QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Maggio 1981 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume XIII

ANTOLOGIA

di E. Trivellato

 

 


COOPERATIVA SCLEDENSE DI CONSUMO (1944-1957)

 

 


La “cooperazione” in senso moderno, come forma di associazionismo di difesa contro la speculazione e l’usura si sviluppò nei settori dell’agricoltura, dell’artigianato, del commercio e del credito verso la seconda metà dell’Ottocento in seno al più vasto dibattito sulla “questione sociale”, sia ad opera del nascente Socialismo che nello stesso ambiente cattolico, quest’ultimo sulla spinta della Rerum Novarum.

 

 

Negli Atti del X Congresso Cattolico Italiano (Genova 4 ottobre 1892) si scriveva: “le stesse cooperative, come sono riconosciute dal nuovo codice italiano di commercio, sia per la protezione e facilitazione come per le guarentigie di sicurezza che loro conede la legge, sia per la loro accessibilità anche alle più modeste sostanze, presentano molti vantaggi e si possono applicare agli oggetti più utili e svariati, a casse di risparmio e di prestiti, a banche cattoliche operaie ed agricole, ad istituti di previdenza e di associazione, a magazzini di consumo per operai ed istituti cattolici, a società tipografiche, industriali, di produzione etc. “per cui il Congresso decise “di promuovere in ogni parte d’Italia la fondazione di cooperative cattoliche, specialmente di credito e di consumo”. (Cfr. Tiziano Veggian, Il movimento sociale cristiano, 1889, Tip. S.Giuseppe, Vicenza, pp. 569-571). 

 

Altrettanto vivaci nella promozione di “cooperative” erano ovviamente i Socialisti ed un eco di questa campagna cooperativistica la ritroviamo anche a Schio “in corte de Gioro” (cfr. E. Trivellato, Il Circolo Operaio, Schio, 1978, pg. 9), allorchè l’avv. Galeno tenne una conferenza sulla Cooperazione e disse: “La legge che protegge le Cooperative esiste, ma viene violata continuamente perché alla testa della cosa pubblica vi sono i rappresentanti di coloro che sentono i loro interessi personali minacciati dalle stesse Cooperative”.

 

 

Una storia del movimento cooperativo a Schio è argomento che merita uno studio ed una pubblicazione, poiché dall’annessione del Veneto ai giorni nostri compaiono costantemente nel tempo delle iniziative di tipo cooperativo. Nel settore agricolo troviamo le “latterie sociali” (famose in provincia quelle dei distretti di Arzignano e di Schio), quali appunto il CASEIFICIO SOCIALE DI TIMONCHIO fondato nel 1882 con 65 soci ed una lavorazione di circa 400 litri di latte al giorno e la LATTERIA SOCIALE DI SAN VITO DI LEGUZZANO costituitasi nel 1888 (cfr. G. Sartori, Una visita alle latterie del Veneto, Brescia, 1898, pp. 68-69).

 

 

Nel settore del credito vi è da segnalare l’antica Cassa rurale artigiana di Monte Magrè tuttora attiva. Negli anni 1910-1911 si unirono una Cooperativa di Consumo ed una Cooperativa Tipografica in seno alla “Società Generale dei Lavoratori Scledensi” al Teatro Sociale assieme al Circolo Operaio E. De Amicis (cfr. E.M. Simini, lavoro in corso di pubblicazione), iniziative di tipo cooperativo furono sviluppate anche da parte delle Unioni Cattoliche di Via Umberto I.

 

 

Dopo la Prima Guerra Mondiale gli smobilitati si riunirono in associazione e tentarono di costituire una serie di cooperative (edili, falegnami, tipografi) per la ricostruzione nelle vallate (cfr. E. Trivellato, Angelo Dal Savio, Introduzione ad una biografia, 1981), ma di questa iniziativa restò solo la Tipografia “PASUBIO”.

 

 

Interessante nel periodo 1943-45 allo studio è la nascita della “COOPERATIVA SCLEDENSE DI CONSUMO”.

 

 

Nella primavera del 1944 il Commissario prefettizio di Schio dr. Giulio Vescovi, interprete sicuramente di alcune istanze, affidò al rag. Remo Grendene l’incarico di preparare un piano finanziario per una costituenda COOPERATIVA DI CONSUMO che funzionasse da spaccio interaziendale per gli operai ed impiegati (e loro famiglie) delle industrie del Comune di Schio: Lanificio P. Cazzola, Lanificio G.B. Conte, Fonderia De Pretto Escher Wyss, Fabbrica Navette già Federle, Officine Gregori, Officine Pellizzari, I.T.A.M.S., Industrie Stampa P. Marzari, Manifattura Etichette, Impresa Costruzioni F. Santacaterina, altre piccole industrie.

 

 

A quel tempo funzionava già da parecchi anni lo Spaccio del Lanificio Rossi, al quale, per disposizione del Comando tedesco, erano stati aggregati i dipendenti degli stabilimenti protetti – Officina FOMIT, Officina ILMA, Fabbrica CEMENTI – che godevano delle tessere preferenziali.

 

 

Il Piano finanziario fu presentato da Remo Grendene il 21 aprile 1944, ma ci volle un mese e mezzo per avviare l’iniziativa (Atto 3 giugno 1944 N. 11403 di Rep. Notaio Letter dr. Andrea). La prima seduta del Consiglio di Amministrazione si tenne in Municipio il 7 giugno. Per una conoscenza dei problemi del momento e per la “curiosa” composizione del Consiglio della nuova Cooperativa di Consumo riporto il :

 

 


VERBALE della 2° SEDUTA DI CONSIGLIO tenutasi il giorno 17 giugno 1944 alle ore 18 in una sala, gentilmente concessa, del Municipio di Schio col seguente Ordine del giorno:

 

1° Comunicazioni del Presidente e delibere relative;

2° Comunicazioni dei Consiglieri sui vari incarichi ricevuti;

3° Eventuali. Sono presenti i Consiglieri sigg. : Capozzo dr. Diego, Conte Alvise, Filippi Sebastiano, Sandonà Giuseppe, Schiapparelli Enrico, Sessa Giannantonio, Tovaglia Pietro, Veghini Fulvio; assente per infermità Righetti Giuseppe. Sono pure presenti i Sindaci sigg. Canfori Ing. Rinaldo, Widmer rag. Ernesto, De Munari Teodoro (assenti il dr. Attilio Bressa e Giuseppe Mazzola). E’ assente il Probiviro Vittorio Negrisolo. Presiede il Presidente (Conte Cav. Alvise), il quale dichiara aperta la seduta e prega il consigliere Sessa (vice-presidente) di dare lettura del verbale della seduta precedente: esso viene approvato senza discussione. Si inizia quindi lo svolgimento dell’o.d.g.

 

Su invito del Presidente, Sessa riferisce dell’incontro avuto col sig. Drago, il quale si è dichiarato spiacente di non poter cedere il negozio, non suo, ma dei figli, per il motivo che esso è pieno di merce, e che inoltre i figli non intendono abbandonare la possibilità di riaprire in un prossimo domani il proprio negozio. Sessa riferisce anche di avere avuto un breve colloquio col sig. Cortese, in merito alla cessione del proprio locale; proposta a cui il sig. Cortese non pare propenso di aderire pel momento.

