QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Ottobre 1979 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
Volume IX
(da pag. 435 a pag. 442)
1.IL GRUPPO DA SCHIO PER MALGA CAMPETTO
Gennaio-febbraio 1944
di E. Trivellato
Malga Campetto (mt. 1606), situata oltre Recoaro Mille sui monti meridionali di Recoaro (Valle dell’Agno), costituì nel gennaio del 1944 una «zona di coagulo» di persone singole o di gruppetti provenienti dalla Valle dell’Agno, da Vicenza, da Padova e da Schio. Venne così a formarsi il cosiddetto «Gruppo di Malga Campetto» (1). Trattandosi di un gruppo eterogeneo, sorto in quel luogo probabilmente per motivi di opportunità geografica, uno studio sulle sue origini si pre¬senta di per sé piuttosto complesso; se poi si vogliono attribuire ai singoli componenti del gruppo dei ruoli di maggiore o minore importanza, sulla scorta sia di relazioni partigiane che di testimonianze, è facile incorrere in giudizi di sopravalutazione, specie se la maggior parte dei protagonisti, cioè di coloro che si trovavano in posizione di preminenza o di comando, sono ormai deceduti da tempo e mancano quindi le testimonianze dirette. Pur evitando di entrare in merito alla dibattuta questione dei ruoli, resta comunque accertato che alle origini del « Gruppo di Malga Campetto» vi è anche un gruppetto proveniente da Schio e sul quale ho ritenuto interessante condurre una breve ricerca.
In proposito vi è il seguente «Memoriale di Gastone Sterchele» (2), nel quale appunto vengono riportate molte notizie inedite sull’argomento di Malga Campetto:
«Fin dai primi mesi del 1943 ero entrato in contatto a Mira (VE) dove c’era la famiglia di mia moglie, con Romeo Isegeto (3), un pescatore oriundo chioggiotto che era in collegamento con Gianquinto. Dopo il 25 luglio fu combinato che sarebbe venuto a Schio Antonio Bietolini. (4), il quale era stato compagno di carcere alle Tremiti di Silvano Lievore (5), di Luigi Sella («Rino») e di Bortolo Ronda. La riunione ebbe luogo alla Casina Rossa in via Vicenza presente anche Gildo Broccardo, e l’argomento discusso fu quello di cercare di riallacciare i quadri del Partito fissando a casa mia, in via Sebastiano Bologna, il punto di riferimento più sicuro.
Dopo l'8 settembre 1943 si costituì al Festaro il primo gruppo armato della nostra zona e fu in quel periodo che venne a casa mia anche Amerigo Clocchiatti (“Ugo” ) (6), mi pare assieme ad Orfeo Vangelista (“Aramin”), in quanto Clocchiatti stava organizzando un gruppo armato a Conco, sulle pendici dell’altopiano di Asiago; siccome a Schio erano state recuperate molte armi, i due vennero appunto perché cercassi di riunire armi e viveri per il gruppo di Conco. Assieme a Gildo Broccardo avevamo costituito al Bojaòro, sopra Poleo, dei piccoli concentramenti di pane, burro ed altri viveri, essendo in possesso di alcune tessere annonarie, ed in questo fummo aiutati anche da Sandro Cogollo (“Randagio”), che era panettiere, e da molti altri compagni. Venne a Schio anche il capitano Crestani, combattente di Spagna (7), per avere delle armi. In ottobre il gruppo del Pestaro fu investito da un rastrellamento, ma la nostra attività clandestina continuò anche nei mesi successivi.
Ebbero luogo infatti a casa mia alcune riunioni preliminari al fine di inviare un gruppetto di partigiani della nostra vallata nella zona di Malga Campetto dove si aveva l’intenzione di costituire un consistente gruppo armato. Non so chi ebbe l’idea (forse proveniva da Padova) comunque il gruppo che doveva partire da Schio, armato di tutto punto, sarebbe stato il nucleo di base per l’organizzazione armata di Malga Campetto; se colà fosse stato già in funzione qualcosa di organizzato, sarebbe bastato un ordine di spostamento, mentre le varie riunioni tenute a Schio miravano invece a creare il gruppo. A queste riunioni partecipavano, a due, a tre, a quattro, per non dare nell’occhio: Nello Boscagli (“Alberto”), Igino Piva (“Romèro”), Orfeo Vangelista (“Aramin”), Clemente Lampioni (“Pino”).
Alla fine venne deciso che sei-sette uomini della nostra zona si sarebbero trasferiti a Malga Campetto e che noi da Schio avremmo provveduto al vettovagliamento. Il problema era di trovare chi si sentiva disposto allo spostamento fuori zona. Dopo vari contatti locali, accettarono la migrazione: Giovanni Garbin (“Marte”) di Poleo, un altro di Poleo (8), Luciano De Rossi (9), Calta (10), Luigi Freschi (11) che era stato presentato da Valerio Caroti, uno di Torrebelvicino che poi morì per un incidente con il mitra (12). Il punto d’incontro per la partenza doveva essere Ponte Canale dove Mario Valmora (“Lama”) e Pierin Bressan portarono con un carretto delle armi che erano nascosti alle Aste. Nel primo viaggio parti, con il gruppo dei sei, anche Antonio Trentin (“Burasca”) da Torrebelvicino (cfr. pg 260), ma ritornò subito dopo e non restò a Malga Campetto.
Dalla Valle dell’Agno venne una guida (13), per insegnare il percorso. A noi di Schio restò cosi il compito di rifornire di viveri il gruppo, per cui una o due volte alla settimana partivo di sera, con altri 5-6 elementi (ricordo Natalino Baron), per recarci ad una contrada sotto Malga Campetto dove c’era una famiglia che riceveva la roba per conto del gruppo; tornavamo a Schio verso le 4 del mattino. Da quanto ricordo i sei restarono a Malga Campetto per un mese circa, fino ad un rastrellamento che ebbe luogo in zona, e dopo il quale tornarono dalle nostre parti».
Altrettanto interessante è la testimonianza della guida PIETRO BENETTI («Pompeo») a seguito di una intervista a Recoaro (27.5.1978) di Giancarlo Zorzanello e Quirino Traforti. Pietro Benetti cosi racconta:
"Verso i primi di Gennaio Giuseppe d’Ambros, che abitava a Fonte Abelina di Recoaro, mi ha mandato a Schio da un certo Sterchele, che abitava sopra il teatro civico, per prendere in consegna alcuni giovani ed accompagnarli a Fonte Abelina. Ho raggiunto facilmente la casa dello Sterchele, mi sono fermato un pochettino, poi ci siamo diretti verso il Leogra. Ricordo che lo Sterchele mi ha fatto vedere una pistola e l’ha portata con sè. Verso il Leogra abbiamo trovato alcuni giovani, tra cui ricordo con sicurezza Marte.
Gli altri mi sembra si chiamassero Segretario, Greco, Gech, Ivan: erano in 5 o 6. Lo Sterchele mi ha presentato i giovani poi ci ha accompagnati fino verso il ponte della “Gogna”: tutti erano carichi di grossi zaini. Per un primo tratto di strada mi hanno fatto da guida loro, poi la strada era conosciuta solo da me. Abbiamo fatto il seguente itinerario: ponte della Gogna ponte delle “Cavre” sopra Torrebelvicino poi contrada Manfron - capitello della Camonda e fonte Abelina. Il giorno dopo li ho accompagnati al Giocale e li ho sistemati nella “Tesa della Etta”. In quei giorni non so se qualche giorno prima o dopo è arrivato Gianni e poi altri partigiani inviati lassù da Vicenza e da Padova fino ad un numero di 20/25 persone.
Dal Giocale si sono trasferiti al rifugio Spitz, ma essendo questa zona troppo esposta, facilmente individuabile e poco sicura in caso di attacco nemico, si trasferirono a Malga Campetto (1600 metri). lo, Ceo e alcune staffette donne della zona di Recoaro approviggionavamo il gruppo e mantenevamo i contatti con Marco e Tovo a Valdagno. A malga Campetto il gruppo era sistemato molto bene in una grande casara, ben coperta e solida: non c’era ancora la neve in quel periodo.
Le pattuglie si spostavano frequentemente in perlustrazione sulle montagne, ricordo che nominavamo la malga di Fraselle col nome di “Fortino”: a Fraselle infatti ci sono due malghe una alta in una posizione strategica e particolarmente difendibile e l’altra più bassa; Fraselle si trova dopo Campodavanti".
Rastrellamento di Malga Campetto.
"Sono andato a portare il messaggio ricevuto da Giuseppe d’Ambros che l’indomani ci sarebbe stato un rastrellamento da parte dei nazifascisti. Hanno accolto il messaggio con esaltazione ed euforia disposti ad affrontare i nemici. Dirigeva il gruppo Milis, sottotenente d’artiglieria, emiliano, comandante, e Giani, commissario. Erano tutti armati o di mitra o di moschetti e di poche bombe a mano. Hanno subito dato disposizioni per far spostare tutto il gruppo verso il “fortino”, Fraselle di sopra. lo, essendo sera inoltrata mi sono fermato con loro quella notte. Alla mattina presto è iniziato lo spostamento prima dell’alba. La prima pattuglia di 8/9 partigiani era ormai verso Fraselle. La seconda era al Mesole sopra la Piatta. lo ero con la terza pattuglia con Gianni e Oreste.
Ci siamo diretti verso Campodavanti, ma alle porte di Campodavanti ci siamo scontrati con i fascisti che stavano venendo su in quel momento e stavano dirigendosi verso Malga Campetto per prenderci alle spalle. Siamo stati i primi ad accorgerci di loro e abbiamo aperto il fuoco subito. Loro sono stati presi alla sprovvista e si sono sparpagliati. Noi sempre sparando abbiamo cercato di alzarci in modo da poter scendere verso le Montagnole (Pizzigaoro). Intanto la seconda pattuglia sentendo gli spari è ritornata indietro e ha preso il nemico alle spalle. Da parte nostra non abbiamo avuto nessun ferito, da parte dei nemici, penso, ci furono parecchi morti e feriti. lo avevo solo una pistola e non ho partecipato al combattimento vero e proprio.
Dopo il rastrellamento il gruppo si è scompaginato e diviso: una parte infatti si è portato verso Durlo e Marana e una parte ritornò alle prime basi di contrada Caile e del Giocole. In queste contrade basse c’era Pino: la popolazione offriva spontaneamente ospitalità e non c’era bisogno di trovare rifugi fuori delle contrade. Verso la fine di febbraio e i primi di marzo sono partito dal Caile o Giocoele con Pino, Spivak, Ceo ed altri 3 o 4 di cui non ricordo il nome e siamo andati a Marana: là c’erano altri uomini: ci siamo divisi in 4 o 5 pattuglie.
Una pattuglia è stata quella di Tigre (Griffani Lorenzo) catturata a Cereda. lo con Pino e gli altri che ho nominati prima ci siamo diretti verso il veronese. Abbiamo fatto S. Bortolo delle montagne – Selva di Progno – poi siamo scesi nella val d’Adige e abbiamo minato la ferrovia con 2 o 3 Kili di tritolo – poi abbiamo fatto Bosco Chiesanuova – fosse di S. Anna – nei pressi di Velo veronese desideravamo azionare contro i fascisti locali, ma non l’abbiamo fatto, poi siamo tornati attraverso Fraselle-Campetto-Colle. Nota: È stato Giani a prelevare il segretario fascista di Altissimo e non Pino ai primi di marzo".
In Valle dell’Agno è stata raccolta infine la testimonianza di Lorenzo Griffani («Tigre») (Nato a Valdagno il 3.6.1923, operaio):
"Abito nella contrada Miniera di Valdagno a pochi metri da Visonà Severino “Nave.” Con lui seguo i primi avvenimenti per la organizzazione della Resistenza, partecipo e aiuto al recupero delle armi e mi dedico in modo particolare alla distribuzione di stampa clandestina. Sono a conoscenza del gruppo formatosi a Malga Campetto che “Nave” aiuta con l’invio di viveri alternandosi con i rifornimenti che arrivano da Fonte Abelina. Con i bandi di chiamata militare si decide che mi presenti per tentare il recupero di armi, ma questo non avviene e dopo pochi giorni riesco a scappare con 90 uomini e portarli a casa. Naturalmente non posso più farmi vedere in giro per il paese, ma mantengo i collegamenti con le staffette ed i partigiani, svolgendo attività propagandistica tra le classi di leva.
Il 18 febbraio – Tovo Pietro – addetto militare con il C.L.N. mi incarica di accompagnare in Durlo 4 giovani. Il 20 notte li accompagno fino alla contrada Bosco di Marana per consegnarli ad una staffetta e farli proseruire, uno di loro divenne successivamente “Poker” che operò fino alla fine con Marosin. Una parte del gruppo Malga Campetto che dopo l’attacco da parte dei fascisti del 12/2/44 si era trasferito in Durlo ed i nuovi arrivati compreso il sottoscritto si decise che Gianni restasse il comandante e di operare in pattuglie mobili per non farci individuare, anche perché il pericolo di rastrellamenti stava diventando una realtà.
Il gruppo viene diviso in quattro pattuglie distribuite come segue: una attraverso le montagne Veronesi va fino ad Ala per eventuali azioni sulla linea Verona Brennero; una seconda opera verso la statale Verona-Vicenza, una terza sulla Valli Rovereto; e la quarta sulla Vicenza-Valdagno.
Mi vengono assegnati 5 uomini e mi metto in movimento, per la prima volta si opera in pieno giorno ed armati, si attraversano le varie contrade prendendo contatto con i giovani di leva e dedicandosi al recupero di armi. Passiamo tutte le contrade da Durlo a Marano a Castelvecchio, da Campotomaso al Castello di Valdagno, attraverso la Figigola, la Crosara e tutte le contrade alte della Piana compreso il centro, ci dirigiamo attraverso S. Martino di Cornedo al centro di Brogliano per salire fino a Quargnenta e Selva, per scendere poi per le contrade che portano a Trissino per passare poi a Cornedo e Cereda. Il 14 Marzo 1944, una donna fa la spia e veniamo arrestati in tre da parte dei tedeschi. Il 27 successivo siamo processati a Valdagno dal tribunale militare tedesco e condannati a morte per essere impiccati ad Altissimo. Dopo essere stati graziati da Kesselring in persona, siamo stati portati in Germania per ritornare il 20 luglio 1945». Griffani Lorenzo. Maggio 1978.
NOTE
(1) Cfr. Giancarlo Zorzanello, “ Gruppo di Malga Campetto, in «Brigate d’assalto GA¬REMI» di AA.VV., 1978, p. 40 e segg.
(2) GASTONE STERCHELE - Di Giuseppe (n. Costabissara -1883 - addetto alla fabbrica¬zione del ghiaccio in Schio) e di Cabianca Angelina nata a Mira. Gastone è nato a Schio l’8.4.1913 e nel 1943-44 lavorava come meccanico nelle «Meccaniche Scledensi’ dell Ing. Donadelli, saltuariamente dopo gli scioperi del marzo 1944.
(3) ROMEO ISEGETO - pescatore di Mira, 30•35 anni, oriundo chioggiotto, collegato a Gianquinto, antifascista comunista; ricercato dopo l’8 settembre 1943 venne a Schio e Gastone Sterchele lo accompagnò a Conco dal cap. Crestani. Romeo è deceduto nel 1947 in seguito ad un incidente di barca.
(4) ANTONIO B!ETOLINI (alias Bruno Morassuti) -nato a Perugia il 13.6.1900, meccanico, arrestato a Torino per attività sovversiva fu condannato il 20.4.1931 a quattro anni dal Trlbunale Speciale. Dimesso dal carcere fu nuovamente arrestato e condannato dal T.S. a 13 anni e 6 mesi il 19.7.1934. Nella Storia del P.C.I. di P. Spriana egli viene a volte chiamato con il nome di Lorenzo (pg. 384 - decine di quadri cadono. (...) Lorenzo Bietolini, Ispettore delle Garibaldi del Veneto, è catturato e fucilato il 3 luglio a Valdagno), a volte con Il nome di Attilio (IV - pg. 185 «Qui svolge, sin dal 1937, attività clandestina Mario Lizzero che si collega con compagni di Cividale, Cormons, Spilimbergo, Pordenone usciti come lui, in quegli anni, dal carcere. Arriverà più tardi Attilio Bietolini, che è ricercato dalla polizia, e che sarà fucilato dai fascisti durante la Resistenza; è lui a stabilire un collegamento con il centro del partito in Italia. Bietolini lavora appunto con Massola»). Dopo Il 25 luglio 1943 venne anche a Schio ed in proposito Domenico Baron riferisce. «Lo riaccompagnai a Vicenza e ricordo che in treno parlava liberamente e faceva propaganda». Anche Silvano Lievore conferma: «Era stato mandato a Schio da uno di Venezia e nella riunione si discusse della situazione generale e si convenne, per la riorganizzazione del partito, di attendere il ritorno di Domenico Marchioro e di mio fratello Alfredo. Avevo conosciuto Bietolini al confino alle Tremiti e lo ricordo come un bell’uomo, sui 33-35 anni, sul biondo, un ottimo elemento, politicamente preparato. Era uscito dalle Tremiti dopo il 25 luglio» (27.4.78).
Dopo che Domenico Marchioro si allontanò da Vicenza nel febbraio del 1944 fu inviato al suo posto Antonio Bietolini e quando questi venne fucilato a Valdagno il 3 luglio 1944 fu sostituito da Antonio Emilio Lievore in seno al CLN di Vicenza.
(5) SILVANO LIEVORE (cit) - «Ricordo che, appena uscito dal confino, Crestani venne a casa mia a Schio e che cenammo assieme, con quel poco da mangiare che c’era allora».
(6) Da Amerigo Clocchiatti, Cammina frut, Milano, Vangelista Editore, 1973, p. 209 e seguenti (cfr. anche I Quaderni a pg. 127).
«L’8 settembre m’incontra con Longo a Milano. Longo mi fece un discorso semplice: Tu ora vai a Padova. Là devi organizzare la resistenza nel Veneto, in città e in montagna. Devi organizzare il movimento partigiano. - Risposi che non mi ero mai sentito l’indole del militare: temevo di non essere tagliato per quella attività. Avrei preferito continuare il lavoro politico che mi pareva più congeniale. Anche la seconda parte del discorso di Longo fu semplice: - Va e imparerai. Vedrai che imparerai. (...) Me ne andai a Padova. Era il 15 settembre, nasceva il partigiano «Ugo». (...) La mia zona di attività nel Veneto era molto estesa: da Padova a Vicenza, Verona, Belluno, Treviso, Venezia dovevo organizzare i GAP in città e il movimento partigiano in montagna. Da questa rete provinciale dovevo allargare il mio lavoro ad altri centri minori, come Bassano, Vittorio Veneto e altri. (...) A Vicenza m’incontrai con l’ex onorevole Domenico Marchioro e con altri bravi compagni. A Bassano con Lievore (Antonio Emilio) e Aramin (Vangelista) ancora giovanissimo. (...) Naturalmente avevo diversi contatti a Udine, dove mi recavo per ragioni varie, fra cui prelevare compagni da utilizzare nel lavoro partigiano veneto: fra i più noti, Roiatti e “Rega” (Lisi). (...) Nei primi mesi rimasi solo a rappresentare la delegazione Garibaldi a Padova. Più tardi vennero “Antonio” (Tominez) e “Astesano” (Platone) che rimase poco tempo, e successivamente “Guido” (Lampredi) e “Ascanio” (Gambia). (...) Con Aramin, animatore della resistenza nel vicentino, allora mio collaboratore per l’altopiano di Asiago e la zona del Grappa, partecipammo ad una riunione in una malga sopra Fontanelle di Conco con ex prigionieri italiani, inglesi, neozelandesi, sudafricani e un indiano. Quel che facemmo di più rilevante quel giorno fu di cantare gli inni nazionali di tutti i presenti, compreso quello di Mameli, che poi sarebbe diventato l’inno nazionale italiano. Quel gruppo ebbe l’esistenza di una notte di mezza estate. Gli stranieri non se la sentirono di fare un supplemento di guerra, e per di più non inquadrati regolarmente, e si cercarono lidi sicuri presso famiglie ospitali. Gli italiani proseguirono verso le malghe di Montagna Nuova, dove Aramin li assisteva, e io mi recavo ogni tanto a visitarli. Un altro gruppo si formò successivamente a Campetto, sopra Fonte Abelina nella valle di Recoaro, per opera di “Aramin”, di “Marco” e di “Gastone” (Sterchele, di Schio): lo costituivano inizialmente una ventina di giovani del luogo renitenti alla leva e desiderosi di battersi per la libertà del nostro paese. Il loro primo comandante fu “Gianni”, un chioggiotto dinoccolato, ben presto sostituito dal valoroso “Marte” (Giovanni Garbin di Schio)».
(7) Su CRESTANI a Schio sono state raccolte le seguenti testimonianze: DOMENICO BARON (cit.) - membro del C.L.N. di Schio per il P.C.1. - «Dopo il 25 luglio venne da me a Schio (Magrè) un certo Crestani, mi sembra oriundo dell’Altopiano, il quale era appena uscito dal confino politico e recava una lettera dell’amico Domenico Marchioro, da Ventotene; quest’ultimo sollecitava un mio intervento per la sua scarcerazione ed infatti venne inviato a Roma un telegramma. Per quanto so, il Crestani era un ex ufficiale delle Brigate Internazionali in Spagna e, dopo l’incontro di Schio, proseguì per il suo paese. Lo ricordo come un bel giovanotto, politicamente molto preparato, che parlava con proprietà, senza una parola in più. Mi risulta che in seguito ritornò a Schio, per avere delle armi, ed era con lui anche Pontarollo di Valstagna, che io avevo già conosciuto a Ventotene nel 1937-39 e lo ricordo come un giovanotto robusto, un colosso, molto serio, che aveva anche lavorato in Piemonte, in una miniera o in galleria».
BRUNO REDONDI («Brescia») - di Schio (Poleo) - "Nell’autunno 1943 a Schio funzionava già un Comitato – gli attivisti del P.C.I. – che dava le direttive. Infatti durante l’inverno, non ricordo quale mese, due componenti del Comitato, mi sembra Gastone Sterchele e Gildo Broccardo, mi mandarono a Vicenza presso la stazione della Sila con una parola d’ordine, per essere inviato sopra Fontanelle – tra Rubbio e Conco – con il compito di vedere se il gruppo armato colà costituitosi fosse una cosa seria e se del caso, mandarvi degli uomini. A Fontanelle incontrai il capitano Crestani e Pontarollo (entrambi comunisti): Furono uccisi a tradimento il giorno dopo che io ero tornato a Poleo. Ricordo che In precedenza Crestani e Pontarollo erano venuti a Schio a prendere delle armi. Sono stato mandato anche a Campetto, sopra Recoaro, a vedere l’organizzazione: era meglio che a Conco".
(8) GIOVANNI GARBIN («Marte») di Schio (Poleo) nell’autunno e inverno 1943-44 era – con l’amico «Turco» – l’uomo di punta, sotto il profilo militare, della Resistenza armata ed in tal senso era noto anche fuori della zona di Schio. Non vi è dubbio quindi che “Marte” era in sostanza il comandante del gruppetto che partì da Schio per Malga Campetto. L’amico di Poleo, che andò con lui, è FlORINDO BORTOLOSO (cl. 1918), fornaio, residente in Poleo centro, detto da alcuni «Il Commissario», da altri il «Segretario» di Marte.
(9) I TRE FRATELLI DE ROSSI DI SCHIO - Il capofamiglia Giovanni, ferroviere, coniugato con Llevore Caterina, risiedeva a Schio in via Cavour, 52. I tre figli parteciparono tutti alla lotta partigiana e la loro attività si caratterizza per una continua mobilità da una valle all’altra in tutta la vasta zona della GAREMI. Si trovano parecchi altri casi di «partigiani erranti» ed uno studio sull’argomento sarebbe utile per chiarire i motivi di questo continuo vagabondaggio, motivi complessi, in parte dovuti a disposizioni di trasferimento del Comandi ma in parte anche ad una inquietudine caratteriale. Per non essere stati lungamente legati ad una formazione la loro storia individuale si disperde in fugaci «presenze» qua e là senza un reale spessore storico ben individuabile nel tempo e nel luogo. L’appunto di vagabondaggio va esteso anche ad alcuni comandanti e commissari della Garemi e merita più innanzi uno studio particolareggiato, caso per caso. Sui De Rossi di Schio, un esempio emblematico, va riferito in breve quanto segue:
1. - DE ROSSI LUCIANO (Ceck 1°). Nato a Carrè il 15.1.1920, reso a Schio, operaio al Cioccolato Dolomiti, deceduto nel 1978. Di leva nella sussistenza, tornò come invalido di guerra. Aggregato al primo gruppo di Schio che si recò a Malga Campetto sopra Recoaro nel gennaio del 1944, dopo il rastrellamento del 16-17 febbraio 1944 tornò in Raga, ma in seguito fu rinviato nuovamente nella zona di Recoaro. Nel luglio del 1944 si trasferisce in Posina e durante il grande rastrellamento, pur avendo le carte in regola ed essendosi spacciato per mugnaio, viene arrestato a Castana, tradotto ad Arsiero e poi a Velo d’Astico. Dopo essere stato rilasciato, Luciano si sistema a Santorso e svolge attività partigiana in Val Leogra partecipando infine alla liberazione di Schio (notizie fornite dai fratelli).
2. - DE ROSSI GIOVANNI (Ceck 2° in Val Leogra - Topolino in Valle dell’Agno). Nato a Santorso il 28.3.1923, reso a Schio. Alpino ai confini dell’Jugoslavia, all’8 settembre si trova in ospedale a Gorizia e torna a casa con un permesso tedesco di 15 giorni; a fine settembre sale subito in Raga e recupera armi. Nel febbraio del 1944 viene mandato, assieme ad uno di Torrebelvicino, a Malga Campetto presso «Giani», e «Pino» ma essendo in corso un rastrellamento (16-17 febbraio) i due ritornano in Raga. Riparte per Recoaro (contrà Càile) e poi per Durlo, dove subisce un rastrellamento. Al Comando di «Pino», (Clemente Lampioni) va a Crespadoro a recuperare armi ed il gruppo si trova in un’imboscata tedesca. Al ritorno subisce un rastrellamento a Campodavanti ed un’imboscata a Frasèle e Campo Brun. Nel maggio del 1944 è presente in Val Leogra a S. Caterina per i lanci sul Novegno, poi torna in Valle dell’Agno e «Dante», e «Pino» gli affidano il comando di una pattuglia formata dal suo amico «Lugano» (milanese), da «Guastatore» (un triestino che aveva fatto saltare un treno di Tedeschi), da «Tarzan» (parlata piemontese), da «Greco» (Ca’ Alta Giacomo di Schio, appena rientrato dalle formazioni di Marozin) e da qualche altro. "Conoscendo i «tipi» – dice Ceck 2° – il mio comando di pattuglia restò piuttosto sulla carta. Vi furono sabotaggi sulle strade ed attacchi a Caserme, ad esempio a Cornedo. Nel luglio del 1944 in Posina, dove andava formandosi una “zona libera”, e con «Lugano» doveva recare un messaggio a «Giulio» -: non lo trova e nell’attesa attacca con 5 uomini il presidio dei Carabinieri di Terragnolo suscitando le ire di «Turco», che era in collegamento segreto con il comandante del Presidio. Ritorna a Recoaro e partecipa con Dante e Tarzan all’assalto di una caserma per liberare alcuni prigionieri e poi al famoso attacco al treno. Ripassa in Posina in agosto e durante il grande rastrellamento riesce a riparare sul Majetto restando nascosto in un buco in terra per 2 giorni; poi si reca ai Laghi da Giulio e Braccio e viene mandato in Terragnolo nella pattuglia di «Tom». Una settimana dopo riceve l’ordine di spostarsi alle Piane sopra Schio, dove c’era un bunker. La notte del 31 dicembre 1944 si trovava all’aperto con altri per scavare un nuovo bunker; notano dei movimenti: era una pattuglia fascista (con “Tokio» come prigioniero) la quale voleva sorprendere i partigiani nei bunker. Ceck 2°, già in allarme, udì un colpo di tosse di «Tokio», quasi sicuramente intenzionale per segnalare la presenza dei fascisti, e così riescono tutti a mettersi in salvo. Purtroppo si udì poco dopo la raffica che uccise «Tokio» (Reghelin Giuseppe dal Tretto) caduto al sorgere del nuovo anno, il 1945. A metà gennaio Ceck 2° si ammala (febbraio) e trova rifugio a Santorso presso la famiglia Angelo Costa, che con grave pericolo lo tiene nascosto in un bunker. Nell’aprile del ‘45 Ceck 2° partecipa di rinforzo all’azione di sabotaggio del Ponte del Timonchio organizzata da “Giulio. ed infine alla liberazione di Schio".
