. In quel periodo la produzione era modesta ed anche all’Ufficio tecnico non c’era molto da fare; d’altronde molte ditte italiane che avevano subìto dei bombardamenti aerei preferivano attendere la fine della guerra prima di rinnovare gli impianti distrutti e quindi anche le commissioni di turbine, pompe, compressori e macchine per cartiere si erano diradate progressivamente; a questa situazione si aggiungano le estreme difficoltà nei trasporti sia delle materie prime che dei nostri prodotti finiti ed infine la continua svalutazione e l’aumento quasi giornaliero dei prezzi.

Non ho dati precisi ma mi sembra che in quel periodo vi fossero in ditta 300-350 operai ed una trentina di impiegati. Era stata istituita una mensa aziendale; a volte si acquistava qualche bovino che veniva macellato all’interno della fabbrica per la mensa e per una distribuzione agli operai in modo da contrastare il mercato nero esterno. Come curiosità ricordo che i vecchi modelli in legno inutilizzabili furono usati per il riscaldamento invernale. Contro il pericolo di bombardamento fu costruito un rifugio in fondo all’officina ed una serie di trincee all’esterno per chi non voleva andare in rifugio; inoltre Ruggero, il nostro archivista, era stato nominato avvistatore d’aerei, benché fosse monocolo.

Di particolare rammento che l’ing. Fiorio si preoccupò che il patrimonio della ditta in disegni industriali (utili per le riparazioni delle macchine sparse per il mondo) non andasse distrutto a causa di incursioni aeree, di incendio o forse anche di rappresaglia tedesca; quindi egli fece una selezione, li raccolse in 7-8 casse metalliche e provvide a farle interrare. Come ditta itala-svizzera era stata issata la bandiera elvetica e sul portone c’era un quadro con alcuni documenti sottovetro, che dichiaravano in tedesco la situazione della ditta: il tutto sottofirmato dalla direzione.

I tedeschi ci avevano commissionato alcuni gassogeni, probabilmente per uso industriale, ma i grossi bidoni non furono mai portati a termine; in proposito ricordo che un nostro disegnatore, un certo Mincato, aveva addirittura progettato e brevettato un nuovo tipo di gassogeno, dal momento che tali impianti erano allora di moda e di un discreto impiego per la estrema carenza di carburanti».


II. UN OPERAIO A RODI

L’ubiquità degli operai scledensi dall’inizio della rivoluzione industriale del 1800 ad oggi è dimostrata anche in periodo bellico e mi è sembrato quindi interessante sottolinearla riportando il racconto di un dipendente della De Pretto Escher Wyss in Schio, cioè di Aldo Sterchele (Cl. 1911), fratello di quel Gastone che, con Gildo Broccardo ed altri, ebbe un ruolo importante nella Resistenza scledense.


«In qualità di meccanico montatore nell’ottobre del 1942 ero stato inviato dalla direzione nell’isola di Rodi a Platania, un paesino dell’interno, per il montaggio di un impianto frigorifero per la conservazione di carne congelata. L’isola di Rodi aveva una composizione mista: smirnioti, turchi, greci, qualche egiziano, un consistente quartiere ebreo e molte colonie di civili italiani, specie nel settore amministrativo. Con 1’8 settembre 1943 l’isola fu occupata dai Tedeschi in un paio di giorni e vi furono dei conflitti a fuoco a piccoli nuclei; il governatore dell’isola mi sembra un ammiraglio di Marina, fu preso dal Tedeschi e, da quanto ho saputo, venne fucilato. Dopo che la Wehrmacht si era ritirata dal Mar Nero, il porto di Rodi diventò un rifugio per il naviglio leggero e per i M.A.S.; inoltre vi erano molti depositi militari ed officine per la riparazione di aerei e come base per i bombardamenti in Egitto.

Dopo l’occupazione tedesca i motori d’aereo vennero portati via e gli ebrei furono deportati nei campi di sterminio; nel 1944 circolò la voce che un’intera nave carica di ebrei partì da Rodi ma non arrivò a destinazione e si raccontava che venne affondata al largo. lo rimasi a Rodi fino alla fine della guerra quando sbarcarono gli Inglesi: le truppe tedesche si arresero e furono adibiti a lavori di sgombero delle macerie (Rodi veniva bombardata quasi giornalmente), di nettezza urbana e di ripulitura dei campi minati. In quei giorni, soprattutto i Greci, manifestarono uno spirito antifascista che ebbe ripercussioni sugli Italiani ivi residenti. Ritornai a Schio nel maggio del 1945».



III. LA SQUADRA DEI VIGILI DEL FUOCO

Durante la guerra all’interno della De Pretto-Escher Wyss si costituì una squadra di pompieri per le situazioni di emergenza e su di essa abbiamo la testimonianza di Antonio Tabelli, aggiustatore meccanico e componente della squadra. Figlio di Faustino e di Pizzolato Caterina, nato a Schio l’11-4-1907 e residente in via Almerigo, 30 nei pressi della Fonderia.


«La squadra pompieri era formata di 7-8 uomini con a capo Ludovico Ciscato ed oggi ricordo Pielli, Rigato, Garziera. Ogni sabato pomeriggio dovevamo compiere tre ore di addestramento, che ci venivano pagate regolarmente; verso la Liberazione si fece, a turno di due, anche il .servizio notturno per i maggiori pericoli conseguenti alla ritirata dei Tedeschi. All’interno della fabbrica non si verificarono grossi incidenti, una volta ci chiamarono per la rottura dei fili d’alta tensione da eccessivo carico di neve ed una seconda perché era andata a fuoco una baracca. La ditta aveva fatto costruire un rifugio antiereo a prova di bomba con lastre di ferro molto spesse, ma esistevano anche trincee all’esterno.

 

Un inconveniente abbastanza frequente consisteva nello straripamento della roggia e nell’allagamento dei pozzetti. Fuori della fabbrica abbiamo collaborato a due interventi di emergenza: il bombardamento al Lanificio Rossi e l’incendio nell’Officina Drago il giorno della Liberazione. In quest’ultima vi furono sempre degli operai-militari specializzati nella riparazione di motori di aereo e nel pomeriggio del 29 aprile fuggirono dopo aver dato fuoco a bidoni di carburante e di solventi, per cui si sviluppò un violento incendio, nel quale anche la nostra squadra fu chiamata ad intervenire (io ci rimisi un paio di scarpe). In Fonderia invece non successe nulla di particolare e rammento solo un fatto: un certo gruppo di operai con i loro familiari si erano riuniti vicino al rifugio antiaereo, passò di n un ufficiale tedesco con un fucile mitragliatore e vedendo l’assembramento attraverso la vetrata si mise in posizione di sparo perché pensava che fossimo dei partigiani; allora il direttore ing. Froelich gli spiegò che la ditta era italo-svizzera e l’ufficiale si allontanò buttando via l’arma e fuggendo.

 

Anche se il momento era difficile ed imprevedibile, contavamo parecchio sul fatto che all’esterno e sulla torretta sventolavano le bandiere svizzere. Ad ogni modo da tempo la direzione aveva fatto interrare le macchine più delicate e di pregio (torni a giostra, torni paralleli, frese di vario tipo) ingrassandole accuratamente e ricoprendoli con teli impermeabili speciali fatti venire dalla Svizzera. Nelle sale c’era il materiale indispensabile per tirare avanti negli scarsi lavori che venivano commissionati. In un certo periodo furono precettate le classi dal 1907 al 1910 per i lavori di fortificazione a Camposilvano sotto la Todt ed a turno si faceva un servizio di una ventina di giorni in squadre di 3-4 operai. Quando nel marzo del 1944 vi fu il pericolo di deportazione in Germania ci riunimmo tutti in cortile per protesta e ricordo che Giuseppe Sandonà, il quale faceva parte della Commissione di fabbrica, disse chiaramente in presenza dei Tedeschi: “Di qui non parte nessuno!” In cortile si cominciò a rumoreggiare e gli ufficiali tedeschi, dopo aver parlamentato con i dirigenti, se ne andarono.

Però ce la siamo vista brutta e per precauzione avevamo preparato dei buchi nella mura che confina con Berlato. A quel tempo in ditta funzionava una mensa aziendale e venivano chiamati dall’esterno Bozzo e Martini per la macellazione. Per ottenere qualche bovino il direttore si accompagnava dietro Massimo Carozzi, che portava in testa un gran cappello da gerarca con l’aquila e quindi intimidiva parecchio; in qualche modo si faceva funzionare la mensa ed una volta alla settimana c’era anche una distribuzione alle famiglie, in uno strano spaccio, di olio, pasta, “sgàlmare” ed altre cose di necessità come i copertoni da bicicletta.

A quel che ricordo la Commissione interna era formata da Giuseppe Sandonà ed il fratello Silvio, da Arturo Rigoni, da Ferruccio Ciscato, da Elio Bonato da Vittorio Grotto, da Mario Ramina, dal sottoscritto, da Toni Canova, ma sono passati troppi anni per ricordarli con sicurezza. Non esistevano scontri politici perché si cercava tutti quanti di dare una mano per uscirne fuori nel modo migliore: Sandonà, io e qualche altro eravamo di tendenza socialiste, mentre Rigoni, Ciscato e Toni Canova erano comunisti. Qualcuno della Fonderia, come Mario Ramina e Biagio Penazzato, operavano anche in montagna come partigiani».


IV. LA PRESENZA COMUNISTA IN FONDERIA

 

Nell’ambiente metalmeccanico della Fonderia De Pretto-Escher Wyss non poteva mancare una cellula comunista, non solo nel periodo della Resistenza ma anche durante il Fascismo: alcuni operai vennero addirittura coinvolti negli arresti Del 1931-1938-1939 (vedi IL TRIBUNALE SPECIALE a pg. 96).

Un lungo memoriale mi è stato inviato da Domenico Arturo Rigoni ed in esso egli racconta infatti, a chiare tinte ideologiche, vari avvenimenti e situazioni afferenti sia al periodo fascista che a quello della Resistenza. Riporto in questa sede un breve stralcio:

«Sono nato ad Asiago il 14.9.1910, a 5 anni lasciai il mio paese a causa della Prima Guerra Mondiale e vagai con la mia famiglia da un paese all’altro fino alla fine della guerra. Nel 1921 arrivai a Schio dove mi sistemai in via S. Gae¬tano  e cominciai a frequentare molti ragazzi figli di lavoratori socialisti. Nacque così, nell’ambiente povero di allora la mia aspirazione all’ideale socialista, e poi comunista. A soli 14 anni conobbi per la prima volta la violenza fascista perché all’uscita della scuola, assieme ad un mio compagno un certo Olivieri, fui picchiato da due famigerati fratelli fascisti.

Nel 1936 fui assunto in Fonderia De Pretto Escher Wyss ed a quel tempo facevo già parte di un numeroso gruppo di anti¬fascisti che operava nella zona di Schio. Dopo qualche settimana dalla mia assunzione cominciai a discutere con gli operai di politica e così dopo qualche mese ebbe vita una piccola cellula comunista. Sia pure con molte difficoltà, si iniziò un lavoro di penetrazione fra gli operai con discussioni politico-sindacali e sulla guerra di Spagna ed inoltre con la divulgazione del giornale l’“UNITA'” ed “IL LAVORATORE”, che io portavo all’interno della fabbrica.

Nel 1937 iniziarono gli arresti di alcuni nostri compagni e la retata portò in carcere molti di loro. A quel tempo il nostro compito fu quello di raccogliere denaro per aiutare le famiglie colpite. Dopo qualche anno, con l’aiuto dei compagni di Mestre, riuscimmo a riallacciare i contatti con il partito e da allora l’Unità riprese a circolare a Schio. Periodicamente ci si riuniva al Maglio di Pieve alla presenza di un funzionario del Partito.

