QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Maggio 1981 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume XIII
[da pag. 677 a pag. 682] 


“BARBARA”

 

 

di E. Trivellato

 

 

Barbara Stratienskj fu compagna di Pietro Tresso (“Blasco”), nato a Schio (Magrè) nel 1893, salito ai vertici del Comitato Centrale del P.C.I. negli anni venti, figura di rilievo storico nazionale.

 

Barbara è morta di recente a Rimini ed ancora mi rammarico di aver differito per impegni il viaggio e l’incontro con lei, come si era già accordato poco prima della sua scomparsa. In occasione dell’Inchiesta sul “Tribunale Speciale” (cfr. pg. 96) avevo cercato di mettermi in contatto con tutti i processati o con i loro familiari e fu così che, con Barbara, intercorsero alcune nostre lunghe telefonate fra Schio e Rimini.

 

Ebbi l’impressione dai colloqui telefonici, che Barbara fosse interessata a lasciare di Pietro Tresso un ricordo storico obiettivo e non polemico, (stante la “svolta” del 1930) auspicando nel contempo un recupero della sua figura politica; in ciò tuttavia si disse preoccupata di possibili strumentalizzazioni e distorsioni da più parti, per cui manifestava molta diffidenza verso chiunque, fors’anche per le tante amarezze e batoste subìte con Piero durante la loro vita travagliata; nella sua ultima telefonata mi accennò infatti ad alcune richieste di storici americani ed in proposito volle un consiglio.

 

Stranamente gli ero venuto in simpatia, unicamente per telefono e per qualche lettera; mi inviò due libri su Pietro Tresso, uno in edizione italiana e l’altro in francese, con preghiera di depositarli nella Biblioteca civica di Schio; mi chiese notizie sul tipo e colore politico dell’amministrazione civica scledense; espresse dei giudizi curiosi ma “centrati” su qualche vecchio comunista locale.

 

Quasi presentendo io stesso una sua scomparsa a breve termine, di cui lei poco prima di essere ricoverata in ospedlae ebbe coscienza e premonizione, trascrissi in brevi appunti quanto mi andava dicendo per telefono, anche per poter considerare con calma e cognizione gli argomenti da discutere prima del nostro previsto incontro a Rimini.

 

Non avevo allora, né oggi, l’intenzione di affrontare storicamente un personaggio difficile come Pietro Tresso, che ebbe una vita movimentata (periodo scledense, italiano, francese), ma l’interesse per il Tribunale Speciale e la simpatia di Barbara in un certo senso mi coinvolsero e, adesso ch’ella è morta, mi sembra doveroso, forse anche importante, pubblicare gli appunti telefonici di quel dicembre 1977, malgrado i difetti e le imprecisioni inevitabili di una tal forma di testimonianza.

 

I.
ALCUNE TELEFONATE

 

 

“Ho ricevuto il suo espresso e purtroppo non sono in condizioni di salute per muovermi e venire a Schio per la cerimonia (50° Anno Promulgazione Leggi eccezionali – Municipio di Schio). Quand’è?” - “Sabato alle ore 11” – “Peccato perché una persona che avrebbe potuto venire invece si sposa. Io le manderò un libro con la biografia (di Pietro Tresso) per espresso. Però non desidero che, trattandosi di una cerimonia, vi sia una battaglia politica (su Tresso). Ci sono anche i familiari di tutti gli altri processati e quindi è più giusto ricordarli dal lato umano, per quello che hanno tutti sofferto. Mi affido a lei, perché mi pare una persona al di sopra delle parti. Pietro Tresso era un operaio che si è fatto tutto da sé; era una persona molto buona, che non ha mai fatto male ad una mosca perché era contro la violenza. L’attestato (della cerimonia) ha poca importanza, però ho piacere se mi scriverà. Quando la notte non posso dormire, penso a tutti quegli anni di tribolazioni, quando c’era lo stalinismo”.

 

 

SECONDA TELEFONATA.

 

 

“Le invierò due libretti da leggere e da depositare poi nella Biblioteca comunale. Ho un ritaglio dell’AVANTI del 2 gennaio 1963 che ha il titolo: La riabilitazione di una vittima italiana.

Personalmente avrei piacere che venisse sistemata una lapide nella sua casa di nascita”. 

_ Che carattere aveva Pietro?”