 

I Consiglieri propongono di insistere nella richiesta verso Cortese, offrendogli eventualmente di diventare Direttore di vendita dello spaccio; ed invitano Filippi, Sandonà e Sessa a ritornare alla carica presso Cortese. Il dr. Capozzo assicura che l’autorità comunale conserverà la validità della licenza d’esercizio per ingrosso e minuto al sig. Cortese, aspettando che dopo la fine della guerra egli possa decidere se riprendere la sua attività commerciale o continuare nella gestione della Cooperativa.

 

Sandonà espone che gli operai attendono dalla Cooperativa una soluzione per la distribuzione della carne e frattaglie; e Sessa aggiunge che di questa aspettativa si è reso interprete presso di lui anche il Delegato di zona dei Sindacati Lavoratori dell’Industria.

 

Capozzo spiega che la carne è veramente mancante e che perciò la Cooperativa non potrà d’incanto risolvere il problema, per le frattaglie poi esse sono ora destinate alle mense aziendali e quindi la massa operaia ne potrà ugualmente beneficiare. 

 

Sandonà insiste per l’apertura della macelleria, alla quale potrà essere affidato lo spaccio per gli ammalati, ai quali va ora quasi tutta la disponibilità destinata a Schio. In tal modo la Cooperativa potrà almeno ritrarre un utile economico.

 

Capozzo fa presente che questa soluzione implicherebbe la cessazione di attività di tutte le altre macellerie, il che non appare augurabile e certo anche difficilmente consentito da Vicenza. A nuove repliche di Sandonà, Capozzo svolge altre considerazioni ed incarica alla fine Sandonà di volersi interessare per la soluzione di quanto gli stà a cuore. 

 

Passando alla distribuzione del vino, si resta d’accordo che essa potrà avvenire presso lo spaccio, con quel quantitativo che sarà presto messo a disposizione del Comune per la popolazione.

 

Tovaglia è incaricato di avviare pratiche per la eliminazione del sopraprezzo ora esistente per il fatto del passaggio contabile attraverso il Consorzio commestibili. Capozzo riferisce ancora che un’attività di vendita da iniziarsi subito è quella della frutta e verdura: spiega che la zona di Breganze – Marostica – Bassano è ricca di prodotti ortofrutticoli, la cui difficoltà di trasporto verrebbe superata dall’offerta fatta dal Lanificio Rossi di provvedere a tale servizio col proprio autocarro, che giornalmente si reca ad Asolo.

 

Tutti apporvano questa iniziativa come pure quella di ricercare dello scatolame di generi e condimenti, oggi quasi introvabili. Schiapparelli indica come possibile fornitrice la ditta F.lli Mazzucato di Padova.

 

A questo punto entra il Commissario Prefettizio dr. Vescovi, al quale tutti porgono un deferente saluto, lieti di rivederlo in via di guarigione. Conte informa di quanto finora discusso ed il Commissario fornisce spiegazioni e direttive.

 

Sessa chiede se non sia il caso di richiamare dai Soci costituenti l’importo del capitale sottoscritto nella misura di un terzo circa dell’impegno. La proposta viene accolta colla decisione di invitare i sottoscrittori ad effettuare i versamenti presso la locale Banca Popolare, che in tal modo aprirà un c/c intestato alla Cooperativa.

 

Filippi riferisce che la Cooperativa di Poleo è disposta a cedere, occorrendo, un personale proprio. Il Consiglio decide che ove le trattative con il sig. Cortese non si concludessero positivamente, bisognerà insistere presso il sig. Drago, con una eventuale requisizione dei locali. Capozzo invita la presidenza a dare comunicazione dell’avvenuta costituzione della Cooperativa alle Autorità ed Enti provinciali: Prefettura, Federazione dei Fasci, Ente della Cooperazione, Unione Industriali, Sindacati dei Lavoratori dell’Industria, Sezione prov.le dell’Alimentazione, Consiglio Prov.le delle Corporazioni.

La seduta termina alle ore 19,30. - Firmato G.A. Sessa”.

 

 

 

Nella successiva seduta (domenica 25.6.1944 – ore 10) “si dà comunicazione di una lettera dell’Ente delle Cooperative in cui vengono fatti dei rimarchi per la costituzione della Cooperativa senza previa sua approvazione. Sarà risposto che la Coop, sorse sotto gli auspici della Federazione Fascista, del Comune di Schio, dell’Unione Industriali e dei Sindacati dell’Industria, conforme le direttive delle superiori gerarchie e precorrendo il Decreto del Duce sull’Alleanza Cooperativa, decreto che viene letto. Per conto suo risponderà pure il Comune di Schio”.

 

 


Nella successiva seduta del 16.7.1944 è presente in apertura il gestore dello spaccio Luigi Scapin, che ha l’incarico di recarsi a Vicenza per accordi sui rifornimenti. Viene poi convenuto l’affitto con il sig. Castegnaro in lire 1200 mensili. Si accettano le domande della FOMIT (30 azioni), di Emilio Salin (25 azioni), di Plinio Dalla Pozza (5 azioni), di Gennaro Gori e Sugherificio Cibin. Si accolgono anche domande di pensionati di industrie e di dipendenti di Enti statali e parastatali, nonché di Banche e di artigiani. Il Lanificio Rossi presta alcune bilance non usate.

 

 


Nella seduta del 30 luglio 1944 è presente anche il sig. Cappelletti che “parla sulla opportunità che lo spaccio Rossi venga assorbito dalla Cooperativa; sull’argomento si svolge una chiara conversazione la cui conclusione è che, secondo anche lo spirito e la lettera del Decreto sulla Alleanza Cooperativa, per cui tutti gli spacci di fabbrica devono trasformarsi in Cooperative, lo spaccio Rossi si unisca alla nostra Cooperativa, senza formarne una nuova per suo conto, e si ritiene conveniente parlare con i dirigenti del Lanificio per farli aderire e studiare la sua più sollecita attuazione”. Si accettano le domande a soci dei dipendenti dell’industria Elettrica Valbrenta.

 

 


Nella seduta del 20 agosto 1944 il dr. Vescovi “informa di un colloquio avuto col dr. Costa, Direttore del Lanificio Rossi, il quale è favorevolissimo a fare assorbire dalla Cooperativa anche tutti gli spacci aziendali del Lanificio”. Si conviene inoltre di passare all’Ufficio Sindacati l’elenco delle Ditte iscritte perché inciti le altre ad aderire. Oltre al gestore Scapin ed alla cassiera Fanton, si conviene di assumere un garzone aiuto-banconiere; si constata poi che il capitale sociale attuale è insufficiente a provvedere un sufficiente approvvigionamento e si conviene di ricorrere quindi a sovvenzioni da ottenere a modico interesse dagli Industriali.

 

 


Nel fascicolo della COOPERATIVA SCLEDENSE DI CONSUMO – Società a R.L. - Via Pasini 63 – Schio (Archivio Remo Grendene) non risultano verbali di altre sedute successive all’agosto 1944, comunque la Cooperativa prese l’avvio e funzionò anche dopo la fine della guerra. Negli anni si aggiunsero alcuni nuovi soci, altri invece chiesero il rimborso dei loro certificati azionari, il cui valore nominale fu rivalutato da Lire 100 a Lire 500 nel 1949 (Verbale Ass. straord. Notaio Benetazzo in data 27/3/49 di Rep. Omologato dal Tribunale di Vicenza).