La notte del 25 luglio 1943 Natalino Baron verso l’una venne a casa mia per informarmi che Mussolini era stato deposto e che il nuovo capo del governo era Badoglio. Quella notte non dormimmo ed il mattino alle sei noi della Fonderia eravamo già in portineria per invitare tutti gli operai ed impiegati a scioperare ed a gioire per il crollo del fascismo. Verso le 10 dello stesso giorno, dopo anni di clandestinità e fra lo stupore dei presenti, distribuii nei bar del centro di Schio una ventina di copie dell’Unità, che portava la data Anno 20 N. 8 del 10-6-1943 che mi erano arrivate qualche giorno prima.

Alla ripresa del lavoro, in una riunione di operai, venne eletta la prima Commissione di fabbrica, della quale facevano parte Ciscato Ferruccio, Elio Bonato, Canova Antonio, Sandonà Giuseppe ed il sottoscritto. Il primo atto di questa Commissione fu quello di chiedere alla Direzione il licenziamento di un fascista e l’istituzione di una mensa aziendale. Vi furono delle discussioni perché si diceva che non eravamo legali, ma alla fine con l’appoggio degli operai riuscimmo ad ottenere ambedue le cose. Tornarono. dal confino i nostri compagni e ricordo ancora la gioia che provammo. Purtroppo venne l’8 settembre e con esso l’occupazione tedesca. Sulle nostre montagne si formarono i primi gruppi di partigiani ed il nostro aiuto fu determinante, in quanto raccogliemmo armi e denaro per aiutarli. In seguito alcuni nostri compagni della Fonderia si unirono alle formazioni partigiane e tra questi va ricordato il compagno Mario Ramina che mori nel rastrellamento di Posina.

Nel marzo del 1944 fu organizzato lo sciopero contro le angherie fasciste e la deportazione coatta in Germania. Impiegammo tutta una notte a casa del compagno Massimo Grotto per ciclostilare i volantini che al mattino dovevano essere diffusi. Noi della Fonderia fummo i primi a scioperare e questo fu di stimolo. Il giorno seguente una quindicina di componenti delle varie Commissioni di fabbrica di Schio si recò a Vicenza, dove fu deciso il ritiro delle cartoline-precetto per la Germania ed il rientro dello sciopero. Nell’autunno del 1944, in occasione degli arresti e delle successive deportazioni di molti Scledensi, vennero a casa mia all’una di notte quattro Tedeschi armati accompagnati da un fascista dal volto coperto da una sciarpa, ma mia madre disse che io ero andato ad Asiago.

Purtroppo la mia salute da sempre delicata mi impedi di unirmi alle formazioni partigiane, cosi mi sistemai in una casa di contadini vicino al Cimitero di Schio tenendomi in contatto con i compagni. Finalmente venne il giorno della Liberazione e fu un giorno di immenso entusiasmo: l’incubo era finito, le campane suonavano a festa, la popolazione scese nelle vie e nelle piazze esultando di gioia. Non posso chiudere senza ricordare il contributo dato dai compagni che ebbero mansioni di direzione nel partito comunista di Schio, e che per il nostro ideale pagarono chi con la vita, chi con molti anni di carcere. Ne citerò alcuni: Domenico Marchioro, Piva Igino, Lievore Alfredo, Domenico Baron, Cogollo Alessandro, Luigi Sella, Claudio Pedrazza, Livio Cracco, Isidoro Marchioro, Walter Riccardo ». - RIGONI DOMENICO ARTURO - Bonate di Sotto (Bergamo).



V. GLI SCIOPERI DEL MARZO 1944
L’argomento è già stato oggetto d’inchiesta in precedenti Quaderni e nel volume «Brigate d’assalto Garemi», ai quali si rinvia.



VI. APPUNTI DI ARCHIVIO

Una ricerca nell’archivio della De Pretto-Escher Wyss del tempo assumerebbe una validità ed un interesse storico particolari qualora venisse condotta con criteri e con conoscenze specialistiche nel settore produttivo metalmeccanico ed in quello amministrativo. Da un attento esame delle cartelle relative al 1943 e 1944 mi è sembrato tuttavia difficile il poter ricostruire la situazione sulla scorta dei soli documenti esistenti, perché in quegli anni ogni attività aveva subìto un notevole rallentamento e quindi sarebbe necessario uno studio anche su tutta la situazione bellica e prebellica, in periodo fascista. In questa sede ho quindi ritenuto più opportuno selezionare tre documenti, inerenti alle «condizioni di vendita», che rispecchiano il clima del tempo.


Dal Fascicolo «Circolari interne»:
1. - Circ. n° 299 - Amministrazione - 28 settembre 1943 - TARIFFA PRESTA¬ZIONI MONTATORI (p. turbine): Con decorrenza in data odierna le prestazioni dei nostri monta tori dovranno venire conteggiate nei preventivi come segue: per giornata di lavoro di 8 ore L. 140 - Per ogni ora straordinaria oltre le 48 nor¬mali L. 20 - Trasferta per ogni giornata di lavoro, di attesa o di festa L. 90 - La Direzione.

2. - Circ. n° 303 - 12 ottobre 1943 - VENDITE AL COSTO - Le vendite al costo oppure al prezzo risultante dalla lavorazione sono abolite. D’ora in poi per qualunque somministrazione di materiali o mano d’opera alla clientela dovrà preventivamente essere stabilito il prezzo, per poter chiedere il pagamento anticipato - La Direzione.

3. - Circ. n° 306 - 19 ottobre 1943 - CONDIZIONI DI PAGAMENTO - Nelle offerte che si presenteranno in seguito, le condizioni per forniture importanti di macchinario dovranno essere specificate come segue: 45% alla conferma d’ordine - 25% all’approvvigionamento dei principali materiali - 25% a merce pronta per la spedizione - 5% come garanzia ed al massimo 13 mesi dall’arrivo di merce pronta per la spedizione.



Osservando le date delle Circolari sembra doversi dedurre che, in conseguenza dell’occupazione tedesca, la Direzione abbia voluto cautelarsi da ogni possibile sorpresa mediante adeguamento dei costi dei montatori, eliminazione delle vendite al costo, restrizione delle condizioni di pagamento. Non bisogna comunque dimenticare la situazione precaria dei trasporti e gli incombenti bombardamenti alleati, che in una sola incursione potevano far sparire il committente. Nella cartella «Maestranza» è infine conservato il nuovo contratto di lavoro dei metalmeccanici in vigore dallo novembre 1944, che venne quasi a raddoppiare le paghe.


 

APPENDICE

PROFILO STORICO DELLA DE PRETTO-ESCHER WYSS S.p.A. -SCHIO
a cura di Giovanni Meneghini


«La De Pretto-Escher Wyss di Schio è un esempio interessante di cooperazione industriale, nel settore metalmeccanico, fra un’industria scledense sorta verso la fine del secolo scorso ed un’industria svizzera di antichissima tradizione. La fusione avvenne il 1° gennaio 1920 ed è quindi opportuno considerare distintamente la nascita e lo sviluppo delle due industrie, l’una a Schio e l’altra in Svizzera, prima della loro convergenza.

La «Ing. SILVIO DE PRETTO & C.» - Società in accomandita semplice. - SCHIO

Silvio De Pretto nacque a Schio nel 1848 e compì gli studi nel Collegio Foscarini di Venezia e presso l’Università di Padova. Dopo la laurea si trasferì a Ververs in Belgio a perfezionarsi nello studio della meccanica e nell’arte della lana su consiglio di Alessandro Rossi, il quale era sempre attento a quanto si faceva e si costruiva di meglio all’estero. Quando Silvio ritornò in Italia fu assunto infatti negli stabilimenti Rossi, prima a Schio e poi a Piovene, finché lo stesso Alessandro Rossi lo incoraggiò ad avviare una fonderia meccanica presso un vecchio mulino alla periferia di Schio e gli commissionò i primi lavori di riparazione dei telai; poco dopo l’Ing. De Pretto sviluppò anche la produzione di turbine idrauliche e di macchine per cartiere, delle quali ultime fu cliente un figlio del Rossi.

L’apertura sociale di Silvio De Pretto è dimostrata dal fatto che a quel tempo si fece anche promotore in Schio di una Scuola di Arti e Mestieri, alla quale poi offerse sempre la sua esperienza. In età giolittiana la Società ebbe un crescente sviluppo e lavorò anche durante la 1^ guerra mondiale, pur trovandosi lo stabilimento a pochi chilometri dal fronte; solo dopo il rovescio di Caporetto i macchinari vennero trasferiti a Torino ed a Bergamo per ritornare a Schio nel 1919.


LA «S.A. ESCHER WYSS & C.» di ZURIGO.

Per uno sguardo retrospettivo a questa ditta svizzera, una delle più antiche d’Europa, bisogna risalire ad Heinrich Escher (1626-1710), un personaggio che apparteneva ad una antica famiglia patrizia di Zurigo che aveva fornito commercianti, industriali, borgomastri e diplomatici. Della stessa levatura e della stessa stirpe era poi Hans Gaspar Escher (1775-1859), figlio di Johann Escher in Felsenhof.

Il giovane Hans venne in Italia a perfezionarsi nella carriera commerciale e vide sorgere la propria vocazione davanti alle costruzioni navali di Livorno. Un altro indirizzo lo ebbe dinnanzi alla prima macchina da filare nel Monastero di S. Gallo: visitò infatti l’Italia, la Francia e l’Inghilterra per conoscere le ultime realizzazioni in macchine tessili, delle quali iniziò la costruzione nel 1803 presso la filatura di suo padre in un fabbricato detto Neumuele presso la porta del quartiere Niederdorf di Zurigo. Due anni dopo, con l’aiuto e l’assistenza giuridica del banchiere Salomon Wyss, fondò una società – «Escher Wyss» – che accoppiava appunto i loro due nomi.

Alla morte di Hans gli succede il figlio Alberto sotto il quale la ditta si sviluppa ulteriormente ed espleta ordinazioni anche per l’estero. Nel 1835 vi lavorano 400 operai e si costruiscono anche battelli a vapore e turbine idrauliche. Purtroppo Albert Escher muore improvvisamente e nella direzione si rimediò con un genero – l’avvocato Friedrich von May– il quale riuscì a salvare la ditta dal declino ed ebbe anche il merito di fondare una filiale a Ravensburg. Il regime comunitario fra gli eredi rimane fino al 1889, poi si passa ad una Società Anonima con la presidenza di von Gonzenbach e la direzione tecnica di Heinrich Zoelly-Veillon. L’Ing. Zoelly fece trasferire le officine ad Hard in locali più spaziosi e, favorito dall’esito della guerra 1914-18, riuscì a liberare la Società dalla preponderanza del capitale tedesco. Nel 1916 la Escher Wyss S.A. crea a Zurigo l’impresa «Autofrigor» e nel 1922 una filiale a Lindau in Baviera.


LA FUSIONE ITALO-SVIZZERA

Fino al 1920 alla De Pretto erano state costruite 771 turbine idrauliche per una forza complessiva di 48.99.HP insieme ad un considerevole numero di macchine da carta di ogni specie. Per un ulteriore sviluppo del suo stabilimento l’ing. Silvio De Pretto concluse nel 1920 una fusione con la S.A. Escher Wyss& C. di Zurigo in modo che vennero a riunirsi i capitali di esperienza tecnica di ciascuna società. Ma verso la metà del 1921 l’Ing. Silvio De Pretto, sia per l’età che per un lutto di famiglia, rassegnò le sue dimissioni da direttore-consigliere delegato e mantenne la carica di presidente onorario fino alla sua morte avvenuta nel 1933, mentre l’amministrazione fu affidata al genero Domenico Polidoro .