- “Aveva una sensibilità un po’ scontrosa. Alto, sereno, molto taciturno, interiormente staccato e di una grande onestà intellettuale. Ebbe sempre amore per lo studio, era abilissimo nel disegno, studiò da solo matematica e inoltre scriveva lettere molto belle; ma contemporaneamente manifestava anche uno spiccato realismo”.

- “Le parlò di Schio?”

- “Era nato in una famiglia poverissima, fu manovale al Lanificio Rossi e non aveva potuto completare gli studi elementari. Più tardi passò alla Camera del Lavoro ed ottenne una borsa di studio per recarsi a Milano a studiare all’”Umanitaria” ed io conservo ancora gli appunti delle lezioni tenute dai più grandi socialisti del tempo (Fausto Pagliari, Antonio Labriola, Giustino Fortunato).

- “Che età aveva allora?”

- “Sui ventanni. Si iscrisse ad un corso per sindacalisti ed essendo allora in discussione la questione meridionale accettò di recarsi in Sicilia presso una Camera del Lavoro. Ne ritornò inorridito per il sistema di vita: aveva visto tagliare gli orecchi ad un uomo. Intanto giunse la prima guerra mondiale, fu inviato alla Scuola Ufficiali, venne coinvolto in un processo contro gli antimilitaristi ma fu assolto: fu tuttavia considerato un sovversivo. In Asiago contrasse una malattia polmonare ed ebbe l’invalidità. Dopo la guerra si trovava alla sinistra del P.S.I., poi aderì al Partito Comunista e nel Congresso di Livorno fu eletto al Comitato Centrale. Sono tutte notizie che troverà nel libro. La sua rottura nel 1929 fu piuttosto dura e quando si trasferì in Francia la sua permanenza era illegale. Per aiutarlo mi cercai un lavoro anche come donna di servizio, poi in una fabbrica. Si viveva a Marsiglia. Ricordo che Ignazio Silone si era interessato per fargli avere un visto regolare per il Messico, ma Blasco non aveva passaporto ed inoltre preferiva restare vicino all’Italia”.

- “E nell’ultima guerra?”

- “Nel 1941 fu denunciato alla Gestapo e quindi diventò clandestino. Nell’estate del 1942 vennero diffusi a Marsiglia dei volantini contro il governo di Vichy e fu uno dei pochi gesti clamorosi. Blasco fu individuato ed arrestato e poco dopo venni arrestata anch’io”.

- “Che età aveva allora Pietro Tresso?”

- “Sulla cinquantina. Dopo l’arresto fummo messi a confronto e lui venne torturato in mia presenza battendolo con un ferro. Seguì il deferimento al Tribunale Militare di Marsiglia assieme ad altri che erano stati scoperti con un ciclostile. Imputato di attività antinazionale venne condannato a dieci anni e tradotto in una prigione militare del dipartimento di Haute-Loire (?). Conservo ancora una sua lettera nella quale mi scrive: “La finestra della cella apre su di una piazza e vedo delle viti con l’uva. Mi sembra di trovarmi davanti lo stesso panorama della mia casa a Magrè”. Nell’ottobre del 1943 i maquis organizzarono un’evasione in massa; c’erano quattro giovani partigiani ed erano indecisi se portare i prigionieri con loro oppure rilasciarli; mi fu detto che addirittura sbagliarono strada. Con i prigionieri andarono sulle montagne dell’Alvernia (?). Appena lo seppi, io partii alla ricerca di Blasco, ma i contadini del luogo non volevano parlare perché non mi conoscevano ed avevano paura. Riuscii anche ad avere l’elenco delle 80 persone fatte evadere. I comandanti maquis erano comunisti ed uno dei capi era a S. Etienne (?), dove il padre aveva un negozio di biciclette; vi andai con una foto di Blasco, per chiedere dov’era finito. Parlai anche con molte donne, però nessuna aveva notizie. In quei giorni erano andati su in montagna anche degli anarchici antimilitaristi e questi mi dissero che i maquis avevano fucilato quattro nel bosco”.

- “Riuscì ad avere altre notizie?”

- “No. Era scomparso e quindi non mi fu nemmeno possibile trovare dov’è sepolto. In seguito mi sono rivolta all’Ufficio dispersi, ma mi trattarono male, perché (dopo la Liberazione) molti in Francia lanciano accuse alla Resistenza. Venni a sapere che durante l’occupazione tedesca c’era un ufficio legale diretto da Mosca: fece vedere la foto di Blasco ma mi risposero che non lo avevano mai visto. Cosicchè restò tutto nel vago”.