 

 


Un’incrinatura risulta da una lettera datata 21.4.1955 ed inviata dai “gerenti” (Centrale: Dal Zotto Alfredo – Succ. 1°: Turra Ilario – Succ. 2°: Reghelin Giacinto – Succ. 3°: Baio Valerio) al Consiglio di Amministrazione:

 

“Da vari buoni clienti siamo venuti a conoscenza e ci rincresce l’apprenderlo così indirettamente che quest’anno (per il 1954) non verranno distribuite le quote utili. E’ una cosa che ci addolora fortemente poiché sappiamo purtroppo le conseguenze che ne deriveranno. Siamo certi, conoscendo la mentalità della maggioranza dei nostri clienti che i più buoni, quelli cioè che pagano a contanti o regolarmente alla scadenza, ci abbandonerebbero per fornirsi presso altri concorrenti e ci resterebbero i peggiori, quelli non regolari. Ci rincresce inoltre constatare come fra i componenti del Consiglio e i gestori di negozio non ci sia più quell’affiatamento di un tempo, necessario per il buon andamento dell’Azienda. Noi quattro gestori vorremmo fare questa proposta: non si potrebbe distribuire ugualmente anche quest’anno il dividendo? Ci potremmo impegnare noi, se non in un anno in due, di recuperare, senza naturalmente derubare il prossimo, quello che ora dobbiamo elargire. Saremmo molto grati che queste nostre esposizioni fossero prese in considerazione, magari questa sera stessa. Con ciò noi non vorremmo che questo nostro esposto fosse considerato un biasimo per l’operato del Consiglio di Amm.ne, bensì come nostro desiderio di vedere prosperare sempre più la nostra Cooperativa, alla quale ci sentiamo legati come ad una seconda Famiglia. Con i più distinti ossequi. Firme”

 

 

 

Un colpo duro fu dato alla Cooperativa dalla LANEROSSI come appunto risulta da una lettera datata 20.9.1956 ed inviata dal presidente della Cooperativa Scledense di Consumo alla Spett. “LANEROSSI” Soc. per Azioni – Ufficio Segreteria – Via G.B. Pirelli 18 – MILANO:

 

 

“Il sig. Giovanni Fioraso di Schio, Vostro Capo Amministrativo e nostro ex Consigliere, ci ha avanzato, per Vostro conto, domanda verbale di rimborso delle N° 500 nostre quote sociali di Vostra proprietà. Questo Consiglio di Amm.ne nella sua riunione del 17 corr. Ha preso in esame tale richiesta e pur esprimendosi spiacente che la maggior industria di Schio sia venuta nella determinazione di privare del suo appoggio morale e materiale, sempre da questa Cooperativa grandemente apprezzato, ne ha per il momento presa annotazione, demandando al sottoscritto Presidente di esporVi quanto segue: Alla fine del 1948 questa Società ha proceduto alla rivalutazione del valore nominale delle quote sociali per adeguarsi a disposizioni legislative, ma da alcuni esercizi le sue condizioni finanziarie sono andate mano mano facendosi precarie e difficili, tanto da minare quasi la vita della Cooperativa e dal gennaio 1955 questo Consiglio di Amm.ne sta strenuamente lottando per poter raggiungere una sistemazione della Società, sistemazione che giudichiamo in via di ripresa, ma che vediamo ancora lontana dal suo compimento. Per questi motivi ed anche per nostre imprescindibili necessità di cassa, vorremmo pregare codesta Spett. Società se potesse rimandare a tempi migliori la richiesta di rimborso o quanto meno se credesse, dandoci per una ultima volta dimostrazione del suo interessamento verso la popolazione di Schio ed in particolare verso questa Cooperativa che ha per suo principale scopo e dovere tutelare l’interesse operaio, di poter limitare la richiesta di rimborso ad un ammontare pari all’importo a suo tempo versato, rinunciando cioè alla parte rivalutata. Siamo certi che la benevola comprensione di codesta Spett. Società accetterà quanto è nel nostro desiderio, che sarebbe per noi una vera necessità e pertanto, restando in attesa di un cortese riscontro, porgiamo vivi anticipati ringraziamenti ed i più rispettosi ossequi. Firma”

 

 

La documentazione dell’Archivio Remo Grendene si conclude nel novembre del 1956 con alcune lettere del notaio dr. Giovanni Carraro e dell’avv. Giuseppe Gargano, il quale risponde al quesito posto dalla Cooperativa sul “diritto del socio al recesso”, sull’obbligo o meno di giustificare verso la società i motivi del suo operato, sul rigetto della domanda da parte del Consiglio.

 

 

Nel 1957 la Cooperativa fu posta in liquidazione come risulta dalla seguente Circolare ai Soci: “COOPERATIVA SCLEDENSE DI CONSUMO – Società a r.l. in liquidazione -

 

SCHIO – Schio, 18 novembre 1957 – Egregio Signore, i sottoscritti liquidatori sentono il dovere di informarla che a datare dal giorno 16 corr. La Cooperativa Scledense di Consumo, messa in liquidazione con delibera della Assemblea Straordinaria dei Soci del 6 Ottobre 1957, omologata dal Tribunale Civile e Penale di Vicenza con decreto n. 539 del 26 Ottobre 1957, ha cessata la sua attività di vendita di generi alimentari nei tre spacci di Via Btg. Val Leogra, di Via Ca’ Masotta e di Via Pasubio, attività che è stata immediatamente ripresa dallo Spett. Consorzio pei Commestibili di Vicenza, che ha 30 anni di vita. (…) - I liquidatori GRENDENE rag. Remo – VEGHINI Fulvio”. (Tip. Operaia – Schio).

 

 

 

Altre notizie e dati statistici sono riportati ne “LA VOCE DELLA COOPERATIVA” 1944-1954 numero unico per il 1° decennio – Edizione “El Castelo” diretta da Gaetano Ferretto – Dir. Resp. Silvio Mombello – Tip. Rag. G. Sperotto – Vicenza (Archivio G. Meneghini).

 

 


B.
RAZIONI ALIMENTARI NEL 1944


Da un ciclostilato dell’Ufficio Annonario del Municipio di Schio risultano le seguenti RAZIONI GENERI TESSERATI E CONTINGENTATI alla data del 15 aprile 1944:

 

PANE raz. Normale g. 150 al giorno, lavoratori g. 325, ragazzi 9/18 anni g. 225 -
GEN. MINESTRA raz. Normale g. 2000 al mese, bambini 0/3 anni g. 3000 – Supplementi ai lavoratori: lavori pesanti pane g.100 al mese, gen. Min. g. 600; pesantissimi g.200 e 600 al mese. Col 20 aprile p.v. aumento di g.50 pane a tutti e g. 1000 minestra -

GRASSI  g. 150 al mese -

ZUCCHERO  g. 1000 al mese (compreso suppl. g. 500) ai bambini fino a 3 anni; g. 500 al mese

FORMAGGIO:  g. 480 al mese ai bambini da 0/3 anni;  g. 150 agli adulti -

MARMELLATA:  g. 500 al mese ai ragazzi fino ai 18 anni -

SAPONE:  g. 100 al mese. -

GENERI CONTINGENTATI

SALUMI:  g. 50 a persona (assengazioni periodiche e saltuarie) -

PATATE:  assegnazioni periodiche - 

CARNE: g.180 mensili circa a seconda della disponibilità -

BACCALA’:  g. 80 secco – un’unica assegnazione in dicembre scorso -

CONSERVA:  g. 300 in un semestre a persona -

FAGIOLI:  Mai visti! - Timbro Ufficio Annonario.


Sulla scorta dei dati sopra riportati la RAZIONE GIORNALIERA NORMALE era pertanto la seguente: Pane g. 150 – Pasta o riso g. 66 – Olio o burro  g. 5 – Formaggio  g. 5 -  Carne  g. 6 – Conserva g. 1,6 – Zucchero g. 16, 6. 