LA «DE PRETTO -ESCHER WYSS S.p.A. SCHIO» DAL 1921 AL 1943.

L’evidente profitto della collaborazione italo-svizzera si può notare confrontando con gli anni precedenti la potenza totale delle turbine idrauliche prodotte dal 1921 al 1928 e che fu di 600.000 HP. Qualche contrarietà si profilò verso il 1928 quando la politica autarchica del Fascismo cominciò a vedere di malocchio il prodotto straniero, anche se in ciò vi fu una certa manovra della concorrenza. A quel tempo la ditta occupava in Schio 300 operai dei quali solo 4 erano svizzeri e 6 fra i suoi 47 impiegati.

Sia gli operai che una parte degli impiegati avevano frequentato la Scuola d’Arti e Mestieri istituita dall’Ing. Silvio De Pretto ed ancora funzionante; tra gli Insegnanti vi erano anche l’Ing. Silvio Fiorio e l’Ing. Luigi Spiller, dipendenti della ditta. Nella direzione vi fu l’Ing. Waechter ed a questi seguì l’Ing. Froelich fino alla conclusione della 2a guerra mondiale. Durante quest’ultima si ebbe per cause belliche un evidente rallentamento della produzione.


DAL 1945 AD OGGI. Negli anni della ricostruzione si organizzò l’azienda su concetti più moderni, venne ampliato lo stabilimento, vi fu il rinnovo di alcuni impianti, del macchinario e della fonderia, sia nel settore delle turbine idrauliche ed a vapore che in quello delle macchine per cartiere. In questa fase di ripresa, diretta dall’Ing. Teodoro Stein, la sede di Schio è fra le consociate del «Gruppo Escher Wyss» di Zurigo, che superava i 150 anni di vita e contava consociate, oltre che in Svizzera, anche in Germania, in Austria, in Sud America, in U.S.A., con rappresentanze in tutto il mondo.

La produzione della sede di Schio si estese anche alle pompe centrifughe, alle eliche navali a pale orientabili, turbine a vapore ed a gas, turbocompressori, compressori frigoriferi, impianti di evaporizzazione e concentrazione, macchine per l’industria del cemento. Ultimamente la produzione si è estesa anche alle centrifughe per impianti chimici ed alla costruzione di colossali impianti di dissalazione dell’acqua di mare, in una proiezione industriale verso il futuro sul piano internazionale.





I CADUTI SPARSI

di E. Trivellato


Numerose azioni partigiane fin qui descritte nei Quaderni si sono risolte con successo e senza perdite, ma in alcuni casi ci sono stati dei caduti, dei quali ho sempre cercato di raccogliere notizie presso familiari, amici, testimoni oculari. Vi sono però delle «uccisioni» isolate, prive di un contesto collettivo, che resterebbero fuori da ogni narrazione. Alcuni di questi caduti «sparsi» sono pertanto riuniti nel presente capitolo.

 

APOLLONI SILVIO
Nato a Vicenza il 13.9.1924, residente a Vicenza -S. Lucia. Di Giuseppe. Fu arrestato a Vicenza il 27 marzo 1944 e poi deferito al Tribunale Militare Regionale di Guerra a Padova con l’imputazione di renitenza ai sensi dell’art. 2 del Decreto del Duce del 18.2.1944. Nella Sessione straordinaria del 20.4.1944 in Vicenza il Tribunale (sentenza prot. 44) lo dichiarava colpevole e lo condannava a morte per fucilazione al petto. La sentenza venne eseguita il 22.4.1944 alle ore 5.41 nel poligono di tiro di Vicenza. (Notizie fornite tramite Emilio Lievore. Della tragica vicenda vi è un memoriale di Pino Ronzani).


CARLOTTO MARIO LUICI («Fortuna»)
Nato a Schio il 22.9.1924 e caduto il 16.11.1944 nel Comune di Folgaria. Figlio di Guglielmo (operaio tessile) e di Sella Maria Clementina, residenti a Poleo-Falgare di sopra. La sorella Evelina (Cl. 1921) ha riferito che Mario tornò da Verona dopo 1’8 settembre e salì poco dopo in montagna con Turco. Durante la «zona libera» si trovava nella pattuglia di Malga Melegnetta al comando di Giovanni Dal Santo (Temporale) e del vice Silvio Sartori (Arlotta). In novembre stava attraversando una zona scoperta alle Coe sui Campiluzzi e fu ucciso da una pattuglia di Polizia trentina. Lasciato sul posto, restò sotto la neve tutto l’inverno 1944-45, fu ritrovato dopo la Liberazione e riconosciuto per un anello che portava al dito. Ora è sepolto nel Cimitero di Poleo.

PERIN RINALDO («Arcù»)
Nato a Malo il 19.6.1909 e caduto il 28.11.1944 ad Isola Vic.na. Guardia confinaria, 35 anni, sposato con figli. Tornò in paese dopo 1’8 settembre e cominciò subito a collaborare con il Tar. Invece nella primavera del 1944 si aggregò alle formazioni della «STELLA» in valle dell’Agno. Ritornava spesso a Malo e vi restava anche per qualche mese presso varie famiglie della zona. Partecipò con il Tar, ai primi di luglio, alla cattura del Comm.rio politico Cecchi. A detta del Tar, Rinaldo era un uomo di un coraggio spericolato. Un giorno di fine novembre 1944 si mise a girare armato di Sten per gli esercizi pubblici di Malo, finché nell’Albergo Due Spade avrebbe insultato alcuni militari tedeschi colà presenti. In un momento di disattenzione questi riuscirono ad immobilizzarlo e quindi venne arrestato e tradotto a Schio nelle carceri di via Baratto. In quei giorni una camionetta tedesca che transitava sulla strada Schio-Vicenza venne attaccata a livello di Castelnovo dai partigiani ed un tedesco restò ucciso. Il Comando germanico per rappresaglia fece impiccare il Perin ad un olmo nel luogo della sparatoria e fece affiggere un manifesto (pg. 482).


LIONZO LORENZO («Bedin»)
Nato a Monte di Malo il 22.2.1909 e caduto il 6.2.1945 a Priabona di Malo. 35 anni. Apparteneva alla «STELLA» ma tornava spesso nella zona di Malo e Monte di Malo. Il Comm.rio prefettizio di Schio scriveva il 25.11.44 al Questore:

«Informo che ieri verso le ore 14 sono stati visti transitare per Monte di Malo in direzione di Faedo certo Lionzo Lorenzo di Carlo della classe 1909 insieme al famigerato Frigo Armando. Costoro, unitamente a certo “Furia” non meglio identificato ed a tale Manea Ferruccio (?) di Malo sarebbero i comandanti delle bande di fuorilegge che agiscono nella zona. Analoga comunicazione è stata fatta al Comando Germanico».

Secondo notizie del Tar, la sera prima della sua uccisione Lionzo si sarebbe fermato in una casa dove stavano distillando la graspa di contrabbando ed avrebbe alzato il gomito. Fu tenuto nascosto in un bunker durante la notte ma al mattino scese a Priabona e si mise a sparacchiare in giro, suscitando preoccupazione negli abitanti. Un giovanotto scese in bicicletta fino a Malo e qui il tenente Siena decise di salire a Priabona con alcuni militi. Gli spararono vari colpi anche al torace e, malgrado questo, Lionzo riuscì a proseguire con le mani alzate per un centinaio di metri, finché stramazzò a terra improvvisamente. I Fascisti lo finirono buttandogli addosso una bomba a mano.


BRESSAN CIRILLO («Tempo»)
Di Bressan Anna Maria. Nato a Schio-Poleo il 16.61920 e caduto il 15.2.1945 a Tonezza. Tessitore, residente in via Falgare di Poleo. Dalle poche notizie raccolte sembra che Turco e Tempo avessero scorto in un’osteria un paio di Tedeschi e di Fascisti e che Turco avesse deciso di catturarli assieme all’amico Bressan. Gettarono una bomba a mano sulla porta, che restò scardinata, e quando Bressan fece per aprirla venne falciato da una raffica o dall’esplosione di una bomba a mano lanciata da quelli che si trovavano nell’osteria e che poi riuscirono a fuggire.


CASAROTTO SILVIO («Silvio»)
Nato a Torrebelvicino l’1.11.1922, residente ai Corobolli, allora in Comune dI Tretto, pur facendo parte dell’ambiente di Poleo. Caduto il 19.4.1945 in Comune di Torrebelvicino (contrada Puglia). Aldo Bogotto ha inviato (14.12.79) la seguente dichiarazione: «Il giorno 19 aprile 1945, in compagnia del comandante di distaccamento Silvio Casarotto, di ritorno da una visita ispettiva alle sue pattuglie dislocate nella zona di Enna, in località Cofre di Torrebelvicino avvistato il noto comandante del gruppo di S.S. di Valli del Pasubio essendo io disarmato e sapendo che Silvio portava con sé una pistola, lo invitavo a fronteggiarlo. Silvio, estratta l’arma, la puntava contro il tedesco.

Quest’ultimo alzando parzialmente le mani, implorava clemenza e, affermando di essere pure lui partigiano, mostrava una ferita al petto; il trucco non poteva reggere, in quanto il tedesco era ben conosciuto, sia al sottoscritto che a Silvio come uno dei peggiori aguzzini delle S.S. della zona. Silvio, con il dito sul grilletto, era pronto a far fuoco. Ma, in quel momento, pur conscio della sua abituale sicurezza, non capivo l’esitazione e ripetutamente lo pregai di decidersi a sparare. Fu inutile. Silvio, solo allora potei rendermi conto, pensava alle conseguenze che il suo gesto avrebbe avuto: la rappresaglia. Per questo motivo, ne sono certo, ha sacrificato la sua vita, concedendo in quell’attimo al tedesco la possibilità di sparare».


CHIUMENTI LUCIANO («Lucio»)
Nato a Valli d. P. il 4.5.1927. Figlio di Dal Cucco Maria. Catturato il 4.12.1944 sul Pasubio e fucilato a Raossi (Vallarsa). Carolina Chiumenti in Piazza Albino, zia di Luciano, ha inviato da Towradgi (Australia) un lungo e meraviglioso racconto, pieno di nostalgia per il suo paese d’infanzia, nel quale veramente si sente l’animo montanaro della Val Leogra. In esso è descritta l’uccisione del nipote Luciano. Ebbi modo di conoscere personalmente lo scorso anno la Carolina Chiumenti in occasione di un suo viaggio di rientro a Valli dall’ Australia, ma non le promisi la pubblicazione del racconto. Più tardi, ripensandoci e forse anche stimolato dall’attuale interesse di alcuni storici per la letteratura povera delle classi subalterne (cfr. Emilio Franzina, Merica, Merica!, 1979, Feltrinelli, Milano), mi sono convinto che la Chiumenti poteva ben figurare nei Quaderni come «scrittrice» ed anche a giusto titolo, dal momento che ha già pubblicato qualche suo scritto in giornali degli Italiani in Australia. Il suo racconto sarà quindi pubblicato nel prossimo Quaderno.