3. - DE ROSSI GINO (Ceck 3°) - Nato a Santorso il 4.7.1926, resi¬dente a Schio, operaio al Lanificio Rossi, il più giovane dei 3 fratelli. Dopo l’8 settembre rimane al lavoro ma, a seguito delle pressioni tedesche e del pericolo di trasferimento in Germania decide di salire in montagna con i partigiani; parte il 1° maggio 1944 e si reca a S. Antonio dalla Wally Pianegonda, che lo accompagna verso Recoaro in contrà Càile in seno ad una pattuglia partigiana (detta «il Rosso»). Il giorno successivo finisce a Malga Campetto, dove ricorda «Marco» e con una pattuglia di quest’ultimo, dopo circa una settimana, parte per Campo Brun ad attendere i lanci; appena fuori dall’ultima galleria vi è un’imboscata tedesca, fortunatamente elusa, e quindi riparte subito dopo per Campo Brun con un’altra pattuglia. È in una delle pattuglie che, al comando di Dante e Pino attaccano il Ministero della Marina di Montecchio Maggiore. Il 15 agosto, assieme ad un amico di Schio, Gino Zanella detto «Aurora», scende con una pattuglia comandata da «Paolo» in pianura verso Cologna Veneta con l’intenzione, probabilmente per ordine dei Comandi, di costituire nella zona delle nuove pattuglie partigiane. Dopo un rastrellamento, nel quale venne catturato «Aurora» (morto in campo di sterminio a Gusen) la pattuglia si disperde e Ceck 3°, con un compagno meridionale, ritorna nella zona di Schio e viene aggregato al «Barbieri» in Raga-Monte Magrè. Partecipa all’attacco alle Scuole di Sanvito e durante l’inverno 1944-45 rimane in Raga e con il «Barbieri» partecipa alla liberazione di Schio. È curioso il fatto che durante tutti quei mesi Ceck 2° e Ceck 3° si siano rivisti solo dopo la Liberazione. Nel gennaio del 1945 il capofamiglia Giovanni fu arrestato e tradotto nella Caserma Firenze di via Porta di sotto, dove fu sottoposto a scosse elettriche e torture giornaliere perché rivelasse dove si trovavano i tre figli; fu rilasciato in gravi condizioni di salute il 28 aprile 1945 e fu una fortuna perché il giorno successivo doveva essere fucilato.
(10) GIACOMO CA’ ALTA («Greco») - Il padre Arturo aveva sposato a Schio il 13.1.1920 una Luna Maria Maddalena, nata a Recoaro nel 1892, ed aveva avuto 3 figli ed una figlia: 1. ANTONIO (n. a Schio il 16.2.1921), commesso pizzicagnolo e deceduto a Fez (Marocco) il 3.7.1940 - 2. AURELIO detto Lelio (n. a Villa Santina il 28.12.1923) in seguito disperso in guerra - 3. GIACOMO (n. Recoaro l’1.10.1926). La famiglia si trasferì da Recoaro a Schio in via Fusinieri 70 il 21.8.1934 ed il padre lavorava alla SADE. «Greco» si inserì nella guerra partigiana con spirito awenturoso; dopo il rastrellamento a Malga Campetto del 16-17 febbraio 1944 si aggregò alla «Pasubio» di Marozin in Val del Chiampo, poi rientrò in Val Leogra nell’«Apolloni» partecipando a varie azioni. Sposò a Fiume una Pelai Natalina e nel 1951 si trasferì nel Comune di Turriaco.
(11) LUIGI FRESCHI - Di Lorenzo (n. Schio 1904, coniugato nel 1924 con Belli Francesca deceduta nel 1926, meccanico, emigrato in America nel 1936). Luigi è nato a Schio il 23.4.1924 ed è emigrato in Uruguay il 3.3.1950. Valeria Caroti così riferisce:
«Luigi Freschi era simpatizzante del Partito d’Azione e lo presentai perché aveva accettato di recarsi a Malga Campetto, donde tornò dopo il primo scontro. Nella seconda metà di maggio del 1944 si decise di inviarlo in Asiago a prendere delle armi, presso I fratelli Rigoni assieme a Fenido Costalunga ed un altro di Ressecco. Per delazione di un capostazione dell’Altopiano, così corse voce allora, i tre furono arrestati a Piovene dalla Polizia Stradale. Fecero dei nomi e fui implicato perché avevo procurato a Freschi una carta d’identità falsa, essendo in quel periodo come precario in Anagrafe a Schio: qui vennero un capitano e due militi con la carta di Freschi. Mi misi subito in allarme ed infatti vennero poi per prelevarmi a casa, se non fossi riuscito a rifugiarmi nel vicino Istituto Saleslano con l’aiuto di don Alfredo Brancalion, di don Mario Milocco e del cuoco Beniamino Gubitta. Dell’arresto dei tre ero stato informato dal ferroviere Rossato di Piovene. Infatti la spedizione in Asiago era stata organizzata assieme a Pierluigi Cazzola a Gildo Broccardo ed a Rossato. In Asiago furono arrestati i due fratelli Rigoni ed il loro padre, che si trovò in carcere con mio padre pure arrestato al mio posto. A quanto ricordo Freschi e Costai unga furono trasferiti in Germania e tornarono dopo la fine della guerra».
(12) «Uno di Torrebelvicino» è identificabile con SCORZATO DUSOLINO («Ivan») (pg. 255) che morì appunto in un incidente d’arma sui monti sopra Torrebelvicino.
(13) PIETRO BENETTI («Pompeo»).
(da pag. 443 a pag. 448)
2. LA MISSIONE GIAPPONESE
XVI. Inchiesta di E. Trivellato
La vicenda della Missione giapponese, catturata in Val Leogra ed «eliminata» in Malunga, è sempre stata motivo di discussione, di racconti misteriosi, di interpretazioni vaghe e disparate.
«Aramin» in Rapporto Garemi (pg. 32) scrive: «L’otto del mese (giugno 1944), la pattuglia di Furia che agisce nei dintorni, attacca una Mercedes diplomatica scortata da un camion di SS verso il Pian delle Fugazze. Due generali dell’ambasciata giapponese di Roma, che cercavano scampo verso il Brennero, vengono catturati; un voluminoso pacco di documenti è prelevato e trasmesso dalla Garemi al comando generale. I tedeschi offrono prima tre milioni di lire, poi otto, per il riscatto degli alti ufficiali nipponici. La Garemi chiede invece la liberazione di tutti gli antifascisti veneti che si trovano in carcere. Ma la proposta nazista ha il solo scopo di far guadagnare qualche ora di tempo, per poter concentrare nella zona una poderosa colonna pronta per il rastrellamento. La sorte dei due nipponici è segnata. I tedeschi troveranno dinanzi a sé il vuoto ».
Lo stesso argomento viene ripreso, con maggiori dettagli, anche da Maria Volpato («Vicende di vita partigiana» - Brigata Stella, Vicenza, 1958, pg. 54):
«Le pattuglie non hanno zone fisse di operazione, ma sono disposte in modo da raggiungere or questa e or quella località. È l’otto giugno 1944. Una pattuglia al comando di “Furia” sta effettuando una perlustrazione lungo lo stradone di Valli del Pasubio-Rovereto. Nei pressi di S. Antonio di Valli, “Furia” scorge un’automobile fuoriserie che sta salendo. Egli dispone immediatamente i suoi uomini e intima l’alt.
La vettura si ferma e da essa scende un uomo in divisa giapponese (segue dialogo). “Furia” fa scendere dalla vettura i viaggiatori: due uomini ed una donna. Li fa addentrare nel bosco mentre la vettura vien fatta precipitare nel vallone sottostante. Poco dopo giunge un camion carico di Tedeschi, la scorta della vettura diplomatica, il cui pilota e gli altri occupanti non si rendono conto dell’accaduto e proseguono la marcia, convinti di essere ancora preceduti dalla macchina giapponese. I tre prigionieri intanto vengono condotti al Comando partigiano. Qui essi vengono alleggeriti di ogni effetto personale, fra cui, oltre ad oggetti d’oro, si trovano importanti documenti che dal comando partigiano vengono trasmessi ai comandi alleati e a quelli russi».
Più di recente (1970), in una «Relazione» presentata all’Amministrazione civica di Schio, si scrive:
«In località Tagliata, in Val Leogra, in prossimità del paese di S. Antonio del Pasubio, sono catturati alcuni alti funzionari dell’Ambasciata Giapponese presso la repubblica sociale italiana. Purtroppo il comando partigiano è avvertito in ritardo dell’avvenuta cattura per cui, quando l’affannato comando tedesco si fa vivo con proposte di scambio, tramite l’arciprete di Schio, era già accaduto l’irreparabile ad opera di un frettoloso capo pattuglia ».
Le «voci», che circolano tuttora in Val Leogra anche nell’ambiente partigiano, accennano allo spericolato “Scalabrin” (Albino Gaspari) di Malunga come all’elemento-chiave della complessa vicenda.
Personalmente non ho mai accettato le versioni sopra riportate, verbali o scritte, se non in alcuni dettagli più banali. Se è vero, come d’altronde tutte le testimonianze lo affermano, che i «giapponesi» restarono in Malunga alcuni o parecchi giorni e che in quella prima quindicina di giugno del 1944 gravitavano proprio in Malunga (di stanza o di passaggio) sia «Sergio», che «Alberto», che «Norino», che «Max» ed altri, mi sembrava del tutto inammissibile che una decisione cosi importante come quella di sopprimere i componenti della missione giapponese fosse stata lasciata all’arbitrio di «Scalabrin». Anzi questa attribuzione di merito o di demerito mi appariva una soluzione di comodo per chiudere l’intricata faccenda.
Dopo mesi e mesi di ricerche, svolte contemporaneamente ad altre Inchieste, mi è stato possibile identificare ed interrogare un testimonio fondamentale – la «Maruska» – la quale, con la sua versione, offre una chiave di lettura completamente diversa ed apre nuovi interrogativi.
Il lungo racconto della « Maruska» (1) è senza dubbio credibile per tutti quei fatti dei quali fu testimone oculare, mentre l’argomento resta invece ancora aperto ad altre testimonianze di conferma, di aggiunta e forse anche di rettifica per quanto riguarda molti altri avvenimenti che nello stesso tempo si verificarono in Malunga, a Schio, a Vicenza, a Verona e che in qualche modo sono connessi alla missione giapponese.
È comunque sicuro che l’intera vicenda costituisce una delle più interessanti spy story della Val Leogra.
Questo è il racconto della «Maruska»:
«Mio marito Virgilio (“Licio”) (2) dopo 1’8 settembre 1943 san in montagna e si stabilì nella zona di Malunga ed io partivo da Schio, dove abitavamo in via Mazzini di fronte alla Mezzaluna, per andare a trovarlo con le due bambine, restando con lui per alcuni periodi. Nella primavera del 1944 si trovavano in Malunga parecchi giovani (3) e naturalmente non posso ricordali tutti quanti.
Un mattino di giugno, era di domenica, arrivarono alla Pozzera mio marito “Licio”, “Onorino” ed un altro. Erano verso le 11.30 e sulla strada di S.Antonio avevano catturato due giapponesi ed una signora altoatesina, i quali passavano in macchina per andare a Rovereto. Nell’automoble c’erano anche parecchio riso, olio e scatolame, per cui “Licio” aveva mandato un ragizzino da “Furia” perché con qualche altro scendesse giù a scaricare la roba ed a far sparire la macchina (4). Questa fu gettata in un canalone e bruciata. Non è affatto vero che al seguito vi fosse un camion di Tedeschi di scorta: vennero su tre giorni dopo per fare delle perlustrazioni.
La signora altoatesina venne sistemata a Malunga e messa a dormire in una stanza assieme ad una donna del luogo, servendole i pasti e trattandola con molto rispetto; andavo a farle visita quasi ogni mattina e mi intrattenevo con lei a fare quattro chiacchiere; ricordo che le consigliai di andarsene e di lasciare i giapponesi al loro destino, ma lei disse che senza di loro non si sarebbe mossa. Quando, otto giorni dopo la cattura, arrivò la busta con l’ordine di sopprimere la missione giapponese, ne fummo tutti dispiaciuti perché durante la loro permanenza si aveva in un certo senso familiarizzato. Dai discorsi fatti con lei mi è sembrato di capire che il padre o il marito fosse un alto ufficiale.
I due giapponesi furono portati in una tezza verso il Prà di Staro e di qui non si sono mai mossi: uno era magro, l’altro più rotondetto, uno con un vestito grigio, l’altro color caffè, ambedue piuttosto eleganti (5); si portava loro da mangiare, quello che avevamo noi. Secondo me provenivano da Roma dall’Ambasciata giapponese e penso che facessero parte dello spionaggio: almeno questa fu l’impressione che si ebbe guardando il grosso pacco di documenti segreti che portavano con loro. Che fare di quella gente e di quei documenti? “Onorino” (6), che era avvocato o studiava legge, era in collegamento con un avvocato di Verona tramite il padre di “Max” (7).
Fu allora deciso di comunicare immediatamente la cattura e di chiedere ordini. Subito infatti venne mandato “Max” a Vicenza da suo padre, un commerciante di frutta e verdura che si recava spesso a Verona per acquisti. “Max” partì da Malunga nel tardo pomeriggio verso le 18 e ritornò da Vicenza il mattino dopo alle 7. Suo padre aveva detto che non poteva dare una risposta su due piedi ma che doveva sentire Verona. Così passarono tre giorni.
Dopo mandarono me dal padre di “Max “ , non a casa sua perché era pericoloso ma al mercato della frutta, facendo finta che dovevo acquistare qualcosa. Lui mi disse che aveva parlato con Verona e che nemmeno loro potevano decidere, in quanto dovevano mettersi in contatto con qualche Comando, io credo con Roma, per sapere chi erano questi giapponesi e cosa si doveva fare; comunque una risposta definitiva sarebbe giunta in settimana. Infatti un pomeriggio verso le 16 mi capitarono a Schio in via Mazzini due sconosciuti, molto distinti, italiani e secondo me vicentini, uno piccoletto e l’altro alto, ben portante, sui trentanni, vestiti elegantemente.
Prima si accertarono della mia identità e poi mi consegnarono una busta sigillata che avrei dovuto portare immediatamente al Comando in Malunga. Ricordo che ero molto preoccupata per la faccenda perché a Schio stavano tutti cercando i giapponesi ed i Tedeschi avevano anche messo fuori degli avvisi con un compenso a chi avesse fornito delle indicazioni. Quella sera non ho potuto andare su in Malunga, però feci sapere tramite una staffetta che avevo novità (8).
Il mattino dopo inforcai la bicicletta e con la bambina salii in Malunga e consegnai la busta sigillata ad “Onorino”, presenti anche mio marito “Licio” e “Scalabrin”. Quando fu aperta e letta, restammo male tutti quanti anche perché i giapponesi e la signora chiedevano tutti i giorni se c’erano novità e speravano di venire liberati. “Onorino” disse: “Sono proprio due dello spionaggio e vi è l’ordine di farli fuori”. Eravamo mortificati. Secondo me la cosa non fu decisa a Verona, ma l’avvocato deve essersi rivolto a Roma, da dove erano partiti, per avere informazioni e ordini.
Subito dopo “Onorino” e “Licio” mi mandarono a Verona a recapitare i documenti (una borsa alta 5-10 cm.); scesi a Schio, presi il treno fino a Vicenza e poi la corriera fino a Verona. Qui mi recai da un avvocato, e ricordo ancora la strada, che aveva sui 40-43 anni, bell’uomo, alto e scuro di capelli, un po’ brizzolato ai lati; prese la borsa e la chiuse in una grossa busta gialla. Tornai a Schio sempre in treno.
Le altre carte della signora, tra le quali una foto del Duce, erano lettere e carte private di nessun interesse e quindi in Malunga fu deciso di bruciarle».
Qui si conclude l’interessante racconto della «Maruska».
Il presupposto che il Comando GAREMI in Malunga («Sergio» comandante, «Alberto» commissario) avesse la diretta responsabilità della sorte della missione giapponese, almeno localmente, viene confermato dalla testimonianza della Wally Pianegonda (12.6.1979), la quale riferisce:
«Dopo 2-3 giorni dalla cattura passò da casa nostra, a S. Antonio, Sergio e gli chiesi che intenzioni avevano sulla interprete catturata assieme ai due giapponesi. Mi rispose che per il momento dovevano trattenerla perché avevano documenti troppo importanti. Quando in seguito mia madre (Maria Bariola Bon) volle insistere sull’argomento, Sergio disse che la donna non voleva assolutamente abbandonare i due giapponesi, malgrado le fosse stato proposto di mandarla libera a Recoaro. Sulla sorte dei giapponesi “Max” si espresse in modo piuttosto sbrigativo, mentre Sergio disse che lui non poteva decidere, ma che c’era il pericolo di un rastrellamento, nel qual caso si sarebbero trovati costretti ad eliminarli, senza aspettare ordini. Ricordo “Max” come un giovane sui 25-26 anni, alto e magro, con un mento molto prominente: mi fu presentato da Aramin come Capo di S.M. Quando in seguito non lo vidi più nella zona domandai di lui ad Aramin e questi rispose che lo avevano allontanato perché non era molto adatto alla vita in montagna».
Le ricerche tedesche e fasciste sulla missione giapponese proseguirono per mesi in tutta la val Leogra. Infatti nella cronistoria di don Antonio Morandi, parroco di S. Caterina (Tretto), si legge quanto segue:
«Il 19 successivo (19 giugno 1944) ancora angoscia. Il pomeriggio di questo giorno si presenta al Parroco un uomo sulla sessantina, che si spaccia colonnello degli Alpini. Dice di essere venuto da Bolzano per chiedere un grande favore. Da notare che, alcuni giorni prima, sull’altipiano delle Dolomite, presso Pian delle Fugazze o presso la Streva, i partigiani avevano fermato una macchina sulla quale si trovavano due addetti alla Legazione Giapponese in Italia e una signora. Secondo disposizioni superiori, i partigiani misero a morte i tre su menzionati. Ma si era sparsa la voce che i due legati e la signora erano stati visti sui monti sovrastanti S. Caterina. Era una voce senza alcuna consistenza. Il sedicente colonnello affermava di essere il marito di quella signora, che era venuto a S. Caterina per rintracciarla: prega il Parroco e fa di tutto per impietosirlo, affinché lo aiuti in quest’opera santa.
Chiede almeno che il parroco lo metta in relazione con il capo dei partigiani del luogo, onde venire a capo di qualche cosa. Il parroco sospetta un tranello; teme sia una spia e fa di tutto per liberarsene. Avendo quegli allora chiesto la strada per recarsi a Torrebelvicino, il parroco gliela insegna e lo saluta con grande sollievo dell’animo. Si venne poi a sapere che in una contrada, in fondo al paese, i partigiani lo fermarono, lo ritennero per una spia e lo finirono.
E forse il loro sospetto aveva un fondamento. Infatti il giorno successivo una pattuglia di fascisti sale a S. Caterina, blocca le strade, piazza le mitragliatrici e per un’ora tira colpi all’impazzata sui monti, sul campanile, contro le campane. Forse c’era una intesa col sedicente colonnello e non avendolo visto il giorno antecedente, erano saliti per fare delle avvisaglie, per intimorire, nella speranza che venisse rilasciato, qualora fosse detenuto in qualche luogo. Ma la sparatoria e la speranza furono vane».
Sulla eliminazione di questo Colonnello viene riferito che, sottoposto ad interrogatorio ed accuratamente perquisito, sarebbe stato trovato in possesso di alcune carte di identità nascoste nei calzini. Venne esumato dopo la Liberazione.
Una ripercussione della vicenda si ebbe anche in Caserma Cella a Schio quando fu catturato Gianni Penazzato («Pompei»). Il fratello Biagio riferisce infatti che l’interprete della Caserma Cella disse che l’interrogatorio tedesco a «Pompei» puntò molto sulla missione giapponese; nella tenda sopra i Momelati, dove si trovava la pattuaglia partigiana, i Tedeschi trovarono vari pastrani militari (anche di un Generale) e mantelli mimetizzati, per cui pensarono che i proprietari degli indumenti fossero stati fatti fuori dai partigiani. Di qui, secondo il fratello, la fucilazione di «Pompei».
Il ritrovamento e l’esumazione dei due giapponesi e della interprete da parte delle autorità fasciste e tedesche avvennero alcuni mesi dopo. Sull’argomento ho avuto modo di raccogliere notizie frammentarie in alta Val Leogra ed in particolare a Staro, dove appunto i tre cadaveri vennero trasferiti e composti nelle bare.
La persona che aveva provveduto al seppellimento lasciò trapelare qualcosa all’osteria e la voce arrivò alla polizia, che subito andò a prelevarlo nel cantiere della Todt a Pian delle Fugazze; sembra che, con la promessa di un paio di scarpe nuove, egli si sia deciso a parlare, per cui fu condotto sul posto assieme a due uomini prelevati a Staro. Le tre salme furono trasferite in piazza a Staro in attesa delle bare. La persona che li aveva sepolti finì nel campo di concentramento di Bolzano, dove impazzì e fu fucilato dai Tedeschi.
APPENDICE
SCONTRO A CAMPOSILVANO IN VALLARSA
8 luglio 1944
«In quel periodo mi trovavo in Malunga e un giorno Scalabrin mi chiama e mi fa : “In Vallarsa ed a Rovereto sono troppo quieti e tranquilli. Andiamo un po’ a rompere le scatole!”». Così inizia il racconto di «Nero» di Valli del Pasubio.
«Vennero riuniti alcuni uomini della Pattuglia di Scalabrin (Vecio, Toscano, Mastrilli, Dumas, Rolando, Fiume e qualche altro) ed altri della mia pattuglia (Tosca, Francia, Calabria, Bari, una guida di Rovereto ed altri). Partiti da Malunga al mattino siamo saliti verso il rifugio di Campogrosso, dove sul piazzale c’era una colonna di Tedeschi inquadrati per scendere a Recoaro. Allora abbiamo preparato un’imboscata lungo la strada e quando passarono sotto Mastrilli fece fuoco con il suo mitragliatore: si sparpagliarono come lepri senza fare resistenza.
Dopo il ritorno a Campogrosso ci siamo diretti verso Obra e ad Albaredo abbiamo mangiato e bevuto, mettendo fuori una sentinella; durante il pranzo Bari fece partire inavvertitamente un colpo di moschetto che trapassò il soffitto e sfiorò la culla di un figlio del padrone di casa. Poi siamo scesi a Malga Zugna ed abbiamo pernottato sotto un gran temporale. Al mattino siamo andati in giro verso l’Ossario di Rovereto aspettando che venisse sera per preparare un’imboscata sulla strada che da Verona porta ad Ala.
Ad una curva sotto Lissanella arrivarono finalmente tre camions tedeschi: gran sparatoria. Qualche autista fu colpito a morte, qualche altro fuggì attraverso i campi di granoturco; sui camions c’erano anche dei civili che avevano chiesto un passaggio ed alcuni erano feriti (abbiamo lasciato lo zainetto perché li medicassero). Con la benzina abbiamo dato fuoco ai camions e ci siamo eclissati subito: in seguito abbiamo saputo che lì vicino c’era un presidio di SS. All’alba eravamo a metà strada fra Obra e Rovereto e qui abbiamo comprato una cesta di marasche che alcuni contadini stavano portando a Rovereto. Siccome da Raossi potevano vederci ed aspettavamo un rastrellamento, ci siamo nascosti nel bosco.
A Campo silvano verso mezzogiorno si decise di preparare una gran frittata con cipolla e polenta, ma sul più bello venne una donna a dirci che stava salendo una pattuglia della polizia trentina. Così ci siamo divisi: una parte della pattuglia di Scalabrin e della mia andò sopra Camposilvano sui campi; io con altri abbiamo preferito spostarci verso il “Mulin” e disperderci nel bosco, mentre Tosca con il binocolo seguiva le fasi dello sganciamento.
Quelli sopra Camposilvano stavano per essere accerchiati, ma Mastrilli riuscì a tenere a bada la polizia con raffiche di mitragliatore. Noialtri, diretti verso la malga, abbiamo visto che nel frattempo erano sopraggiunti cinque camions di Tedeschi e Russi provenienti da Marano Vicentino e probabilmente chiamati telefonicamente dal presidio tedesco di Raossi. Allora siamo saliti sul Cornetto e siamo tornati in Malunga.
Il “Vecio” (Cumerlato Augusto) e “Toscano” (Pagliosa Narciso) si erano nascosti in paese. Il “Vecio”, che si era sistemato in un porcile, sparò e uccise il poliziotto che aveva aperto la porticina, poi si buttò a valle ma venne ferito gravemente e finì in un crepaccio, dove morì dissanguato. Fu ritrovato dopo la Liberazione (esattamente un anno dopo) da un pescatore ed io lo riconobbi da una pistola molto piccola, dalle scarpe e dai pantaloni di tela blù. “Toscano” invece, a quanto so, venne ucciso subito».
QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Ottobre 1979 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
(da pag. 450 a pag. 461)
3. LA RIUNIONE DI S. ANTONIO
15 giugno 1944
di E. Trivellato
A metà giugno del 1944 ebbe luogo a S. Antonio, in Comune di Valli del Pasubio, nella casa-negozio dei Pianegonda, un importante summit di comandanti partigiani e di commissari politici. A questa riunione hanno partecipato sicuramente: Attilio Andreetto («Sergio») con la sua guardia del corpo («Vipera»), Luigi Pierobon («Dante») per la vallata dell’ Agno, Igino Piva («Roméro »), Valerio Caroti («Giulio») e Alberto Sartori («Carlo») per la vallata del Leogra. Molto incerta è la presenza di Nello Boscagli («Alberto») e di Clemente Lampioni («Pino»); poco probabile quella di Armando Pagnotti («Jura»); sicuramente assente Orfeo Vangelista («Aramin») e « Max ».