Nient’altro! Assegnazioni periodiche e saltuarie di Patate e Baccalà e niente fagioli. Si pone oggi il quesito se nel 1944 una persona adulta potesse sopravvivere con le sole tessere annonarie.

 


C.
IL PERSONALE DEL COMUNE DI SCHIO
( 1 dicembre 1942)

 


Segretario Capo: BOLOGNESI rag. PIETRO – Vicesegretario: MILANI rag. GIAMBATTISTA - 

Ragioniere: PAVANINI rag. IPPOLITO – Archivista: SANTACATERINA RICCARDO – Economo: CORATO ELIO – Applicato I°: MARCHESINI GIOVANNI – Applicato 2°: RAMPON IGINO – Applicato 3°: DAL MEDICO ANASTASIO e CECCHETTO GIUSEPPE – Applicato 4°: GASPARONI GIUSEPPE – Capo uscieri: SANTACATERINA ENRICO – Uscieri: DE CAO VITTORIO e CAION PIETRO – Portiere: SMIDERLE GIUSEPPE – Portiere provvisorio: DALLA TORRE ARTURO.

Vigili: PRETTO DOMENICO e CRIVELLARI PIETRO – Vigili provvisori: BALLARDIN GIUSEPPE  e GRIGOLO SILVIO.

Perito tecnico (Ufficio tecnico): DALLE MOLLE geom. GIUSEPPE – Stradino: CLEOFI ATTILIO – Fontaniere: ROSSATO ATTILIO.

Capo guardie carceri: PEZZIN GIUSEPPE – Guardia carceri: GIRARDIN PIETRO.

Impiegati daziari: GRASSO ITALO e RONCONI ETTORE.

Ufficiale sanitario: BERTOLDI dr. MASSIMO – Vigile sanitario: BOGOTTO LUIGI – Medico condotto: TONIOLO dr. G. BATTISTA – Veterinario consorziale: COLOGNESI dr. ANGELO – Cusode macello: GAVASSO ERNESTO – Custode cimitero: BERTOLDI CARLO – Necroforo: TAGLIAPIETRA BATTISTA – Necrofori provvisori: CATTELAN PIETRO e AMAZZONI NARCISO.

Insegnanti: ALESSANDRI prof. ARNALDO, CORA’ Prof.  ANGELO, MIONI Prof. ELPIDIO,  PENNISI Prof. GIUSEPPE, GIARETTA Prof. GINO PRIMO.

Bidello Scuole Urbane: VANZO GIUSEPPE – Bidello provvisorio: COSTANZI GIUSEPPE -

Bidello Scuola Avviamento: MAZZOLA PIETRO.

 

 

Durante l’occupazione tedesca fu Commissario prefettizio VESCOVI dr. GIULIO e Vice-commissario CAPOZZO dr. DIEGO. In rapporto alla situazione del momento il personale comunale cercò nel complesso di mantenersi al di sopra e al di fuori delle parti in lotta svolgendo le proprie mansioni in modo da alleviare i disagi della popolazione. Politicamente alcuni erano orientati verso la R.S.I. ed iscritti al P.F.R. (Capozzo dr. Diego, Bertoldi dr. Massimo, Santacaterina Enrico, Grigolo Silvio, Pezzin Giuseppe) altri invece erano favorevoli alla Resistenza ed in particolare Pietro Bolognesi (componente del C.L.N. per il Partito d’Azione)), Giambattista Milani, Igino Rampon.

 

Quest’ultimo scrive: “Ero stato avvertito che tenevano d’occhio il nostro Ufficio (Annonario), dopo le delazioni del “francese”. Verso Natale (1944) due impiegate mi chiedono di ascoltare le richieste di un “partigiano”, che domanda carte annonarie e buoni viveri straordinari. La sua faccia non mi rassicura, sento odore di bruciato! Taglio corto invitandolo a farsi rilasciare un nulla-osta dal commissario prefettizio. Il giorno dopo una squadra di brigatisti neri viene a prelevare le due ragazze – Rina Pavan e Maria Tresso – che devono seguirli fino a Vicenza all’Ufficio di Polizia territoriale”.
Da un’annotazione in Pretura risulta: “ 29 agosto 1944: scoppio di un ordigno nel Municipio di Schio”.

 

 


D.
SEQUESTRO DEI LIBRI GIALLI

 


Il 1° gennaio 1943 uscì una legge sulla Disciplina pel tempo di guerra della produzione libraria e degli stampati in genere. Fu prescritta una revisione dei libri e degli stampati che interessavano i rapporti internazionali, la difesa militare, la condotta e gli scopi della guerra, la storia e le vicende di essa, le questioni economiche e finanziarie attinenti alla guerra, le questioni religiose e razziali di interesse politico. Il 29 aprile 1943 veniva poi diramata la Circolare n.ro 23148 che poneva il divieto di pubblicare i libri gialli e la Circolare n.ro 20900 dell’1.6.1943 ordinava il loro sequestro a partire dal 31 luglio. Proprio durante l’occupazione tedesca il Prefetto di Vicenza Gloria inviò un richiamo del 10.9.1943 (Div. Gab. N. 2844) all’osservanza delle disposizioni che regolano le pubblicazioni di traduzioni straniere, dei romanzi gialli, degli opuscoli a carattere popolare.

 


E.
UN METODO INSOLITO DI COERCIZIONE

 


Tra i molti sistemi più o meno violenti per indurre i giovani richiamati alle armi a presentarsi ai distretti militari il metodo usato nei riguardi dei fratelli Mazzon è piuttosto insolito: decreto di chiusura del magazzino di medicinali gestito dal padre Amedeo (cfr. documento N° 1). Alberto (Cl. 1922) si presentò al Distretto di Vicenza e fu assegnato come autiere in Valsugana; qui, a causa dei frequenti servizi di guardia notturni, contrasse una grave forma polmonare che lo portò a morte nel 1948. Gianni (Cl. 1925) fu assegnato come soldato al comando militare di Vicenza e qui rimase fino alla Liberazione. Carlo (Cl. 1923) restò latitante e fu continuamente ricercato: venne arrestato nel novembre del 1944 e rilasciato l’8 dicembre dietro garanzia personale di Riccardo Roso. La Lena era in contatto con la Olga Costenaro per la fornitura di medicinali ai partigiani. Il decreto di chiusura del magazzino dei medcinali fu revocato (cfr. documento N° 2), ma dopo la Liberazione Amedeo Mazzon ritenne opportuno far documentare la sua posizione nei riguardi dei partigiani (cfr. documento N° 3).

 

 

N° 1
COMUNE DI SCHIO – Prot. N° 1195 – 2 Febbraio 1944 XXII – Oggetto Decreto revoca licenza e chiusura negozio – N° 1197.

IL CAPO DELLA PROVINCIA DI VICENZA. Vista la lettera N° 255 in data 14/1/1944 XXII del Comando Militare della Provincia di Vicenza, da cui risulta che Mazzon Giovanni e Aldo (Carlo) di Amedeo della classe 1924 (1925) e 1923 (1923) residenti in Schio, Via Umberto 1° N° 14, non si sono presentati alle armi; Ritenuto opportuno adottare dei provvedimenti in proposito; Visto che il padre degli interessati, Sig. Mazzon Amedeo, è titolare di una licenza per commercio di prodotti farmaceutici; Visto l’articolo 19 della Legge Comunale e Provinciale; decreta

Art. 1° - E’ ordinato il ritiro della licenza di commercio e la conseguente chiusura del negozio del Sig. Mazzon Amedeo per manifesti sentimenti antinazionali.