JOSEPH KROPFITSCH (FURTNER) («Josef»)
Nato a GRAZ (Steiermark -Oesterreich) il 12 maggio 1915 - Morto a Raga di Magrè (SCHIO-Vicenza) 1’8 aprile 1945.
Il 19 marzo 1944, il giorno dedicato a S. Giuseppe (S. Joseph), segnò tragicamente il destino di «Joseph», un austriaco di 29 anni nativo di Graz ed arruolato a quel tempo come sottufficiale in un reparto della Wehrmacht di stanza a Verona. Quel giorno egli era uscito in libertà con l’intenzione, pur nei tempi tristi della guerra, di festeggiare il suo onomastico, devoto a S. Giuseppe da buon cattolico qual era. Figlio unico di una famiglia possidente di Graz, sembra di piccoli industriali, egli aveva conservato dalla gioventù quella vitalità festaiola che è caratteristica dei viennesi e di quanti altri austriaci solevano confluire a Vienna dai Laender viciniori.
Joseph uscì per le strade di Verona e si mise a bighellonare secondo il costume dei militari in libera uscita, soffermandosi a brindare a se stesso ed a scambiare qualche parola nel suo italiano discreto, anche se un po’ stentato, da Sturmtruppen. Si sa com’è, ed i Veneti ne hanno esperienza, un gotto tira l’altro e la vita diventa migliore: egli dimenticò perfino l’orario del rientro in caserma, da buon austriaco che tira al ritardo.
Vi giunse a sera e destino volle che incappasse in un ufficiale germanico il quale, in fatto di codice militare, applicava il prussiano di Guglielmo II e che quindi non accettò da Joseph l’attenuante che l’onomastico ricorre una volta all’anno. Una dose di prigione poteva sanare il ritardo di Joseph. Ma in molti ufficiali tedeschi si notava un rigore freddo e calvinista nei rapporti con i subordinati ed un ostentato disprezzo per ogni uomo che non appartenesse alla grande Germania nazista. Quando Joseph venne schiaffeggiato dall’ufficiale di guardia sentì probabilmente ribollire in se stesso una rabbia antica e fors’anche familiare contro i tedeschi malati di pangermanesimo.
Vi fu un diverbio furioso, vennero estratte le armi, partì un colpo e l’ufficiale stramazzò esanime. Di certo Joseph si rese conto subito della gravità dell’incidente e non vi fu in lui alcun dubbio che quel S. Giuseppe tragico sarebbe finito davanti al plotone d’esecuzione. Abbandonò così Verona e s’incamminò nella notte verso le colline spostandosi in provincia di Vicenza, finché alcuni giorni dopo arrivò sui colli della zona di Monte di Malo nei pressi della Casara di Marchioro, dove in quel momento il Tar, il Greco ed altri stavano proprio osservando col binocolo questo tedesco polveroso che avanzava stanco: «Alt! Mani in alto» i partigiani lo bloccano, gli tolgono la P38 e vogliono sapere i motivi di quella presenza insolita.
Joseph spiegò tutta la sua vicenda e fu creduto, forse per una certa carica di simpatia che suscitava. Venne tenuto in pattuglia per una decina di giorni disarmato, com’era d’uso per i nuovi venuti, finché, giunta conferma della verità dei fatti da lui raccontati, fu accolto come «partigiano» a tutti gli effetti.
Ebbe un inizio piuttosto duro, perché proprio in quel periodo il Tar, venuto a conoscenza di alcuni lanci in Asiago, volle partire subito per recuperare soprattutto le armi automatiche. In seguito il Tar gli procurò un vocabolario, in quanto Josef, che aveva probabilmente fatto studi superiori, intendeva perfezionare il suo italiano. C’è un ricordo curioso. Quando qualcosa andava di traverso, capitava spesso che in pattuglia volavano sacramenti e allora Josef con un tono sostenuto: «Komandante, voi intervenire!».
Ma quando un giorno Joseph, arrabbiato e stanco, uscì anche lui con un bel «Porken», gli amici si rotolarono dal ridere. Lo ritroviamo poi nella «zona libera» di Posina nella pattuglia di Teppa (pg. 401) mentre nel settembre del 1944 passò in Raga. «Giulio» lo ricorda come una persona di una certa cultura, probabilmente simpatizzante del movimento socialista viennese e senza dubbio un anti-nazista dichiarato.
Verso la metà di marzo del 1945 si ammalò e rimase febbricitante per una ventina di giorni; ristabilitosi ma ancora debole e convalescente, volle tornare in pattuglia, ma proprio in uno dei primi giorni che usci all’aperto, si trovò nel mezzo di una perlustrazione tedesca e fu colpito a morte da una raffica. I Tedeschi lo trasportarono al Circolo operaio di Magrè e lo lasciarono esposto sui pali. Ogni anno i partigiani di Magrè si riuniscono a commemorarlo nel luogo dove morì.


«ADA» - partigiano austriaco caduto in Asiago.
Chi era costui? Dal Pozzo di S. Patrizio del movimento partigiano emergono le notizie più curiose ed imprevedibili, compreso qualche nuovo Caduto rimasto dimenticato o ignoto. Il nome  di battaglia «Ada» (ignoti il cognome e nome reali) mi era comparso nel memoriale di «Romagnolo» fra i componenti della pattuglia «LA VALANGA» di Malunga. Sergio Caddeo («Piper») mi ha precisato che «Ada» era un austriaco che aveva disertato la Werhmacht e si era aggregato alla pattuglia di Malunga. Un tipo simpatico e pieno di vitalità che partecipò a tutte le azioni della pattuglia e che migrò anche lui sull’ Altopiano di Asiago. Qui restò ucciso nei pressi di Malga Bertiaga. Così Piper: «Quel giorno venne su una macchina tedesca che noi cercammo di circondare. Due-tre si disposero da una parte e due-tre dall’altra, ma durante l’attacco un tedesco lanciò una bomba a mano che colpi in pieno “Ada”. Rammaricati della sua morte, lo seppellimmo sul posto, ma non so se poi è stato dissepolto».




STARO
IL PASSAGGIO DEI TEDESCHI IN RITIRATA
28-29 aprile 1945


XIX. Inchiesta di E. Trivellato

 

Nel tardo pomeriggio di sabato 28 aprile 1945 ebbe luogo a Staro, alla curva del Gasteghe, subito sotto la contrada Riva, una «battaglia» fra i Tedeschi in ritirata e i Partigiani. Vi fu un buon quarto d’ora di fuoco, alcuni feriti, la resa di alcune centinaia di Tedeschi e il trasferimento dei prigionieri a Recoaro. Verso le dieci della sera stessa i Tedeschi vennero su da Valli del Pasubio con due carri armati, fecero irruzione nelle case della Riva e si appostarono al Passo Xon. Il mattino dopo – il giorno della Liberazione – il Parroco di Staro fu arrestato in Chiesa durante la Messa ma non vi fu rappresaglia e nel primo pomeriggio i due mezzi corazzati e con essi gli ultimi Tedeschi ridiscesero a Valli facendo saltare con le mine un buon tratto di strada sopra la contrada Grijo e tagliando fuori il paese per parecchio tempo.


Sulla scorta delle testimonianze di abitanti del luogo, specie di quelli della contrada Riva, ho ricostruito gli avvenimenti di quei due giorni. Il ricordo in alcuni è vivissimo, soprattutto in coloro che allora erano ragazzi e quindi parteci¬pavano alle vicende con la curiosità e l’incoscienza dell’età; in altri la memoria è un po’ sbiadità ti incompleta. L’insieme comunque è confermato da più versioni.


Il transito saltuario di truppe, a piedi, con carrette e cavalli e qualche camion, -sia a gruppi che in piccole colonne era iniziato a Staro da parecchi giorni prima del 29 aprile. Il tempo era incerto con tratti di pioggia sottile che si alternavano a schiarite.


La strada erta e tutta a curve e tornanti che da Recoaro (mt. 450) in Valle dell’Agno porta a Valli del Pasubio in Val Leogra sale prima a ridosso del monte fino a Passo Xon (mt. 671) per arrivare subito dopo in Staro paese (mt. 632); di qui attraversa più sotto la contrada Riva, si inoltra in mezzo ad un’altissima abetaia e dopo la curva del Gasteghe ed un altro tornante scende alla Fonte Reale, al Grijo, e poi in fondovalle alla Fonte Regina; infine arriva dopo 3 Km. di semicurve fino a Valli del Pasubio (mt. 350).


Questo il percorso che doveva seguire una colonna tedesca, sembra proveniente da Lonigo, e che alle Alte ebbe l’idea o fu costretta a girare per Valdagno e Recoaro. Infatti il percorso è piuttosto impervio per gli uomini ed i cavalli e in quel momento si presentava pericoloso perché ai lati della strada sovrastano boschi e sottoboschi in aprile verdeggianti e quindi buon riparo a pattuglie di Partigiani armati; questi erano quasi sempre presenti nella zona in ambedue le vallate, per la massima parte provenienti da Recoaro e tutti esperti conoscitori del X terreno e dei luoghi. In quel pomeriggio di sabato transitò quindi per Staro questa colonna della Wehrmacht, in buon ordine, alla tedesca, con l’armamento al completo e con robuste carrette trainate da cavalli altrettanto robusti e di carne saporita, come si vedrà più avanti.


Fin dai giorni precedenti molte famiglie di Staro si erano trasferite nelle contrade alte, fuori del passaggio dei militari, perché avevano le paurose esperienze dei 42 o 43 rastrellamenti condotti nella loro zona dalle SS e dai fascisti. I ragazzini, oggi adulti, ricordano ancora come un’avventura l’aver dormito nei fienili sotto le tezze; alcuni invece restarono in paese e nelle contrade su strada.


I Partigiani avevano probabilmente seguito dall’alto dei boschi tutto il procedere della colonna tedesca e forse avevano informazioni che era l’ultima, perché le pattuglie che operavano nella zona erano collegate, come si è detto, a tutta la Valle dell’Agno. Viene riferito che in contrada Riva giunse voce dell’arrivo della colonna e vi fu un invito a chiudersi prudentemente in casa. Ma per i ragazzi dai 12 ai 17 anni come Giancarlo Busellato, la Cia Dalla Riva, la Teresina, l’Angelin Coli ed altri la notizia che sarebbero passati i Tedeschi fu come un invito al cinema, tanto che ai primi spari si trovavano già in prima fila nascosti in mezzo agli abeti della Riva con le pallottole che fischiavano sopra la testa. Sono i testimoni oculari più vicini al fronte tedesco e più concordi.


Quando la punta avanzata della colonna in ritirata giunse al Ponte dell’avo, all’ingresso di Staro verso il Passo Xon, Francesco Dalla Riva ebbe uno scambio di parole con un Maggiore. Francesco, allora trentaduenne, detto in paese il «Checco» della Cooperativa di cui ne era gestore con la sorella Rosina, conosceva perfettamente il Tedesco – per Staro fu una fortuna – in quanto era stato per molti anni a lavorare in Germania.


La Rosina riferisce che poi la colonna giunse alla curva della Villa Rosa e vi si fermò un attimo perché il Maggiore mandò un militare a richiamare il Francesco per averlo come interprete. Secondo quanto riferisce la sorella, il «Checco» accettò in cambio dell’assicurazione che non avrebbero fatto saltare il tratto di strada sopra il Grijo che era minato. La Maria Tessaro, perpetua, racconta che il Parroco era in solaio ad osservare il passaggio della colonna e che un ufficiale venne in Canonica per chiedere una persona di Staro, la quale con la bandiera bianca li accompagnasse fino a Valli. Alla richiesta il Parroco don Antonio Ziliotto rispose che l’uso della bandiera bianca comportava il disarmo; questo non fu accettato e seguirono quindi gli accordi con Francesco Dalla Riva.


Fu così che i ragazzi della Riva raccontano di aver visto arrivare i Tedeschi con il «Checca» in testa che faceva da portabandiera; questi più tardi riuscì a saltar già in valle subito dopo il Capitello votivo infisso nel lardaro («la Madoneta») che c’è sopra la contrada Grijo.