In quel momento, sotto il profilo militare, la situazione della vallata dell’Agno è sotto il comando di «Sergio», mentre in Val Leogra vi è il comando di «Roméro»: ciò va precisato in quanto, nel mese successivo, alcune posizioni avranno già subìto un mutamento. Tuttavia nella riunione di S. Antonio rileviamo innanzitutto la presenza di militanti comunisti dal robusto passato antifascista accanto ad ex militari che entrarono nella lotta partigiana dopo l’8 settembre 1943. In secondo luogo vi è l’incontro delle forze che avevano operato in prevalenza nella valle dell’Agno, con punto di coagulo a Malga Campetto (Sergio, Alberto, Dante, Pino) con le forze che operavano in Val Leogra (Roméro, Giulio, Carlo). Sembra accertata anche la presenza di un rappresentante di Padova, più o meno ascoltato, ma che diede comunque ufficialità all’incontro. Non ho potuto accertare se un verbale-relazione sia stato redatto e poi trasferito a Padova.
L’importanza della riunione di S. Antonio è evidente sia per i nomi dei presenti che per le decisioni maturate. Soprattutto la riunione sembra costituire un certo spartiacque fra il «periodo resistenziale pre-Garemi» (settembre 1943-bandi di maggio del 1944) ed il periodo «Brigata unica Garemi» (17 maggio-10 agosto), il quale si concluse con la «manovra di palazzo» dell'agosto 1944 (cfr. pg. 406), che iniziò il periodo «Gruppo Due Brigate Garemi» («Stella» e «Prima Pasubiana»).
1. IGINO PIVA
(«Romèro»)
I. VENTOTENE.
«Arrivai a Schio verso il 25 agosto 1943, dimesso dall’isola di Ventotene il 21 agosto. Ventotene: triste centro di confino politico per gli oppositori al regime. La nostra liberazione non fu un atto spontaneo del Governo Badoglio, ma una decisione presa sotto la pressione e gli scioperi dei lavoratori che reclamavano libertà per tutti i prigionieri politici, da un quarto di secolo ospiti di prigioni e di colonie di assegnazione al confino.
Ricordo che Schio, come del resto tutta la parte del Paese che avevo percorso, da Gaeta fino al Veneto, anelava la pace, la giustizia e la libertà: erano sentimenti umanissimi che si sprigionavano spontaneamente e portavano subito alla fraternizzazione. Mi commuovevo quando, parlando con madri, spose e congiunti dei giovani assenti e dispersi nel continente da una politica di avventura militare rasentante la follia, mi si chiedeva un’opinione su quella che sarebbe potuta essere la sorte dei loro cari.
Era un momento tragico per la nostra nazione, un momento nel quale si incrociavano la consapevolezza della rottura con tutto un passato d’odio e di discriminazione e la percezione che una nuova tragedia stava per iniziare. Il Governo Badoglio si muoveva tra mille contraddizioni in una situazione politica e militare precaria che precipitava paurosamente verso l’ignoto. Si capiva che a guidare la politica dello Stato erano uomini che ponevano in prima istanza gli interessi dinastici di funesta memoria; esercito, polizia e carabinieri, anche se schiacciati da un susseguirsi di avvenimenti che non comprendevano ancora, si muovevano sempre nel senso del mantenimento dell’ordine pubblico, prima ancora di provvedere alla difesa del paese dall’incombente e certa occupazione dell’esercito nazista.
Nell’isola di Ventotene, subito dopo la caduta di Mussolini, si aprl un lungo ed appassionato dibattito tra gli oltre ottocento internati: quale sarebbe stato il destino della nostra patria in seguito all’ormai certo ritiro del paese dal conflitto? I più prevedevano l’occupazione nazista del paese e a suffragio della loro opinione ricordavano la storia del nostro Risorgimento e gli atteggiamenti in quelle circostanze tenuti dalla nostra casa regnante. I comunisti avevano elaborato un loro indirizzo politico che prevedeva la trasformazione dell’indignazione popolare in volontà di lotta armata per la liberazione del paese: un salto qualitativo decisivo per il futuro del nostro popolo. Gli avvenimenti che seguirono diedero loro ragione: la Monarchia preferì fuggire al sud occupato dalle forze alleate, abbandonando, senza direttive, un esercito, un enorme territorio, un popolo all’invasore nazista".
II. 8 SETTEMBRE 1943.
"L’attacco nazista del 10 settembre alla caserma Cella di Schio diede di fatto l’avvio alla resistenza armata. Fu un avvio difficile perché non si riuscì a coinvolgere quelle parti dell’esercito presenti a Schio e a trascinarIe a fare causa comune con il popolo scledense, sceso in strada ai primi colpi sparati dai tedeschi all’attacco della caserma Cella. A Resecco in quel tragico mattino, nel brolo del Conte, era presente una sezione mitragliatrici Breda con il compito di proteggere Schio da eventuali incursioni aeree anglo-americane. I cittadini che avevano invaso le strade in cerca di notizie sulla sparatoria si illudevano che l’unità antiaerea muovesse in soccorso dei compagni sopraffatti dai nazisti alla caserma Cella. Invece non fu così! Uditi i primi spari, la sezione già preparata a muoversi, scavalcò il muro di cinta e si diresse a passo sostenuto verso Villa Saccardo dove, deposte le armi, si sciolse.
I presenti, tutti lavoratori intenzionati a dare man forte al reparto, intuirono ciò che stava accadendo, seguirono i mitraglieri, si impadronirono delle armi e presero la via della collina decisi ad organizzarsi per opporsi con la lotta partigiana all’invasore tedesco. Se in quei giorni di Settembre i lavoratori di Schio avessero avute le loro organizzazioni politiche e sindacali capaci di assolvere a funzioni di orientamento e di solidarietà, Schio avrebbe potuto opporre una forza armata non trascurabile all’invasore. Così non fu ed inoltre le prime poche armi reperite furono i vecchi ’91, reduci di più guerre, dotati di pochissime munizioni: la penuria di armi efficienti fu di ostacolo al pieno dispiegarsi del fenomeno resistenziale armato in quel primo scorcio dell’autunno del 1943.
Mancavano uomini politici in grado di spiegare gli obiettivi sociali e politici della lotta; vi era da ricercare la solidarietà attiva della popolazione stessa, senza della quale la resistenza non avrebbe potuto dispiegarsi e riuscire vincente. I contadini locali, in ciò, si rivelarono buoni patrioti e non si lamentarono mai del loro coinvolgimento nella lotta armata e dei sacrifici materiali cui dovettero sottoporsi".
III. GRUPPO DEL FESTARO.
"Dal l0 settembre al 16 ottobre 1943 il «gruppo del Festaro» sussistette grazie ad offerte di denaro di singoli cittadini antifascisti, raccolti dal Ragionier Veghini Fulvio che si prestò peraltro ad incombenze ben più pericolose come, ad esempio, il trasferimento di prigionieri inglesi liberatisi l’otto settembre dai campi di prigionia e che dal nostro distaccamento dovevano raggiungere la Svizzera. Altri mezzi di sussistenza provenivano da offerte in natura di contadini locali, nonché da generi alimentari e di conforto che volontariamente aveva reperito per noi il Parroco delle Piane. Il problema della sussistenza del reparto, comunque, anche con questi validissimi contributi, non poteva dirsi assolutamente risolto. Il PCI a Schio era mobilitato in continuazione nel tentativo di risolvere la questione e lo stesso distaccamento del Festaro dovette provvedere a sequestrare derrate alimentari in transito. Ma egualmente il problema era di così difficile risoluzione che si può ben dire che assorbì quasi per intero l’iniziativa delle prime unità partigiane".
IV. COLLEGAMENTI.
"Il nostro distaccamento manteneva regolari collegamenti con Schio servendosi di Pietro Bressan, abitante in frazione Aste, già condannato dal Tribunale Speciale e poi confinato a Ventotene. L’affiusso di giovani da ogni dove, desiderosi di incorporarsi nel reparto per prendere parte alla lotta armata, era giornaliero, ma le precarie condizioni della nostra sussistenza erano tali da costringerci a rinviarli alle loro case.
Costituitosi il CLN vicentino si stabilì un regolare contatto con Domenico Marchioro che ne era membro. Egli veniva spesso in zona per meglio conoscere i problemi che ci attanagliavano e per informarci delle intenzioni del CLN. La buona volontà c’era, ma tutto rimaneva delegato allo spontaneismo. Il troppo legalismo minacciava di uccidere la Resistenza. Durante i ripetuti contatti con Vicenza non ebbi mai l’opportunità di conoscere il Colonnello Sasso, consigliere militare del CLN Vicentino, data la scrupolosa osservanza delle norme riguardanti la cospirazione clandestina.
Sapevo, però, che la sezione militare stava elaborando un piano operativo militare per l’occupazione dell’altopiano di Asiago. Su quali presupposti si basasse l’operazione ideata dal Col. Sasso non mi era dato di conoscere; ma essendo a contatto diretto con la realtà, ero seriamente perplesso e preoccupato. Prima del rastrellamento del Festaro ci fu comunicato di prepararci a ricevere una ispezione della Sezione Militare del CLN Vicentino. L’ispezione non ebbe luogo per il precipitare degli avvenimenti.
Altri contatti si ebbero con pattuglie in via di formazione o già costituite, alle quali si fornirono i nostri mezzi e la nostra esperienza (come al Masetto).
Un contatto si ebbe su richiesta di mons. Girolamo Tagliaferro, arciprete di Schio, per trasmettere le coordinate geografiche del Monte Novegno agli alleati. Queste dovevano servire per l’esecuzione di aviolanci di materiali militari e munizioni per armi portatili di fanteria. Le coordinate furono consegnate da un parroco che avrebbe attraversato le linee al sud. L’invito di don G. Tagliaferro di recarci in canonica ci fu trasmesso dal Ragionier G.B. Milani, incontrato in un’osteria delle Boggiole. In quel primissimo periodo della resistenza armata, non s’ebbero contatti con l’ambiente resistenziale di Padova, anch’esso in fase di organizzazione.
Un distaccamento si formò a Fara Vicentina, fra Thiene e Breganze, ad opera di elementi locali, rientrati alle loro case dopo lo sbandamento dell’otto settembre, e di alcuni prigionieri britannici. Il comando venne assunto dal tenente di aviazione Zanchi. Con lo Zanchi si ebbero ripetuti contatti sin da metà settembre e si mantennero fino al rastrellamento. Era lo Zanchi a venire al Festaro o al Cerbaro. Qualche tempo dopo si apprese dal padre, detenuto al forte San Leonardo di Verona, in sostituzione del figlio latitante, che questi, trasferiti i prigionieri inglesi in Svizzera, era stato trattenuto dai servizi angloamericani e destinato ad altri compiti.
Verso i primi giorni di ottobre del 1943 si prese contatto anche con alcuni giovani di Velo d’Astico, nell’intento di costituire un nuovo distaccamento partigiano. Questi giovani disponevano di armi leggere italiane. Per il loro insediamento si scelsero le località Anziolone, Prola e Noni: i sogli del Brosplle, Telbele e Covole, nella parte alta del Monte Summano. Dette località erano già state fortificate nel corso della Grande Guerra e disponevano di ampi e ben dislocati rifugi, molto adatti a fronteggiare eventuali rastrellamenti. Queste pattuglie avrebbero dovuto coprire i Colletti in caso di puntate fasciste e controllare i movimenti del fondovalle. Tuttavia a causa dell’insediamento di reparti fascisti in una scuola militare a Velo d’Astico, forse sconsigliati, i giovani di Velo d’Astico non costituirono il distaccamento, lasciando scoperta una zona di primaria importanza specialmente per i Tretti.
Ad Asiago si ebbero contatti con i fratelli Sgaggiari (calzolai) legati all’antifascismo locale e, dopo l’otto settembre, alla resistenza. Con. Gaetano Pegoraro furono recuperate armi automatiche Beretta, abbandonate da un battaglione Pionieri in addestramento sull’altopiano e scioltosi al proclamarsi dell’armistizio. Questi contatti furono mantenuti anche dopo il rastrellamento del Festaro e fu durante uno di questi contatti che Pegoraro e Rino Sella furono catturati mentre prendevano il treno per far ritorno a Schio. Non ricordo ci siano stati, invece, contatti con Tovo di Valdagno.
A Fontanelle di Conco operava l’ex capitano delle Brigate Internazionali Giuseppe Crestani, nato a Cengia (?) il 14.10.1907. Lo avevo conosciuto durante la guerra di Spagna e con lui avevo trascorso 18 mesi di campo di concentramento a Gurs (Bassi Pirenei) in Francia e altri tre anni circa a Ventotene. Il Crestani mori tragicamente insieme ai componenti del suo distaccamento in un agguato tesogli dalla controguerriglia fascista. Con il gruppo Crestani il distaccamento del Festaro mantenne contatti diretti tramite la Federazione vicentina del PCI. Il Crestani venne personalmente a Schio per ritirare armi che gli furono consegnate da Prendin Mario (“Lama”). Il Crestani era dotato di una discreta preparazione politica acquisita in un suo soggiorno a Mosca, e di una notevole preparazione militare che la durissima lotta sui fronti spagnoli aveva messo a punto.
Verso la fine di Settembre del 1943 si ebbe un contatto in località Maglio di Pievebelvicino con tre ufficiali del 57mo fanteria, rifugiatisi in Raga dopo l’irruzione nazista alla Caserma Cella di Schio. L’incontro fu l’epilogo di una precedente serie di abboccamenti avvenuti fra i militari e Domenico Marchioro. I! nostro intendimento era di incorporarli come combattenti nel nostro distaccamento. Uno dei tre era Fioretto De Carlo di Schio, aiutante maggiore del 57mo fanteria, sfuggito ai nazisti nella caserma Cella.
Numerosi contatti si ebbero con lo studente Ferrari di Piovene, giovane anti¬fascista, che dopo la guerra divenne deputato e segretario della Federazione Vicentina del PCI.
Sempre sul finire del settembre ci furono incontri nella zona di Malo con Ferruccio e Ismene Manea. Ismene, combattente nella 14ma brigata internazionale, era stato catturato dai franchisti nel corso della battaglia di Lopera (Cordoba). Miracolosamente risparmiato dai fascisti, venne rimpatriato e confinato a Ventotene. Dopo l’otto settembre, con il fratello Ferruccio, iniziò la lotta armata contro i nazifascisti nella zona di Malo".
V. IL RASTRELLAMENTO AL FESTARO.
"Il 17 ottobre, durante il rastrellamento al Festaro, erano presenti: Romeo Lora, Biagio Penazzato, Antonio Comparin, Eugenio Piva, Giuseppe Bortoloso; il fratello di Comparin, Valentino, non faceva parte della resistenza e venne catturato fra il Festaro e Formalaita mentre si recava a caccia armato di un fuciletto ad avancarica. Nella contrada Reghelini, che non venne coinvolta nel rastrellamento, c’erano altri partigiani. La maggior parte degli uomini si erano recati già il sabato sera alle loro case sia per il cambio di indumenti, sia per economizzare sulle già scarse riserve di viveri. Il rastrellamento del Festaro fu guidato personalmente da Piero Bogotto, partigiano catturato al Masetto qualche giorno prima. Contrariamente ai suoi compagni e ad una ragazza che si comportarono esemplarmente, una volta in prigionia divenne docile strumento nelle mani dei nazifascisti.
Alcune settimane prima coi suoi compagni di pattuglia egli era venuto al Festaro a ritirare le armi per il gruppo del Masetto. Gliele aveva consegnate Giuseppe Bortoloso. I tedeschi, quindi, erano arrivati a colpo sicuro e fu proprio il Bogotto ad indicare – ai nemici – Bortoloso, come colui che lo aveva armato. Il distaccamento di Germano Baron («Turco»), era dislocato al Cerbaro. Presa conoscenza che truppe alpine tedesche risalivano in camion la strada di Santa Caterina-Cerbaro, inviò al Festaro la staffetta Antonio Bille. La rapidità dell’operazione fu tale che lo stesso Bille, conoscitore dei luoghi, venne catturato pur riuscendo a dare l’allarme.
«Turco» si trasferì in Novegno e si riunì al gruppo di armati sistemati nelle casare. L’unico che riuscì a sottrarsi alla cattura al Festaro fu Biagio Penazzato. Con un balzo acrobatico era riuscito ad uscire da una finestra finendo sul terreno sottostante che, ripidamente, porta a fondo valle. Antonio Comparin, che avrebbe potuto non essere coinvolto nel rastrellamento, perché trasferito ad un deposito d’armi, volle ritornare al Festaro e tentando di sfuggire ai tedeschi che lo avevano ‘scorto e che gli avevano intimato l’alto, fu abbattuto.
Con tutto il gruppo di civili rastrellati, fummo trasferiti alle scuole Marconi e, dopo sommario interrogatorio, restammo in stato di detenzione solamente in cinque: Igino Piva, Eugenio Piva, Romeo Lora, Valentino Comparin, Giuseppe Bortoloso. Trasferiti a Vicenza e consegnati alla Feldgendarmeria, fummo rinchiusi nella caserma Chinotto e sottoposti a interrogatorio con relativo duro pestaggio. Assistettero l’ing. Griso Nilo e l’ing. Bergamini, arrestati mentre seguivano, dalla stazione di Vicenza al comando della Polizia Militare Tedesca, il gruppo di prigionieri. Nessuno degli arrestati cadde in contraddizione ed anche il giovane Comparin, alle prime armi con la polizia, si comportò dignitosamente. Alla Chinotto trovammo gli arrestati del gruppo del Masetto, compresa la ragazza, e con essi fummo trasferiti il giorno dopo al forte S. Mattia di Verona. Qui fummo di nuovo separati dal gruppo del Masetto. Non subimmo più alcun interrogatorio. Il Bogotto ci raggiunse a Verona molto più tardi e fu adibito a lavori di cucina".
"Il 22 dicembre di mattino, noi del Festaro, fummo liberati. Romeo Lora ci aveva preceduto di qualche giorno. Mentre eravamo rinchiusi al S. Mattia, eravamo stati raggiunti da Gaetano Pegoraro e Rino Stella catturati, come detto, ad Asiago. Appena uscito dal carcere dovetti farmi ricoverare in Ospedale per sottopormi ad un intervento chirurgico. Ne uscii verso la fine del marzo del 1944.
VI. PRIMAVERA 1944.
"Qualche settimana più tardi, con Gastone Sterchele, mi recai sul Novegno a comunicare con «Marte» e col suo distaccamento: era stato lanciato dalla BBC il primo preavviso dell’imminenza di un aviolancio. «Turco» coi suoi uomini pattugliava i boschi sopra Poleo pronto ad ostacolare un possibile intervento dei Tartari. Dopo il lancio calarono in zona Nello Boscagli («Alberto») e Attilio Andreetto («Sergio») con scorta armata per ritirare parte delle armi recuperate. In quell’occasione, in località Corobolli, fu respinta una puntata nazista: Bruno Redondi («Brescia») aprì il fuoco su un’autovettura tedesca in esplorazione che si ritirò con perdite".
VII. MALGA CAMPODAVANTI: MAGGIO 1944.
"Alcuni giorni dopo il primo maggio, mi incontrai per la prima volta con Armando Pagnotti («Jura») e Rino Sella che mi proposero di trasferirmi a Malga Campo d’Avanti. Il punto d’incontro era casa Barbieri in Raga. Quella sera un pattuglione guidato da Luigi Pierobon («Dante») e due muli, caricarono le due mitragliatrici francesi già appartenute alla sezione antiaerea in posizione al Castello di Magrè fino al 10 settembre. Anche «Dante» lo conobbi in quell’occasione. Bel giovane, di estrazione cattolica, senza pregiudizi verso i compagni comunisti, assieme a «Jura» diresse la marcia del gruppo con perizia ed abilità, garantendo sempre quelle misure di sicurezza che resero sicura l’incolumità dell’intera colonna durante tutto il percorso. Scendemmo da Civillina e attraversammo l’Agno poco a nord di S. Quirico, un po’ a valle di contrà Cappellazzi, in direzione di contrà Castana, una base logistica della Garemi, ospedale per malati e feriti".
"Lì giunti, trovammo Lampioni Clemente («Pino») che era stato ferito al torace qualche mese prima in uno scontro notturno avvenuto nelle vicinanze di passo Xon, in seguito ad un’imboscata tesa dai fascisti. Raggiungemmo Malga Campo d’Avanti a sera. Ci attendevano, avvertitt dall’osservatorio, Boscagli e Andreetto. Il primo era una mia conoscenza di Spagna, il secondo lo incontravo per la prima volta. Malga Campo d’Avanti mi impressionò favorevolmente. Era una sede militare attrezzata di cucina e di magazzini ben occultati in fortificazioni asciutte ricavate in roccia fin dalla lontana prima guerra mondiale. Mi recai a dormire con Boscagli in una piccola casara posta nelle vicinanze di Bocchetta Cabellele, una vera fortezza con lastroni di pietra massiccia per tetto, capaci di resistere a colpi di mortaio. Quella sera stessa, dopo breve riunione, mi fu assegnata la funzione di Capo di Stato Maggiore della Brigata «Garemi».
Nei giorni che seguirono fu compiuta una ricognizione in forze della «Garemi» in alcune contrade della Valle di Chiampo, su segnalazione di nostri ricognitori. L’operazione andò a vuoto per il troppo tempo impiegato per raggiungere i luoghi stabiliti. Successivamente, rientrato anche «Pino», ci dedicammo al miglioramento della nostra organizzazione sia politica che militare. Ai lavori parteciparono tutti i responsabili politici e militari della zona.
Ognuno aveva alle spalle una lunga esperenza di lotta e non fu difficile impostare una nuova strategia nella dislocazione delle unità combattenti. L’esperienza precedente, aveva insegnato, infatti, che tutta una serie di operazioni erano andate male per mancanza di tempestività nell’esecuzione dei piani. Costretti a muoversi per soddisfare alle esigenze logistiche, fascisti e tedeschi sarebbero stati facili prede di quelle unità che, studiate le abitudini e le modalità di spostamento dei nemici, intendessero tendere un’imboscata. Le nostre necessità logistiche, che impegnavano due terzi degli effettivi, si venivano aggravando in quei giorni del maggio del 1944.
Il continuo afflusso di giovani che volevano sottrarsi al ricatto fascista, che non intendevano militare nell’esercito Repubblichino, generava un traffico che non poteva sfuggire agli osservatori tedeschi di Recoaro in grado di controllare a vista numerosi punti di passaggio obbligato. I bandi fascisti sul reclutamento avevano contribuito a trasformare Malga Campo d’Avanti in un vero distretto militare, al punto da costringere a tentare di persuadere i giovani a far ritorno alle loro case. Purtroppo non avevamo armi e munizioni e razioni alimentari per tutti.
Ad un certo punto si dovette decidere di trasferire a valle uomini e mezzi. «Jura», «Dante» e Pino» lasciarono Malga Campo d’Avanti. I primi due per costituire una forte unità nella valle dell’Agno, il terzo per operare nella pianura vicentina".
VIII. MALGA CIMA POSTA
"Tra il 22 ed il 25 maggio i fascisti fecero una puntata ricognitiva partendo da Campofontana. Il loro intento era quello di provocare una reazione delle nostre forze. Il 26 maggio si presentò da noi un insolito volontario. Fu subito riconosciuto come appartenente al distaccamento fascista di Campofontana e, dopo un breve, serrato interrogatorio, ammise di essere stato spedito in zona partigiana dal suo comando per assumere informazioni. Era evidente che i nazifascisti ormai avevano individuato troppo esattamente le nostre posizioni. Si decise così di spostare il Comando di Brigata a Malga Cima Posta, lasciando un distaccamento di sicurezza a Passo Zevola ed un secondo contingente di uomini a Campobruno con il compito di sorvegliare l’albergo Rivolto (un altro punto da dove giungevano rifornimenti per la «Garemi») e la direttissima Recoaro-Campobruno.
Dopo pochi giorni, visto che le forze nazifasciste non si decidevano a tentare un rastrellamento su vasta scala, il Comando di Brigata ritornò a Malga Campo d’Avanti e si ricongiunse con una pattuglia che vi era stata lasciata come copertura".
IX. MAROZIN.
"Subito dopo l’otto settembre 1943 si era costituito nella Valle del Chiampo un’unità partigiana che più tardi divenne la « Brigata Pasubio ». Era comandata da Marozin («Vero») ed operava in territorio assegnato dal CLN vicentino alla «Garemi». La «Pasubio» fino a quel momento rifiutava ogni controllo legale da parte degli organi di liberazione locali e nazionali e in più occasioni aveva proceduto al disarmo di piccole unità appartenenti alla « Garemi » in ricognizione nella zona.
Questi fatti avevano provocato uno stato di tensione che poteva degenerare in un conflitto aperto tra le due grandi unità. Il Marozin non era persona facile da trattare essendo incline alla violenza verbale ed alla minaccia. Verso la fine di maggio il Marozin, pressato dalle nostre richieste, e da quelle del CLN Vicentino, si decise a salire in Malga Campo d’Avanti a trattare per la prima volta con il Comando della «Garemi». Lo fece scortato da un forte contingente di uomini armati. La riunione fu inconcludente anche se le promesse fatte dal Marozin di informarci delle decisioni che avrebbe preso il Comando della Brigata Pasubio, parevano un buon punto d! partenza. Questa situazione di urto si mantenne quindi per buona parte del 1944 fino alla metà del settembre, periodo nel quale la Brigata Pasubio fu letteralmente spazzata via dalla Valle del Chiampo da un gigantesco rastrellamento nazifascista (Operazione «Timpano»).
(Ritrovai Marozin a dicembre inoltrato del 1944 a Chesio (Valle Strona) vicino ad Omegna, mentre attendeva decisioni per diventare Vice Comandante della Brigata «Beltrami». Era stato raccomandato ad occupare quella funzione da Bonfantini del Partito Socialista. Mi disse di essere stato costretto ad abbandonare la valle del Chiampo per ragioni militari).
Alla riunione di Campo d’Avanti col Marozin erano presenti Pierobon, Pagnotti e Lampioni oltre al Comando di Brigata.
Seguì l’esecuzione della decisione presa dal Comando della «Garemi »: Pierobon (Dante), Pagnotti (Jura), Lampioni (Pino), scesero a Valle coi loro distaccamenti per dare l’avvio alle deliberazioni prese in precedenza. Il Lampioni riuscì a costituire un distaccamento in provincia di Padova comandato da «Athos ». Fu durante questa serie di operazioni che Pierobon e Lampioni persero la vita. Catturati dai tedeschi furono portati a Padova dove avvenne l’esecuzione capitale".