Art. 2° - Il Podestà di Schio è incaricato della esecuzione del presente decreto che entra in vigore subito. Vicenza 31 gennaio 1944 XXII  Il Capo della Provincia f/to Neos Dinale.

 

La presente copia è conforme all’originale in atti e viene rilasciata per la notifica alla ditta Mazzon Amedeo. L’Ufficio di Polizia Urbana svolgerà la necessaria vigilanza per l’integrale osservanza del decreto. p. IL COMMISSARIO PREFETTIZIO dr. Diego Capozzo. Notificata copia della presente al Sig. Mazzon Amedeo ed altra all’Ufficio di Polizia Urbana, oggi, 2 febbraio 1944 XXII – Il Messo Comunale De Cao.

 

 

N° 2
COMUNE DI SCHIO Prot. N° 2865 – 11 marzo 1944 XXII – Oggetto: revoca decreto chiusura magazzino – Sig. Amedeo Mazzon Schio e per conoscenza all’Ufficio di Polizia Urbana. Vi si notifica che l’Ecc. Il Capo della Provincia con provvedimento del 7 andante mese N° 1591 Div. III, ha revocato il precedente decreto del 31 gennaio scorso N° 1591, col quale disponeva la revoca della Vostra licenza di commercio e la chiusura del magazzino. Vi si restiuisce, in allegato alla presente, la Vostra licenza di commercio. Il Commissario Prefettizio Giulio Vescovi.

 


N° 3
A.N.P.I. ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA – SEZIONE MANDAMENTALE DI SCHIO.

Schio, li 18 maggio 1949 Via Pasubio 42 OGGETTO DICHIARAZIONE – IO, sottoscritto Caroti Valerio di Oreste, ex Comandante di Divisione Partigiana, certifico sotto la mia responsabilità, quanto segue:

1°) Il Sig. Mazzon Amedeo è stato collaboratore delle formazioni Partigiane.

2°) Il Sig. Mazzon Amedeo, Commerciante in Schio di Medicinali all’ingrosso, è stato il principale e insostiuibile fornitore di medicinali e altro materiale sanitario alle mie formazioni della “VAL LEOGRA”.

3°) Che le medicine e il materiale sanitario fu dato dal Sig. Mazzon Amedeo gratis.

4°) Che al Sig. Mazzon Amedeo, per ordine delle autorità tedesche, fu chiusa l’azienda per un tempo indeterminato e imprigionato un figlio, se non si fosse presentato alle armi, il figlio maggiore Mazzon Alberto, allora latitante.

5°) Che in considerazione di quanto sopra, per la inderogabile necessità delle nostre formazioni, che il rifornimento di medicinali e di materiale sanitario continuasse e funzionasse con regolarità, dati i nostri ingenti bisogni, il Sig. Mazzon Amedeo fu invitato esplicitamente dal sottoscritto, che facesse sì che il figlio Mazzon Alberto rispondesse al bando di chiamata.

6°) Che il Sig. Mazzon Alberto, fece parte delle forze armate della repubblica sociale italiana perché a ciò espressamente demandato in vista delle superiori esigenze delle formazioni Partigiane. In fede di quanto sopra. Caroti Valerio.

 

 

 

CARLO MAZZON mi ha riferito (13.11.1980), in un interessante colloquio a Schio, che mons. Tagliaferro, dopo l’uccisione dei suoi due fratelli a Campiglia dei Berici, fece in Duomo la “BENEDIZIONE DEI MONTI” ponendosi sul pronao in gran paramenti, con i chierichetti ed un centinaio di persone, tra le quali c’era anche Carlo. Sotto, in piazza, si trovavano altre 200-300 persone e tra queste parecchi militi della G.N.R. e Fascisti locali, che restarono allibiti da questa Benedizione dei monti, chiaramente rivolta ai partigiani. Carlo, renitente ed in continuo spostamento da un luogo all’altro, era spesso pedinato e fu anche arrestato. La sorella Lena, assieme alla Francesca Bonato figlia dell’arch. Vincenzo Bonato, benchè ragazzine, si prodigarono per procurare ai partigiani medicinali e vestiario.

 


F.
“FRACASSA”

 


Bruno Zambon (Fracassa) di Dueville fu gravemente ferito nel rastrellamento di Posina (12-13-14 agosto 1944). In una riunione a Santorso (9.6.1979 Francesco Costalunga [Ferro] ha riferito che Fracassa era in pattuglia con D’Artagnan e si trovava con Stelvio a Malga Marola. Nel rastrellamento restò ferito ed un tedesco gli diede un colpo in testa con una bomba col manico e poi gli sparò alla testa per finirlo portandogli fuori un occhio. Svenuto e creduto morto, Fracassa fu ritrovato nelle cengie sopra Laghi e portato giù in fin di vita: Di lui ha fornito ulteriori notizie Giuseppe Santacatterina (28.2.1981):

 

 

“Durante il rastrellamento di Posina l’ambiente del Tretto si mise in allarme per cercare di portare aiuto ai partigiani sbandati. Ricordo che la sera del 14 agosto 1944 Gildo Broccardo con altri si fermò a casa mia con un camioncino-autoambulanza proveniente da Colle Xomo: in esso si trovava un partigiano morente, Zambon Bruno (Fracassa) di Dueville. Lo portammo nello stabilimento Saccardo in una cameretta in soffitta nella casa del portinaio. Nella notte il dr. Mario Fabbian di Santorso prestò le prime cure. Purtroppo Fracassa si aggravò ed essendo la casa del portinaio su strada si ritenne prudente trasferire il ferito in un magazzino di legname all’interno dello stabilimento, dove tuttavia costituiva ugualmente un pericolo, perché la faccenda era diventata di dominio pubblico. Venne a visitarlo anche il dr. Adelmo Lavagnoli di Schio, a poco a poco le condizioni di Fracassa migliorarono e fu allora trasferito nella casa di Angelo Buzzacaro (via Progresso), il padre di Ampelio e Pietro, che erano in pattuglia con Fracassa e furono catturati e fucilati nel cimitero di Arsiero. Si rendeva necessario operare il ferito all’occhio ed allo scopo venne il dr. Antonio Muttoni, oculista in Schio. Ricordo che fu operato senza anestesia in cucina e tenuto a braccia dai presenti: Angelo Buzzacaro, la figlia Dina, io e mio fratello Giovanni. Dopo l’intervento fu portato nell’Orfanatrofio di Santorso presso le suore, ed in seguito il dr. Lavagnoli gli procurò un occhio di vetro. Fracassa ritornò in montagna con Germano Baron (Turco) e qui rimase fino alla Liberazione. Morì purtroppo tragicamente qualche anno dopo a Dueville, in seguito ad annegamento per caduta in una roggia”.