Allorché la colonna si trovò con la punta avanzata a questo Capitello e con la retroguardia alla fine degli abeti della Riva (900 mt. di colonna), i Partigiani dall’alto – nel versante opposto della stretta valle – intimarono l’alt. Essi si trovavano attestati su di un fronte (circa 50 mt.) che va dalla Tezza dei Coli, ad uno sperone verso Valli del P., su di una collina che si alza ripida poco più giù della Fonte Reale. La loro posizione tattica più elevata si presentava di favore rispetto alla colonna snodata nella strada sottostante, in bellavista e senza molti ripari. Dalla Tezza del Coli giunsero a gran voce intimazioni di resa, parte in italiano ma anche in tedesco; invece i militari decisero di appostarsi in difesa ed ebbe inizio la «battaglia».


Vi è chi racconta di colpi di mortaio sparati dalla Tezza del Coli sulla curva ad U del Gasteghe, qualcuno invece non li ricorda, altri lo negano decisamente. In proposito ci sembra interessante la versione di Angelo Dalla Riva («Angelin Coli»), fin da ragazzo un patito di armi e di esplosivi ed oggi appunto responsabile del brillamento delle mine nelle miniere di ferro di Aubouè in Francia; con lui mi sono recato alla Tezza per una ricostruzione panoramica dei fatti. L’Angelin Coli, allora diciassettenne, fu un recuperante infaticabile che setacciò tutta la zona operativa; infatti nella Tezza di suo padre trovò bossoli di fucile mitraglitore inglese Bren, inoltre bossoli di normali fucili, mentre a suo avviso non fu usato il parabello per la corta gittata; egli rammenta che i Partigiani lanciarono bombe a mano sul pendìo della collina, probabilmente per impressionare i Tedeschi con un gran rumore e apparire in molti di più di quanti non fossero (a Staro si parla di trenta-quaranta) . Ho accertato che davanti alla postazione dei fucili mitragliatori esistono ancora due alberi troncati a metà. Tutti indistintamente inoltre ricordano che nella sparatoria parecchi cavalli caddero morti oltre il ciglio della curva del Gasteghe e più sotto, verso il secondo tornante; cassette, armi e materiali in dotazione erano sparsi ovunque sulla strada e ai lati.


Al fuoco dei Partigiani prontamente risposero i Tedeschi con uguale intensità, ma una parte dei militari riuscì a saltar ,giù nei Prati Lunghi, e a disperdersi su per il Cavrega. Silvestro Dalla Riva, che si trovava al «Molin del Broca ), rammenta di un giovane ufficiale spaventato che con la carta topografica gli domandò indicazioni. Alcuni militari invece raggiunsero a piedi Valli del Pasubio (3 Km.) per chiamare rinforzi. La «battaglia» vera e propria durò una quindicina di minuti, forse meno, tenendo conto che la durata di fuoco dei Partigiani non poteva essere molto lunga sia per l’ingombro delle munizioni, che non si conciliava con l’esigenza di mobilità, sia per la disponibilità modesta degli armamenti. Un fatto inspiegabile per quelli della Riva è il tiro molto «alto» dei Partigiani; le pallottole fischiavano tra gli abeti, con rabbia dell’Angelin Coli il quale pensava che fossero dirette proprio a lui ed ai suoi amici (se la dettero subito a gambe); numerose sventagliate colpirono i muri alti della contrada, sui quali restarono i segni. Ciò farebbe pensare che i Partigiani volessero soprattutto intimorire i Tedeschi per farli arrendere. Alla fine infatti i militari furono costretti a deporre le armi a causa della posizione infelice e di alcuni feriti.


C’è chi riferisce di un paio di morti, (il Coli trovò un elmetto con un foro in fronte) ma le versioni sono troppo contrastanti. Con la resa i Partigiani discesero dalle colline a riunire i pri¬gionieri (50-100-200?) che furono poi avviati lungo il sentiero che porta alla Tezza del Coli, ai Busellati, poi a Rovegliana e di qui a Recoaro. Un militare ferito ad una gamba fu accompagnato dal Piero Angelina ed altri fino a Recoaro per il Passo Xon . Intanto il Parroco Don Antonio Ziliotto aveva chiamato l’Arturo Sbabo, apprendista panettiere presso l’Enrichetta «Baiolina», per scendere sul posto. L’Arturo – fratello di quel partigiano di Staro Severino Sbabo che fu ucciso in seguito all’agguato dei fascisti in contrada Riva – ricorda un particolare, cioè di essersi imbattuto in un soldato tedesco, a terra ferito, in un appezzamento allora seminato a granoturco. Si racconta infine da più versioni che il Parroco fece portar su in paese un militare ferito e lo sistemò presso le Suore Campostrine.


Tra i Partigiani in quello scontro restò ucciso Antonio Storti della Brigata Stella, come ricorda la lapide posta accanto al Capitello (Brigata Stella - Antonio Storti n. 19.4.1922 - «Sandrin»).


Il trambusto che seguì alla «battaglia» durò abbastanza a lungo sia per il problema dei prigionieri che per la raccolta di armi e di alcuni materiali. I Partigiani infine se ne andarono a Recoaro e la gente della contrada Riva restò su strada o nelle case, ancora intimorita dalla violenza dello scontro a fuoco. Si era ormai all’imbrunire e tutta la zona appariva come un campo di battaglia dopo una disfatta. Anche se la gente di Staro non lo sapeva, l’arrivo di un’altra colonna dalla Valle dell’Agna era da escludersi – per i motivi detti – e nessuno forse sospettò un possibile ritorno di Tedeschi da Valli del Pasubio. Comunque in serata altre famiglie si trasferirono nelle contrade alte e l’oscurità della sera ormai inoltrata ci impedisce oggi di ricavare dagli abitanti del luogo qualcosa di più.


Intanto a Valli del Pasubio – già di per sé in confusione per il ponte interrotto e le truppe in ritirata – erano giunti probabilmente alcuni militari che riuscirono a saltare oltre la curva del Gasteghe. Da parte di un qualche Comandante tedesco fu deciso di inviare a Staro un paio di cingolati per dar man forte alla truppa rimasta bloccata alla Riva. Cosi – verso le 10-11 della sera stessa – si udì in valle la ferraglia dei carri armati che salivano lentamente: erano sicuramente due e di piccolo tonnellaggio, qualcuno parla di quattro ma il tempo di guerra e la paura hanno l’effetto del vino.


A quel rumore di cingoli, amplificato dalla ristrettezza della valle, quelli rimasti alla Riva, donne, anziani e ragazzi ebbero un momento di terrore, alcuni alzati con le spalle alla testiera del letto, altri in piedi, sbiancati in volto e tutti in ascolto del rumore che si avvicinava; sapevano benissimo cos’era successo alcune ore prima alla curva del Gasteghe. Li udirono fermarsi appunto alla curva e poi in contrada, sulla strada; risuonarono passi chiodati sui sassi sconnessi delle stradine e gran colpi sulle porte con il calcio dei fucili. Infine irruzioni nelle case. La Cia ricorda che dalla Teresina mostrarono ai Tedeschi una lettera del Bianco giunta dalla Germania per convincerli che non avevano familiari tra i Partigiani. Infatti i Tedeschi cercavano i responsabili dell’attacco, ma quella sera non vi fu rappresaglia; poi salirono verso Staro paese e alla Villa Rosa, ch’era vuota, aprirono la porta d’ingresso con una bomba a mano.


I due mezzi corazzati si avviarono infine al Passo Xon. Il Piero Angelina, che durante la notte circolava ancora nella zona, si avvicinò tutto contento credendo che fossero arrivati finalmente gli Americani ma quando udì attorno ai carri delle voci che parlavano in tedesco si precipitò subito nel bosco.


A Passo Xon, nello spiazzo a cavallo dei due versanti, c’era anche allora un modesto edificio sede di un posto di blocco e con una stanga di confino tra Recoaro e Valli. Un carro armato, anzi il suo conducente, non trovò di meglio che entrare attraverso un muro del fabbricato e uscire attraverso quello opposto, convinto di sistemarsi così -oltre la casa -nella posizione migliore per controllare sia il tratto di strada che sale da Recoaro che quello che scende a Staro. Da un punto di vista tattico la manovra era da manuale militare, se non fosse stato che «al di là» c’è uno strapiombo ch’egli vide solo appena uscito dall’ultimo muro. E patapumfete giù per ritrovarsi in fondo con una «masiera» che gli impediva di raggiungere la strada sottostante. L’altro carro fece il giro della curva e sparò dritto sulla «masiera» per fare strada al compatriota semicapovolto. I due carri restarono al Passo tutta la notte, forse per proteggere eventuali gruppetti sparsi di militari tedeschi che nella ritirata si fossero attardati per qualche intoppo.


Il mattino successivo era domenica 29 aprile, nelle nostre zone il giorno della Liberazione. Una pioggerella sottile cadeva a tratti su Staro e il Giancarlo ricorda di essersi recato dalla contrada Riva in paese per andare alla Messa «prima» alle 7; sistemato vicino al Coro egli rammenta chiaramente – alcuni particolari restano impressi per sempre – che durante la Messa un ufficiale tedesco altissimo e biondo entrò dalla parte della Sagrestia con due altri che si posero ai lati della porta. Lorenzo Sbabo che serviva messa, conferma che si trattava di un ufficiale SS giovanissimo.


La Luigia Sbabo racconta che l’ufficiale andò all’altare e toccò sulla schiena con il calcio del fucile il celebrante che stava preparandosi all’Elevazione; Don Antonio si voltò e fece segno di attendere, per cui la Messa finì con due tedeschi ai lati dell’altare: erano presenti tre Suore, qualche anziano e alcune donne. Il Parroco fu condotto fuori a lato della Chiesa con gran timore della gente, che pensava volessero fucilarlo. La stessa impressione – lo riferisce la Rosina – ebbe anche Francesco Dalla Riva, l’interprete di fortuna tornato in paese dopo il tuffo in valle della sera prima.


Il Parroco lo chiamò perché spiegasse ai Tedeschi che il paese di Staro non aveva alcuna colpa dello scontro della sera prima; ma Don Antonio ebbe un’idea ancor più geniale: in precedenza si era interessato in Vaticano per rintracciare a Roma la sorella (suora) di un alto ufficiale del Comando tedesco di Recoaro che gli aveva lasciato il suo biglietto da visita. Alla vista di quel documento l’ufficiale delle SS ed un capitano furono visibilmente impressionati. Tra una cosa e l’altra i Tedeschi si convinsero che gli abitanti di Staro erano estranei all’attacco dei Partigiani.


Francesco spiegò loro che di certo non si sarebbe messo in testa alla colonna con la bandiera bianca se fosse stato a conoscenza, lui e quindi tutto il paese, dell’attacco dei partigiani di Recoaro. Forse militarmente ormai in ritirata, si resero anche conto dell’inutilità di una rappresaglia contro della povera gente inerme; sicuramente però i militari e i comandanti che si trovarono a Staro in quel giorno non avevano l’animo «sanguinario» che altri – in altri luoghi – invece dimostrarono. La Rosina, che con Francesco gestiva la Cooperativa, ricorda di alcuni militari che vennero giù da lei per alcune bibite, che le pagarono regolarmente e che poi lei salì a recuperare i vuoti presso i due carri armati posteggiati sotto gli alberi che c’erano un tempo accanto all’Albergo Alpino.