X. MALUNGA.
"Il resto delle forze della «Garemi» scese a valle verso la fine di maggio, da Bocchetta Cabellele, avendo prima disposto punti di controllo lungo tutto l’itinerario e avendo prima stabilite le località capaci di ricevere le nostre forze. Si girò Recoaro da Nord e tutte le pattuglie si sistemarono nelle contrade, già disposte a riceverle, a sud di Passo Zon.
Il Comando di Brigata si trasferì a Forte Civillina in precedenza occupato da una nostra pattuglia. Di qui scese in Val Leogra e finì per sistemarsi in Malunga. Quella notte stessa raggiunsi Raga per sottopormi a cure mediche del dottor Lavagnoli".
XI. RIUNIONE DI S. ANTONIO.
"A Raga in casa Barbieri ci raggiunse, accompagnato mi sembra da Lama, «Giulio» Valeno Caroti da tempo ricercato a Schio da tedeschi e fascisti. Poi, accompagnato da Pegoraro («Guido»), arrivò Alberto Sartori («Carlo»), che era fuggito ai tedeschi dall’ospedale militare di Verona.
La sera del 13 giugno 1944, guidati da Caroti, che si rivelò ottimo conoscitore del terreno si lasciò Raga per S. Antonio di Valli. Si doveva partecipare ad un convegno il mattino seguente, con il Comando della Brigata.
Si raggiunse senza inconvenienti e di buon mattino la località in sei persone: «Giulio», «Carlo», il sottoscritto («Romero») e tre partigiani di scorta. Lo scopo del vertice era di fare il punto sulla situazione politico-militare del momento, stabilire gli organici dei vari reparti, fare un censimento accurato di armi e munizioni, fare il punto sulla situazione alimentare, preparare piani per l’eventualità di forzati, rapidi spostamenti dovuti a movimenti aggressivi del nemico, identificare luoghi adatti per la costruzione di bunchers mimetizzati capaci di ospitare uomini e cose.
A questa importante riunione erano presenti: Boscagli, Andreetto, un rappresentante di Padova relatore sulla situazione politico-militare generale, Pierobon, Lampioni, Caroti, Sartori e il sottoscritto Piva. La riunione si tenne in casa Pianegonda che fornì, per l’occasione, il pranzo per tutti i presenti. In quella riunione furono prese decisioni estremamente importanti: si decise di dislocare scorte di viveri e dì munizioni in località conosciute solamente ai comandanti di distaccamento, ci si impegnò a mantenere contatti giornalieri fra i vari distaccamenti, si ridefinì l’organigramma di alcune unità.
Il sottoscritto («Romero») fu nominato comandante del battaglione «Apolloni», Caroti « Giulio») ne fu designato vicecomandante, Pianegonda (che avrebbe dovuto raggiungerci in zona) ne divenne il commissario politico; quest’ultimo, tuttavia, non raggiunse mai il battaglione limitandosi a svolgere la sua attività presso il comando della Brigata. Boscagli mi informò di alcuni contatti avuti fra il comando di brigata, i rappresentanti del CLN Vicentino e gli industriali di Schio, impegnati a fornire mezzi finanziari, alimentari e vestiario alle forze partigiane. Chiusa la riunione i sei di Raga si mossero per raggiungere la sede del battaglione «Apolloni»".
XII. I SABOTAGGI.
"Sul far della sera si raggiunse il Boiaoro, in tempo utile per impedire che la pattuglia comandata da Bruno Redondi partisse per effettuare una programmata spedizione volta a far saltare la centralina elettrica del Lanificio Rossi, posta in località Ponte Capre. Altre due pattuglie al comando di «Glori» e di «Turco» dovevano rispettivamente colpire il cementificio ed il distributore di energia elettrica di Marano Vicentino. Essendo le due pattuglie già partite per portare a termine le loro missioni, venne autorizzato Redondi a compiere la sua".
XIII. IL RASTRELLAMENTO DI VALLORTIGARA.
"Qualche giorno dopo queste azioni si registrarono le prime reazioni nazi-fasciste: i primi ad essere colpiti furono gli abitanti di Vallortigara e la pattuglia «Brandellero». Seguì il grande rastrellamento del 17 giugno che coprì i Colletti di Velo (ad opera dei fascisti di stanza a Velo d’Astico), il Monte Novegno fino a Malga Pianeti e tutta la zona sottostante fino al Leogra. Un forte nucleo di tedeschi scese da S. Caterina con l’intenzione di investire la Guizza fortunatamente ostacolata da un provvidenziale diluvio.
Dall’osservatorio del Comando dell’«Apolloni», potevamo vedere i tedeschi che strappavano di mano ai paesani, che uscivano dalla Messa, gli ombrelli. Il comando non si mosse dalla sede perfettamente mimetizzata, Alberto Sartori («Carlo»), per pura coincidenza non incappò nel rastrellamento mentre rientrava dopo aver provveduto al recupero dei feriti di Vallortigara. La reazione tedesca agli attentati, metteva in luce l’importanza geografica e militare che attribuivano al territorio dell’alto Vicentino che controllava attraverso le Valli del Leogra, dell’Astico e Sugana, le principali vie di comuncazione fra il Reich e le armate tedesche operanti in Italia.
Le prealpi Vicentine erano già state scelte dal comando nazista come linea di resistenza ad oltranza, capace di sbarrare la strada alle forze alleate. I piani di queste fortificazioni, che coprivano il territorio fra il Piave ed il Garda, furono recuperati dai garibaldini che operavano nell’alta Val Leogra con la cattura di un ufficiale superiore tedesco. Il massiccio rastrellamento nella valle del Posina non faceva, più tardi, che riaffermare la decisione del comando nazista di non risparmiare uomini e mezzi per mantenere libera da forti insediamenti partigiani tutta la nostra area alpina".
XIV. LUGLIO 1944.
"Sul finire del giugno del 1944, dopo aver effettuato una missione ai Tretti, Alberto Sartori ("Carlo") accompagnato da scorta armata fu incaricato di eseguire una ricognizione informativa sull’altopiano di Asiago, per conoscere la situazione locale e per conoscere la sorte delle armi e degli esplosivi recuperati dagli aviolanci eseguiti numerosi in zona.
Sempre in quel periodo le pattuglie ancora in zona operarono un prelevamento di viveri e vestiario nello stabilimento di Pievebelvicino. Nello stesso periodo Valerio Caroti ("Giulio") era intento sul monte Novegno a disporre le segnalazioni in attesa dei sospirati aviolanci. Posina era già territorio occupato dai partigiani, mentre Germano Baron ("Turco") con il suo distaccamento si preparava ad attaccare la colonia di Tonezza, occupata da un grossa formazione fascista".
XV. INCONTRO AL BOJAORO: 11 LUGLIO 1944.
"Prima di trasferirmi a Padova, dove su conforme parere di Sella avevo deciso di recarmi per farmi curare, dovevo incontrarmi con « Alberto» e « Sergio» in zona Bojaoro. La sera dell’incontro, però, una grossa infiltrazione notturna di tartari mandò a monte tutto. Zanella (<< Mercurio»), che stava risalendo il Gogna, lungo la strada del mulino sopra Poleo, per avvertirci del rastrellamento, fu abbattuto da una raffica di mitra. Il comando di Brigata già arrivato in zona fu costretto a spostarsi rapidamente su S. Caterina, mentre il gruppo Redondi ("Brescia") si spostò all’ultimo tornante della strada che conduce a Forte Enna per consegnare parte del materiale requisito in fabbrica al comando della «Garemi ».
Il mattino seguente fu attaccata la pattuglia di «Glori ». Nell’occasione fu ferito e catturato Giovanni Penazzato ("Pompei"), fratello di Biagio. Trascinato a Valle fu trasferito alla caserma Cella e finito a fucilate la sera stessa assieme a Ismene Manea. Qualche giorno dopo questi avvenimenti si provvide a trasferire in Val Posina due ex prigionieri russi disertori, accompagnati in zona da una maestra di Marano Vicentino. Pure in quei giorni numerosi furono i contatti coi bersaglieri di stanza a Torrebelvicino. Molti di essi disertarono ed alcuni di loro raggiunsero la Val Posina e vennero incorporati nelle formazioni partigiane. Incontrai per l’ultima volta, prima di raggiungere Padova, « Giulio» sceso ai Corobolli. Gli comunicai della mia imminente partenza e gli passai le consegne ed ogni responsabilità per le zone del Posina e del Monte Novegno".
Estratto da «MEMORIE DI UN INTERNAZIONALISTA » di prossima pubblicazione.
II. WALLY PIANEGONDA
« Alla riunione di S. Antonio « Sergio» era accompagnato dalla sua guardia del corpo (“Vipera”). Non erano invece presenti “Alberto” e “Max”».
III. VALERIO CAROTI
(«Giulio»)
"Verso la metà di giugno del 1944, fu indetta una riunione a San Antonio di capi partigiani con lo scopo di delimitare le zone. Da poco era stata creata la Brigata Garibaldi «Garemi» articolata su due battaglioni: il battaglione «Stella» che comprendeva le formazioni operanti nella valle dell’Agno e originate dall’iniziale gruppo di Campetto e il battaglione «Apolloni» comprendente le formazioni della zona di Schio e della Val Leogra. Per l’«Apolloni» partecipò alla riunione «Romèro» (Gino Piva) comandante, il sottoscritto «Giulio» quale vicecomandante, e «Carlo» (Alberto Sartori). Prima di San Antonio fummo accolti dalla Wally Pianegonda e da suo fratello Walter Pianegonda («Rado) che ci condusse nella loro casa. Li trovammo «Sergio» (Attilio Andreetto) comandante di Brigata, «Dante» (Luigi Pierobon) comandante del battaglione «Stella» e qualche altro che non ricordo.
La discussione fu condotta principalmente da «Sergio» e da «Romèro » con frequenti interventi di «Rado». Per il battaglione «Stella» fu indicata la zona dell’Agno e della Lessinia, per il battaglione «Apolloni» fu indicata la zona di Schio e della Val Leogra. Io intervenni solo alla fine per esprimere la mia opinione, La guerriglia doveva essere fatta da pattuglie mobili oppure, se fisse, con basi molto distanziate. Infatti un paio di settimane prima, le formazioni della vallata dell’Agno, tutte raggruppate nella zona di Campetto, avevano corso il gravissimo pericolo di essere circondate e annientate nel corso di un improvviso rastrellamento. Inoltre le azioni delle pattuglie dovevano essere disciplinate e coordinate per evitare dannose interferenze. Infine, necessariamente, il battaglione «Apolloni» avrebbe dovuto cercare uno sfogo ed allargare le proprie basi nelle valli di Posina, anche per rendere meno casalinghi molti partigiani della vallata del Leogra.
Ad un certo momento la riunione subì una variante: alcuni camions di truppa tedesca stavano scendendo dalla Tagliata quasi sicuramente a causa del fatto che nella notte era stato disarmato dai partigiani il presidio fascista di Valli del Pasubio. Non c’era un secondo da perdere e, usciti precipitosamente di casa ci buttammo per un ripido pendio dietro la chiesa pieno di alte ortiche ove rimanemmo acquattati e «orticati» con una bomba a mano pronta per ogni evenienza. I camions transitarono via e la riunione continuò in contrà Calla o Bariola al di là del Leogra e finì con «polenta e sopressa» e «vin mericanèlo».
Fu in quell’occasione che Walter Pianegonda mi disse: «Giulio, ti mando una pattuglia in gamba». Era la pattuglia di Bruno Brandellero («Ciccia») che di lì a pochi giorni avrebbe combattuto a Vallortigara".
WALTER PIANEGONDA («Rado»)
Walter Pianegonda nome di battaglia «Rado» classe 1923 da San Antonio. Perito industriale, diplomato all’Istituto Rossi di Vicenza. Dirigente d’Industria.
Fu tra i fondatori della Resistenza nell’alta Val Leogra; già prima si era distinto assieme al dotto Gianni Aste di Schio nel salvataggio di incauti alpinisti sui precipizi del Pasubio. Fu presente come uno degli uomini di punta durante la « lunga marcia» con cui le formazioni riunite della Vallata dell’Agno si sottrassero verso la fine di maggio del 44 da un quasi sicuro accerchiamento in località Campetto. Per incarico di «Sergio» (Attilio Andreetto) Walter Pianegonda fu commissario del battaglione «Apolloni» dal 20 giugno circa fin verso il 20 luglio, dopo che «Carlo» (Alberto Sartori) era trasmigrato (26 giugno) verso la Val d’Astico, e «Romèro» (Gino Piva) fu costretto da gravi motivi di salute ad abbandonare il comando operativo dell’«Apolloni» lasciandolo a «Giulio» (Valerio Caroti).
Successivamente Walter Pianegonda si dedicò al compito di studiare e organizzare una rete di sabotatori per colpire le vie di comunicazione nemiche.
Intimo amico e fedele collaboratore di «Sergio», si trovò anch’egli ad un certo punto in contrasto con il comando della «Garemi». Tradito da un compaesano che era passato nelle file naziste, nell’autunno del 1944 fu arrestato dalle S.S. e inviato al campo di sterminio di «Gusen» ove, uno dei rari sopravissuti, fu liberato dagli alleati. Tornò in patria ridotto a 40 Kg. di peso. L’intera sua famiglia fu perseguitata. Le sorelle Adriana, Wally e la giovane Noemi, allora quattordicenne, tutte staffette, furono arrestate assieme alla loro madre e tradotte prima alle carceri di Rovereto e poi al campo di concentramento di transito di Bolzano. Qui, l’interruzione delle linee ferroviarie e il precipitare degli eventi, impedirono che le quattro donne venissero spedite a Mauthausen o a Gusen. La casa dei Pianegonda fu saccheggiata e vuotata dai nazisti di tutte le masserizie. -V. Caroti.
(da pag. 462 a pag. 471)
IV. GIUGNO A SANVITO
XVII. Inchiesta di E. Trivellato
Nel giugno del 1944 a Sanvito di Leguzzano si verificarono alcuni fatti che sono tra loro collegati in una sequenza drammatica. Infatti nella notte del 3 giugno vi fu uno scontro a fuoco tra un gruppetto di partigiani ed alcuni militi della G.N.R.: restarono uccisi Natale Benetti e Lino Zordan e vi furono due Fascisti feriti che vennero trasportati all’Ospedale di Schio. Qui, il 7 giugno, furono freddati da alcuni partigiani penetrati nell’Ospedale. Nello spegnimento della casa dei Micheletto a Sanvito, data alle fiamme dai Fascisti, era morto un civile, Luigi Armando Campagnolo, che lasciò 7 figli. Nel pomeriggio dell’8 giugno il paese fu rastrellato e in un discorso in piazza il Federale minacciò la fucilazione di un renitente catturato e la distruzione del paese se non si presentavano alla chiamata alle armi almeno una parte dei giovani di Sanvito. Per evitare la rappresaglia se ne presentarono una ventina.
Il mattino del 12 giugno, mentre il gruppo stava per essere accompagnato alla Casa del Fascio di Schio, i partigiani stanziati nella zona di Montemagrè e Raga attaccarono la colonna per farli fuggire. Nello scontro restò ucciso un milite della G.N.R. ed un tedesco della Luftwaffe, tra quelli accorsi agli spari. Il 22 giugno, per rappresaglia, vennero fucilati a Ca’ Trenta quattro detenuti della Caserma Cella di Schio e lo stesso giorno furono avviati nei campi di con¬centramento in Germania venti giovani di Sanvito, dei quali due vi morirono: Zanella Virginio e Saccardo Giovanni.
In breve il tragico giugno di Sanvito si concluse con 13 morti (5 partigiani, 2 civili, 2 giovani deportati, 3 fascisti, 1 tedesco) e con 20 deportati nei campi di concentramento in Germania. Dal momento che finora i singoli avvenimenti sono stati trattati o considerati separatamente, mi è sembrato importante ricercare nella presente Inchiesta soprattutto i collegamenti ed i nessi causali fra un evento e l’altro in modo che risultasse più chiara la effettiva sequenza storica; e ciò al fine di consentire allo storico di inquadrare meglio i numerosi documenti d’archivio che sicuramente dovrebbero emergere in futuro sia sui singoli avvenimenti che sulle singole persone.
SCONTRO NOTTURNO A SANVITO
2-3 giugno 1944
Lo scontro avvenuto a Sanvito nella notte fra il 2 ed il 3 giugno del 1944 e stato raccontato da Lorenzo Micheletto (1) in una riunione a Sanvito del 7.12.1978, presenti anche Silvio Manfron (2), Francesco Ceolato (3) e Pietro Barbieri (4).
Il «Broca» ha riferito quanto segue: «Quella notte stavamo transitando per Sanvito in quattro e con me c’erano mio fratello Andrea Bruno (Brochèta), Severino Zordan (Bastardo) e suo cugino Lino Zordan. Essendo stati improvvisamente circondati dai fascisti, ebbe inizio un violento scontro a fuoco. Un civile, Benetti Natale (5), aprì una finestra di casa per vedere cosa stava succedendo ed i fascisti gli spararono una raffica uccidendolo. Lino Zordan (6) si trovò circondato, alzò le mani, ma fu ugualmente colpito da una raffica. Lo stesso giorno verso le 12 venne appiccato il fuoco alla casa dei fratelli Micheletto e nel tentativo di spegnimento restava gravemente ustionato, e poi moriva, il vicino di casa Armando Campagnolo (7), padre di 7 figli».
Miglioranza Giovanni (8) così scrive in una sua relazione del 14.12.1946 alla Commissione Regionale Triveneta di Padova: "Dopo vari fatti di sangue successi nel mio paese di S. Vito di Leguzzano dal 26 maggio al 12 giugno 1944, per causa dei forti rastrellamenti operati in questa zona dai nazi-fascisti, dovendo io pure fuggire più volte alla cattura da parte dei medesimi, perché renitente alla chiamata del governo repubblichino (dei mesi precedenti); all’alba del 3 giugno 1944, alle ore quattro una forte sparatoria investì la contrada e dei compagni partigiani vennero alle armi con una pattuglia fascista in rastrellamento.
Era l’unica notte che avevo osato dormire in casa; mi svegliai di soprassalto e subito intuii quanto stava accadendo; infilai i pantaloni e mi lanciai in cerca di un nascondiglio a tempo debito predisposto sotto un letamaio, in quanto nulla potevo fare trovandomi privo di armi; colà rimasi alcune ore riuscendo a sfuggire alla cattura a causa di una ispezione poco dopo effettuata a casa mia. In questi frangenti rimasero uccisi, un partigiano ed un civile, mentre due fascisti rimanevano feriti. Due giorni dopo e precisamente nella notte del 6 giugno i due feriti fascisti venivano freddati all’Ospedale civile di Schio ad opera di altri partigiani dei paesi vicini, però la colpa ricadde su S. Vito di Leguzzano, specialmente sulla mia contrada.
Vi fu quindi un ultimatum: la mia casa sarebbe stata bruciata, il padre preso in ostaggio e fucilato ed io, se catturato, avrei subìto la stessa sorte. Ne segui un forte rastrellamento, mentre io riuscii a sfuggire dandomi alla macchia. Invece un mio compagno venne catturato e condotto innanzi all’ex federale Passuello, il quale decise la sua fucilazione nella piazza se alcuni fra i più ricercati renitenti non si fossero presentati alla repubblica, promettendo per loro ogni bene, altrimenti pure il paese sarebbe stato arso dal fuoco. Dinnanzi a tali minacce, decisi di presentarmi unitamente a qualche altro compagno vicino di casa. Abbiamo visto le madri ringraziarci con le lacrime agli occhi, sapendo il rischio al quale andavamo incontro».
Più di recente (3.8.79) Giovanni Miglioranza riferisce inoltre che la pattuglia dei 4 partigiani era scesa a Sanvito dalla montagna e la sera del 2 giugno e anche in altre precedenti, erano stati notati nei pressi di una giostra con le pistole che spuntavano dai vestiti; probabilmente vi fu una spiata alla G.N.R. di Sanvito, che preparò un’imboscata notturna.
Dopo lo scontro 3 partigiani si nascosero sotto le tavole dell’impresa edile Grotto, mentre Lino Zordan, che aveva tentato la fuga saltando la mura di cinta del brolo Pozzolo, fu colpito a morte da una raffica. Vennero feriti anche due della G.N.R. e, trasportati all’Ospedale di Schio, furono UCCISI circa due giorni dopo da alcuni partigiani penetrati in Ospedale (non si venne mai a sapere se provenivano da Sanvito o dalla zona di Schio). Questo fatto suscitò naturalmente una violenta reazione fascista".
B. DISCORSO DI PASSUELLO E RIUNIONE ALLE COSTE
7-8 giugno 1944
«Nel pomeriggio del 7 giugno» prosegue Giovanni Miglioranza nel suo racconto «la G.N.R. effettuò un grande rastrellamento nel Comune di Sanvito per catturare i renitenti alla chiamata alle armi; seguì poi una retata delle persone del paese, che furono riunite in piazza. Qui il federale Passuello tenne un discorso, nel quale disse in sintesi:
1. a seguito dei fatti di Sanvito del 3 giugno e delle due uccisioni all’Ospedale di Schio, il paese di San vito era ritenuto responsabile e sarebbe stato bruciato -
2. nel rastrellamento del pomeriggio era stato catturato un renitente (Beniamino Clementi - cl. 1923, che ignaro dei posti di blocco stava tornando a casa attraverso i campi), il quale sarebbe stato fucilato -
3. sarebbero stati arrestati e temuti in ostaggio i genitori dei renitenti e sbandati di Sanvito. Il Pas-suello concluse tuttavia che ciò non sarebbe avvenuto se i giovani si fossero presentati alla chiamata alle armi; coloro che si presentavano sarebbero stati trattati bene, trasferiti alla Caserma degli Alpini di Bassano del Grappa (per la costituenda Monte Rosa) e non arruolati nella G.N.R. -
Di fronte a queste minacce e promesse i giovani renitenti, le loro famiglie e in sostanza tutti gli abitanti di Sanvito si trovarono costretti a prendere una decisione, sicché la sera dell’8 giugno ebbe luogo una riunione in località alle Coste. Il parroco don Giovanni Fracca prospettò l’ipotesi di nascondere alcuni renitenti sopra la travata della Chiesa, ma si considerò il rischio che venisse bruciata; in proposito è da ricordare che il cappellano don Emilio Grendene aveva lavorato instancabilmente per portarci viveri e sigarette nei campi e nei boschi.
Si pensò anche di passare tutti con i partigiani, ma qualcuno rilevò che non esisteva ancora una organizzazione efficiente ed alcuni ex militari pensavano che la guerriglia partigiana dovesse essere organizzata sul tipo militare con comandi, organici, radio, servizi logistici ecc.; mancava in tutti noi la mentalità della guerriglia alla macchia; uno che era tornato dall’altopiano di Asiago riferì della molta fame e sete sofferte in quello spostamento. Inoltre c’erano le pressioni delle famiglie che supplicavano di presentarci per scongiurare rappresaglie contro tutto il paese.
Dopo lunghe discussioni fu concluso che alcuni, circa una decina, sarebbero rimasti nascosti, mentre gli altri, una ventina, si sarebbero presentati. Infatti il mattino del 9 giugno ci siamo recati in gruppo a Schio alla Casa del Fascio, dove ci hanno accolto molto bene e ci hanno dato 3 giorni di permesso, in quanto il 12 giugno sarebbero passati da Sanvito con dei camions per portarci alla Caserma degli Alpini di Bassano. La drammatica vicenda sembrava conclusa, viceversa il mattino dell’11 giugno i partigiani affissero sulla porta della Chiesa parrocchiale un bando dattiloscritto: “Giovani di Sanvito non presentatevi! Penseremo noi a fermare i fascisti!”. Allora la G.N.R. presidiò il paese durante tutta la notte fra 1’11 e il 12 giugno».
C. ATTACCO PARTIGIANO A CA’ TRENTA
12 giugno 1944
Con la presentazione di una parte dei giovani di Sanvito i luttuosi avvenimenti che avevano colpito il paese sembravano giunti al termine. Invece un difetto di organizzazione della G.N.R. di Schio (in luogo di prelevare i giovani con camions come promesso, furono avviati verso Schio a piedi) ed un attacco partigiano a Ca’ Trenta proveniente da Montemagrè-Raga aggravarono drammaticamente la situazione, specialmente a causa dell’uccisione di un tedesco.
Il Comando germanico non fece minacce o promesse o discorsi in piazza, come Passuello, ma agì drasticamente con una immediata rappresaglia: ordinò la fucilazione a Ca’ Trenta di quattro giovani incarcerati in Caserma Cella e fece deportare in Germania una ventina di giovani di Sanvito.
Lorenzo Micheletto («Broca») ha riferito quanto segue: «I fascisti della G.N.R. avevano catturato un renitente come ostaggio ed avevano minacciato di fucilarlo se gli altri richiamati di Sanvito non si fossero presentati. Allora dietro le Coste ebbe luogo una riunione per decidere se passare alle formazioni partigiane oppure presentarsi alla Casa del Fascio di Schio.
Considerando che sarebbero stati inviati negli Alpini a Bassano e che uno dei presenti aveva riferito della sua triste esperienza con i partigiani sull’altopiano di Asiago, fu deciso che una buona parte si sarebbe presentata. Infatti il gruppo di giovani, scortati da militi della G.N.R., stava avviandosi verso Schio quando in prossimità di Ca’ Trenta il gruppo fu attaccato da una ventina di partigiani al comando del “Tar” e ciò per fornire il pretesto di scappare in montagna. Purtroppo, in conseguenza degli spari, accorsero in bicicletta una decina di Tedeschi della Luftwaffe ed uno di loro fu colpito a morte.
Dopo l’attacco i partigiani si ritirarono verso Raga portandosi dietro alcuni renitenti, mentre gli altri in parte tornarono in famiglia ed in parte proseguirono verso Schio per timore di una rappresaglia. A Schio furono tenuti in ostaggio ed il Comando tedesco voleva fucilarne dieci a causa del tedesco rimasto ucciso; invece furono deportati in Germania, donde tornarono dopo la Liberazione, ad eccezione di due, Virgilio Zanella e Giovanni Saccardo, che morirono in campo di concentramento».
Ferruccio Manea («Tar») cosÌ riferisce in un suo scritto: «Il 12 giugno 1944 arrivò in Raga una staffetta di Sanvito avvisando che i fascisti della Tagliamento, a seguito di un rastrellamento, avevano catturato una trentina di giovani che stavano per essere trasferiti in Caserma Cella a Schio per la deportazione in Germania. Il Comitato di Liberazione di Sanvito ci pregava di fare il possibile per liberarli.
Allora riunii una cinquantina di uomini, compreso il distaccamento di “Luis” (Scortegagna), e ci portammo verso Ca’ Trenta lungo la rotabile che da SanVito porta a Schio. Disposi gli uomini in modo da evitare un aggiramento e garantire il successivo ripiegamento verso i monti. In una masseria vicino al torrente si trovava una pattuglia dotata di mitragliatrice e comandata da Fochesato Santo (“Scarpa”) di Malo. Dopo una mezz’ora arrivò da Sanvito il gruppo dei giovani, scortati dai fascisti sotto la minaccia delle armi, ed allora mi alzai e feci cenno ai primi rastrellati di immettersi nel sentiero che portava alle colline.
