QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Luglio 1980 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.

 
Volume XI
[da pag. 551 a pag. 560]


BORGHESIA SCLEDENSE E RESISTENZA


APPUNTI
di E.TRIVELLATO

 

 

 

Si scrive molto oggi sul mondo operaio e contadino, come pure è costante l’interesse per gli uomini egregi. Meno si discute sulla media e piccola borghesia, malgrado la storia italiana post-unitaria insegni come ogni partito, uomo o gruppo di potere ne abbiano sempre ricercato il consenso con un atteggiamento di blandizie ma anche, nel profondo, di disistima.

 

 

La borghesia nata dalla rivoluzione industriale ottocentesca è un insieme sociale molto vario che, almeno qui a Schio, ha raggiunto la sua massima vitalità in termini politici dal 1900 al 1914 (borghesia giolittiana), che si è scompaginato durante l’avvento del Fascismo (1919-1926), che è entrato in decadenza politico-culturale nel periodo fascista e che infine non ha retto all’urto della Seconda Guerra Mondiale.

 

 

Un discorso diverso devesi applicare, a mio parere, quando si consideri invece la borghesia scledense sotto il profilo della intraprendenza e della operatività. Infine la mentalità medio-piccolo-borghese che nasce dopo il 1945 è notevolmente differente a Schio rispetto al “decoro” della borghesia di derivazione giolittiana ed a notare il cambiamento di stile, di pensare e di agire sono in particolare le persone oltre i cinquantanni le quali hanno conosciuto nell’infanzia il clima e la noblesse della media borghesia prebellica.

 

 

Come area geografica di studio penso che Schio rappresenti un buon punto di osservazione perché qui fu violento lo scontro fra la classe dominante, imperniata a fine Ottocento sulla figura di Alessandro Rossi, ed un mondo operaio tessile (marginalmente metalmeccanico) che vanta una tradizione di lotta dal 1870 ai giorni nostri.

 

 

Di riflesso anche gli studi per una storia politico-economica della borghesia scledense, intermedia fra mondo operaio e padroni, assumono un significato di più largo respiro rispetto alle innumeri istoriette locali.

 

 

Purtroppo vi sono alcuni fattori sfavorevoli, che vanno tenuti presenti. Siccome l’appartenenza alla media borghesia, un tempo motivo di prestigio, ha assunto dopo il 1945 una connotazione spregiativa, alcuni partiti, che pure in passato si sono avvalsi dell’opera sincera di qualche borghese, tendono oggi a rimuovere questi personaggi dalla memoria ed a far apparire tali presenze come storicamente eccezionali o poco significanti.

 

 

Inoltre, diciamolo pur chiaro, la media e piccola borghesia si è notevolmente compromessa con il Fascismo per i motivi che verranno detti più innanzi e quindi si evita di scrivere in maniera documentata per non tirar fuori gli scheletri dagli armadi di più di un partito.

 

 

Benchè la media e piccola borghesia sia abbastanza ubiquitaria in seno a tutti i partiti, sia pure in percentuali diverse, per le cause sopradette nessuno ha la motivazione politica per far luce con un po’ di distacco. In questo forse hanno ragione coloro i quali affermano che la storia è sempre di parte, se non altro per omissione.

 

 

L’argomento trova sede nei Quaderni della Resistenza perché le famiglie borghesi di stampo giolittiano e quelle affermatesi durante il Fascismo arrivano fino alla Seconda Guerra Mondiale e qui, a mio avviso, chiudono un’epoca.

 

 

Nel corso delle ricerche sul tessuto cittadino di Schio agli inizi del Novecento e durante la Resistenza mi sono imbattuto in un gran numero di microstorie individuali che s’inquadrano nel tema più vasto “Borghesia e Novecento” e che potrebbero trovare collocazione in un lavoro organico di vasta mole, più esaustivo, puntualmente documentato.

 

 

In questo Capitolo dei Quaderni ho ritenuto di anticipare solo alcuni “APPUNTI” da rivedere e meglio calibrare in futuro, ma che mi sembrano utili e pertinenti per tentare di capire i comportamenti della borghesia durante la Resistenza.

 

 

FISIONOMIA – Possiamo dire che in passato l’operaio o il contadino si identificavano per le braccia da lavoro, o solo quelle. La fisionomia invece del medio e piccolo borghese era sfaccettata e difficile da cogliere in sintesi.