 

 

SANTACATTERINA GIULIO. Di Giuseppe (operaio caolino) e di Martini Rosa. Nato a Tretto (S. Ulderico) il 15.6.1923. Di leva negli autieri a Verona, poi a Bolzano, all’8 settembre si trovava a casa in convalescenza. Il padre GIUSEPPE emigrò in Francia nel 1929. In parte per motivi politici, rientrò nel 1931 e si tenne in contatto, in senso antifascista, con i fratelli Francesco e Carlo Dalla Vecchia di Santoroso, noti antifascisti, inviati anche al confino. Nel 1940-1941 ebbero luogo varie riunioni in Val Munari, specie presso l’Osteria “Dalla Oliva”. Già nel 1942 Giulio partecipò a qualche riunione dove si discuteva della situazione e si prendevano accordi per diffondere qualche numero dell’Unità quando si poteva averla. Dopo l’8 settembre si formò una cellula comunista tra alcuni operai dell’Industria Saccardo: Garbin Gaetano, Attilio Dalla Vecchia, Santacatterina Giovanni e qualche altro, mentre il collegamento politico con Schio era tenuto da Gildo Broccardo, che ci riuniva qualche volta in Valle dell’Orco con i fratelli Dalla Vecchia e con Dall’Alba Giuseppe, fuoruscito in Francia, iscritto al P.C.I. dal 1921, primo Sindaco di Tretto dopo la Liberazione. Durante la Resistenza si costituì in Tretto un piccolo C.L.N. che collegava l’ambiente di Schio con le formazioni partigiane di montagna.

 


G.
I DICIASSETTENNI SCLEDENSI DEL 1927 A LOVERTINO

 


I giovani della mia classe, il 1927, che nel 1944 avevano 17 anni, non furono coinvolti per la giovane età nelle chiamate alle armi della R.S.I. e, salvo qualche eccezione dovuta a motivi familiari o a spirito avventuroso, non parteciparono alla Resistenza. Malgrado ciò, vuoi per la faciloneria dell’età vuoi per la situazione onnicoinvolgente, anche i diciassettenni si trovarono spesso in pericolo. Personalmente, mi rammarico ancor oggi o rimpiango l’incoscienza bellamente dimostrata nei continui bombardamenti di Bassano del Grappa dov’ero studente al liceo “Brocchi” e collegiale al Convitto Gasparotto, per non dire dei viaggi in bicicletta tra Schio e Bassano sotto i mitragliamenti aerei: i primi erano motivo di curiosità e fascino per l’aviazione, almeno fino a che due caccia non mi piazzarono un paio di bombe a 50 metri, i secondi erano gioco a rimpiattino per il buttarmi nelle trincee e nei fossi ai lati delloe strade.

 

Per la maggior parte ignari di politica e delle “trappole” pericolose e mortali tese dalle forze in lotta, i giovani del 1927 attraversarono quel periodo come oggi quei bambini che giocano nel traffico automobilistico cittadino. In settembre-ottobre del 1944 nacque l’idea da parte dei Comandi germanici di utilizzare gli incoscienti del 1927 per lavori di scavo anticarro lungo la Riviera Berica.

 

A Schio l’elenco approntato dal Comune fu trasmesso ai Carabinieri (aggregati come militi alla G.N.R.) e questi si interessarono per avvisare le singole famiglie. In quel periodo ero già a Bassano per l’inizio dell’anno scolastico 1944-45, i miei non furono avvisati della chiamata del 1927 o non se ne curarono, fatto sta che una notte una pattuglia di Tedeschi vennero a casa per prelevarmi con grande spavento dei miei, che il giorno dopo si precipitarono in municipio per chiarire i motivi della mia assenza.

 

Così mi persi l’avventura della mia classe in Riviera Berica, che mi è stata raccontata dal coetaneo Danilo Broccardo: “Un pomeriggio fummo convocati nella Caserma dei Carabinieri di via Pasini dove, in base ad un elenco comune, c’era tutta la classe 1927. Partimmo in treno accompagnati da alcuni militi i quali si fecero in quattro per assicurarci che in Riviera avremmo trovato un’ottima sistemazione. Invece, giunti a Lovertino all’imbrunire, andammo a bussare ad una casa colonica in mezzo ai campi per trovare un posto da dormire: ci spedirono tutti (20-30) nel fienile e non si chiuse occhio tutta la notte, sia per la luna piena che ci batteva in faccia che per le formiche in circolazione. Al mattino alcuni Tedeschi ci consegnarono picconi e badili e così ebbero inizio i lavori di scavo del vallo anticarro che partiva da Verona. A mezzogiorno con una fame da lupi, ci trovammo tra le mani alcune fette di un pane nero che i Tedeschi erano andati a tagliare in una loro baracchetta, un pane pieno di muffa e con i vermi, nient’altro. Per la frutta i Tedeschi ci avevano addrittura proibito di toccare l’uva nei filari: “Chi tocca un chicco d’uva verrà fucilato!”. No, per noi così proprio non andava, dormire in quelle condizioni, mangiare quella robaccia! Che lo scavo se lo facessero i Tedeschi, perbacco. Ci passammo parola ed alla chetichella nel pomeriggio, mentre i Tedeschi avevano voltato l’occhio, ci allontanammo dal vallo e ci riunimmo nuovamente. Si formò un folto gruppo inquadrato, col caposquadra da noi nominato, ed iniziò la lunga marcia di ritorno a casa atttraverso una strada di campagna. Verso Villa vicentina per poco tutto il gruppo non finiva in bocca ad un presidio tedesco, che fu aggirato. A Vicenza, dopo la lunga camminata, saltammo sul treno in corsa e si arrivò a Schio poco prima del coprifuoco. Noi si aspettava una visita dei Carabinieri o dei Tedeschi nei giorni successivi alla nostra fuga, ma nessuno venne più a chiederci notizie”.

 


H.
LA CASA DI ELIA BERGOZZA

 


ELIA BERGOZZA. Fu Francesco (agricoltore) e fu Zattera Maria. Nato a Monte di Malo il 28.2.1906, sposato nel 1930 con Pilon Giovanna di Schio (Cl. 1908), residente in via Riboli 1. Capotessitore presso il Lanificio Cazzola e caposquadra Pompieri. Così riferisce (5.1.1981):

 

“In lanificio Cazzola i proprietari erano Pietro ed Aldo, quest’ultimo simpatizzante per il Fascismo, mentre il figlio Pierluigi fece parte della Resistenza. In Amministrazione c’erano Villani ed il rag. Fulvio Veghini, come disegnatore ricordo Boesso, all’Ufficio acquisti-vendite Vittorio Rossi; capomacchine Pozza e fuochista Gildo Broccardo. In casa mia ebbero luogo parecchie riunioni (Domenico e Natalino Baron, Sandro Cogollo, Gildo Broccardo, Alfredo ed Emilio Lievore, qualche volta anche la Gina Panizzon con il marito). Spesso giungevano persone da Vicenza, Padova, Verona, che si fermavano a dormire, mentre per il vitto si andava dalle Suore del S. Cuore. D’accordo con mons. Tagliaferro e con Suor Carmelita Avigo da Brescia, direttrice dell’Istituto S. Cuore, si raccoglievano medicinali per portarli ai partigiani. Uno dei miei compiti era anche quello di distribuire giornaletti di propaganda e di smistare ordini”. Le vicende di Bergozza, con Vittorio Rossi, alla Liberazione verranno riportate nel prossimo Quaderno.