Un brigatista, che aveva notato la deviazione, si precipitò in bicicletta e si accorse della nostra presenza solo all’ultimo momento; alla mia intimazione di proseguire, girò mvece a tutta velocità e ci scaricò una raffica di mitra: allora lo inquadrai nel mirino e lo colpii. Ebbe inizio così una sparatoria. Lì vicino, alla Fornasetta, erano accasermati una ventina di tedeschi, i quali accorsero di rinforzo. “Corazza” colpì uno di loro. Considerando che sarebbero giunti in aiuto anche numerosi fascisti da Sanvito, diedi l’ordine di ripiegare sulle colline. Alcuni giovani renitenti si aggregarono alle nostre formazioni».
Fin Giuseppe («Taras») detto il Moro (9) conferma sostanzialmente la versione del «Tar» e riferisce: «A Montemagrè in quel periodo c’erano due distaccamenti: uno comandato da Elio Scortegagna (“Luis”), ed uno da Ferruccio Manea («Tar»). Venne su da Sanvito una ragazza per avvisarci che un grosso gruppo di giovani di Sanvito era stato costretto con intimidazioni a presentarsi alla R.S.I. Allora sono stati uniti i due distaccamenti di Luis e di Tar e si decise di scendere a Sanvito: eravamo una quarantina. Ci siamo sistemati in attesa lungo una siepe ed io mi trovavo a fianco del Tar. Questi diede l’ordine di non sparare fino a che la colonna non fosse arrivata fino in cima alla strada. Ricordo che alcuni fascisti hanno buttato giù le biciclette e si sono gettati attraverso i campi fuggendo. La sparatoria fu difficoltosa perché c’erano di mezzo i giovani di Sanvito. Poi arrivarono i tedeschi e “Corazza” di Marano Vicentino mi raccontò che in mezzo al frumento si trovò davanti un tedesco che gli sparò: la corazza che portava sul petto lo salvò. Per questo fu costretto a sparare al tedesco».
Giovanni Miglioranza, che si trovava nel gruppo dei giovani di Sanvito in procinto di essere trasferiti a Schio, così scriveva nel 1945: «Il sole era sorto da poco e qualche compagno entra in casa, mi chiama: Andiamo, presto! Con un triste presentimento abbraccio i miei cari, ultima la mamma. Trovo forza per staccarmi, ancora uno sguardo, poi a tutti un addio. Con lentezza lascio la porta di casa ed assieme ai compagni mi incammino. Siamo un gruppo di dodici, accompagnati da qualche brigatista. Qui accade il tragico. Il gruppo che ci precedeva scompare improvvisamente verso sinistra della strada comunale Sanvito-Schio. Fra noi si vocifera: “Forse i nostri ci attendono?” Non facciamo ancora che pochi passi quando diverse raffiche di mitra cercano di far bersaglio sugli uomini neri della scorta, i quali, intuita l’imboscata, rispondono subito al fuoco. È impossibile fuggire di lì per passare con i nostri, essendosi iniziata una vera battaglia. Troviamo riparo lungo il fossato destro della strada. In aiuto dei fascisti arrivano i tedeschi e con l’aiuto di questi ultimi hanno il sopravvento costringendo i nostri alla fuga. Fra noi nessun ferito. Dopo una breve perquisizione fattaci da un soldato tedesco, ci fanno proseguire, sempre scortati, verso la Casa del Fascio di Schio».
D. IL DRAMMA DEI DEPORTATI
12-22 giugno 1944
Con l’attacco partigiano a Ca’ Trenta del 12 giugno il gruppo di giovani renitenti di Sanvito, nel trambusto dello scontro a fuoco, si divise praticamente in tre parti: alcuni salirono sulle colline assieme ai partigiani attaccanti, alcuni si dispersero attraverso i campi e rientrarono a casa in attesa degli eventi, altri giovani invece rimasero bloccati dalla sparatoria e, assieme ad altri due rastrellati, furono tradotti alla Casa del Fascio di Schio.
Qui furono bene accolti e vennero offerte anche delle ciliegie, senonché ... - racconta Giovanni Miglioranza - «Dopo una mezz’ora si ferma davanti ai cancelli una macchina piena di soldati tedeschi armati fino ai denti; entrano come forsennati e cominciano a menar pedate e colpi con il calcio del fucile, urlando come pazzi e spingendoci su di un camion. Qui disteso troviamo il cadavere di un tedesco ucciso nell’attacco a Ca’ Trenta. Secondo le leggi di guerra germaniche ci avrebbero passati tutti per le armi come rappresaglia e come complici dell’accaduto. Ci fu subito chiara la nostra situazione. Tra insulti, imprecazioni e bastonate i tedeschi ci gridano: “Vostri amici partigiani avere ucciso nostro camerata! Voi tutti essere fucilati! “. Ci trasferiscono alla Caserma delle Scuole Marconi ed a calci ci allineano contro il muro in quattordici: dietro a noi si odono i tric trac della squadra di esecuzione, che attende di minuto in minuto l’ordine di far fuoco. Passa così mezz’ora, un’ora, una e mezza: scoccano le dodici.
Un ordine secco ci fa cambiare di posto e veniamo appoggiati lungo una diroccata parete, mentre sopra di noi in alto, sopra una terrazza, vediamo gli ufficiali del comando certamente convenuti per assistere alla nostra esecuzione. Poco prima era venuto dal Comandante un fascista facinoroso, detto “Stracci”, che aveva raccontato l’accaduto affermando che noi eravamo d’accordo con i partigiani per tendere una trappola sia ai fascisti che ai tedeschi. Poi ci interrogano: “Quanti mesi essere stato montagna tu?” - “Io, mai” - “Perché non essere venuto soldato tu?” - “Ho sempre lavorato” - “Dove lavorare?” - “A casa, in fabbrica” - “Tu non volere parlare, tu essere partigiano”.
Oramai siamo certi che vi sarà la decimazione. Ma otto lunghe ore passano così, senza mai abbassare le mani, senz’acqua, sotto il sole di giugno. Di tanto in tanto si ode qualche fucilata, sparata forse a salve per spaventare quelli che cercavano di avvicinarsi ai cancelli. Si arriva così alle sei di sera e finalmente ci fanno salire su di un camion, dove si unisce a noi anche qualcuno dei paesi circonvicini, catturato e messo in prigione a Schio. Sotto forte scorta il camion parte, mentre i nostri familiari ci salutano piangendo ed intravvedo mia sorella che sventola un fazzoletto verde, come un addio di speranza.
Giunti a Vicenza, siamo condotti al Comando Piazza, dove un torvo generale delle SS ci guarda, ci fa ritirare i documenti personali, e ci ordina il trasferimento alle Carceri giudiziarie di S. Biagio. Per lunghi dieci giorni siamo rimasti in carcere (io ero con altri 5 in una piccola cella) e ricordo che abbiamo avuto una parola di conforto e dl speranza solo dal cappellano delle carceri mons. Sette, a cui dobbiamo gratitudine e riconoscenza. Dopo sommari interrogatori ed una visita medica, ci prepariamo per la Germania.
Attraverso le sbarre scambiai qualche parola con mia sorella, che era venuta a trovarmi per l’ultima volta prima della partenza, assieme a mia madre. Nel pomeriggio del 22 giugno 1944 siamo scortati fino alla stazione e caricati sul treno. A nulla era valso l’interessamento di don Emilio Grendene perché i Comandi germanici ripetevano: “Sono tutti partigiani, la soluzione migliore è quella di spedirli in Germania». (da «Odissea di un lungo giorno» di G. Miglioranza – scritta a Monaco di Baviera il 4 giugno 1945).
Per la Germania era prevista la deportazione di 21 giovani, ma uno di loro – Giuseppe De Toni – fu ritenuto non idoneo e trattenuto in carcere per tre mesi. Quindi i deportati furono 20: Giovanni Miglioranza, Giovanni Masetto, Giovanni Boscato, Antonio De Franceschi, Beniamino Clementi, Giuseppe Veronese, Gaetano Marchioro, Giancarlo Matteazzi, Umberto Sette, Alessandro Casarotto, Bernardo Novello, Ferdinando Casarotto, Giovanni Saccardo, Giovanni Zilio, Luigi Bertoldi, Attilio Masetto, Francesco Bettanin, Virginio Zanella, Giovanni Saccardo, Gino Scapin. Dai campi di concentramento tornarono in 18, perché Giovanni Saccardo (10) morì in Austria e Virginio Zanella (11) morì in Cecoslovacchia.
E. I QUATTRO FUCILATI DI CA’ TRENTA
22 giugno 1944
Contemporaneamente al trasferimento a Vicenza dei 21 giovani di Sanvito per essere deportati in Germania, il Comando germanico di Schio decise di fucilare a Ca’ Trenta – dove appunto era stato ucciso un tedesco – quattro detenuti della Caserma Cella di Schio, per i quali esisteva probabilmente la certezza che appartenevano alle formazioni partigiane. Si aggiunga che nella prima quindicina di giugno vi erano stati numerosi attacchi a macchine tedesche (vedi «Giugno di fuoco»), che in Val Leogra era sparita la Missione giapponese, che il 15 giugno vi era stato il sabotaggio al Cementificio di Schio, che il 17 giugno si era avuto lo scontro a fuoco a Vallortigara.
Una situazione così calda aveva sicuramente inferocito i Tedeschi, per cui il Comando germanico decise di prelevare quattro detenuti della Caserma Cella e di farli fucilare a Ca’ Trenta: 1. BESCO LUCIANO (12) -2. CAM¬PESI SALVATORE, siciliano - 3. MARCHETTO EUCARISTO (cl. 1922 di Arzignano) - 4. PAPPALARDO SALVATORE (13).
Le notizie sui quattro fucilati di Ca’ Trenta sono al momento incomplete, per cui si fa invito a chiunque possa dare informazioni a fornire nuovi elementi sull’argomento.
PARTIGIANI DI SAN VITO
In una foto-ricordo a medaglioni della Sezione ANPI di Sanvito, eseguita dopo la liberazione figurano i seguenti nominativi con relative fotografie : ANZOLIN LELIO -BARBIERI PIETRO (territ.) - BERTOLDI GUGLIELMO (Mirco) - BICEGO LUIGI - CORTIANA CARLO - DE GUGLIELMI GIUSEPPE - DE TOFANO ANTONIO - FIN GIUSEPPE («Moro») - FILIPPI EGIDIO - GONZO VALENTINO - GASPARONI GIUSEPPE - LIBRIS GIOVANNI - MICHE-LETIO ANDREA BRUNO (brochèta) - MICHELETIO LORENZO MARIO (Broca) - MAR-CHIORO LUIGI - MANFRON SILVIO (Leone) - RONCON GIOVANNI - SBALCHIERO AN-TONIO - SACCARDO GIOVANNI (terr.) - SCHIZZAROTIO BATTISTA - SELLA GIULIO - TOMASI SEVERINO - TRESSO ANTONIO - VALMORBIDA AURELIO - ZORDAN SEVERINO (Bastardo) - ZORDAN CATIERINA - ZOLIN ADOLFO. Fra i caduti figurano: BENETII NA¬TALE - CAMPAGNOLO LUIGI - ZANELLA VIRGINIO - VALLARSA ANTONIO GINO - GA¬SPARONI GELSOMINO - NOVELLO ELIO - MARCANTE GIUSEPPE - SCORTEGAGNA MARIO - ZORDAN DOMENICO - ZORDAN ELIO.
APPENDICE
SAN VITO DI LEGUZZANO
a cura di Renzo Saccardo e di Paolo Snichelotto
Il paese, posto sotto la fascia delle Prealpi dominata dal gruppo del Pasubio, è situato tra i comuni di Schio, Marano Vic.no, Malo e Monte di Malo. S .Vito è situato in zona pianeggiante ad esclusione di alcune contrade sparse e della frazione di Leguzzano. La zona collinare (altezza massima mt. 443 slm), ricca di boschi e di poche terre acquisite grazie ad antico svegramento, è nettamente separata dalla zona pianeggiante dal corso del torrente Livergon, che scende dalle colline dI Monte Magrè, e del torrente Refosco che nasce nelle valli di Leguzzano.
L’altitudine varia da un minimo di 145 mt. slm ad un massimo di 443, mentre il centro del paese è posto ad un’altezza media di mt. 158 slm; quest’ultimo è formato da un blocco compatto di edifici risalenti in gran parte al secolo scorso. Esso è abitato da famiglie di antica tradizione locale le quali hanno creato nel tempo un insieme culturale e relazionale. Nel censimento del 1936 vi erano 2232 abitanti di cui 1723 in S. Vito e 509 in Leguzzano con una densità di 315 ab. per Kmq. Nei successivi censimenti del 1951¬1961-1971 la popolazione di San Vito aumentò progressivamente a 2394-2473¬2607 persone residenti, mentre Leguzzano passò a 191-197-182 abitanti.
La tradizione economica e lavorativa di San Vito ha tratto per lunghi secoli la sua origine dalla terra, ma col sorgere di industrie, sia a Schio che nello stesso San Vito si è venuto a creare un cambiamento di tendenza. Infatti la presenza di una filanda, che dava lavoro ad un gran numero di persone, in modo particolare donne, e di alcune fornaci, provocarono un grande esodo dai campi Dal censimento del 1936 risulta che le fascie produttive erano così distinte: Agricoltura con 346 addetti 34,0% Industria con 587 addetti 58,3% Trasporti e com. con 6 addetti 0,5% Commercio con 42 addetti 4,1% Artigianato con 9 addetti 0,8%
La popolazione attiva era composta da 1017 elementi pari al 43,5%.
Un primo elemento per valutare gli orientamenti politici della popolazione di San Vito, dopo l’espenenza fascista, pure con i limiti dovuti al momento storico appena passato, si può trarre dalle elezioni amministrative del 24/3/46 e a quelle riferentesi alle elezione del deputati all’Assemblea Costituente del 2/6/46.
ELEZIONI AMMINISTRATIVE: Elettori iscritti nelle liste 1512. Votanti 1383. Percentuale votanti 91,5%.
Furono eletti 12 consiglieri per la D.C. e 3 per il Fronte Repubblicano Lavoro.
ELEZIONE ASSEMBLEA COSTITUENTE: Elettori iscritti 1557. Votanti 1455. Percentuale vantanti 94,1%.
Risultati: DC voti 815. PCI voti 185. Partito Socialista voti 318. Partito d’Azione voti 7. Partito Repubblicano voti 4. Partito Uomo Qualunque voti 21. Partito Unione Democratica N. voti 9. Schede nulle nr. 50. Schede bianche nr. 46.
I risultati del Referendum relativo alla forma istituzionale dello Stato Italiano furono i seguenti: Repubblica voti 738 - Monarchia voti 610 - Schede nulle nr. 8 - Schede bianche nr. 99.
Durante tutto il periodo della Resistenza, e per molti anni ancora prima e dopo, Parroco di San Vito fu don Giovanni Fracca, nato ad Arzignano il 6/4/1885 e morto a Vicenza il 10/9/69. Dal 1941 al 1944 cappellano fu don Emilio Grendene sostituito alla sua partenza da don Giovanni Nenzi.
La presenza di don Giovanni Fracca fu costante nelle alterne vicende del periodo bellico e spesso lui stesso fu protagonista diretto di avvenimenti tristi. Anche lui arrestato e poi rilasciato, assistette parecchi giovani in procinto di essere fucilati o in partenza per i campi della Germania. La sua figura ed opera appare ancor di più se si pensa come tutto, o gran parte di San Vito, ruotasse attorno alle attività della parrocchia e alla persona del prete. Durante il periodo bellico fu fitta la corrispondenza dei militari con il parroco.
Don Giovanni Fracca tenne anche in quel periodo una cronistoria, ora depositata presso l’archivio parrocchiale, in cui raccoglieva impressioni, fatti, stati d’animo relativi agli anni in corso.
NOTE
(1) CALGARO IRMA («Maruska») vedo Zilio. Figlia di Giovanni (manovale), coniugata con ZILIO Virgilio («Licio»), residente allora a Schio in via Mazzini di fronte alla trattoria Mezzaluna. Nata a Schio il 3.3.1916.
(2) ZILIO VIRGILIO («Licio»). Nato Sanvito di Leguzzano il 15.4.1910. Deceduto a Schio nel 1975.
(3) Nell’incontro con Irma Calgaro, presente Lino Maule, del 6.6.1979 sono stati ricordati vari nomi di battaglia che, nella memoria, abitavano o si fermarono in Malunga in quel periodo o furono di passaggio: «Scalabrin» (Albino Gaspari), «Licio» (Virgilio Zilio), «Onorino» (veronese), «Sergio» (Attilio Andreetto, veronese), «Vipera» suo amico, «Rolando» (Pozzer Giuseppe), «Vecio. (Cumerlato Augusto) ucciso a Camposilvano, « Toscano. (Pagliosa Narciso) anche lui ucciso a Camposilvano, «Luna» (veronese), «Ada» (toscano), «Calabria» (calabrese), «Piper» (Sergio Caddeo), «Romagnolo» (Corzato Ferruccio). «Dumas» (Corzato Mario), «Poli», «Fiore», «Franco», «La Carmela» (Lazzari Carmela), «La Valanga» (Alma Cavion), «Fiume» (Lovato di Pieve), «Ciquito» (Lino Maule) di Schio, «Ivano» di Torrebelvicino e molti altri.
(4) GASPAROTTO FRANCESCO («Furia»). Nato a Torrebelvicino in Val Leogra il 23.4.1922. Ucciso in una perlustrazione a Priabona (Malo) l’11.12.1944 assieme a Frigo Armando («Spivak») di Schio (Ressecco).
(5) In proposito Filippi Farmar Giovanni («Nero») di Valli d. P. (pg. 218) testimonia: «Da Rovejana a fine maggio ci siamo fermati in Sorla e poi mi sono spostato in Malunga, dove incontrai i due giapponesi: parlai con loro in francese ed offersi qualche sigaretta”. Ciò è confermato anche dall’amico Oliviero Giacomo («Tega») (pg. 352).
(6) Probabilmente è «NORINO». Di lui la «Maruska» dice: «Era veronese e siccome la sua fidanzata si chiamava Onorina, gli abbiamo dato il nome di battaglia di «Onorino»; qualche volta le scriveva mettendo il mio nome come mittente. Era sui 28 anni, ex militare, sergente maggiore o ufficiale, di statura media, scarmo, capelli castani un po’ mossi, occhi neri, intelligente e molto sveglio; ricordo che parlava di aprire uno studio di avvocato a Verona alla fine della guerra. Tre anni fa, quando morì mio marito “Licio”, mi mandò un telegramma da Torino». Si tratta probabilmente dell’avv. Giacinto Lamonaca («Norino»).
(7) «MAX»: «era uno spilungone magro che ci lasciò dopo 4-5 mesi e tornò a casa».
(8) LINO MAULE («Ciquito») di Schio (Cl. 1923) riferisce: «Ai bandi di novembre del 1943 andai in Pagliosa sopra Valli verso il monte Alba e lì ricordo Bruno dai Zovi Eugenio, Trentin, Angelo e Giuseppe Pagliosa; le famiglie del luogo mi accolsero volentieri, io aiutavo nel campi e restai fino al maggio del 1944. Sceso a Schio, poco dopo Antonio Filippi che poi fu all’Ufficio Collocamento, mi riportò in montagna in Malunga al Casarotti. Qui «Scalabrin» era il padrone di casa ed io aiutavo sua moglie a fare le tagliatelle. Credo che il comandante fosse “Licio”; poi c’era “Sergio”, un certo “Vipera” e molti altri. Un giorno “Licio” mi chiama e mi fa: “Stai attento a questa donna! Non deve allontanarsi per nessun motivo”. Era l’interprete alto-atesina. I due giapponesi si trovavano mvece verso il Pra di Staro. Quando venne il rastrellamento io mi spostai ancora in Pagliosa e poi scesi a Schio, dove rimasi come territoriale e partecipai alla Liberazione».
(9) FIN GIUSEPPE («Taras») detto il Moro -Di Giovanni (mattoni ere fornaci). Nato a Malo il 5:1 :1923, fornaciaio. All’8 settembre si trovava ad Aussa nel 3° art. alpina. Arrivò fino a Cividale con autobus che erano scortati da partigiani jugoslavi sistemati sul tetto, poi tornò a piedi. Ricercato dai Carabinieri, si nascose per un paio di mesi presso la famiglia De Lai di Monte di Malo. Passò l’inverno a casa, ma a fine febbraio-primi di marzo si unì a Montemagrè ad altri tre: Ella Scortegagna (Luis) di Montemagrè, il cugino Bruno Scortegagna (Terribile), Gaetano Marchioro (Sbrana) di Case di Malo, che era stato in Russia (cl. 1921) e, qui ferito da scheggie alla testa, soffriva di crisi epilettiche. Dopo circa un mese – riferisce il Moro – si presentò Bruno Viola (Marinaio) di Caldogno e Giuseppe Morte (Griso) di Case di Malo. In pattuglia c’erano poi Nico Secondo (Alpin) d~ Montemagrè, Giulietto Sella (Vento) di Monte di Malo, Luigi Faccin (Negro) di MagliO d! Sopra, uno Scortegagna (Mosca), alcuni della valle dell’Agno, Corazza» di Marano Vicentino, uno o due mantovani.
(10) SACCARDO GIOVANNI. Di Lino (carrettiere) e di Zini Erminia. Nato a Sanvito il 19.8.1923. Deceduto a Schwarzach (Austria) il 12 maggio 1945. Suoi fratelli: Lidia, Catterina, Lino.
(11) ZANELLA VIRGINIO - Di Giuseppe e di Fabris Maria. Nato a Cogollo del Cengio 18.4.1925, residente a Sanvito. Deceduto a Bruex (Cecoslovacchia) il 21 luglio 1944 in seguito ad incursione aerea sul campo di concentramento.
(12) BESCO LUCIANO. Di Paolo (elettricista) e di Povolo Marianna. Nato a Recoaro (contrada Beschi) il 18.8.1923. Fratello di Olga (1922 arrestata dai fascisti), di Luigi (1925), di Emilio (1927), di Amalia (1931), di Imelda (1935). Luciano fu di leva nel Genio ferrovieri ad all’8 settembre 1943 tornò da Verona; ricercato, salì in montagna con il fratello Luigi nella zona di Malga Campetto, poi verso la Piana. Venuto in Raga assieme ad altri per prelevare delle armi, Luciano fu catturato dai Fascisti e tradotto in Caserma Cella di Schio, dove fu sottoposto a torture e sevizie. Venne poi fucilato a Ca’ Trenta e la famiglia ebbe notizie di Luciano solo verso la Liberazione tramite un parroco. Dopo l’esumazione fu sepolto nel Cimitero di Valdagno. Apparteneva alla Brigata «Stella».
(13) PAPPALARDO SALVATORE («Cucciolo»). Nato ad Acireale (Catania) nel 1915, residente a Torrebelvicino. Sembra che la famiglia fosse di Noventa. Essendo mal adatto alla vita di montagna, restò in paese e fu arrestato durante un rastrellamento, forse per una delazione. Fu tenuto in Caserma Cella per una quindicina di giorni e poi venne fucilato a Ca’ Trenta. Era nella pattuglia di Ernesto Vallortigara («Morgan»).
32 MANIFESTI A SCHIO
di E. Trivellato
È probabilmente difficile trovare nella storia d’Italia un periodo nel quale gli Italiani siano stati richiamati alla calma ed all’ordine con tanta insistenza come negli ultimi venti mesi della seconda guerra mondiale, o perlomeno da tanti capi di governo e relativi poteri costituiti: Badoglio, Comandi tedeschi, Mussolini, Graziani, Comandi militari italiani, Prefetti, Podestà e Commissari Prefettizi. Tutti insomma preoccupati per l’insofferenza degli Italiani manifestatasi dopo il 25 luglio 1943 con la caduta del Fascismo.
Nei quarantacinque giorni che seguirono, pur sotto la cappa di piombo della guerra ancora in corso, spirava anche a Schio un’aria di novità, una sensazione vaga che qualcosa sarebbe successo, in bene o in peggio. Il solo fatto di poter parlare più liberamente e addirittura di potere dir male del Fascismo aveva «imboressàto» la gente ben più di quanto lo consentisse la situazione reale del paese. Fu quindi logico che il governo Badoglio si fosse preoccupato fin dal 26 luglio 1943 di tenere «bbóni» gli Italiani.
1. - 26 LUGLIO 1943.
ITALIANI! Dopo l’appello di S.M . il Re Imperatore agli Italiani e il mio proclama. ognuno riprenda il suo posto di lavoro e di responsabilità. Non è il momento di abbandonarsi a dimostrazioni che non saranno tollerate. L’ora grave che volge impone ad ognuno serietà, disciplina, patriottismo fatto di dedizione ai supremi interessi della Nazione. Sono vietati gli assembramenti e la Forza pubblica ha l’ordine di disperderli inesorabilmente. -Roma,
26 luglio 1943 - BADOGLIO. (Stab. Tip. Zola & Fuga -Vicenza)
Anacronistica, dopo la caduta del Fascismo, o almeno incerta apparve la posizione della M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) e quindi il Maresciallo Badoglio lo stesso giorno volle chiarire le cose.
2. - 26 LUGLIO 1943.
COMUNICATO - La Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale fa parte integrante delle Forze Armate della Nazione e con esse collabora sempre in piena comunità di opere e di intenti per la difesa della Patria. - 26 luglio 1943 -IL CAPO DEL GOVERNO F.to BA¬DOGLIO. (Ist. Tip. per i Comuni -Treviso)
Contemporaneamente erano stati interessati i Comandi militari della Difesa Territoriale affinché assumessero i pieni poteri per la tutela dell’ordine pubblico e questI Infatti, anche nel Veneto, entrarono in funzione immantinente con disposizioni ben precise.
3. - 26 LUGLIO 1943.
MINISTERO DELLA GUERRA - Comando Difesa Territoriale di Treviso ASSUNZIONE DEI POTERI PER LA TUTELA DELL’ORDINE PUBBLICO.
In virtù delle facoltà conferitemi dalla dichiarazione di stato di guerra e dall’art. 217 e seguenti del Testo Unico delle leggi di P.S. assumo la direzione della tutela dell’ordine pubblico nel territorio di questa Difesa (province di Belluno-Padova-Treviso-Vicenza-Udine e Venezia, queste due ultime per il tratto rispettivo di giurisdizione) allo scopo di conservare inalterato l’imperio delle leggi. Faccio pieno affidamento sull’alta coscienza del dovere civico e sul patriottismo di tutti i cittadini, sull’impiego della forza ovunque si renda necessario, per ridurre alla ragione chiunque contrawenga alle leggi, alle ordinanze delle autorità costituite, alle consuetudini del dovere civile.