Gli abitanti di Staro sapevano che da tempo i Tedeschi avevano minato un tratto di strada subito sopra il Grijo e l’Angeli n Coli riferisce oggi anche l’ubicazione delle cariche e ricorda il fatto che le SS, di controllo ai lavori, si infastidirono di una vecchia mendicante che girava nei paraggi e che non avendo aperto bocca ad un invito a parlare e ad esibire i documenti, fu uccisa attaccandole una bomba a mano sul davanti e tirando il dispositivo di scoppio; raccolta dall’Angelin e da un amico, la mendicante fu poi deposta in una cassa di fortuna e quelli di Staro dicono che riposa ora anonima nel Cimitero di Valli.


Verso l’una-due del pomeriggio del 29 aprile, mentre i Tedeschi stavano caricando il loro ferito, vi fu opera di convincimento perché non venisse fatta saltare la strada per Valli. Infine la partenza dei Tedeschi. Staro paese aveva concluso il suo lungo travaglio! Ma nel passare attraverso la curva del Gasteghe i Tedeschi videro una donna, la Rosa lunga, madre della Teresina e del Piero, che stava raccogliendo una pagnotta di pane nero militare nel luogo della «battaglia». Alt! si voleva fucilarla. Gran corsa in paese dell’Angelin Coli per chiamare il «Checca», ormai nominato interprete ufficiale in tutte le «grane» fra i compaesani e i Tedeschi; intanto la Rosa lunga, seduta da sola su di un mu-retto guardava i carri armati e pensava probabilmente che la sua unica colpa, m quella guerra, era di aver fame, per cui non trovò di meglio che tirar fuori il rosaio e sgranocchiare tutta la corona.


Al ritorno del Coli e di Francesco seguirono grandi spiegazioni ma l’ufficiale non sembrò convinto e lo dimostrò con una sventagliata davanti alle scarpe dei due volonterosi diplomatici, che a siffatta risposta per poco non finirono a rotoloni giù per il prato. Comunque la Rosa lunga fu rilasciata e i carri ripresero il cammino verso valle, salvo fermarsi al Grijo per l’operazione mine: il botto si udì da lontano e il Coli, che non poteva non essere di vedetta, ricorda una carretta sollevata dallo spostamento d’aria e finita nel bosco al di là della valle. Il nonno di Giancarlo, quando sentì l’esplosione, abbracciò il nipote dicendogli «La guerra è finita». E pianse.


Nel luogo della «battaglia» erano ancora rimaste varie cose e le più disparate: cassette, materiali in dotazione, bombe a mano, carrette, cavalli morti. L’Angelin Coli fece la sua prima esperienza di quanto fosse ingombrante portarsi a casa la gamba di un cavallo; ricorda poi di aver posato vicino ad una porta alcune pagnotte di pane nero militare e che due pecore, uscite dal recinto, le mangiarono e ne morirono. Una grande carestia di ogni cosa assillava tutti duran¬te la guerra e le privazioni portavano alla ricerca delle cose più strane, come i chiodi lungo le strade perduti dalle scarpe degli altri e dei militari. Invece l’interesse post-bellico dell’artificiere della contrada Riva, l’Angelin Coli, fu soprattutto per le casse di esplosivo rimaste nella cantina del Giacomon, tanto che per molto tempo andò a pesca di trote e brillò mine sui monti per cavar sassi, sventrare vecchi castagni e far case. Anche a Staro – a botti di tritolo – cominciò la ricostruzione. - Staro, 9 luglio 1977.



1a - RELAZIONE «BRIGATA STELLA» - Alfredo Rigodanzo (Catone), commissario di Brigata, ha stilato una apposita relazione. «Sulle operazioni militari compiute dal Btg.ne ROMEO nelle giornate della Liberazione». La versione partigiana dell’attacco corrisponde nel complesso alle testimonianze che ho raccolto nell’ambiente di Staro.


2a - Per chi avesse l’impressione di una Staro arroccata in alta Val Leogra ed isolata dal mondo, riporto alcune notizie curiose raccolte durante l’Inchiesta. - A. La «Rina» (Caterina Tessaro), sorella di Rosina e di Francesco, fu cameriera della famiglia di VITTORIO MUSSOLINI fino agli ultimi giorni della Repubblica di Salò. - B. La «Richeta Bajolina» (Enrichetta Tessaro) riferisce che GIORGIO ALBERTAZZI, allora giovanissimo ufficiale della R.S.I., soggiornò per parecchi mesi sopra la sua panetteria e che rimaneva tutto il giorno in stanza a studiare compitissimo e gentile: quando partì nella prima¬vera del 1945 le lasciò alcuni libri che conserva ancora. Con simpatia lo riconobbe in seguito vedendolo alla televisione. - B. I CARRI ARMATI furono di casa a Staro: transitarono subito dopo l’8 settembre all’arrivo dei Tedeschi, li troviamo alla Liberazione e vennero su alle prime elezioni del dopoguerra per sedare alcuni facinorosi di Malunga capeggiati da Scalabrin.


3a -  Ringrazio quanti di Staro hanno cortesemente fornito notizie sugli eventi descritti, ma in particolare:
1. ANGELINA PIERO (Il Piero) Cl. 1920. Ex minatore ad Auboué (Fran¬cia) -
2. BUSELLATO GIANCARLO (Ciccio) n. a Vicenza il 31.3.1934, operaio -
3. DALLA RIVA ANGELO (Angelin Coli) n. a Staro l’8.8.1928, primo minatore addetto agli esplo¬sivi nelle miniere di Auboé (FR)-
4. DALLA RIVA LUCIA (La Cia della Maria del Momi detto il Mola) n. a Schio il 7.1.1933, sarta alla Riva -
5. DALLA RIVA ROSA MARIA (La Rosina) n. a Staro l’8.11.1915, sorella di Francesco, intervistata presso la Casa di Rico¬vero di Valli d. P. -
6. DALLA RIVA FRANCESCO (Checco Giacomon) n. a Staro l’11. 11.1913, residente in Argentina, intervistato durante una sua vacanza a Staro -
7. SBABO ARTURO (Arturo Pessato) di Staro, panettiere, elettricista, fratello di Sbabo Severino, caduto alla Riva (pg. 352) -
8. SBABO LORENZO (Colonna) di Staro, Cl. 1910 -
9. SBABO LUIGIA in Dalla Riva Silvestro, di Staro, Cl. 1928, casalinga -
10. TESSARO ENRICHETTA (RichetaBajolina) n. a Staro il 29.12.1896, Bar da la Richeta -
11. TESSARO MARIA (Maria del Prete) n. a Staro il 5.7.1888, ex perpetua a Trissino ed a Staro per 70 anni. Per informazioni sono stati inoltre interpellati Dalla Riva Silvestro falegname, Una e Silvio Trettenero. Un particolare ringraziamento all’attuale Parroco di Staro don Luciano Fabris.


4a -ZILIOTTO don ANTONIO. Nato a Valdagno il 3.7.1893. Ordinato sacerdote nel 1920. Parroco di Staro dal 1939 al 1951. Deceduto a Valdagno il 20.3.1964. Uomo di azione e di parola, ben poco egli scrisse nel Diario cronistorico parrocchiale. Per voce unanime dei partigiani egli appartiene di diritto alla storia della Resistenza in Val Leogra. Anche Romano Marchi (Miro), che non è tenero con il clero, in una sua relazione riconosce la validità partigiana di don Antonio Ziliotto. Simpatizzante dei garibaldini, don Antonio Ziliotto non ha risalto, come a mio parere dovrebbe avere, nella storia della Resistenza anche di parte cattolica. E ciò forse perché, a causa del suo comportamento particolare, fu in seguito allontanato da Staro e mandato a Recoaro, dove visse poveramente, aiutato nel vitto da persone buone fino alla sua morte avvenuta per un male incurabile a Valdagno nel 1964.




NOTE AGGIUNTIVE QUADERNO 4°

1. -  GIUGNO 1944: UN MESE DI FUOCO - 


SABOTAGGIO SULLA LINEA FERROVIARIA VERONA•BRENNERO - Tra le molte azioni, assalti e sabotaggi del giugno 1944 merita di essere segnalato il sabotaggio alla linea Verona-Brennero durante il transito di un treno; in proposito vi è una dichiarazione firmata di ZUCCHI ALBINO («Bolla») di Schio-Magré, in quanto a suo tempo vi fu una discreta polemica fra Catone e Giulio sulla paternità dell’azione. Ecco il testo:


«Era i primi giorni di giugno del 1944. Siamo partiti in quattro partigiani: il sottoscritto “Bolla”, un Inglese, “Guastatore”, “Mantova” (poi caduto nell’esplosione a Campomolon). La missione era di far saltare un treno sulla linea ferroviaria della linea Verona-Bren¬nero. Traversato il Monte Zugna, siamo scesi verso Ala e, arrivati sulla Statale, ci siamo fermati a studiare la zona ed il servizio di guardia delle sentinelle tedesche. Giunta la notte ci siamo infilati in un tombino che passava sotto la strada e finiva a pochi metri dalla ferrovia. Qui venne preparata la carica da mettere sui binari, mentre la sen¬tinella passava sopra di noi facendo anche cadere qualche sassolino. Quando fu tutto pronto fummo costretti ad aspettare il passaggio del treno perché gli orari venivano continuamente cambiati. Finalmente lo sentimmo arrivare da lontano ed in 3 abbiamo attraversato la strada mentre l’Inglese dava l’ultimo tocco alle cariche di esplosivo. Dopo l’esplosione abbiamo visto uomini, casse e ornamento saltare in aria e delle grandi fiammate. Improvvisamente seguirono raffiche sparate dai Tedeschi e noi, invece di rispondere al fuoco per non farci individuare, siamo fuggiti a monte e siamo tornati alle nostre basi di partenza». Giulio aveva a suo tempo annotato di suo pugno nella dichiarazione: «L’Inglese del Servizio Segreto. Ha indicato il treno giusto. Sono passati altri treni e il treno civetta. In seguito il Cap. Colombo a domanda disse che quell’Inglese aveva finito la sua missione».

 

 

QUADERNO 7°
1. - 11-12 LUGLIO 1944 - 


ITALO CISCATO (Gandi) mi scrive (16.12.79) da Arcore (Milano): «In quel periodo il Btg.ne APOLLONI si trovava scaglionato con la pattuglia di Bortoloso Valentino (Teppa) sul Monte Lisegno, con il Comando ed una compagnia guidata da Bruno Redondi (Brescia) al Bojaoro, con una pattuglia comandata da Giovanni Cavion (Glori) alla Guizza, mentre pi ù sopra sull’estrema destra si trovava la pattuglia di Broccardo (Erreti). E probabile che i Tedeschi dal loro osservatorio in Caserma Cella abbiano notato con i binocoli un certo andirivieni di partigiani armati in tutta la zona senza riuscire però ad identificare con esattezza i loro punti di concentrazione: di qui forse l’idea di mandare alcune compagnie di fascisti e di ucraini per una perlustrazione. La sera del1’11 luglio vi fu così l’intercettazione nei paraggi del Bojaoro di Pietro Zanella (Mercurio), inviato dal Comando per avvisare le altre pattuglie. Quella stessa sera la pattuglia di “Glori” era uscita per un’azione di molestia sulla statale Schio-Santorso e durante il rientro si udirono alle Falgare raffiche di mitra e bombe a mano; si ripiegò allora verso le contrade Aste-Martarelli-Rive e si rientrò nella tenda piazzata alla Guizza. Il mattino seguente 12 luglio notammo una certa riservatezza frettolosa da parte della gente, il che non mancò di stupirei, ma si attribuì la cosa al fatto che quelli della pattuglia di “Erreti” indossavano del vestiario sottratto alla Wehrmacht; infatti, inviato qualcuno per una ricognizione nel dintorni, non si notò alcunché di anormale. Nel frattempo si provvide al cibo per gli uomini presso il Cason dei Momelati.