 

 

TERZA TELEFONATA.

 

 

“Alla cerimonia (in Municipio) sarà opportuno invitare anche i parenti di Schio. La Luigina in particolare è stata sempre molto gentile con me. Purtroppo sono molto malata e temo di dover andare in Ospedale oppure al Cimitero”.

 

 

II.
DUE IPOTESI

 

 

Sulla morte di Pietro Tresso, che ha suscitato interrogativi in Barbara, e sulla quale “allo stato attuale delle ricerche non si hanno che ipotesi” (Pia Leonetti Carena, v. dopo), mi sia consentito di esprimere il mio punto di vista, derivante dall’esperienza di questi cinque anni di ricerche sulla guerriglia partigiana garibaldina. In sostanza Tresso morì o fu ucciso in ambiente partigiano.

 

 

Una prima ipotesi è che Pietro Tresso sia deceduto per morte naturale, sepolto alla buona o abbandonato da un gruppetto di partigiani che poi restarono uccisi o rimasero ignoti.

 

I comandanti-responsabili di partito non approfondirono subito e adeguatamente la faccenda o non ci riuscirono per la precarietà sia della situazione che dello stesso ambiente partigiano francese.

 

Appare accertato che Tresso nella prima guerra mondiale ebbe licenza illimitata per invalidità e Barbara mi ha accennato ad una forma polmonare (tbc); quando nell’estate del 1942 venne arrestato a Marsiglia e bastonato, finì poi in un carcere per oltre un anno, cioè fino alla sua Liberazione ad opera del maquis nell’ottobre del 1943.

 

Improvvisamente, per lui cinquantenne, ebbe inizio una vita partigiana nel pieno inverno 1943-1944 (la sua morte sarebbe avvenuta nell’aprile del 1944). Da noi in Val Leogra un anziano del genere difficilmente sarebbe sopravvissuto, sarebbe stato un peso, sia per le difficoltà di nasconderlo, sia per gli strapazzi, sia per i rastrellamenti, indipendetemente dal suo prestigio o importanza politica.

 

Qui da noi parecchi partigiani non s’impressionarono né si trapparono le vesti, quando il maggiore Wilkinson (Freccia) restò ucciso in Tonezza, benchè Freccia fosse il maggior responsabile delle missioni segrete inglesi nel Veneto.

 

 

Una seconda ipotesi è che la morte di Pietro Tresso sia avvenuta per motivi politici, essendo egli stato un “frazionista” del Partito comunista sia in Italia che in Francia. Non escluderei che il Tresso, una volta aggregatosi alle formazioni comuniste dell’F.T.P., abbia manifestato o addirittura fatto propaganda delle sue idee di frazionista e ciò con quella preparazione teorica e quel rigore dialettico che contraddistingue ad esempio gli “internazionalisti”.

 

Supponiamo per un attimo che, in piena guerriglia armata, fosse capitato in Val Leogra un teorico del genere in seno al Comando garibaldino GAREMI e proprio nell’inverno 1944-45, quando vi erano i problemi di Sergio, del Comando unico, delle manovre della Missione inglese, della necessità di tenere unite le formazioni garibaldine. E’ certo che i nostri comunisti locali (da Nello Boscagli a tanti altri) si sarebbero premurati di far allontanare con le buone, e dall’alto, un tipo così scomodo.

 

Sorge quindi il dubbio che con Tresso, tra i partigiani francesi, sia successa una cosa simile, ma con modi un po’ più violenti. Sul filo di questa seconda ipotesi resta da vedere se l’uccisione possa essere avvenuta per iniziativa autonoma di un capo-partigiano francese duramente stalinista, un’iniziativa che, a fatto compiuto venne poi coperta dai responsabili italiani di partito, fors’anche per non urtare la Resistenza francese o per non sollevare un polverone scandalistico nel dopoguerra, quando in Italia ed in Francia c’erano ben altre preoccupazioni politiche.

 

In casi simili la scelta della “via nebulosa” è d’obbligo, a mio avviso, in tutti i partiti ed è senza dubbio la meno scandalistica: la verità può costituire un’arma in mano agli avversari, il frastuono di tante campane e ipotesi è tutto sommato preferibile.