ORDINO:
1. Tutte le Forze armate dello Stato e di polizia, le Milizie delle varie specialità, i Corpi armati cittadini e le Guardie giurate passano alle mie dipendenze. I rispettivi comandanti si presenteranno ai Comandi di presidio’ per ricevere ordini. -
2. COPRIFUOCO. Dal tramonto (ore 22) all’alba (ore 4) con divieto di circolazione dei civili, eccezione fatta per i sacerdoti, medici, levatrici, appartenenti a società di assistenza sanitaria nell’esercizio delle rispettive funzioni. Fino a che perdurerà il servizio notturno dei treni in arrivo e in partenza dalle stazioni ferroviarie, i civili che vi si recano e ne provengono dovranno essere muniti di regolare biglietto ferroviario. I pubblici esercizi di ogni categoria, i teatri di varietà, i cinematografi, i locali sportivi e similari restano chiusi dalle ore 21,30 al termine del coprifuoco. -
3. È fatto tassativo e permanente divieto di riunioni in pubblico di più di tre persone; di tenere anche in locali chiusi, adunate, manifestazioni, conferenze e simili; di vendita di armi e munizioni di ogni specie, di circolazione di autoveicoli, motoscafi e veicoli di ogni tipo, eccezion fatta per quelli adibiti a servizi pubblici e militari; i conduttori di questi dovranno essere forniti di apposito foglio di circolazione rilasciato dalle autorità civili e militari alle quali fanno capo; di affissione di stampati, di manoscritti, di inviti di qualunque specie in luoghi pubblici, escluse le chiese di confessione cattolica, per quanto ha tratto al normale svolgimento del culto; di uso di qualsiasi segnalazione ottica e luminosa. -
4. Fino a nuovo ordine sono considerati decaduti tutti i permessi di porto d’armi, di qualsiasi specie, concessi avanti la pubblicazione del presente manifesto. Le autorità competenti sospenderanno il rilascio dei porto d’armi in corso -
5. Tutti i cittadini che abbiano necessità di uscire di casa, dovranno portare seco i documenti d’identità con fotografia, con l’obbligo di esibirli a qualsiasi richiesta degli agenti dell’ordine e dei comandanti di truppa. -
6. STAMPA. È ammessa per i quotidiani una sola edizione giornaliera, con le prescrizioni attualmente in vigore. -
7. FABBRICATI. Gli accessi alla pubblica via dei fabbricati, limitatamente all’ingresso principale, dovranno restare aperti giorno e notte e illuminati secondo le disposizioni in vigore circa l’oscuramento. Le finestre di tutti gli edifici dovranno avere le persiane chiuse durante le ore del coprifuoco. Le truppe di pattuglia, gli aventi della forza pubblica e dell’ordine comunque alle mie dipendenze sono incaricati dell’imposizione, occorrendo anche con le armi, degli ordini sopra specificati. I trasgressori saranno senz’altro arrestati e giudicati dai tribunali militari. Treviso, 26 luglio 1943 -
IL GENERALE Comandante la Difesa RENATO COTURRI.
Nello stesso giorno si mossero anche i Prefetti che spedirono subito a tutti i Podestà, come ufficiali di pubblica sicurezza, un preciso invito a mantenersi vigilanti.
A - 26 luglio 1943 - ore 9 - Telegramma a tutti i Podestà -
«L’ordine pubblico non ripetesi non deve essere assolutamente turbato le attività lavorative procedere con ritmo normale punto mantenetevi vigilanti intervenite et segnalate mezzo più rapido ogni emergenza - Prefetto».
In tono serafico anche il Podestà di Schio, valido insegnante e disegnatore d’arte, stilò il suo bravo manifesto con l’invito a star calmi, facendo appello alla laboriosità ed al patriottismo degli Scledensi.
4. - 26 LUGLIO 1943.
COMUNE DI SCHIO
Cittadini! Il Maresciallo d’Italia PIETRO BADOGLIO ha assunto, per ordine della Maestà del RE, la presidenza e la direzione, con pieni poteri, del Governo d’Italia. Nell’ora che la Patria attraversa è dovere di tutti gli Italiani di mantenersi calmi e fiduciosi e di assecondare con piena dedizione l’opera del nuovo Governo, che nell’ordine e nella disciplina confida di portare il nostro Paese a migliori destini. La popolazione scledense che è sempre stata patriottica e laboriosa non mancherà di riprendere unanimemente le sue opere feconde. W L’ITALIA - W IL RE - W L’ESERCITO - Schio, 26 luglio 1943 - IL PODESTÀ Radi.
L’esplosione di entusiasmo che seguì alla caduta del Fascismo da parte di coloro che erano insofferenti al regime, i cortei ed i tentativi di comizio, i canti di Bandiera rossa lungo le strade come Schio, la poca energia dimostrata dagli Ufficiali e dai Carabinieri nello stroncare tali manifestazioni, quando invece c’era l’ordine del Generale di vietare gli assembramenti di più di tre persone facendo uso anche delle armi, spaventarono talmente i Comandi militari italiani che vi fu lo spettro di un’Italia nel caos proprio nel momento più delicato sia della guerra che dei rapporti con i Tedeschi. Solo così si spiega il manifesto che seguì due giorni dopo da Treviso, il cui testo – a mio parere – fu dettato dal panico e non ha precedenti nella storia della guerra: «aprire il fuoco contro i perturbatori senza preventiva intimazione!».
5. - 28 LUGLIO 1943.
Comando Difesa Territoriale - Treviso
Qualunque perturbamento dell’ordine pubblico, anche minimo, e di qualsiasi tinta, costituisce tradimento, e sarà stroncato inesorabilmente.
Di conseguenza ho ordinato: . .. .
Contro i perturbatori sia, d’ora innanzi, aperto il fuoco senza preventiva intimazione. Analogamente sarà proweduto contro gli automezzi che non si fermeranno al primo cenno di arresto. Gli istigatori dei disordini siano giudicati da un Tribunale Straordinario, e, se colti sul fatto, fucilati senz’altro.
Chiunque, anche isolatamente, compia atti di violenza o di ribellione contro le Forze Armate o di Polizia od insulti le Istituzioni, sia passato per le armi.
Treviso, li 28 luglio 1943
IL GENERALE COMANDANTE LA DIFESA
RENATO COTURRI
Per fortuna prevalse il buon senso degli ufficiali in subordine i quali, per essere a contatto diretto con la gente, si erano subito resi conto che – almeno a Schio – i perturbatori erano più festaioli che eversivi. Nel complesso l’ordine pubblico restò salvo e tutti si avviarono al secondo scossone: 8 settembre 1943!
Qui la faccenda diventò seria. Gran festa all’annuncio dell’armistizio, ma trenta ore dopo a Schio c’erano già i Tedeschi nei crocicchi con le mitragliatrici spianate che: per l’ordine pubblico, sono di solito un argomento più incisivo che non i manifesti sui muri. Nello stesso giorno, il 10 settembre, timidamente il Podestà fece affiggere un manifesto alla cittadinanza, dopo aver conferito con il Comandante tedesco capitano Indenbirken. Nel testo chiama ancora «Reali» i Carabinieri, senza dubbio ignaro che «reali» non erano più; ma nella svista incorre più tardi anche il Commissario prefettizio, addirittura parecchi mesi dopo.
6. - 10 SETTEMBRE 1943.
COMUNE DI SCHIO - CITTADINI!
Gli avvenimenti militari che si sono oggi verificati non devono menomamente influire sul normale svolgersi della vita civile. La popolazione deve mantenersi calma e disciplinata riprendendo immediatamente le normali occupazioni. Le Truppe Tedesche, come ha dichiarato il loro Comandante, manterranno l’ordine pubblico in unione a Reali Carabinieri. I negozi di ogni genere devono essere subito riaperti e riprendere l’attività normale, pena la decadenza delle licenze di commercio. L’attività di bar, caffè, osterie e comunque di spacci di bevande alcooliche, esclusi i ristoranti, che somministreranno solo vivande, è sospesa sino a nuovo ordine. Schio, 10 settembre 1943 - IL PODESTÀ.
Siccome alcuni Scledensi avevano approfittato dell’arrivo dei Tedeschi per racimolare armi e munizioni (in seguito vennero a prenderne da tutta la Provincia) il Comandante tedesco sbatté sui muri di Schio il famoso manifesto che è stato oggetto di Inchiesta in un Quaderno della Resistenza - Schio.
7. - 13-14 SETTEMBRE 1943.
AVVISO - BEKANNTMACHUNG - Schio
Manifesto di Indenbirken (Vedi Quaderno della Resistenza - Schio - 8° pg. 323).
Un paio di giorni dopo arrivò da Verona il PROCLAMA del massimo Comando germanico, il quale però ripeteva sostanzialmente quanto a Schio era già noto. Nuova invece, anche se prevedibile, era la notizia in calce, «PER SCHIO E DINTORNI», che i militari sbandati dopo l’8 settembre dovevano presentarsi il 20 settembre in Caserma Cella. Nel frattempo il 16 settembre era giunta a Schio una compagnia di Kaiserjaegers a dare man forte al reparto di SS (notizia Igino Rampon).
8. - 16-17 SETTEMBRE 1943.
PROCLAMA DEL COMANDO GERMANICO - non datato
Il Comandante Superiore delle Forze Armate germaniche in Italia ordina: 1) -2) -3) - 4) -5) -6) -7) -8). (...) In calce:
PER SCHIO E DINTORNI - Tutti gli Ufficiali e soldati italiani presenti a Schio e dintorni devono presentarsi il 20 settembre 1943 alla Caserma Cella di Schio. Contemporanea¬mente i volontari italiani che intendono arruolarsi nell’Esercito Tedesco potranno farne domanda. firmato INDERBIRKEN capitano e comandante.
Una settimana prima in Caserma Cella a Schio vi erano stati quattro militari italiani uccisi dalle SS Tedesche e tutti gli altri 600-700 erano stati caricati platealmente su corriere e trasferiti (non si sapeva dove) in un campo di concentramento. Quell’invito agli sbandati di presentarsi ai Tedeschi proprio in Caserma Cella, dopo quanto era successo, era un insulto all’intelligenza italiana; senza contare che molti sbandati, lo si è visto nelle testimonianze, avevano avuto in tutta Italia qualche triste esperienza con i Tedeschi.
Chiaramente conciliante, per non dire «parrocchiale», è l’AVVISO che giunse da Verona il 17 settembre, nel quale il Comandante Wolf vorrebbe far dimenticare il tragico pugno di ferro tedesco dell’8 settembre e far capire che i Comandi germanici hanno ormai svolto il loro compito strettamente militare e lasciano i poteri esecutivi (sic) e di normale amministrazione alle Autorità italiane. Su quest’ultime Wolf lascia sottointendere una certa sfiducia e precisa che, se non funzioneranno, dovrà intervenire il comando tedesco.
9. - 17 SETTEMBRE 1943.
AVVISO - BEKANNTMACHUNG - Verona
1. Sono stato nominato Comandante Militare (Feldkommandant) delle Provincie di Verona e Vicenza ed ho assunto in queste Provincie il potere esecutivo. 2. -3. -4. -5 . -6. -7. -8. -(. .. ) Se io per ora lascio alle Autorità Italiane i loro compiti per l’esatta esecuzione delle mie ordinanze, faccio questo per evitare inutili severità. Ove però le Autorità Italiane non sappiano imporsi nel modo da me creduto necessario, avverrà l’in¬tervento dell’Autorità Militare Tedesca. In questo caso i contravventori saranno sotto¬messi al codice di guerra germanico. Si fa appello alla comprensione di ogni Italiano perché queste leggi di guerra siano applicate il meno possibile. - Verona, 17 settembre 1943 - IL COMANDANTE Colonnello Wolf.
Di ordine economico è invece il manifesto relativo al cambio del marco, anche se indirettamente vorrebbe rafforzare nella gente l’impressione che tutto stia tornando alla normalità. In proposito Igino Rampon scrive: «Alla chetichella le Banche ricevono l’ordine di emissione del marco di occupazione: guai seri per chi lo rifiuta!»
10. - 24 SETTEMBRE 1943.
IL COMANDO DELLE FORZE ARMATE GERMANICHE DISPONE
Il corso della lira rispetto al marco è stabilito, con effetto dal 21 settembre 1943, come segue:
10 Lire = 1 Marco Vicenza, 24 settembre 1943
Anche a Schio il capitano Indernbirken si rese conto che per gli Italiani gli «ordini» servono a ben poco (forse nessun militare sbandato si era presentato in Caserma Cella) e quindi fu costretto a chiarire che i militari sarebbero stati semplicemente regolarizzati come presenza e poi lasciati LIBERI. Il testo supera in gentilezza quello di Wolf e si legge in maniera quasi invitante,
11. - 24 SETTEMBRE 1943.
COMUNICATO del Comandante delle Truppe Germaniche
Il Comandante delle Truppe Germaniche di Schio rivolge un appello a tutti i militari che ancora non si sono presentati di valeria fare quanto prima o presso il Comando della Milizia di Schio, oppure presso i Comandi dei Carabinieri da cui dipendono. All’atto della presentazione riceveranno una cartolina che permetterà loro di circolare liberamente e saranno immediatamente lasciati LIBERI. Schio, 24 settembre 1943 - firmato INDERBIRKEN capitano e comandante.
Nel frattempo il 16 settembre Mussolini aveva ripreso la direzione «suprema» del Fascismo e pertanto, con la sua ricomparsa sulla scena italiana, veniva ad aggiungersi un altro governante e come tale intenzionato a dare «ordini» agli Italiani. Analogamente a quanto avvenne in altri capoluoghi di provincia anche a Vicenza vi fu l’adunata del nuovo Fascio Repubblicano, tutto teso a ritrovare una sua identità politica dopo i due scossoni del 25 luglio e dell’8 settembre 1943.
L’ordine del giorno (nel complesso abbastanza spoglio di retorica anche se inviperito contro la cricca «massonico militare» di Badoglio) è soprattutto un appello agli uomini volonterosi «di ogni tendenza» (sic) a migliorare la situazione. Un tentativo di riconciliazione e addirittura la proposta di un fronte nazionale tra i Fascisti repubblicani di nuova costituzione e le forze politiche emerse dal 25 luglio, compresi i comunisti, furono discussi un po’ in tutta l’Italia, ma « il centro principale di questa attività era la provincia di Venezia.
Alla fine di settembre, in un’adunata fascista nella città, prese la parola un comunista. A Bologna, elementi fascisti, e in particolare Giorgio Pini, direttore del risorto «Resto del Carlino» e Goffredo Coppola, rettore dell’Università, si espressero apertamente in favore di un fronte nazionale. Movimenti simili sorsero a Torino e Savona, a Verona intorno al giornale di Castelletti l’«Arena», e a Milano attorno alla figura del cieco di guerra Carlo Borsani» (da F. Deakin, op. cit., pg. 779). Per quanto riguarda Vicenza sarebbe interessante uno studio sull’argomento esteso alle varie forze politiche.
12. - 25 SETTEMBRE 1943.
ORDINE DEL GIORNO DEL FASCIO REPUBBLICANO DI VICENZA
votato dalla prima assemblea - sabato 25 settembre 1943
«Alla presenza dell’Ecc. il Prefetto Neos Dinale e del Segretario federale Bruno Mazzaggio, la sera di sabato 25 settembre 1943 si sono riuniti per la prima assemblea del Fascio Repubblicano Vicentino, tutti gli aderenti al nuovo Partito. L’adunata che è stata improntata a particolare vivacità di discussione, così gravi essendo gli argomenti che in questa ora deve esaminare ogni buon italiano, ha concluso i lavori col seguente ordine del giorno, che vuoi essere per i fascisti vicentini un programma iniziale, in attesa di attuare in pieno quello completo, che gli organi responsabili renderanno noto per tutti coloro che sono animati dalla precisa volontà di collaborare efficacemente alla rinascita dell’onore e del prestigio nazionale: Ordine del giorno PREMESSO: che il tradimento della cricca massonico militare ha, con la incondizionata capitolazione, la immediata responsabilità:
1) di aver fatto perdere alla Patria la sua sovranità;
2) di avere gettato il disonore e la vergogna sul nostro glorioso Esercito e sul popolo tutto, malgrado le loro secolari tradizioni di eroismo, spirito di sacrificio e civiltà; denunciano al giudizio degli italiani i responsabili del tradimento.
CONSIDERATO: che le inderogabili esigenze del momento vogliono l’unità del popolo, perché l’Italia possa essere riscattata dal disonore e possa assicurare la sua potenza avvenire,
FANNO VOTI: che il popolo ritrovi la sua operosa serenità e disciplina, presupposti fondamentali per la sicura ripresa; che venga moltiplicata l’attività morale e assistenziale al popolo proletario, attraverso una azione di effettive conquiste nella libera vicenda del lavoro;
FANNO AFFIDAMENTO: sulla leale collaborazione degli uomini volonterosi di ogni tendenza, che abbiano per supremo fine l’onore della Patria e il benessere del popolo nel libero esercizio della sua feconda attività; che la ventata di odio e di insane vendette scatenatasi dopo il 25 luglio venga immediatamente placato, sull’esempio dei fascisti repubblicani che, per primi, dichiarano di voler operare esclusivamente per la rinascita del Paese; che i giovani i quali dovessero essere chiamati alle armi, e quelli animati da coraggioso spirito volontaristico, accorrano nelle file delle nuove Milizie agli ordini del Maresciallo Graziani, elemento essenziale perché, al fianco delle valorose Truppe Germaniche, possa essere iniziata la riscossa;
AUSPICHIAMO: che ogni italiano faccia un esame di coscienza, per convincersi che il primo e vero nostro nemico è l’anglo sassone, dal quale un’Italia presente nel Mediterraneo è stata sempre considerata come esiziale ai suoi interessi egoistici;
RIAFFERMANO: la loro decisa volontà di seguire il Duce, fino alla resurrezione della Patria e oltre».
(foglietto su carta verde Tip. Comm.le - Vicenza)
Sui rapporti fra i responsabili vicentini del P.C.I. ed il nuovo Fascio Repubblicano, Antonio Emilio Lievore, interpellato in proposito, sottolinea il fatto che i Fascisti del Sindacato, in conseguenza dei contatti venutisi a stabilire dopo il 25 luglio all’interno delle neo-costituite Commissioni interne, cercavano di mantenere dei contatti amichevoli con i Comunisti anche dopo l’occupazione tedesca e la ricostituzione del P.F.R.
Senza dubbio nel primo mese vi fu un possibilismo politico di accordo anche a Vicenza, sembra caldeggiato da Domenico Marchioro, il quale infatti incaricò il Lievore di partecipare ad una riunione politico-sindacale fascista, che si tenne presso la Casa dei Lavoratori nella mattina di domenica 3 ottobre e che era stata preceduta da un articolo conciliante apparso su « Il Popolo Vicentino» dello ottobre.
Secondo il Lievore venne a mancare l’accordo perché l’Ing. Bossini, segretario del Sindacato fascista, insisteva sulla necessità di collaborazione con Tedeschi, sia per opportunità che per evitare rappresaglie, mentre il Lievore sosteneva che si dovesse rifiutare tale collaborazione. Comunque sia, il tentativo settembrino di un Fronte unico fu stroncato a livello nazionale dalla vecchia guardia fascista dei toscani (Pavolini, Ricci e Buffarini Guidi), intransigenti, fanatici e faziosi verso il 7-8 ottobre 1943 Mezzasoma emanò infatti alla stampa locale la seguente disposizione (F.W. Deaking, op. cit., pg. 779): «I giornali non devono pubblicare appelli per la pacificazione delle menti e la concordia degli spiriti, per la fraternizzazione degli Italiani. Dopo 45 giorni di avvelenamento della pubblica opinione, di scandali, di predicazioni d’odio e di caccia all’uomo, certe manifestazioni pietistiche rivelano solo viltà e tiepidezza».
Nella polinesia dei gruppi fascisti provinciali del tempo come si orientò il gruppo vicentino nei mesi successivi? È ipotizzabile un atteggiamento sfumato tipicamente veneto? Ed a Schio?
Qui sono notorie e ufficiali solo alcune notizie: erano state presentate entro il 30 novembre le 170 domande di ammissione al P.F.R., ne furono accettare 167 e la prima Assemblea del Fascio locale ebbe luogo il 7 dicembre 1943. Il mese di ottobre era stato di assestamento e verso i primi del mese nella portineria del Lanificio Rossi si leggeva il seguente avviso: «Questo stabilimento è requisito per le truppe tedesche» e simile provvedimento era stato preso per l’Ilma, per i Cementi, per la Carrozzeria Dalla Via.
Il 4 ottobre, per ordine del Comando tedesco, dovevano essere consegnati alla Caserma Cella dal gruppo someggiato «Alpini» duecento muli: gli alpini che li recapitarono al Presidio germanico se la squagliarono poco dopo e presso il ritrovo militare di S. Giacomo ricevettero vestiti borghesi, mentre le divise militari furono gettate nella «roggia» (notizie di Igino Rampon).
Lo stesso giorno il Reggente del Fascio aveva fatto affliggere sui muri della cittadina un manifesto che invitava l’on. Domenico Marchioro a tornare a Schio offrendogli l’ospitalità della propria casa. È proprio questo manifesto che chiarisce la posizione settembrina del Fascio locale verso le altre forze politiche, cattoliche e comuniste, una posizione ben più esplicita che non a Vicenza, addirittura murale, e intimamente legata all’antico Circolo operaio di Schio ed al Teatro Sociale, attorno al quale, a mio parere, ruota una buona parte delle lotte politiche di Schio e sul quale pertanto ho rite-nuto necessario condurre delle ricerche a parte tuttora in corso.
13. - 4 OTTOBRE 1943.
Manifesto del Reggente del Fascio di Schio (cfr. Quaderno n.5)
Intanto a Schio l’ordine pubblico era mantenuto dai Tedeschi ed il 17 ottobre vi fu il rastrellamento al Festaro (cfr. Quad. n.r. 2 pg. 64). Proprio in quei giorni Mussolini stava trattando sul Garda per il ricostituendo Esercito Italiano repubblicano ed ai primi di novembre uscì infatti il Bando di chiamata alle armi per il servizio di leva (presentazione dal 15 al 30 novembre 1943).
La chiamata riguardava: a) i militari dell’Esercito che già risposero alla chiamata indetta dal 16 al 31 agosto 1943, nati nel 2° e 3° quadrimestre dell’anno 1924, che siano stati successivamente, per eventi politico-militari comunque dimessi dalle armi e che tuttora non si trovino alle armi; b) tutti i militari dell’Esercito appartenenti alle classi 1924 e 1923 in CONGEDO PROVVISORIO, che finora non si sono mai presentatI all.e armI perché rinviati o dispensati per un qualsiasi motivo; c) tutti gli appartenenti alla classe 1925 della leva di terra. Coloro che, senza esserne legalmente impediti, non si fossero presentati nel termine stabilito (30 novembre) sarebbero stati denunciati al Tribunale Militare territoriale di guerra.
14. - 4 NOVEMBRE 1943. MINISTERO DELLA DIFESA NAZIONALE ORDINE DI CHIAMATA ALLE ARMI PER MILITARI DELL’ESERCITO 4 novembre 1943 -Il Ministro della difesa Nazionale Graziani
Sulla posizione di tutti gli altri militari sbandati, e non appartenenti alle classi soggette a chiamata, si decise di tirare un colpo di spugna, di lasciarli a casa e di farli presentare semplicemente ai Podestà, i quali avevano i compiti di censirli in fogli-notizie individuali da inviare poi ai Distretti militari di competenza.
15. - 9 NOVEMBRE 1943.
ORDINANZA del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Presentazione dei militari di truppa.
Dispongo che tutti i graduati e militari di truppa dei vari Corpi, istituti e specialità dell’Esercito a qualunque classe appartengano, che alla data dell’8 settembre 1943 trovavansi comunque in servizio, si presentino entro il giorno 25 novembre 1943 ai Podestà dei Comuni di residenza o di temporanea dimora per sistemare la loro posizione militare. (...) A ciascun militare i comuni rilascieranno dichiarazione di licenza illimitata senza assegni. I fogli notizie saranno dai comuni inviati ai distretti, che a loro volta compileranno i fogli di congedo che, a cura dei comuni saranno recapitati agli interessati. Allo scadere del suddetto termine gli inadempienti saranno deferiti al Tribunale militare di guerra. Deferirò allo stesso Tribunale i favoreggiatori che nasconderanno o comunque daranno assistenza ai militari che cerchino di occultarsi. La presente ordinanza sarà radiodiffusa e trasmessa a mezzo stampa. I Comandi militari provinciali, i distretti ed i comuni dovranno prowedere alla divulgazione di essa anche a mezzo di affissione agli albi comunali e nelle piazze parrocchiali e con ogni mezzo che riterranno opportuno. - 9 novembre 1943 - XXII - IL CAPO DELLO S.M. DELL’ESERCITO - GEN. GAMBARA.
Cinque giorni prima della scadenza del termine ultimo di presentazione dei giovani richiamati, vista forse la scarsa affluenza, si invitarono i Podestà a coinvolgere i maggiorenti del paese ed i Parroci per convincere i giovani e le loro famiglie sulla necessità di presentarsi alle armi: una situazione a dir poco alquanto curiosa e che merita uno studio sui comportamenti locali.
B - 25 novembre 1943 - Telegramma a tutti i Podestà.
«Est necessario che podestà svolgano maggiore attività per assicurare presentazione totalitare a chiamati armi punto Riunite subito d’intesa Segretario Fascio maggiorenti paese compreso parroco cui chiedere specifica collaborazione et capi famiglia per efficace opera persuasiva avvertendo che coloro che non sentano dovere imperativo momento sono passibili denuncia tribunale militare et espongono propri congiunti a dure rappresaglie punto Est opportuno che gruppi giovani chiamati armi siano riuniti et facilitati at raggiungere sede presentazione con automezzi che ove necessario requisirete temporaneamente punto Attendo da podestà in questa occasione azione decisiva dettata da alto senso responsabilità che li anima punto - Capo Provincia».
In questo periodo risulta poi, da varie testimonianze, che furono inviate in alcune famiglie i Carabinieri per accertare la presenza di sbandati, che furono inviate addirittura lettere da parte dei rispettivi Comandanti sbandati e poi rientrati nelle file del costituendo Esercito. Tutte mosse, a mio avviso, di effetto psicologico negativo perché suscitarono in molti giovani l’impressione di essere dei «ricercati» e che li indusse quindi a nascondersi ancor meglio in famiglie amiche o in baite vicino casa. Dal momento che il Bando di chiamata specificava che restavano esclusi «e) quelli comunque reclutati dai Comandi tedeschi», qualcuno aveva pensato di infilarsi a lavorare nell’organizzazione Todt, ma il Capo della Provincia chiari il quesito ai Podestà in senso negativo.
C - 22 novembre 1943 -
Ai Podestà - pervenuta 26.11.43 - «Facendo seguito alla Circolare N° 3214 del 9 corrente comunico che tutte le persone di sesso maschile delle classi dal 1922 fino al 1925 devono essere escluse da ogni arruolamento nell’organizzazione Todt «Einsatz und Reich», poiché dette persone devono essere disponibili in primo luogo per l’eser¬cito italiano. Quelli non idonei al servizio militare, in quanto atti al lavoro, devono essere awiati, a scopo di lavoro stesso, all’organizzazione Todt e ad altri uffici tedeschi. Il Capo della Provincia».