 

Improvvisamente ci trovammo un reparto di ucraini vicino alla nostra tenda mimetizzata fra la vegetazione (il reparto proveniva dalla mulattiera che parte dai Soj di S. Caterina). Noi eravamo in posizione di riposo e loro stavano semplicemente rientrando con le armi in spalla. Nel disordine del momento fu colpito “Pompei”, mentre gli altri, chi senza scarpe e chi senz armi, si gettarono per la ripida discesa che dal bordo della tenda dava sul versante Cason del Momelati. Coprendoci con qualche colpo di pistoia. Ci spostammo verso il Monte Enna, mentre gli ucrani-tedeschi temendo forse che vi fossero altre pattuglie, raccolsero “Pompei” ferito e si avviarono per il rientro in caserma. In conclusione ritengo che l’arrivo dei rastrellatori sia stato del tutto casuale per una tragica coincidenza imprevedibile».



QUADERNO 8°

1. - LA MANOVRA DI PALAZZO - 


 

SERENO SCHIRO da Arsiero mi ha inviato (9.10.79) copia conforme di uno stralcio del manoscritto stilato su quaderno da “Catone”:


pg. 1 - Io sottoscritto Rigodanzo Alfredo di Pietro e di Bevilacqua Alice, nato a Nogarole Vic., distretto di Vicenza, il 6 febbraio 1922, residente a Trissino (VI), col titolo di studio della maturità classica, dichiaro sotto la mia personale responsabilità quanto segue nei riguardi della mia attività partigiana:


pag. 25-26-27 - «Perveniva al mio distaccamento, il giorno 7-8-44, una staffetta con lettera urgentissima e indirizzata a Dante, allora di stanza presso il mio distaccamento. In essa si invitava Dante ed io a partecipare in via 9ssoluta alla riunione, che si sarebbe svolta in località Campetto di Recoaro, il giorno 8-8-44 con l’intervento di diversi C/ti e C./ri della Garemi, del C/te della Pasubio Giuseppe Marozin e di un delegato del Cito Regionale Triveneto con pieni poteri. Da parte di quest’ultimo C/do fu inviato il Sig. Zini. Io pur dovevo partecipare a quella riunione. Mi trovavo con Dante, C/te del Btg. Stella, quando in località Giaccole di Recoaro, per causa di un rastrellamento in corso, non potemmo continuare il cammino e raggiungere la località prefissa per la riunione. Soltanto nel primo pomeriggio riuscimmo raggiungere i convenuti alla riunione sulla via del ritorno. Ebbi così modo di fare conoscenza con molti Citi e C/ri della Garemi e col Sig. Zini, uno dei responsabili del C/do Regionale Triveneto. Scesi in località Cailo di Recoaro il C/do della Garemi, dato il numero degli effettivi e della vasta zona di giurisdizione, deliberò alla presenza del delegato Triveneto, la formazione di un C/do Gruppo Brigate Garemi formando con le sue forze due Brigate: La Stella e la Pasubiana. Quivi furono scelti i due C/ti e i 2 C/ri mentre si lasciò a questi ultimi facoltà di scegliere e proporre al nuovo C/do G.B. per la conferma i nuovi C/ti e C/ri d, Btg e di distaccamento e relativi intendenti. Per la nomina dei capipattuglia veniva data libertà assoluta. Dalle democratiche elezioni fatte, dal C/do fui costretto ad accettare la nomina di C/rio di Guerra della Brigata Stella, mentre veniva eletto C/te Dante, Pierobon Luigi, già responsabile delBtg. Stella. Ci venivano quindi assegnate le zone di tutta la valle dell’Agno e di alcuni comuni nei pressi di Montagnana (Padova)».




2. ATTACCO ALLA CASERMA DI TONEZZA - 


I CADUTI FASCISTI - In contrasto con la Relazione del Maggiore della G.N.R., il quale riporta in essa anche tutti i nomi sia dei caduti che dei feriti, Elvira Baron mi scrive:


«Nell’inverno 1944-45 ero riparata a Tonezza perché una notte una pattuglia fascista di 17 uomini al comando del commissario Ciro Arcori (con loro c’era anche il pilota francese Pierre) era venuta per arrestarmi. Allora pesavo quaranta chili vestita e rimasi all’Albergo Posta di Tonezza per ristabilirmi un po’. In quel periodo Tonezza era praticamente “zona libera”. Ricordo che un pomeriggio stavo giocando a dama con il proprietario dell’Albergo e si venne a conversare sull’attacco partigiano alla Colonia. Il proprietario – Aida Canale – diceva di aver contato 84 bare, mentre il panettiere, che aveva il negozio di fronte all’Albergo, sosteneva che erano 80 (ottanta). Risultò che i Fascisti avevano mobilitato tutti i falegnami della zona» (11.12.79).


 

1. - ATTACCO PARTIGIANO A CA’ TRENTA - 

 

SILVIO MANFRON precisa quanto segue: «Dopo l’attacco vennero condotte in paese alcune ricerche in modo da accertare più chiaramente come si erano svolti i fatti. Risultò che una donna anziana da Castellon, che stava recandosi a fare la spesa, aveva scorto lungo il tragitto un gruppo di partigiani e ne aveva fatto parola, senza pensare alle conseguenze, all’interno di un negozio. Fu accertato inoltre che il proprietario del negozio si sarebbe improvvisamente assentato, lasciando i clienti da servire. Un fatto così insolito fu collegato all’attacco a Ca’ Trenta. Infatti il primo gruppo girò indisturbato in una stradina laterale, mentre il gruppo di coda fu raggiunto da fascisti in bicicletta, che si ritiene accorsi subito sul posto a seguito della probabile segnalazione sopradetta».



2. - LA RIUNIONE DI S. ANTONIO - 

Giancarlo Zorzanello, studioso della Resistenza in Valle dell’Agno e che ha in preparazione un libro sulla Brigata STELLA, mi scrive (24.11.79): «Pure interessante mi è risultata la notizia della riunione del comando della brigata «Garemi» a metà Giugno. Penso che proprio in quella occasione si decise la costituzione dei due battaglioni. Di questa riunione ne avevo intuito l’esistenza, ma non avevo alcuna testimonianza. Per quanto riguarda la Missione giapponese forse potresti saperne di più interrogando “Max”, che io ho conosciuto questa estate. Ti fornisco l’indirizzo: BOARETTI ALESSANDRO - Quinta S. Francisco - Av. Bolivar - Urb. Avelo N -102 CARACAS - VENEZUELA».



NOTE
(1) - Nelle tante testimonianze di «azioni partigiane – finora descritte nei Quaderni la presenza di «Alberto» e di qualche altro componente del Comando del gruppo GAREMI risulta in effetti occasionale. E si pensi al fatto (pg. 412) che «Giulio», comandante allora dell’APOLLONI in zona libera di Posina, conobbe per la prima volta Lisy, Aramin e Max il 10 agosto 1944, quando l’estate calda della guerriglia garibaldina era già nella sua parabola discendente.

Pertinente e significativo, pur nei limiti di un giudizio perso¬nale, è anche quanto scrive Alberto Sartori («Carlo»), ispettore della GAREMI, in una sua Relazione del 15.5.1979: «Comando GAREMI fu coinvolto nel rastrellamento di Granezza dal quale si sganciò con la Missione alleata e si stabilì altrove. Passò parecchio tempo prima che potessimo stabilire diretti contatti con tale Comando che, da quell’epoca: risulto acquartierato fuori zona GAREMI, in località a me sconosciuta fino alla Liberazione. Tale anomalia (che contrastava con le mie insistenti richieste miranti a far sì che il nostro comando si trasferisse nella zona montana in permanente contatto con le nostre Formazioni e da esse ben difeso ... ) si spiega forse con la decisione di «Alberto» di assumere il Comando unico della Zona Montana che era caldeggiato anche da Freccia (almeno a parole) e che, per evidenti rapporti di forze, sarebbe spettato ad un comandante garibaldino. Come noto, però, tale soluzione unitaria fu sempre frustrata dal dirigenti politici di altro colore e dai comandanti delle Formazioni facenti capo ad essi. Il comando delle GAREMI risultò poi dislocato permanentemente nella zona di Breganze e si stabilì un buon collegamento di staffette, con ispezioni periodiche di Alberto e Lisy ai Comandi delle Formazioni».


Ugualmente interessante è l’affermazione di Giovanni Cavio («Glori»), comandante del RAMINA BEDIN, secondo il quale «Alberto» – quando venne a Schio poco prima della Liberazione – utilizzò il nome di «Glori» per essere riconosciuto dall’ambiente partigiano scledense. Tutto questo, a mio avviso,  chiarisce e pone semplicemente la politica di «Alberto» in una certa prospettiva: probabilmente egli aveva molta fiducia nei Comandanti che aveva selezionato accuratamente in precedenza e quindi si preoccupava molto di più e direttamente dei rapporti «politici» e della «forza» (e prestigio) con la quale il Gruppo GAREMI doveva presentarsi alla conclusione della Resistenza italiana.



(2) -Aramin in RAPPORTO GAREMI (pg. 35) scrive: «E allo stile garibaldino si formano Norino (La Monaca) e Serra (Prunas). due ex ufficiali che più tardi assumeranno il comando di una divisione (sic) della Garemi. Serra, proveniente da una famiglia aristocratica imparentata con i Savoia, conserverà sempre la sua fede monarchi ca, ma anche la sua assoluta lealtà individuale, al movimento garibaldino. Agnostico e quasi infantile all’inizio, Norino La Monaca farà propria fino in fondo “ideologia sociale della resistenza: a Norino spetterà l’incarico di rafforzare il fianco sinistro delle Garemi, raggiungendo il Brenta da Rubbio, sull’Altipiano di Asiago -. Ritroviamo i due ex ufficiali nel Veronese durante l’inverno 1944-45 secondo la testimonianza di Romano Marchi (Miro) (pg. 102):«È a questo punto, nel pieno inverno ’44-’45, che si giunge alla costituzione del COMANDO ZONA MONTAGNA (C.Z.M.) per la provincia di Verona. Nel corso di una riunione avvenuta presso una nostra base, a Colmasino, Giacinto La Monaca Norino, ci informa che il CLN di Verona ha previsto la creazione di un C.Z.M. provinciale diretto dallo stesso Norino, comandante, da Giovanni Dusi Francesco, commissario politico, e da Mario Prunas Serra, capo di stato maggiore».


(3) - «Verso la fine di luglio giunse sull’Altopiano tutto il Comando della Divisione GAREMI: Alberto, Lisy, Aramin, Elio e Marte. Giunse anche Thino (Apolloni Gino) che sarà poi staccato, come ufficiale di collegamento, dalla GAREMI e assegnato alla Missione Freccia. (...). Il Comando restò sull’Altopiano tutto il mese di agosto 1944» (cfr. Brigate d’assalto Garemi, 1978, pg. 143).


(4) - PETRONI MAURO («Puccini») - Impiegato alla Cassa di Risparmio di Vicenza, ora pensionato. Il padre Bruno lavorava nell’Arsenale ferroviario di Lucca, che nel 1930 fu smantellato dal Federale Carlo Sforza perché un covo di sovversivi; il personale fu sparso in giro per l’Italia e Bruno preferì venire a Vicenza. Il figlio Mauro nacque a Lucca il 16.12.1924, poi abitò a Vicenza. Di Leva il 27.8.1943, fuggì dopo l’8 settembre da Montereale Cellina (Pordenone) e si nascose sulle colline del Vicentino lavorando in campagna. Tornato a casa a Natale fu poi arrestato a Vicenza per istrada come renitente di leva e tradotto nella Caserma Cella di Schio.