 

Mi è stato obiettato che Tresso, in quanto scomodo, era troppo noto ed importante per avanzare l’idea dell’iniziativa autonoma di un capo-partigiano. L’obiezione è valida nella misura di altre obiezioni possibili, ma avevo già premesso che le mie ipotesi si fondavano e si limitavano ai soli aspetti della guerriglia partigiana, sulla scorta dell’esperienza locale.

 

 

Di ciò volevo appunto discutere a Rimini con Barbara Stratienskj, in quanto lei aveva battuto la zona alla ricerca del suo compagno Pietro Tresso e quindi poteva forse conoscere meglio la situazione “reale” della Resistenza francese e comunista in quei luoghi; ella inoltre conosceva le condizioni fisiche di Tresso in quel periodo.

 

 

NOTE DI APPROFONDIMENTO

 

 

I. - Una biografia di Pietro Tresso viene riportata in sintesi da E.M. Simini, Il nostro signor capo, Odeonlibri, Vicenza, 1980. Sulla sua scomparsa l’autore scrive: “La misteriosa fine di Pietro Tresso, da alcuni attribuita a sicari stalinisti, ha indubbiamente rappresentato un serio ostacolo ad un sereno riesame dell’intera questione. Riesame che a nostro avviso andrebbe comunque svolto non fosse altro che per rendere omaggio alla memoria del grande dirigente comunista e per rispondere a quei numerosi compagni che, ancora viventi, ebbero la possibilità di lavorare, lottare e soffrire con lui, e che chiedono la sua riabilitazione. Quello che è certo, comunque, è che Pietro Tresso fu uno dei quadri politici del P.C.I. più significativi ed importanti e questo torna ad onore del movimento operaio scledense e della sua storia – tutt’altro che provinciale, come si è visto – che permisero di esprimerlo” (pg. 264).

 

II. Pia Leonetti Carena, moglie di Alfonso Leonetti, dedicò anni di ricerche minuziose per identificare gli italiani caduti nella Resistenza francese o deportati. “Si calcola che 5.000 italiani durante l’occupazione tedesca si unirono ai resistenti francesi nei maquis della metropoli e ne crearono anche di propri. In duemila almeno, vi lasciarono la vita”. “Non c’è dipartimento in Francia che tra i suoi morti non conti partigiani antifascisti italiani. Scrivere la storia di questi Caduti è praticamente impossibile: di molti, di troppi, mancano i documenti o le testimonianze orali o scritte”. “I quasi seicento caduti di cui siamo riusciti, attraverso mille difficoltà, a raccogliere i nomi, non rappresentano che una parte – forse dal 30 al 40 per cento – degli italiani caduti in Francia combattendo per la libertà”. La signora Leonetti pubblicò i risultati delle sue ricerche in un libro (Gli italiani del maquis, 1966, Ed. Cino Del Duca, Milano), nel quale (pg. 94), indicando i Caduti dei vari dipartimenti, scrive:

 

 

HAUTE – LOIRE

 

 

JANNELLO Salvatore, detto “Giannello” o “Dante”. Nativo di Sommatico (Caltanissetta), antifascista. Emigrato giovanissimo in Francia per sfuggire alla schiavitù fascista. Membro dell’Unione Popolare Italiana e iscritto al Partito Comunista Francese: lavora nella clandestinità con i minatori di La Mure fin dall’inizio dell’occupazione tedesca (…).
Arrestato nel settembre 1942 è portato nella triste fortezza di Montluc e poi condannato a dieci anni di lavori forzati. Trasferito successivamente nelle carceri di Le-Puy-en Velay, la notte dal 1° al 2 ottobre 1943 è liberato da un colpo di mano degli F.T.P. (Franchi Tiratori Partigiani) della regione con 82 altri prigionieri di cui 80 politici e va a far parte del maquis del Meygal. In 8 mesi, per ben 10 volte la sua sezione è attaccata dalla Milizia di Vichy che, esasperata dagli scacchi subiti, ritorna in forze con soldati tedeschi. Una vera battaglia si ingaggia nel territorio di Montbuzat, comune di Yssingeax (Haute-Loire) la mattina del 22 aprile 1944. La lotta dura fino a mezzogiorno. La sezione decimata. Jannello e uno spagnolo entrambi feriti vengono (poi) massacrati sul posto. Il suo nome figura con quello di 8 altri resistenti su una stele eretta a Chièzes a nord di Montbuzat. (1)

 

(1) Nel gruppo di prigionieri liberati dal carcere del Puy si trovava, quella notte, anche Pietro Tresso (Blasco). Mentre risulta con certezza che Tresso raggiunse il maquis F.T.P.F. (Franchi Tiratori Partigiani Francesi) del Meygal, sulla sua morte in aprile 1944, allo stato attuale delle ricerche, non si hanno che ipotesi.