Negli stessi giorni venne promossa dai Tedeschi anche una campagna propagandistica per convincere qualche lavoratore italiano a recarsi in Germania.
16. - 23 NOVEMBRE 1943.
LAVORATORI E LAVORATRICI ITALIANI
Iscrivetevi per l’assunzione al lavoro in Germania all’Ufficio Collocamento Tedesco presso i Sindacati Lavoratori Industria di Schio (ogni mercoledì)
17 - 23 NOVEMBRE 1943.
CONDIZIONI DI LAVORO AGLI OPERAI ITALIANI IN GERMANIA (segue testo) - stessa datazione D -24 novembre 1943 - ore 13 - «Giovedì 25 corro ore 9 incaricato ufficio collocamento Germanico sarà costà per accordi reclutamento lavoratori per la Germania punto Prego agevolare compito predetto incaricato - Capo Provincia».
Sarebbe interessante conoscere la percentuale di giovani di un determinato Comune che risposero alla chiamata alle armi entro il 30 novembre rispetto a quelli che restarono nascosti o alla macchia. In Italia dei 130.000 giovani che ricevettero la chiamata se ne presentarono 87.000, di cui la metà fu sequestrata dagli organismi tedeschi e 25.000 furono incorporati nella G.N.R. per la lotta contro i ribelli. Il problema dei «renitenti» si impose subito e diventò un tema fisso in tutti i manifesti del 1944.
E - 21 febbraio 1944 - Telegramma a tutti i Podestà -
«Avete letto giornali decreto riguardante disertori et renitenti alla leva alt Convocate nuovamente familiari interessati et fate rilevare che mentre at coloro che entro termine stabilito regolarizzeranno loro posizione est concessa possibilità riabilitarsi con adempimento loro dovere soldato giustizia inesorabile sarà compiuta nei confronti tutti coloro che non si presenteranno alt Chiarite che riunione non ha lo scopo di esercitare pressioni bensì quello di dare un ultimo categorico avvertimento punto Avvaletevi efficace collaborazione reggenti fasci et sollecitate quella dei parroci - Capo Provincia».
In marzo del 1944 la situazione è ben delineata dagli stessi Comandi militari.
F -25 marzo 1944 - 26° Com.do Militare Prov.le - Uff. Propaganda - Ai Podestà ed ai Commissari politici Fasci Repubblicani.
«L’iniziato avviamento di reparti italiani per la Germania ha fornito – come d’altronde era facile prevedere – alla propaganda sovversiva e macchiaiola lo spunto per propalare le solite voci disfattiste» tra la popolazione e i richiamati: voci che tendono a presentare l’anzidetto trasferimento come una specie di «larvato internamento», che potrebbe magari essere seguito in futuro dall’invio di reparti italiani sul fronte russo, ma che comunque durerebbe parecchi mesi, togliendo così dall’Italia, in un momento particolarmente critico, la sua migliore gioventù. A tali “voci” bisogna opporre una decisa e convinta contropropaganda chiarificatrice, basata su considerazioni e dati di fatto incontrovertibili per chiunque agisca e ragioni in buona fede e conservi ancora sentimenti di amor patrio e di umana dignità. Occorre ribadire il concetto che l’invio dei nostri soldati in Germania, serve per la costituzione di alcune divisioni ed è stato con le Autorità Germaniche. Le divisioni dopo essere state armate e dopo un periodo di addestramento della durata di alcune settimane rientreranno in Italia per essere impiegate sul fronte operativo. Si confida nell’opera Vostra perché le voci tendenziose su tali fatti siano smentite facendo arrivare le considerazioni personali Vostre nella campagna e nella montagna dove l’opera dei nemici della patria si è intensificata a danno del ricostituendo Esercito per cui è ricominciata la defezione di molti elementi che si prega voler invitare a rientrare ai loro corpi. IL COMANDANTE PROVINCIALE-.
In primavera le «bande» di renitenti, sovversivi e «macchiaioli» (non di certo per dipingere i paesaggi di montagna) si fanno consistenti e cominciarono a preoccupare seriamente.
18. - 18 APRILE 1944.
DECRETO DEL DUCE 18 APRILE 1944 - XXII
concernente Sanzioni penali a carico di militari e civili uniti in bande
(Cfr. il testo integrale in R. Pranovi e S. Caneva, Resistenza nel Vicentino, pg. 94 e segg.).
19. - 25 APRILE 1944.
Il Capo della Provo di Vicenza
d’intesa col Comando della Piazza
AVVERTE la popolazione che ogni partecipazione alle azioni delle bande, nonché l’ausilio dato, sotto qualsiasi forma, ai componenti delle bande stesse, cadono sotto le sanzioni della legge ... Vicenza, 25 aprile 1944 - XXII
A Schio la guerriglia impegna il Comando germanico (aviolanci, scontri a fuoco, rastrellamenti) tuttavia non mancano anche le ordinanze ai cittadini.
20. - 1 MAGGIO 1944.
COMANDO GERMANICO DI SCHIO OSCURAMENTO
Si è rilevato che le norme sull’oscuramento ripetutamente rese note non vengono osservate. Sono perciò costretto di adottare severi provvedimenti contro i trasgressori. 1) Tutti i veicoli (automobili, biciclette, carri, ecc.) con i fari non schermati come prescritto, saranno immediatamente sequestrati; i proprietari verranno arrestati e denunciati all’autorità giudiziaria. - 2) Le case di abitazione e gli esercizi pubblici non sufficientemente oscurati provocheranno l’arresto e la denuncia dei singoli responsabili. Per i medesimi sarà sospesa la fornitura dell’energia elettrica per un periodo di quattro settimane e in caso recidivo per tutta la durata della guerra. Gli esercizi pubblici saranno chiusi. - 3) Ho ordinato alle ronde germaniche di sparare contro le finestre non oscurate - Schio, 1 maggio 1944 - F.to SCHUVER - Fl. Obering. u. Standortaeltester.
Un documento interessante è infine il manifesto per l’incendio di Poleo avvenuto il 7 agosto (cfr. QUADERNO 7° - pg. 359), manifesto che nulla porta di nuovo a quanto ho avuto modo di accertare per altre vie e che anzi conferma quanto scritto e ipotizzato sull’argomento.
21. - 8 AGOSTO 1944.
Comando del Presidio Germanico
SCHIO
Nella considerazione che le ricerche effettuate dal Comando germanico per individuare i diretti responsabili della cattura di un soldato appartenente alle FF.AA. Germaniche, avvenuta in Poleo di Schio il 25 luglio scorso, sono riuscite infruttuose, mentre il contegno della popolazione di detta Frazione non ha permesso in alcun modo di far luce sul misfatto che è accaduto nel centro di Poleo, questo Comando, in base alle precise disposizioni portate dal bando del Feld-Maresciallo Kesselring ha messo in esecuzione le sanzioni previste dalla legge di guerra germanica, incendiando la contrada suddetta. - Schio, 8 agosto 1944 - IL COMANDANTE DEL PRESIDIO.
Giustificato è l’interessamento del Comando germanico al raccolto del granoturco ed abbastanza curiosa è la svista del Commissario prefettizio di non aver considerato nel primo manifesto anche il raccolto del cinquantino.
22. - 9 OTTOBRE 1944.
COMUNE DI SCHIO IL COMMISSARIO PREFETTIZIO in seguito a disposizione del locale Comando Germanico ORDINA: Il raccolto del granoturco deve essere ultimato entro il 15 corrente mese. Schio, 9 ottobre 1944 -XXII.
23. - 14 OTTOBRE 1944.
COMUNE DI SCHIO
Avviso agli Agricoltori.
Dall’ordinanza riguardante la raccolta del Granoturco entro il 15 corr. RESTA ESCLUSO IL CINQUANTINO. - Schio, 14 ottobre 1944 - XXII - Il Comm.rio prefettizio.
La speranza di reinserire nell’Esercito i renitenti, ormai divenuti «ribelli», è decisamente perduta e quindi si punta sul volontanato fascista.
24. - 30 OTTOBRE 1944.
26° COMANDO MILITARE PROVINCIALE - Vicenza, 25 ottobre 1944 - XXII
ARRUOLAMENTO NELLA DIVISIONE «VESUVIO»: unità contra-aerea e antiparacadutisti - Appello del Comandante Prov.le.
25. - NON DATATO.
GIOVENTÙ D’ITALIA! -I legionari in battaglia chiamano a raccolta. Arruolatevi nella Legione SS Italiana. Centro di arruolamento: VERONA - Via Mazzini, 80
In autunno i Tedeschi decidono di accelerare le opere di fortificazione sulle Prealpi ed hanno bisogno di manodopera. La fretta induce il Comando di Presidio a scrivere testualmente: «Tutti gli uomini di Arsiero, Schio e dintorni dai 14 ai 60 anni debbono iscriversi immediatamente presso l’organizzazione TODT per essere impiegati nei lavori in corso». Le facilitazioni sono tali che tutto il testo sembra il tappeto d’ingresso di un hotel.
26. - AUTUNNO 1944.
AVVISO -Tutti gli uomini di Arsiero, Schio (a matita) e dintorni dai 14 ai 60 anni debbono iscriversi immediatamente presso l’organizzazione TODT in ARSIERO - Piazza Francesco Rossi - Ufficio di collocamento della O.T. per essere impiegati nei lavori in corso. I lavori verranno effettuati soltanto in Arsiero e dintorni. I lavoratori non verranno inviati in località più lontane. Gli operai in servizio presso l’organizzazione TODT non saranno soggetti a servizio militare. Gli operai verranno assistiti e retribuiti secondo le buone tariffe stabilite dalla O.T. - Per la riscossione degli assegni familiari è necessario che ogni operaio all’atto della sua presentazione all’ufficio di collocamento presenti lo stato di famiglia vidimato dal Podestà del Comune dal quale dipende. Gli uomini e le donne che lavorano per conto della O.T. verranno muniti di tessera di riconoscimento rilasciata dalla organizzazione stessa. Le famiglie di detti operai non verranno sfollate dal paese. Verrà effettuato un servizio ferroviario da SCHIO ad ARSIERO. IL VITTO e le SIGARETTE saranno fornite dalla organizzazione O.T. - IL COMANDANTE IL PRESIDIO - ORGANIZZAZIONE-TODT
L’anno si chiude con un richiamo alla disciplina dell’oscuramento e purtroppo con un Avviso tragico per la zona di Malo
27. - 11 NOVEMBRE 1944.
Comune di Schio - DISCIPLINA durante gli Allarmi e l’Oscuramento (richiamo alle norme in vigore) - Schio, 11 novembre 1944 -XXII - Il Commiss. Prefettizio.
28. - 27 NOVEMBRE 1944.
AVVISO - Al 27 Novembre 1944, verso le ore 22, un automezzo tedesco che transitava lungo la strada Vicenza-Malo, fu fatto segno ad una sparatoria da parte di bande partigiane. Nel fatto un soldato tedesco trovò la morte. Come rappresaglia, il bandito PERIN, attualmente in nostra mano, è stato condannato dal Tribunale Speciale di Guerra Germanico ad essere impiccato allo stesso posto ove ebbe luogo l’assassinio. Il cadavere resterà appeso per 48 ore e, solo passato questo tempo, il Municipio di Malo potrà disporre per la sepoltura. IL COMANDO GERMANICO.
Due mesi prima della fine della guerra è persa ormai la speranza di recuperare i renitenti al servizio militare e quindi si tenta di inquadrarli in «centurie» di lavoratori, anche quando hanno degli obblighi militari (classi dal 1914 al 1926). L’appello qui sotto riportato, in confronto ai precedenti bandi, è chiaramente un armistizio della R.S.I. Se fosse stato affisso nel novembre del 1943 avrebbe cambiato il corso degli eventi.
29. - 23 FEBBRAIO 1945.
APPELLO AI GIOVANI! L’appello che rivolgo ai giovani che non hanno finora regolarizzata la propria posizione militare e vivono nell’orbita malsana della illegalità, del terrore e del tradimento, è un richiamo ai doveri verso se stessi, verso la famiglia, verso la Patria e nel contempo offre ancora una possibilità di discriminazione. Tale discriminazione è già in atto moralmente da parte dei giovani che sentono tuttora viva la coscienza di italiani e che dopo lo sbandamento spirituale vogliono reintegrarsi nella dignità di cittadini, di lavoratori e di soldati, nei confronti dell’accozzaglia di banditi, verso i quali non può esservi altra misura che il rigore estremo della legge.
GIOVANI!
(...)
Per accordi intervenuti con le competenti autorità militari italiane e germaniche, tutti i giovani delle classi dal 1914 al 1926 aventi obblighi militari, possono entro il 30 marzo regolarizzare la propria posizione militare presentandosi presso l’Ispettorato Militare del Lavoro - III Battaglione Lavoratori - in Corso Ettore Muti n. 51. I giovani che volontariamente vogliono seguire la via dell’onore e della lotta saranno incorporati nelle file dell’Esercito Repubblicano. Coloro che invece intendono riprendere il lavoro al servizio della Patria saranno inquadrati in centurie di lavoratori e PRESTERANNO LA PROPRIA OPERA NEL TERRITORIO DELLA PROVINCIA O IN LOCALITA' VICINE. (...) - Vicenza, 23 febbraio 1945 - XXIII - IL CAPO DELLA PROVINCIA.
La serie dei manifesti affissi a Schio durante l’occupazione tedesca si chiude con un avviso nel quale gli appellativi di « partigiani» e di «patrioti» compaiono in luogo delle precedenti dizioni di «ribelli», «fuorilegge», «banditi».
30. - 27 FEBBRAIO 1945.
Prefettura Repubblicana di Vicenza
AVVISO
Da qualche tempo si è rilevato una recrudescenza di atti di sabotaggio. Non è assolutamente ammissibile che gente, prezzo lata al nemico, abbia a continuare nell’opera di tradimento che già tanti lutti, tanta desolazione e tanta distruzione ha portato nelle nostre terre. Più colpevole ancora degli stessi autori si renderà chi ad essi offre aiuto, appoggio e protezione. Ogni atto di sabotaggio sarà inesorabilmente stroncato. Richiamo pertanto la popolazione tutta sull’obbligo di non favorire alcuno con modo diretto o indiretto, occultando o ospitando, coloro che sotto la veste di partigiani, sovversivi o con la comoda etichetta di patrioti compiono atti di banditismo e di sabotaggio. I cittadini che incorreranno in atti di favoreggiamento saranno esemplarmente puniti dal rigore estremo della legge con assoluta intransigenza. Vicenza, 27 febbraio 1945 -XXIII - IL CAPO DELLA PROVINCIA.
In aprile si conclude finalmente il tragico periodo e compare sui muri di Schio il manifesto della Liberazione.
31. - 29 APRILE 1945 CITTADINI, LAVORATORI!
Il mostro fascista, che gravemente ferito il 25 luglio 1943 credette di poter riprendersi sotto la protezione del nazismo tedesco, dopo 20 mesi di delittuosa agonia è morto. Con la sua morte rinasce in Italia la libertà, dono ambito e prezioso di tutti i popoli civili. In quest’ora solenne della nostra Patria – auspicio di radiosa ascesa del Popolo Italiano che tanto in basso fu portato dal fascismo – rivolgiamo anzitutto un mesto pensiero ai Caduti di questo immane flagello, vittime della irresponsabile, delittuosa politica fascista, un saluto riconoscente e grato ai gloriosi Volontari della libertà che per venti mesi lottarono, soffrirono, irrorarono le montagne, le valli d’Italia del loro purissimo sangue, per contribuire alla nostra liberazione e alla vittoria delle Nazioni Unite e con la vittoria donare ai martoriati popoli dell’Europa la libertà. la giustizia. Rivolgiamo pure alle valorose truppe degli Eserciti Alleati che stanno per arrivare nella nostra città un saluto di benvenuto come cittadini che finalmente hanno riacquistato la propria dignità di uomini liberi e che si preparano quali degni discendenti di Bruto, di Dante, di Mazzini, a portare nel concerto civile di tutti i popoli il loro contributo per il trionfo degli ideali che appassionano In quest’ora fatidica l’umanità intera.
CITTADINI, LAVORATORI!
La follia fascista ci lascia una triste eredità: tante famiglie in lutto; città. villaggi della nostra cara Patria distrutti; tutta l’economia nazionale rovinata; odi, rancori, fame. Ma il Popolo Italiano – dopo una severa esemplare punizione dei responsabili di tanto disastro – unito e concorde, come una numerosa famiglia, dove non ci siano più né eletti né reprobi, ma soltanto e tutti fratelli, troverà la forza di ricostruire la nostra bella Italia, non seconda a nessuna nazione del mondo in ogni campo dell’attività umana. Viva la democrazia italiana, viva la libertà, viva la giustizia! - Schio, 29 aprile 1945 - IL COMITATO DI LIBERAZIONE - Baron Domenico - Bolognesi Pietro - Cittadino Ing. Mario Delegato dei Volontari della Libertà - Perandini Gerardo - Saggin Giuseppe.
Si spera che i bandi, gli avvisi, le ordinanze categoriche siano ormai finite e invece...
32. - 30 APRILE 1945.
COMUNE DI SCHIO
AVVISO
Nell’assumere il governo della Città invito la popolazione al rispetto dell’ordine ed al mantenimento della disciplina più scrupolosa. Tutti coloro che si renderanno colpevoli di violenze, disordini e soprusi, saranno esemplarmente puniti. - Schio. 30 aprile 1945 - IL SINDACO BARON
«Ma» – dice Baron – «è un altro pulpito».
E a questo punto bisognerebbe cominciare un nuovo discorso.
NOTA. Ringrazio Vittorio Giaretta per la preziosa collaborazione nella ricerca di archivio.
VI. RAPPORTI CON I TEDESCHI
di E. Trivellato
A. LA MINESTRA AI RASTRELLATI DI VALLI DEL PASUBIO
Un problema di competenze
A seguito del rastrellamento e dello scontro a fuoco in contrada Vallortigara (17 giugno 1944) parecchi civili del Comune di Valli del Pasubio furono prelevati e tradotti a Schio in Caserma Cella per essere interrogati dal Comando tedesco. Quest’ultimo non volle incaricarsi del vitto ai detenuti e richiese che vi provvedesse il Comune di Schio, il quale infatti diede l’incarico ad alcuni fornitori. Quando si trattò di pagare il conto, il Commissario prefettizio mandò la seguente lettera al Comando germanico di Schio - «Somministrazione vitto a rastrellati - Per poter giustificare la spesa comportata dalla somministrazione delle minestre alle persone rastrellate durante le operazioni di questi giorni dalle Truppe germaniche, è necessario che codesto Comando rilasci un elenco delle persone stesse o quanto meno faccia tenere una dichiarazione dalla quale risulti il numero dei rastrellati ed i giorni nei quali hanno consumato o consumano le minestre -20.6.1944 ».
La richiesta di «precisare» le cose fu un invito a nozze per i Tedeschi, che infatti così risposero: «Standortaeltester-Schio, den 24.6.1944 - Si dichiara con la presente che ai rastrellati di Valli e dintorni sono stati somministrati i seguenti pasti (minestre e pane due volte al giorno) nella Caserma Cella: Domenica 18.6 n.ro 80 porzioni - Lunedì 19.6 n.ro 100 porzioni - Martedì 20.6 n.ro 100 porzioni - Mercoledì 21.6 n.ro 100 porzioni. Geucke, Tenente e Comandante».
Quando il Commissario ebbe in mano la carta con le «Portionen» pensò subito a chi poteva affibbiare il conto da pagare e, trattandosi in sostanza di spese carcerarie, trovò giusto rivolgersi al Pretore di Schio perché inoltrasse il conto all’Amministrazione carceraria di Venezia. Ma il Pretore, che sapeva di legge ben più che il Commissario, disse che ciò era possibile solo se i detenuti fossero stati sistemati nelle Carceri manda mentali e non in una caserma militare. Sicuramente fra i due avvenne uno scontro verbale, perché il Commissario prefettizio dopo alcuni giorni escogitò di servirsi dei « crochi» per convincere il Pretore a inoltrare la richiesta a Venezia.
Ne fa fede la seguente lettera: «Spese vitto detenuti -Al Comando militare Germanico di Presidio -Schio e p.c. alla Prefettura di Vicenza -Su richiesta di codesto Comando il Comune di Schio non ha mancato di provvedere a fare somministrare i pasti alle persone recentemente fermate nel Comune di Valli del Pasubio e dintorni. Come vi sarà certamente noto e come risulta dall’unita copia di circolare, la relativa spesa non rientra fra quelle che, secondo la convenzione Italo-tedesca, sono poste a carico dei Comuni. Né, secondo le leggi italiane, quest’Amministrazione può assumersi passività del genere. Trattandosi in sostanza di spese carcerarie il pagamento dovrebbe essere effettuato dall’Amministrazione carceraria di Venezia ma il Pretore di Schio, al quale quest’Ufficio si è rivolto, non ha creduto nemmeno di inoltrare la richiesta, perché, per giustificare la spesa, sarebbe stato necessario richiudere i detenuti nelle Carceri mandamentali anziché in altri locali. Pertanto, ad evitare che i fornitori rimangano insoddisfatti del loro credito, si prega di voler interessare il Pretore di Schio a sorvolare su formalità che potrebbero essere giustificate soltanto in tempi normali, inducendolo a promuovere la liquidazione delle spese di cui è oggetto la presente. Il Comm.no Prefettizio - 26 giugno 1944 XXII° ».
Purtroppo non è nota la conclusione della vertenza, se cioè il Comando tedesco si prestò al gioco, se Venezia pagò il conto, oppure se i fornitori del pane e delle minestre stanno ancora aspettando i «schéi».
B. UNA REQUISIZIONE DI ALLOGGI
Nel maggio del 1944 Schio ospitava quasi tremila persone tra sfollati, profughi e militari. Fu sicuramente un colpo per il Commissario prefettizio quando un bel mattino del 15 maggio si presentò in Municipio di Schio un militare tedesco e gli recapitò l’ordine perentorio del Comandante Sudhoff del Presidio germanico di far sgomberare tutta una serie di edifici pubblici e di case private, entro due giorni e mezzo, per sistemare alcuni importanti Comandi tedeschi in arrivo. Il testo dell’ordine di requisizione merita di essere riportato perché, a mio parere, dimostra chiaramente sia nella forma che nella sostanza i modi imperativi usati dai Tedeschi nei riguardi delle Autorità civili italiane e la funzione puramente esecutiva di queste ultime. Anche se l’inghiottire grossi « rospi» fa parte della normale attività politica, soprattutto in persone con posizione di responsabilità, ed anche se il tempo di guerra non consentiva formalità, la lettera che segue non può non aver suscitato nel Commissario un moto di stizza, se consideriamo l’ironia del fatto che il primo edificio da sgomberare era proprio la Casa del Fascio. Si tratta naturalmente di un piccolo problema di provincia, all’ombra del campanile, ma il modesto argomento della requisizione di alloggi conferma in sostanza quanto pesante ed arrogante fosse l’occupazione militare tedesca. Inascoltata dalla popolazione era infatti la propaganda di allora a favore dei camerati tedeschi proprio perché in contrasto stridente con ciò che avveniva realmente nel paese a tutti i livelli. Ecco il testo:
STANDORTAELTESTER - SCHIO
15 maggio 1944
OGGETTO: Requisizione di alloggi
Al Signor Commissario Prefettizio del Comune di Schio
Per ordine della PLATZKOMMANDANTUR VICENZA sono da requisire immediatamente gli appartamenti indicati nell’allegato, e da sgomberarli secondo le disposizioni seguenti:
1) Tutte le persone abitanti nell’appartamento che non fanno parte della famiglia stessa (moglie e figli) devono sgomberare entro le ore 12 del 18.5.44.
2) I familiari stessi dovranno lasciare l’abitazione entro 3 giorni dal momento che riceveranno l’ordine definitivo.
3) I mobili devono rimanere nei locali requisiti ad eccezione delle cose stretta¬mente necessarie ai proprietari. 4) Nei casi dove sono requisite soltante singole camere, queste devono essere messe a disposizione mobiliate al momento che si darà l’ordine definitivo.
5) Si prega di dare conferma entro ore 12 del 18.5.44.
Firma Sudhoff -Fl. Stabsing. u. Standortaeltester.
Allegato:
Alloggi da requisire nel Comune di Schio
a) Casa del Fascio, via P. Maraschin n. 8: sgomberare completamente ad eccezione del custode il quale deve rimanere.
b) Gymnasium, Via P. Maraschin n. 1; sgomberare completamente l’ala sinistra.
c) Via P. Maraschin n. 4 (Dalla Costa) 1 camera; n. 5 (Comin) 1 camera; n. 5 (Pergameni) 1 camera; n. 6 (Cazzola) 1 camera; n. 3 (Novello) 1 camera Via S. Bologna n. 2 (Fornasari) 2 camere
d) Villa Cappuccina (Pietro Cazzola): sgomberare completamente
e) Villa Baronessa M.T. Rossi, via Tessitori n. 13: sgomberare completamente.
Ad eccezione di quel «si prega di dare conferma», il testo è perentorio e cosi accuratamente tedesco che non si presta a scappatoie o sofismi. Va aggiunto poi che un siffatto stile epistolare «a raffica di mitra» non rappresentava eventualmente una caratteristica personale del Comandante Sudhoff ma era un costume tedesco perché tre mesi dopo il Comandante Geucke scriverà esattamente nello stesso modo: «Oggetto: Requisizione - Entro il giorno 22 corrente la villa “Rossi” (ex Villa Panciera) deve essere messa completamente a disposizione di un Reparto della Luftwaffe. Gli inquilini dovranno essere sloggiati e dovrete provvedere al mobilio di una camera da letto e di un salotto. den, 19.8.1944 - Geucke - Oberleutnant u. Standortaeltester».
Qui il Commissario prefettizio doveva eventualmente interessarsi anche dell’arredamento.
La grossa requisizione di maggio creò un grave problema di spostamenti e bisognava in qualche modo trovare una soluzione. Il Commissario prefettizio fece subito preparare un elenco delle 16 famiglie (83 persone) di sfollati calabresi che erano stati allogati nelle Scuole Maraschin (Liguori Nicola: 5 - Ciavarella Gennaro: 8 - Marchesili Adalgisa Bellè: 5 - Sergio Francesco: 8 - Rotella Luigi: 6 - Mucelli Testa Maria: 2 - Marzari Foscato Catterina: 7 - Tallarico Giuseppe: 3 - Savino Fortunato: 8 - Tavarnese Francesco: 6 - Manfredi Michele: 3 - Olivieri Roberto: 4 - Genovese Vincenzo: 5 - Pires Salvatore: 7 - Razionale Francesco: 4 - Pantisano Giuseppe: 2).