 


I.
NOTIZIE DI DINO DARIO

 


DARIO DINO. Di Nicola (commericante) e di Filippi Anna. Nato a Padova il 20.9.1918, medico-chirurgo, residente a Schio. Renitente alla chiamata della R.S.I. restò in Ospedale di Schio (rep. Medico), praticamente ignorato. Tra i suoi ricordi il dr. Dario (12.3.1981) riferisce:

 

“A quel tempo in Medicina era primario il Prof. Antonio Gasparini, coadiuvato dal dr. Concini, da me, dal dr. Ciscato e più tardi dal dr. Aste; invece in Chirurgia ricordo il primario Prof. Arlotta, il dr. Bruno Marchesini, il dr. Negri. Invece il dr. Lavagnoli, che era ricercato, faceva la spola tra Schio e Padova, dove fu accolto a casa mia in via dei Pioppi. Rammento in particolare il fatto che alcuni militi della G.N.R. vennero per prelevare la Amalia Pozza, da noi ricoverata, e che il Prof. Gasparini li tenne in discussione fino a che l’Amalia si eclissò. L’ufficiale fascista capì di essere stato preso in giro e voleva arrestare il Porf. Gasparini. Dopo la Liberazione venne esumato Bogotto e circolò la voce che fosse stato sepolto vivo, ebbe luogo l’autopsia, eseguita dal Prof. Gasparini con la presenza mia, del dr. Antonio Sola e dell’infermiere Antonio Raumer. Il corpo era in fase di iniziale putrefazione, alla testa si rilevarono degli ematomi sottocutanei in zona parietale con un versamento emtaitco meningeo; non furono trovate petecchie emorragiche nel tessuto cerebrale né in quello polmonare, per cui, sulla scorta di questa assenza di petecchie, si ritenne di poter concludere che non vi era stato soffocamento e quindi che probabilmente il Bogotto non era stato sepolto ancora vivo; purtroppo a quel tempo in Ospedale mancavano altri mezzi diagnostici”.

 


L.
STUDENTI UNIVERSITARI

 


Ai primi di ottobre del 1944 il Commissario prefettizio di Schio dr. Giulio Vescovi fece stampare un opuscolo con il testo di una sua conferenza (17.9.44) tenuta al Cinema Centrale e dal titolo “Dichiarazioni e direttive del Commissario Prefettizio agli Scledensi”. L’opuscolo fu inviato a varie autorità civili, militari, religiose di Schio e di Vicenza, ai componenti del Direttorio del Fascio, a qualche industriale, agli studenti universitari, alla Commissione di fabbrica del Lanificio Rossi, a varie categorie professionali, agli 11 barbieri del tempo. Dei molti Elenchi riporto l’ELENCO DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI (manoscritto e incompleto):

 

1. ANDREA LUIGI
2. ANSELMI GUIDO (iNGEGNERIA)
3. BARETTONI FRANCESCO (Medicina)
4. BONIVER GIUSEPPE (Medicina)
5. Nominativo non leggibile
6. BUSNELLI GIANGAETANO (Ingegneria)
7. CARLI ARNALDO (Medicina)
8. CAUDURO GASTONE (Medicina)
9. COCEANI RENZO
10. DORIA ALESSANDRO
11. FONGARO RENZO
12. GRISO GIOVANNI (Legge)
13. GROTTO GIUSEPPE (Ingegneria)
14. GUERCIO LEONARDO
15. MAZZON CARLO (Farmacia)
16. MAZZON GIOVANNI (Ragioneria)
17. PFISTER CORRADO
18. POZZER PIERFRANCO (Ingegneria)
19. SUPPI GIORGIO (Medicina)
20. ZACCARINI CESARE (Medicina)
21. ZULIANI GUIDO (Chimica).

 

Nel ricordo di VALERIO CAROTI (Lettere e filosofia) erano studenti universitari anche BRUNO STOCCO, NANNI LUSIANI, RENATO POLIDORO, i fratelli PAPESSO, SOARDI, NICOLA CAZZOLA, ORTELLI, WILLIAM PIERDICCHI, SERGIO STELLA, MARIO GASPARINI, FRANCO ROSSI ed altri.

 

M.

 


GERARDO PERANDINI. Di Sante e di Filippi Amelia. Nato a Schio il 14.5.1914 (cfr. pg. 59).

 

SANTE PERANDINI. Nato ad Arcole (VR) il 3.4.1867) e morto a Bergamo il 13.6.1946. Di umile famiglia contadina rimase orfano di padre in tenera età. A 18 anni (1885) si arruolava nell’arma dei Carabinieri prestando servizio fino al 1908, allorchè venne congedato col grado di Brigadiere. Il 31.8.1909 sposava Amelia Filippi di S. Gregorio di Cavolpone (VR) dalla quale ebbe 6 figli. Decorato di medaglia d’argento al valore civile per aver salvato da sicura morte, nel foggiano, durante il servizio nell’Arma, due donne “che stavano per perire”. Il figlio Gerardo racconta che Sante era così fedele alla monarchia che alla fine della guerra volle venire a Schio a votare “per il suo Re”: l’età ed i disagi del viaggio in carro bestiame lo portarono a morte per cause polmonari. Gerardo, con la vivacità che gli è propria, si inserì nella Resistenza locale e nel C.L.N. collaborando in particolare con Remo Grendene, con l’amico G.B. Milani e con molti altri. A quel tempo lavorava presso il lanificio Conte ed era un “tiepido” corrispondente del “Gazzettino” (oggi è il decano dei giornalisti locali). I suoi ricordi sono talmente vari e numerosi che non è facile una sistemazione organica. Nella primavera del 1944 ricorda un incontro al Cimitero di Schio con Mariano Rumor, Nevio Quattrin ed un altro, venuti da Vicenza. Di qui veniva a Schio anche una giovane staffetta, la “Paola”.

Quando nell’inverno 1944-45, forse verso febbraio, giunsero alcuni pacchi di programmi della Democrazia Cristiana furono quasi buttati da una parte perché, a suo giudizio, tutti erano presi dai problemi contingenti e dalla speranza che innanzitutto finisse la guerra. Il lanificio Alvise Conte gli dava saltuariamente del denaro per la Resistenza locale, che lui trasferiva a Luigi Zen per la distribuzione successiva. Inoltre Gerardo, per fornire vestiario ai partigiani, usciva a volte di fabbrica con panno militare avvolto attorno al corpo sotto il paltò. Quando a Schio, nell’autunno del 1944, iniziarono gli arresti delle persone indiziate di favoreggiamento alla Resistenza, Gerardo fu avvisato dell’incombente pericolo dalla Gianna Zanon, figlia di Andrea (deportato a Mathausen), e così potè allontanarsi da Schio. Il ruolo di Perandini potrebbe meglio risultare da un suo memoriale.

 


N.
MAGRE’ – RAGA – MONTE MAGRE’

 

GUERRINO BARBIERI (Marat) del Btg.ne “BARBIERI” (Bg.ta MARTIRI VAL LEOGRA) ritiene importante sottolineare il ruolo svolto dall’ambiente di Magrè, Raga e Monte Magrè – famiglie e civili – a favore dei garibaldini armati, che non avrebbero potuto resistere per tanti mesi in montagna senza l’apporto delle famiglie del luogo. Moltissime furono le persone della zona che si prodigarono per procurare generi alimentari, vestiario, medicinali e per nascondere, con loro grave pericolo, i feriti oppure per dare ulteriore alloggio nelle case e nei fienili, malgrado le continue perlustrazioni fasciste, i rastrellamenti frequenti, le possibili delazioni.

“Marat”, in un suo memoriale, scrive che vi fu un collegamento continuo tra le pattuglie del suo battaglione “Barbieri” dislocato sulle colline della zona e le formazioni territoriali. L’organico completo del Battaglione era di 280 partigiani armati, dei quali un’ottantina si trovavano costantemente sui monti, mentre gli altri operavano nei paesi e nelle contrade ed erano sempre pronti per alcune azioni (aviolanci, azioni armate particolari, ecc.). Non è facile nominarli tutti, ma è comunque doveroso ricordare la loro opera preziosa nell’insieme, in quanto il comportamento della popolazione unita e solidale fu determinante per la sopravvivenza dei partigiani armati.