 

 

 

III. - Tra i seicento nomi di Italiani caduti in Francia nella Resistenza o deportati in Germania non è possibile individuare nell’elenco i “VICENTINI”, poiché per lo più mancano i luoghi di nascita. Ad esempio trovo un POZZER ATTILIO (resistente, morto in deportazione, titolare della tessera di C.V.R. a titolo postumo, con mensione “Mort pour la France”, il cui cognome è tipico di Valli del Pasubio. Risultano invece sicuramente della Provincia di Vicenza i seguenti nominativi:

 

 

PARIS (E) OSVALDO, 18 anni, nativo di Vicenza, volontario incorporato nell’Armèe Francaise”, 13° Semi-brigata. Cade in battaglia sul fronte alsaziano. - (ALSACE).

 

BAGNARA GIOVANNI, nato il 15.11.1916 a Conco (Vicenza). Emigrato giovanissimo in Francia. Renitente al lavoro obbligatorio, si dà alla macchia con i compagni francesi come partigiano. Caduto in uno scontro a fuoco con la Milizia speciale di Vichy il 4 marzo 1944. - (DORDOGNE).

 

RIZZONI FRANCESCO, di Gismondo, nato il 29.10.1904 a Cismon (Vicenza). Partigiano.

 

SORANZO ANTONIO, nato il 28.3.1923 a Cismon (VI). Partigiano.

 

SORANZO ANTONIO-MARIANO, nato il 13.10.1900 a Cismon (VI). Partigiano. Tutti e tre furono trucidati dai paracadutisti tedeschi a Vassieux-en-Vercors il 21 aprile 1944. - (DROME).

 

MASCHIO GIOVANNI BATTISTA, nato il 22.6.1898 a Cismon (VI), domiciliato a Saint-Martin-de-la-Porte. Resistente. Abbattuto dalle truppe tedesche in territorio di Saint-Michel-de-Maurienne: - (SAVIE).

 

FERRARI ALBERTO (alias “Ventura”), nato il 22.11.1903 nel Vicentino. Volontario nella Guerra di Spagna (18 mesi di campagna), volontario nella Legione straniera per la durata della guerra, partigiano nella Resistenza francese dall’1.4.1944 nella unità d’assalto F.T.P.F. 2404, caduto in un combattimento contro una colonna germanica nei pressi di Limoges il 20 ottobre 1944. E’ sepolto nel cimitero di Rilhac-Rancon presso Limoges assieme ai suoi compagni di lotta. - (HAUTE-VIENNE).

 

LETTER VITTORIO, nato a Torrebelvicino (Vicenza) il 9.10.1899, residente a Algrange (Mosella) dal 1935. Segretario dell’Unione Popolare Italiana. Arrestato dalla Gestapo il 23 dicembre 1944 e deportato in Germania dove muore il 12 maggio 1945.

 

BOSCARDIN GIOVANNI, fu Luigi, nato a Lusiana (VI) il 25.7.1894, residente a Clamart (Seine). Già combattente nella guerra di Spagna. Deportato per attività antifascista da Compiègne a Buchewald nel gennaio 1944. N.ro matricola 39917.

 

 

 

IV. - La Resistenza francese fu molto complessa ed un raggruppamento delle formazioni di vario colore ed intendimenti si ebbe nel giugno del 1944. In modo sommario, senza tener conto delle diverse situazioni geografiche, si può dire che esistevano: a) le formazio di EX MILITARI del disciolto esercito – b) le formazioni di ispirazione comunista del “Front National” (F.T.P. = FRANCS-TIREURS-PARTISANS) – c) le formazioni del M.N.L. (Mouvement National de Libération) corpi franchi che, specie nel Sud, erano nati dalla fusione di varie formazioni resistenziali: gruppi franchi, maquis, gruppi Fer, gruppi di Action Ouvrière, ecc.