La soluzione migliore era quella di imbarcarli verso qualche altro Comune meno affollato di Schio ed in tal senso si orientò il Commissario prefettizio quando due giorni dopo scrisse al Capo della Provincia: «17 maggio 1944 -XXII -
Oggetto: Sfollati - Al Capo della Provincia - Vicenza - È stato preannunziato l’arrivo di un alto Comando militare per cui le Autorità Germaniche hanno requisito le principali ville cittadine, i locali del Liceo con annesse Scuole Professionali, il Comando locale Germanico, la sede del Fascio, le cucine ed i refettori dell’O.N.M.I. e dell’Ente Fascista di Assistenza. Il Comune deve provvedere entro brevissimo termine a sistemare convenientemente le famiglie, gli uffici ed i servizi suddetti in altri locali di fortuna. È ovvio far presente che il compito non è semplice quando si pensi che Schio ha già ospitato ed ospita tuttora quasi tremila persone tra sfollati, profughi e militari. Si renderebbe necessario pertanto che questo Comune potesse almeno disporre dell’Edificio Scolastico di Via Maraschin, il quale, com’è noto, è occupato da 16 famiglie di profughi calabresi. Si prega quindi codesto superiore Ufficio di esaminare la possibilità di far trasferire tali famiglie (una ottantina di persone in tutto) in qualche altro Comune - meno affollato di quello di Schio. - IL COMMISSARIO PREFETTIZIO».
Alla Baronessa Maria Teresa Rossi di Thiene era stata inviata la notifica di requisizione lo stesso 15 maggio e la Baronessa, nel termine del 18 maggio, aveva inviato su foglio listato a lutto una risposta laconica: «Ill.mo Signor Commissario Prefettizio di Schio - Ho ricevuto l’ordine di requisizione della mia casa, sarà eseguito quanto mi fu chiesto - Distinti saluti - Maria Teresa Rossi di Thiene». Non una parola di più.
Insoluto restava il problema della sistemazione degli Uffici del Fascio Repub¬blicano, resa necessaria non solo da esigenze pratiche ma anche da una questione di prestigio: il trovarsi sgomberati dai Tedeschi poteva prestarsi ai commenti salaci della cittadinanza. Il Commissario allora riscrisse al Capo della Provincia in questi termini: «In seguito all’ordine di requisizione della locale Casa del Fascio da parte del Comando delle Truppe Germaniche si deve provvedere d’urgenza alla sistemazione degli Uffici del Fascio Repubblicano in altra sede.
Unica soluzione sarebbe la installazione di detti uffici nella sede del gruppo rionale Fascista M. Bianchi in via Carducci e poiché i locali sono occupati da alcune famiglie di Crotone occorre provvedere per il trasferimento di queste nella sede del Dopolavoro Rionale di Poleo. Si chiede la Vostra autorizzazione per poter procedere alla requisizione dei locali del Dopolavoro di Poleo -25 maggio 1944».
Dopo un disguido di corrispondenza incrociatasi, giunse l’autorizzazione da Vicenza e così il Commissario iniziò la battaglia con quelli di Poleo, scrivendo il 13 giugno al Presidente del Dopolavoro Rionale e concludendo: «Si confida che vorrete aderire alla proposta dando un cenno di benestare, evitando così una eventuale requisizione dell’immobile ». È però curioso il Nota Bene manoscritto in calce: «Il Dopolavoro non esiste più ed i locali sono di proprietà privata».
C. LA PIATTAFORMA SINDACALE DEI VALLEOGRINI
nella Organizzazione TODT
Nemmeno i Tedeschi sfuggirono alle rivendicazioni sindacali dei Valleogrini e soprattutto degli operai scledensi allenati fin dai primi scioperi di fine Ottocento contro Alessandro Rossi. Il Comune di Schio, il 10 settembre 1944, aveva affisso il seguente manifesto:
COMUNE DI SCHIO
AVVISO AI LAVORATORI
L’organizzazione Todt richiede d’urgenza 200 lavoratori, manovali, muratori e carpentieri per essere occupati in località S. Antonio di Valli del Pasubio. Trattamento economico: Vitto ed alloggio gratuiti - Operai qualificati L. 7 all’ora - Mano¬vali L. 6 - più lire 5 al giorno per tutti quale indennità di montagna. Le due ore, oltre le otto normali, saranno retribuite col 25% in più. Assegni familiari come a vigenti disposizioni. Nei giorni festivi sarà corrisposto il 50% in più. Durata del lavoro: Due mesi circa con 10 ore lavorative al giorno. Riposo una giornata ogni 15 giorni. I renitenti, con l’assunzione a tale lavoro, possono regolarizzare la loro posizione militare. Per schiarimenti presentarsi in Municipio. Qualora non si raggiunga il numero richiesto sarà proceduto alla precettazione obbligatoria. Schio, 10 settembre 1944 -XXII - Il Comm.rio prefettizio.
Le allettanti condizioni economiche, ma soprattutto il fatto che i renitenti potevano regolarizzare la loro posizione militare (se non erano schedati come ribelli), indussero parecchi lavoratori ad avviarsi sotto la Todt nei cantieri di S. Antonio, Colle Xomo e Campogrosso. Tutto andò abbastanza bene, si era in autunno, ma con l’inverno freddo del 1944-45 le condizioni di lavoro peggiorarono ed a Natale scoppiò la protesta sindacale. È infatti del 26 dicembre 1944 una « relazione» (non si sa da chi dattiloscritta) inviata al Commissario Prefettizio di Schio e cosi concepita:
«LAVORO OBBLIGATORIO ZONA S. ANTONIO»
"1. DISLOCAZIONI - La precettazione era per S. Antonio e i lavoratori partivano da Schio colla convinzione di non aver bisogno né di indumenti troppo invernali, né di provviste di viveri che avrebbero certamente trovato a S. Antonio. Coloro che in tale località si sono potuti fermare, non ebbero a subire forti disagi, se si escludono quei pochi che hanno lavorato nei pantani di Forte Maso. Ma gli altri che, presi alla sprovvista, vennero avviati a Colle del Xomo e a Campo grosso dovettero patire il freddo intenso dell’alta montagna e un po’ anche la fame, data la distanza di tali località dai centri abitati. -
2. VITTO -Da testimonianze raccolte risulta che il vitto, non confezionato secondo gli usi della cucina veneta (sic), fu poco gradevole agli operai, scarso dappertutto e qualche volta, come a Campogrosso, anche immangiabile. - Dove però si manifesta appieno lo spirito sindacale degli operai valleogrini in seno all’organizzazione Todt è al punto seguente:
3. TRATTAMENTO ECONOMICO - Si disse che la paga doveva venir fatta sulla base di L. 7 all’ora fino alle 8 ore giornaliere, di L. 8,75 per le ore eccedenti e di L. 10,50 per quelle festive, più L. 1 all’ora per indennità di alta montagna. La paga per le ore ordinarie, straordinarie e festive venne corrisposta regolarmente, non così l’indennità di alta montagna. L’esame di alcune buste paga rilasciate dall’Impresa di Colle Xomo ha portato alla constatazione che non tutte le ore di lavorn hanno avuto il beneficio di tale indennità. (... ) ".
La relazione prosegue le lamentele sulle buste paga. Anche in questo caso non si sa come sia andata a finire tutta la faccenda e come il Comando tedesco abbia preso in considerazione la piattaforma sindacale avanzata dai Valleogrini.
VII. NOTE AGGIUNTIVE QUADERNO 3
1. - IL PRIMO AVIOLANCIO IN VAL LEOGRA - pg. 137
GASTONE STERCHELE di Schio riferisce: «Un giorno di aprile del 1944 venne a casa mia Orfeo Vangelista (Aramin), mi diede il messaggio negativo e positivo e mi disse di ascoltare la radio perché vi sarebbe stato un aviolancio sul Novegno. Quando giunse l’annuncio («Andiamo in campagna») avvisammo la pattuglia; l’aereo quella notte fece due giri ma non sganciò. Tornò alcune sere dopo e fece il lancio».
2. - LO SCONTRO A FUOCO SOPRA I COROBOLLI - pg. 144 DE ROSSI GIOVANNI (Cek 2° -Topolino) di Schio riferisce: «Eravamo partiti dalla zona di Recoaro per venire a prendere delle armi a S. Caterina da “Marte” (Giovanni Garbin). Il nostro gruppetto era costituito da partigiani della Valle dell’Agno e mi sembra che in quella occasione ci fosse “Dante” al comando. Quando arrivammo ai Corobolli udimmo una sparatoria in corso e quindi siamo intervenuti anche noi con nutrite raffiche. Dopo circa un’ora si decise di tornare in Valle dell’Agno».
QUADERNO 5°
1. - TORREBELVICINO - pg. 260
BORTOLOSO FORTUNATO (1894-1965). Nato in Brasile nel 1894, poi residente a Torrebelvicino, operaio tessile, coniugato nel 1923 con Erminia Rizzotto. Il fratello Giuseppe è «Bepi Moretta», la cui figlia Lucia ha sposato Mino Bertoldi. «Già valoroso combattente nella prima guerra mondiale (durante una delle azioni sul Montello fu ferito), ebbe una posizione di rilievo nella locale Sezioni dei Combattenti, di cui fu a lungo presidente. Ostile al fascismo, era costantemente controllato, soprattutto in occasione di disordini. Operaio, negli anni 1929-1930 fu licenziato perché antifascista. Nel 1936 fu arrestato e condotto alle carceri di Schio prima, e poi di Vicenza. Gli portavano il vitto in carcere i fratelli Michele e Giuseppe. Più di una volta durante la guerra fu ricercato da fascisti e nazisti, con perquisizioni domestiche operate anche da reparti cinofili tedeschi».
SEVERINO FILIPPI (1914-1977) Figlio di Pietro (emigrante). Nato a Torrebelvicino il 26.3.1914. Operaio, poi maestro. Coniugato nel 1942 con Bortoloso Miranda, figlia di Fortunato. «Recentemente scomparso (gennaio 1977) e ben noto a tutti per la sua lunga e poliedrica attività. Educato alla libertà e all’indipendenza dal nonno Giobatta Bellotto, di cui conservò sempre un grato ricordo, ebbe a soffrire dai fascisti fin da bambino, quando venne allontanato dalla scuola elementare perché non portava la prescritta camicetta nera, ma, grazie all’intervento del nonno, fu riammesso e poté frequentare le lezioni SENZA doverla indossare. All’età di 18 anni fu duramente e brutalmente percosso con bastoni dai fascisti perché PRIVO della tessera di iscrizione al partito fascista e perché rifiutava di prender parte agli esercizi ginnici del sabato imposti dal regime, il cosiddetto «premilitare».
Per tutta la durata della dittatura fu impedito a conseguire il diploma di Maturità Magistrale (cui al fronte, nei rari momenti di tranquillità, si era seriamente preparato da autodidatta), perché sempre privo della tessera di iscrizione al partito fascista, il possesso della quale era però indispensabile per accedere all’esame di «cultura fascista»: esclusa quest’ultima, le altre prove (orali e scritte) erano state da lui superate brillantemente per ben due volte! Anche al fronte (Albania, Grecia) non desistette dal mostrarsi apertamente e francamente avverso al regime, tanto da rischiare in maniera assai grave a seguito della denuncia di un compagno di tenda, acceso fascista, e dell’ostilità di un tenente, altrettanto acceso fascista, ma poté sottrarsi grazie all’intervento del capitano, pur lui contrario alla dittatura. Rimpatriato per invalidità di guerra, fu continuamente sorvegliato e l’abitazione soggetta a perquisizioni anche da parte tedesca.
Durante un rastrellamento fu preso, ma riuscì a fuggire, per cui fu emanato l’ordine di fucilarlo sul posto dove venisse trovato, e da allora aumentarono le perquisizioni in casa, condotte pure da reparti cinofili nazisti. E non lui solo era perseguito, ma anche il fratello Giovanni, come risultò poi da documenti. Finalmente, caduta la dittatura nello stesso 1945 poteva ottenere – sempre da autodidatta – quel diploma di Maturità Magistrale, che il regime fascista gli aveva a lungo impedito di conseguire e che, nonostante gli intralci e gli ostacoli oppostigli in tale periodo, egli non aveva mai smesso un solo istante di voler ottenere, con la sua ben conosciuta forza d’animo e di volontà». (Notizie fornite Il 23.7.1979 dalla moglie Miranda Filippi Bortoloso di Torrebelvicino).
QUADERNO 7°
1. - I «SESSEGOLO» DI POLEO - pg. 361
L’antico capofamiglia Ferdinando Sessegolo (cl. 1865) ebbe 6 figli: a) CATERINA detta Nella (cl. 1896) operaia tessile, autrice della lettera sottoriportata - b) GIOVANNI detto Ninìn (cl. 1909) agricoltore sposato con Losco Maria: il figlio unico Sergio Luciano morì a 14 anni nello scoppio dell’aereo a Torrebelvicino - c) GIUSEPPE detto Bepìn (cl. 1916) fu prigioniero in Africa del Nord dal 13.5.1943, venne trasferito negli Stati Uniti e di qui tornò il 6.3.1946 (a lui fu indirizzata la lettera della Nella); coniugato con Cerbaro Igina (cl. 1927) e deceduto nel 1975 - d) MARIA - e) LUCIA - f) SANTINA, che sposò Guglielmo Redondi il cui figlio Bruno è il comandante partigiano «Brescia». Viene qui riportata una lettera inviata dalla Nella a Bepin e nella quale si accenna all’incendio di Poleo:
Caro Bepin
vorrei sperare che quando ti giungerà questa sarai prossimo alla partenza, benché i giornali dicano che ritornate in primavera, ma noi speriamo che ritorno presto e presto benché non ci sia tanto gusto nemmeno qui. La guerra è finita, ritornano i prigionieri dalla Germania, dalla Francia e da altre parti ancora, ecc. ma purtroppo tutti non tornano e nemmeno tutti ci sono neanche i rimasti, perché il destino ha colpito ovunque e possono dirsi molto fortunati quelli che non hanno subito nessuna conseguenza; noi per esempio non siamo certo di questi; non vorrei dirti niente tanto è lo stesso, ma d’altronde sento che pensi a tante cose ... e così è meglio che ti spieghi un poco di verità che tanto avrai piacere anch’io piuttosto di restare a lungo nell’incertezza, però non devi rattristarti per questo che ti dico perché tutto è già passato sperando che non ritorni più per carità. Dunque forse lo saprai che qui da noi è stato il fermo di tutto e per conseguenza ci è toccata la sorte della montagna, non avevamo paura dei bombardamenti come nelle grandi città, bensì dei rastrellamenti e ostaggi dei fascisti e tedeschi che mai potrò perdonare, il nostro Paese e cioè proprio Poleo, non Falgare, diverse case sono state bruciate, ma, proprio da questi manigoldi, figurati che quando son venuti da noi eravamo tutti in cucina e sono andati dritti al fienile immagina tu che complimento, le bestie, erano già via, ma fieno, legna, ecc. che grazie al nostro coraggio io e Santina la casa l’abbiamo salvata che almeno ci siamo rifugiati tutti uniti perché la Santina è restata in strada però con la roba, certo che tutto non si è potuto salvare ma la più utile. La Maria pure lei tutto, questo però non è stato agli ultimi mesi ma al 7 agosto 1944 e così da allora più duro è stato il nostro Calvario fino al 29 Aprile di quest’anno e che ancora non è finito del tutto, però adesso in questi giorni hanno cominciato a lavorare e costruire e così speriamo che prima dell’inverno qualche cosa stabiliscano. Certo che anche noi ci occorrerebbe tanti soldi anche per la nostra casa perché tanto era in disordine tanto era vecchia prima e adesso pure manca il sostegno di quella di Bille che è tutta a terra; siano sempre maledetti fascisti e tedeschi finché avrò vita: La Maria intanto si è spostata nella tua bottega. La Santina è a Schio come tanti altri, Guglielmo dopo 13 mesi di montagna è ritornato in patria, Bruno pure è a casa sperando che anche tu ritorni presto fra noi e che tutto torni normalmente altrimenti qui non si mangia più: oppure solo quelli che hanno tanti soldi. Non si parla più di cento, altro che di biglietti da mille e mille per esempio un litro d’olio L 800, 1 chilo di zucchero 700, un litro di vino 100, un paio di scarpe 3-4 mila e così via ... dunque fai presto venire a casa se vuoi partecipare anche tu a questa cuccagna e vedere ancora qualche rovina del nostro paese martoriato che unito a tutti i nostri martiri morti ci han lasciato una lunga storia e serie di tristezza, di dolore, di angoscia, indimenticabili. Dunque vedi ti ho raccontato un po’ della nostra storia Patria tanto per tranquillizzarti di tutti i tuoi dubbi e tuoi pensieri e che la tua sorte sarà stata molto più scabrosa della nostra. Solo ci auguriamo di un buon arrivederci presto salutandoti tanto tutti, mamma, sorella, fratello nipotini. Nella. Poleo, 26.9.1945.
2. I TRE FRATELLI BOGOTTO - pg. 369
«Pietro Bogotto, il padre, era un operaio tessile di Torrebelvicino e qui, verso la fine del secolo scorso, abitava con la moglie Maria Pietrobelli. Il 1° ottobre 1901 nacque il primo figlio Germano, al quale seguirono Silvia (14.8.1906), Giacomo (4.3.1911), Nella (31.8.1914) e Natalino (26.8.1917). La 1a Guerra mondiale non era giunta alla fine che il padre Pietro morì al fronte, lasciando la moglie Maria con 5 orfani; ma un avverso destino volle che anche quest’ultima morisse nel febbraio 1925. Germano, spirito indipendente ed inquieto, si arrangiò subito per suo conto, mentre la Silvia, entrata al Lanificio, provvide in assolute ristrettezze al sostentamento dei più piccoli, finché la Nella fu accolta nell’Istituto Canossiano di Schio e Giacomo e Natalino entrarono in un Collegio per orfani di guerra a Lonigo.
Qui Giacomo Bogotto rimase fino ai 14 anni superando la 6a elementare ed un corso professionale; dopo il servizio di leva si arruolò volontario per la Guerra d’Africa e tornò infine a Torrebelvicino lavorando come attaccafili in lanificio, nel turni di notte, ed arrotondando le entrate – durante la guerra – con la vendita al minuto del latte. Si trasferì a Schio il 4.4.1938 e sposò il 28.6.1938 una Teresina Banato di Santorso. Un primo incidente con i Fascisti lo aveva avuto a suo tempo, allorché uscì un decreto che assegnava 500 lire agli orfani di guerra: si recò a Roma in bicicletta per far valere il suo diritto, ma al ritorno i Fascisti lo bastonarono a sangue, forse per un richiamo avuto da Roma. Un secondo incidente gli capitò dopo l’8 settembre 1943, perché aveva preso in giro alcuni Fascisti locali, che si ritenevano decisi e convinti di una seconda marcia su Roma: venne subito ricercato per l’arresto davanti l’ingresso della fabbrica, ma, avvertito, riuscì a fuggire e quindi si diede alla macchia, mettendosi in contatto con “Marte” e con “Turco”, verso Cerbaro. Nel 1944 Giacomo alternò periodi di soggiorno a casa al Villaggio Pasubio a permanenze col “Turco” in Tonezza, assumendo il nome di battaglia di “Ala”. Fu in occasione di un suo rientro, a causa della moglie indisposta, che i due ebbero l’incoscienza di scendere a Schio in centro, dove Giacomo fu riconosciuto da alcuni Fascisti di ronda e tradotto nella Caserma di Via Carducci: era il 14 aprile 1945.
Qui fu torturato e seviziato lungamente (gli furono strappate le unghie), forse per avere notizie sulla dislocazione dei partigiani. Due giorni dopo fu gettato in una buca scavata in giardino lungo il muro dell’edificio. A quanto riferisce la sorella Silvia, fu trovato nudo con una grossa pietra sopra l’addome, per farlo rimanere giù mentre gli aguzzini gli gettavano la terra addosso; la posizione del corpo, nelle foto scattate al momento dell’esumazione, farebbe pensare che sia stato sepolto mentre era ancora vivo. Subito dopo la Liberazione molti Scledensi si recarono sul luogo e commentarono con orrore l’agghiacciante ritrovamento. Dei quattro esecutori materiali, tre furono giustiziati subito dopo la Liberazione, il quarto -forse il più importante ¬riuscì a scomparire. Altrettanto tragica sorte toccò al fratello maggiore Germano Bogotto, celibe, occupato in lavori saltuari, praticamente senza residenza fissa. Durante la lotta partigiana svolse spesso attività di staffetta e fu catturato a Schio in Piazzetta S. Gaetano; trasferito a Vicenza venne seviziato anche con applicazione di scariche elettriche, finché morì e venne sepolto nel Cimitero di Vicenza. Non vi sono al momento notizie più dettagliate su questo Caduto, quasi dimenticato dalla storia locale.
Il fratello minore Natalino Bogotto era rimasto nel Collegio degli orfani a Lonigo fino al servizio di leva; arruolato poi nella Divisione «Julia» finì in Russia con il grado di sergente e qui restò disperso; gli fu concessa una croce al merito di Querra il 5.6.1956”. le notizie sopra riportate sono state raccolte presso le sorelle Silvia Bogotto in Collareda e Nella Bogotto in Baldi dal nipote Rolando Collareda (26.4,1979).
Su Giacomo Bagatto viene riferito da Nello Pegoraro (27.4.79) quanto segue: «Giacomo venne su nella zona del Festaro verso il 12-13 settembre 1943 ma noi abbiamo manifestato verso di lui una certa diffidenza perché sapevamo che era stato della Milizia ed in Africa al tempo del Fascismo, mentre non sapevamo degli incidenti che aveva avuto con i Fascisti di Torrebelvicino. Nei primi tempi era nella zona ma quasi isolato e la moglie Teresina gli portava da mangiare. In seguito si collegò con “Marte” e con Turco e con quest’ultimo passò poi in Tonezza. Quando nell’aprile del 1945 scese a Schio so che recava un foglietto da consegnare a qualcuno. (Nota. La sorella Silvia ha saputo che al momento dell’arresto inghiottì un pezzetto di carta). Il suo errore fu quello di portarsi in centro con la moglie, forse per andare al Cinema: venne identificato ed arrestato. Subito dopo la Liberazione abbiamo avuto il sospetto che fosse stato ucciso all’interno della Caserma di Via Carducci, dove c’erano le Brigate Nere, e pensammo di scavare in giardino. A mio parere dev’essere morto durante la notte e quando i Fascisti lo trovarono morto e già rigido e rattrappito scavarono una buca e lo buttarono dentro; non penso che sia stato sepolto vivo. Abbiamo fatto aprire i cancelli, dopo l’esumazione, e vi fu un corteo di gente che venne a vedere commossa la triste fine di Giacomo Bogotto».
3. - IL NULLA-OSTA PER IL SEPPELLIMENTO DI PIETRO ZANELLA - pg. 364
Elvira Baron, sorella di «Turco», così riferisce: «Quando Pierino restò ucciso nell’imboscata al Bojaoro mi recai in Municipio a chiedere il permesso di seppellirlo. Qui mi mandarono dai Carabinieri, i quali, dopo che spiegai dov’era il corpo, dissero che non si trovava dentro i confini del Comune di Schio; mi domandarono le generalità e vollero sapere i motivi del mio interessamento, alla qual cosa risposi che la madre del ragazzo aveva il diritto di piangerlo dove vi sono gli altri morti. Allora un Carabiniere mi accompagnò in Municipio e qui finalmente ottenni il nulla-osta. Tornai subito a Poleo in bicicletta, con il pezzo di cartoncino bianco. Circolava la voce che l’imboscata era stata effettuata dai “russi”, appostatisi nel buio con scarpe di pezza. Ampelio Bonato mi disse che i “russi” potevano essere ancora sul posto e quindi era meglio che andassero delle donne a prendere il corpo. Partimmo io e la Pina e trovammo Pierino steso sul dorso in mezzo al viottolo che porta al Bojaòro e colpito da una raffica in alto sul petto; mentre stavamo pulendo le ferite, giunsero con una scala quattro donne dei Calesiggi, che dovrebbero venire ricordate. Così lo trasportammo nella cella mortuaria del Cimitero di Poleo».
QUADERNO 8°
1. - ATTACCO ALLA CASERMA DI TONEZZA - pg. 385
MARZAROTTO LUIGI («Treno») - Di lui Ampelio Bonato (10.1.79) riferisce: «Quando Treno restò ucciso nell’attacco alla Caserma di Tonezza c’era il problema di avvertire la famiglia; quindi parlai con Giovanni Pettinà, il padre di Mario, e con una cognata, per andare assieme da Battista Marzarotto. Entrati in cucina gli dissi “Tita, no go na béla notissia”. Lui fece un mesto sorrisetto e disse: “Go capìo”. Ho avuto quasi l’impressione che si sentisse orgoglioso della morte del figlio per la causa della Resistenza».
2. - I CADUTI PARTIGIANI NELL’ATTACCO - pg. 386 nota (3)
SANTACATERINA FRANCESCO («Spagnolo») - Risulta esatto il nome di battaglia di «Spagnolo - attribuito da Lamberto Ravagni a Santacaterina Francesco, contrariamente a quanto inciso nella lapide dei Caduti di Poleo. BELLOTTO GINO («Franz») - Bellotto Luigi detto Gino, figlio di Luigi e di Pietrobelli Maria. Nato a Schio il 17-10.1920, celibe, fuochista in lanificio. Residente a Poleo. Morto in Tonezza il 15.8.1944. Atto di morte del Comune di Thiene. (scheda anagrafe di Schio). Il suo nome di battaglia non è «Spagnolo» (come inciso a Poleo) ma «Franz». La data di morte è il 15 luglio 1944 e non il 15.8 1944. Di lui non fa cenno Lamberto Ravagni nell’attacco di Tonezza. Dalle testimonianze raccolte di recente risulta invece che Gino Bellotto («Franz») è il terzo caduto partigiano dell’attacco alla Caserma di Tonezza: Gino Bellotto e Francesco Santacaterina vennero feriti gravemente, furono raccolti dai Fascisti e trasportati a Thiene, dove morirono entrambi: Gino in giornata (15 luglio), Francesco il giorno dopo (16 luglio). Sartori Silvio (Arlotta) di Schio-Aste, arrivato in Tonezza la sera dell’attacco, conferma che i Caduti di Poleo furono tre: Marzarotto, Santacaterina F., Bellotto. In una riunione recente a Poleo Ettore Marcante ed Ampelio Bonato hanno ricordato di essersi recati a Thiene con una foto di Gino Bellotto per il riconoscimento. Il nome di Gino Bellotto va quindi aggiunto anche all’elenco dei partecipanti all’attacco.
AVVISO
Il prossimo Quaderno n° 10 conclude il Secondo Volume (N.ri 6-7-8-9-10) dei QUADERNI DELLA RESISTENZA - SCHIO e, con esso, la descrizione degli avvenimenti dall’8 settembre 1943 al 14 agosto 1944 (fino al rastrellamento di Posina). Di conseguenza coloro che hanno notizie, documenti, testimonianze di particolare importanza relative al sopra detto periodo oppure rettifiche a quanto già pubblicato, sono invitati a fornirle al gruppo redazionale con la massima sollecitudine e comunque non oltre il 31 dicembre 1979. Nel prossimo Quaderno n.ro 10, fra gli altri argomenti, verranno riferite le migrazioni sull’altopiano di Asiago della primavera 1944 e sarà concluso l’argomento del rastrellamento di Posina: per ambedue si fa invito a fornire notizie ed esperienze individuali.
Grafiche BM di Bruno Marcolin - Via lo Nievo - Schio