Qui i renitenti ebbero intimidazioni e ricatti di arresto dei familiari in caso di fuga e furono poi inviati in Abruzzo a scavare trincee, ma dopo il primo bombardamento Mauro tornò a Vicenza e si mise in contatto con l’amico Dino Carta, inserito nella G.N.R. ma nipote di un Pilati di Torre-belvicino, al quale Mauro fu presentato e che lo introdusse nelle formazioni partigiane di Malunga. Infatti verso i primi di giugno 1944 lo portò in montagna «Franco» (Dalla Serra Franco, residente a Torrebelvicino, ora ingegnere a Padova). Mauro così racconta:


(Qui lo conobbi per la prima volta).

Mi sembra quindi improbabile che Norino si trovasse in Malunga nel periodo della Missione giapponese. A quanto so, Norino (Giacinto La Monaca) era di Macerata, ufficiale (forse effettivo) fuggito dopo 1’8 settembre, fidanzato con Onorina, figlia di un ricco industriale di scarpe del Veronese. Alberto lo aspettava a Rivolto, ma non so per quali vie si fossero accordati. La mia pattuglia in quel periodo era comandata da “Rolando”, un ex carabiniere che abitava ai Cappellazzi e che in seguito venne catturato e fucilato. Avuto notizia di un rastrellamento in corso in Val del Chiampo, ci spostammo verso il Pizzegoro (Recoaro Mille) e la notte, traversato l’Agno, ci portammo ai Cappellazzi; di lì passammo  in Civillina e qui conobbi “Jura” ed “Ermenegildo” (poi Catone)».



(5) - IL BATTAGLIONE «UBALDO» - Nella comunicazione ufficiale dei nuovi Comandi stilata dal Comando GAREMI (Alberto-Lisy) e datata 10 agosto 1944 (cfr. a pg. 411) è scritto: «Il Btg. “Ubaldo” è comandato da “Marte” ed ha come Commissario Politico un certo “Belforte”». Marte è Giovanni Garbin di Schio-Poleo e Belforte un Bonora di Rovereto. Questo battaglione «Ubaldo», costituito a tavolino da Alberto, durò ben poco se – come sembra – fu proprio il nome dato al distaccamento che partì da Raga e combatté a Marola. Marte fu destinato ad altro Comando. Infatti il distaccamento («Ubaldo») in partenza da Raga aveva la seguente composizione:

SERRA (Mario Prunas di Cagliari) comandante - BELFORTE (Bonora di Rovereto) commissario - MARESCIALLO (un meridionale) segretario - CARLO (tenente esercito -veronese) capopattuglia - LIA (sergente magg. esercito-veronese) c.p. - MARAT (Guerrino Barbieri di Magrè) c.p. - Tra i garibaldini sono ricordati: TEMPESTA (Cenzato Pierino di Raga) - JAK (Rampon Giacomo di Magrè) - PIPPO (Santacaterina Marino) - CITA (Lana Sergio di Magrè) - BRENZI (Sartori Francesco di Magrè) - MESSINA (Ciscato Armando di Magrè) - ZEN (Boscato Domenico di Raga) - PUPA (Padovan di Torrebelvicino) - MACARIO (Assiolla Girolamo) - BURRASCA (Zordan Attilio di Cereda) - CALABRESE (meridionale) - LUNA (    ) - CASTELLO (da Brogliano) - ARDITO (sergente esercito) - GIANNI (Morselli di Mantova) - PASCIA (Tarquini Nello) - LUPO (Urbani Francesco) - Altri tre, dei quali mancano i nomi.


Il nome di «Ubaldo» dato al nuovo Battaglione dovrebbe derivare dal partigiano «Ubal¬do» fucilato nel cimitero di Chiampo il 5 giugno 1944 (cfr. Maria Volpato, cit. pg. 46).


In proposito ho raccolto la testimonianza di Filippi Farmar Giovanni (Nero) di Valli, che fu suo  vice capo pattuglia e confermata da Oliviero Giacomo (Tega) di Valli. «Nero» dice: «Ai primi di giugno ci hanno concentrato in Rovejana per fare le pattuglie e tra queste fu costituita anche “LA VOLANTE”, che purtroppo è durata un giorno. Comandante c’era Ubaldo di Recoaro, io ero vice, poi ricordo l’amico Tega, Filippi Francesco (Checo Carpene di Valli “Tosca”), suo cugino Ettore di Valli, Bari, Calabria, due giovani sbandati da Carpi e qualche altro. Partimmo al mattino verso Tezze di Arzignano per andare ad assaltare qualche treno lungo la Verona-Vicenza. Verso mezzogiorno ci siamo sistemati in un bosco sotto la strada per riposarci; quando mi svegliai non vidi Ubaldo e seppi che era andato in giro per avere notizie. Improvvisamente abbiamo sentito un’esplo¬sione ed un colpo di pistola. Era arrivato improvvisamente un camion di fascisti, che catturò Ubaldo e venne addosso alla nostra pattuglia sparandoci con un fuoco tremendo. La terra fumava, Tega ebbe il cappello e la maglia forata da pallottole. Allora siamo fuggiti in una vallata, dove una staffetta venne a prenderei per condurci su di un monte; alla fine siamo arrivati a Fongara dove la gente ci accolse con simpatia e ci diede latte, polenta. formaggio e insalatina fresca. Di qui poi ci siamo portati in Malunga».


DOMENICO BARON testimonia: «A quanto mi riferì il conte Serra questo distaccamento in partenza da Raga doveva portarsi nella zona della “Mazzini” presso le formazioni autonome. Forse per questo, con l’intenzione di far bella figura, il conte Serra fu piuttosto esigente nei preparativi e nella richiesta dei materiali. Fece distribuire le armi con criterio militare in leggere e pesanti, volle una congrua dotazione di tecie e pignatte ed un mulo per i trasporti; siccome richiese poi che i componenti della spedizione avessero i calzoni tutti uguali ci recammo dalle Suore del S. Cuore per la confezione.

Quando, fornito anche il binocolo, pensavo che fosse a posto per partire, il conte Serra volle anche la bandiera. Ripenso in confronto alle richieste di Ismene Manea, il fratello del Tar di Malo: una volta, visto che non lo chiedevano mai, domandai se avevano bisogno di sapone: “A farne che?” mi rispose. “Per lavarsi” dissi io. Ismene seriamente affermò che un partigiano si lava strofinando un sasso al posto del sapone. Furono Serra e Belforte a dirmi di preparare i materiali per la spedizione e, siccome non si disponeva di tutta quella roba, una persona che ci aiutò molto fu Mario Viviani.

Ma alcuni giorni prima Serra ebbe un ascesso in gola con febbre altissima e quindi restò a letto a casa mia. Ricordo che Serra e Belforte parlavano molto bene il francese e discutevano con “Pierre”, che non partì con loro a causa delle gambe gonfie per ferite . l! conte Serra era un tipo alto, simpatico, di poche parole, oriundo dalla Sardegna e mi sembra fosse un nipote del Sovrintendente alle Be”e Arti di Venezia. Mi ha colpito la sua resistenza ai disagi: dormiva anche per terra e saltava i pasti senza mai recrimi¬nare. Dopo la Liberazione mi scrisse dalla Sardegna un paio di volte e credo sia entrato nella diplomazia».



(6) - SANTACATERINA MARINO («Pippo»). Di Giovanni (agricoltore in Raga) e fu Lanaro Apollonia di Laghi. Nato a Schio il 6.2.1924. Rivedibile. Abile dopo l’8 settembre, fu ricercato, ma lavorò nell’impresa Gasparini a Pieve fino a primavera. Poi si aggregò ai gruppi partigiani di Raga in casa Barbieri. Questo il suo racconto:

«A fine agosto ci dissero che si doveva partire per formare una nuova Brigata sul Grappa. Ci si mise in viaggio il 23 agosto verso Cerbaro dove ci aspettava Marte. Rimasti li un giorno, si passò alle Piane, Timonchio, Garziere, Carrè, colline di Marola, fermandoci lì.

La notte dal 25 al 26 agosto stavamo per partire, ma avendo avuto difficoltà a trovare la strada, si decise di partire il mattino dopo. Invece ci capitò il rastrellamento. Si sparò a volontà per aprirci un varco verso l’Asti co mentre il cerchio stava restringendosi. La nostra posizione di arroccamento era buona e con il mitragliatore e le armi automatiche si riusciva a tener saldo. Vidi Pascià ferito da una pallottola alla gamba e gli dissi di nascondersi, che poi saremmo andati a prenderlo. Penso che Urbani sia stato Invece colpito subito mortalmente. Dopo che ci siamo buttati verso la roggia. per un tunnel raggiungemmo l’Astico e poi, a gruppetti, siamo saliti verso il monte Foraoro.

Dei 24 uomini che partirono da Raga, una dozzina si dispersero subito e tornò in Raga; il conte Serra ed altri 4-5 si diressero subito dopo lo scontro verso l’Altopiano; Marat ferito andò a Granezza e qui fu anche disarmato della pistola dai badogliani fino a che non arrivò Serra; io invece, con Lia - Tempesta - Carlo - Cita - Messina - Brenzi - Pupa, restai nella zona per recuperare gli zaini. Da Granezza siamo partiti per Forte Corbin poco prima del rastrellamento e infatti ricordo che ai Tre pezzi di Conca incontrammo delle pattuglie partigiane, le quali ci informarono che il Costo era zeppo di camions tedeschi. Durante il mese di settembre, a 2-3 alla volta, siamo tornati in Raga».



(7) TARQUINI NELLO («Pascià»). Cl. 1925. Figlio di Silvio (n. a Marostica il 30.10.1883, fuoruscito in Francia durante il Fascismo, vi rimase 10 anni e tornò nel 1933 per la morte da incidente con bicicletta del figlio Francesco - Cl. 1905) e di Dal Prà Teresa, casalinga, n. il 30.10.1884. Il fratello Angelo (Cl. 1921) fu partigiano nella Brigata. Stella, il fratello Umberto (Cl. 1923) fu volontario nei Carabinieri e restò 6 anni in Africa, di cui 3 prigioniero; vi è infine la sorella Caterina. Nello («Pascià») lavorava di nascosto come minatore e nel 1943, chiamato alla visita di leva e trattenuto per l’invio in Germania, fuggì dal convoglio e si nascose in un buco a valle verso Quargnenta presso la sorella Caterina.

Ricercato e scoperto, Nello riuscì a fuggire tra gli spari. Trasferitosi in Val del Chiampo, si unì alla formazione di Marozin, ma in seguito, visto il comportamento del Comandante, si aggregò alla Brigata «Stella» al Rocolo della Selva, donde fu poi inviato sul Monte Civilina, nella cui zona si trovava il Comando GAREMI. In quel periodo Nello Boscagli («Alberto») diede disposizione di formare In Raga un distaccamento col nome «UBALDO» per portarsi sul Grappa e costituire un Battaglione alle dipendenze della GAREMI.

Partiti da Raga il 25 agosto 1944, il distaccamento di 34 partigiani si portò sulla collina di Marola di Chiuppano, dove furono sorpresi da un rastrellamento. Nello, ferito ad una gamba, si nascose in un campo di grano; purtroppo aveva finito le munizioni, fu trovato e poi barbaramente torturato ed ucciso. Va anche detto che, nel periodo in cui Nello si trovava con Marozin, il padre Silvio fu arrestato e tradotto a S. Biagio e qui venne trattenuto fino alla fine della guerra con il ricatto che tornasse il figlio Nello. Peghin Teresa («Wally»), cognata di Nello Tarquini, fu staffetta partigiana e madrina della Brigata Stella. (Notizie testuali della famiglia Tarquini - 7.1.80). 



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