 


O:
IL “PALOMBARO DEL PASUBIO”

 

ELIO GIRELLI, nato a Schio nel 1924, residente a Case di Malo, ha stilato un lungo memoriale tratto da un libro autobiografico inedito dal titolo “Il palombaro del Pasubio”. Esigenze di spazio non ne consentono la pubblicazione integrale, tuttavia alcuni stralci sono particolarmente significativi:

 

“A 17 anni mi arruolai volontario in Marina, nella categoria palombari. Non avevo mai visto il mare! Trascorso un anno ricevetti il brevetto da palombaro normale e 6 mesi dopo quello da sommozzatore. Tutto ciò che riguardava i “sub” era allora considerato alto segreto militare.

Nonostante fossi incluso nel “Gruppo Recuperi Speciali” non desistevano dal farci eseguire ogni giorno immersioni di allenamento per scopi bellici di sabotaggio: marce sul fondo marino in assetto pesante, varchi in rete diurni e notturni, collegamenti per appiccicare le mignatte sotto la carena delle navi, bauletti esplosivi e le grosse testate di siluri pilotati a lenta corsa detti “maiali”.

Il 10 settembre 1943 ero all’Accademia Navale di Livorno e guardavo uscire dall’imboccatura del porto il posamine di Igino Gaspari (Lombardo) di Valli (Quaderno 4°). Il posamine fu colpito di schianto da un incrociatore ausiliario tedesco che gli sparò con i suoi cannoni mimetizzati. La nostra motobarca uscì veloce per aiutare i marinai in mare.

Nel frattempo, scesi da autoblinde e carri armati, entrarono nell’Accademia una mezza dozzina di Tedeschi con machine-pistole e ci riunirono in una lunga fila per tre di circa duecento militari. Da quasi due giorni non vdevamo in giro alcun ufficiale e le mitragliere piazzate sugli stabili dell’Accademia erano state fatte levare e nascondere nelle cantine. I Tedeschi ci dissero che ci consideravano “studenti”, che raccogliessimo le nostre robe e che ce ne andassimo via subito.

Difatti dopo due giorni, in treno e a piedi, arrivai a casa. Nell’aprile del 1944 vi furono i bandi e le chiamate, ma nessuno sapeva come regolarsi, anche perché nessuno ci consigliò adeguatamente. (…). Mi presentai e finii nella incredibile base marittima di Vercelli e di qui nell’altrettanto strabiliante capitaneria di porto di Torino, situata nella celebre casermja degli Alpini “Cernaia”.

Avuto tempestivamente sentore che ci avrebbero portato in Germania, scavalcai le alte mura e, dati i miei brevetti subacquei, mi presentai alla X MAS di La Spezia, dove avevo visto dai giornali illustrati che alcuni miei amici e commilitoni lavoravano ai ricuperi di natanti affondati. Con sbalordimento venni a sapere che il “Gruppo Gamma” (nuotatori d’assalto) si era installato a Valdagno, e così desiderai di essere trasferito a due passi da casa mia.

Poco dopo incontrai in casa della mia fidanzata, figlia di un vecchio antifascista, uno dei primi partigiani della frazione di Case di Malo: Moro Fin (Taras) con la sorella Olga staffetta. Alcuni giorni dopo conobbi “Guastatore”, un forestiero piccoletto, molto ciarliero, che si disse un capo partigiano e mi diede una stelletta di panno rosso con la scritta C.L.N.

Così cominciai a portare delle lettere, dei fogli timbrati di licenze militari ed a scaricare in caserma qualche caricatore di mitra ed a portarlo fuori. Alla mia richiesta di venire via da Valdagno, Guastatore mi ripetè che sarebbe venuto il momento giusto, ma che al presente gli servivo più dentro che fuori.

Poi fummo trasferiti a Venezia per esercitazioni pratiche e seppi dal mio sergente che anche lui era stato in contatto con Catone (Rigodanzo Ermenegildo) e Jura (Pagnotti Armando) della STELLA.

Da Venezia tornammo a Valdagno, ma ambedue eravamo ormai decisi a lasciare la caserma e salire in montagna. (…). Dopo un incontro con Guastatore, restai definitivamente alla macchia prendendo contatto con qualche amico d’infanzia e girando nei boschi della Guizza ed in valle di Gamba.

Quando vi fu l’attacco a Sanvito io stavo entrando in casa e, siccome ero disarmato, non potevo fare un gran che. Su segnalazione di mio zio “Mussolin”, vecchio antifascista bastonato dai Fascisti e capolega di Malo, recuperai sotto il ponte del Livergon tre moschetti ed un novantuno e li portai di notte nel mio fienile.

Più tardi conobbi “Carro” (Angelo Zattra di Malo, cl. 1914) che era stato con il Tar ed aveva il compito di organizzare i territoriali della frazione. Era un uomo di poche parole, non alto di statura, scaltro, buon organizzatore, che sapeva valutare ed infervorare gli uomini. Mi diede una pistola a tamburo ed io lo misi al corrente dei miei facili. Aggregato a lui ed al Btg.ne BARBIERI, cominciò così un periodo di spostamenti nei boschi e sulle colline della nostra zona, sempre alla ricerca di armi ed esplosivo; preparando rifugi e bunkers.

Ricordo che una notte ci unimmo al battaglione, comandato da Leone e Ivan (Manfron Gino), per partecipare al sabotaggio del massiccio ponte sulla statale del Leogra, costeggiando Liviera. Quasi ognuno aveva sulle spalle un sacchetto di esplosivo.

Buttammo i sacchetti entro la botola, preparata dai Tedeschi per far saltare il ponte in una eventuale ritirata, ed attesi un poco sopra l’apertura; visto che vi era già chi dentro armeggiava con la miccia, passai dall’altra parte del ponte nel fossato della strada con un gruppetto, per bloccare eventuali veicoli militari che fossero giunti da Schio. Ad un segnale convenuto ripassammo il ponte minato di corsa: fu uno scoppio formidabile! Tornammo al punto di partenza sotto la collina di Pianezza.

Non ricordo come “Carro” sia riuscito a procurare un meraviglioso bren che il suo amico il “Vecio” (De Tomasi Valentino, Leonseto di Malo) mi portò una sera, poco prima del coprifuoco e tenendo il mitragliatore carico entro un sacco, con la mano destra vicina al grilletto, in posizione spianata sul manubrio: era passato per tutta Malo, attraverso anche la Piazza, che quella sera era più del solito brulicante di nazifascisti.

Ai miei tardivi stupiti consigli che sarebbe stato meglio se fosse venuto a piedi attraverso i campi il “Vecio” mi rispose fiero e sicuro: Se i me fermava, ghe sparavo sul muso!”.

Il mattino dopo evitai per un soffio l’ultimo rastrellamento di Monte di Malo. Giunto l’inverno andai a lavorare sotto la Todt a Luserna ma alla fine di febbraio 1945 me ne venni via. Ai primi di aprile affrontai un fascista armato di mitra e lo disarmai; con il “Bocia” (Gianni Soga di S.Vito), Ottavio Chiumento ed un altro si disarmò due russi (di Marano), che furono scortati a Monte di Malo per consegnarli al Tar”.

 

Il lungo racconto di Elio Girelli prosegue infine sulle vicende occorsegli nei giorni della Liberazione.