 

 

Vi appartenevano i liberi professionisti laureati (avvocati, notai, ingegneri, medici) che furono Sindaci di Schio dal 1875 per quasi cento anni, salvo alcune eccezioni per brevi intervali (i diplomati liberi professionisti ebbero accesso alle cariche politiche con il Fascismo). Vi potremmo comprendere alcuni possidenti, di vario lavoro libero, con piccole rendite fondiarie e/o immobiliari aventi lo scopo precipuo di garantire una vecchiaia serena in tempi senza previdenza sociale, ma comunque ben lontani dalla consistenza fondiaria e dalle rendite agrarie e immobiliari dei Da Schio o dei Barettoni.

 

 

Vi appartenevano alcuni commercianti di maggior prestigio e stima nell’opinione pubblica, forse una decina a far tanto (con il Fascismo vi entrarono anche commercianti di minor pregio e decoro sociale) Vi erano compresi alcuni dirigenti d’azienda (Fontana cav. Ing. Elio) ad alto stipendio (i capi) che dipendevano dal padrone in maniera più o meno dignitosa.

 

 

Nel primo decennio del Novecento si nota l’assalto alla diligenza borghese da parte di qualche impiegato statale di concetto (Arnaldo Sala dell’Ufficio Registro fu anche Prosindaco nel 1912) e durante il Fascismo questo fenomeno si accentuò.

 

 

In età giolittiana troviamo in cariche sociali di prestigio alcuni insegnanti di scuola superiore per meriti di cultura, serietà professionale e decoro, mentre l’ingresso dei maestri avvenne più tardi con il Fascismo (ad esempio il noto maestro Tadiello).

 

 

Scendendo di grado e di fragilità sociale, in quella che di solito si definisce la piccola borghesia, dobbiamo includervi i modesti commercianti al minuto, gli impiegati d’ordine del settore privato e pubblico ed altri consimili che erano abbastanza vicini al proletariato locale, formato da un mondo operaio povero e, nelle frazioni di Poleo ma soprattutto di Giavenale, da un numero modesto di contadini.

 

 

La piccola borghesia acquistò qualche ruolo sociale e politico solo in periodo fascista. Per quanto riguarda la media borghesia sopra accennata, considerando che Schio agglomerato contava circa 9.000 abitanti, penso che sia proprio difficile enucleare quella cinquantina di persone che ebbero un incarico politico, fruendo dei Registri consiliari, dell’Anagrafe, degli Albi professionali e commerciali, degli Archivi catastali.

 

 

Però, sulla scorta dell’esperienza, ritengo indispensabile che si debba partire dagli inizi del secolo e dalle famiglie medio-borghesi dell’età giolittiana, per non trovarsi più innanzi con personaggi dalle redici gignote.

 

 

OSCILLAZIONE PENDOLARE- Un elemento in comune che distingueva a mio parere il medio borghese era una indecisione psicologica di fondo, una specie di oscillazione pendolare, fra una aspirazione a Grandi Ideali (Patria, Religione, Progresso) sofferti sinceramente e nello stesso tempo una aspirazione più concreta sia a proprietà in beni e denaro sia ad una posizione sociale di prestigio e di decoro.

 

 

In pratica il Nostro si commuoveva alla Fanfara militare o alla Processione del Venerdì Santo o alla lettura dei Miserabili, ma sapeva scoprire un buco in un Bilancio.

 

 

La logica del sentimento era divergente rispetto a quella dell’economia. E questo conflitto interiore lo hanno sempre mantenuto in uno stato ansioso aggravato da una coscienza di fragilità nei confronti della classe dirigente, la quale invece in pace e in guerra non ha mai freddo ai piedi.Lo stato ansioso era comunque attenuato dalle soddisfazioni sociali che la media borghesia godeva rispetto al mondo operaio. Mi si potrebbe obiettare che anche le classi dirigenti mirano all’ordine sociale, al prestigio ed ai Grandi Ideali, ma una cosa è il servirsene ed un’altra il crederci.

 

 

TIPOLOGIA – Potremmo distinguere i borghesi “tranquilli” legati alla concretezza economica, poco portati ad inserirsi in iniziative sociali, a volte per non compromettersi politicamente, tiepidi o indifferenti in religione, sostanzialmente opportunisti e preoccupati innanzitutto della sicurezza personale e della stabilità dell’ordine sociale.

 

 

Vi erano poi i borghesi “ambiziosi”, sia detto senza spregio, che ambivano al perfezionismo professionale, al successo economico ed all’approvazione pubblica sacrificando anche i piaceri della vita, che spasimavano per un incarico politico e che a volte, in questa loro ansia, cambiavano addirittura indirizzo ideologico (camaleontismo).

 

 

Vi erano infine i borghesi dei “Grandi Ideali” ed in essi dominava l’irruenza emotiva verso la Patria (nazionalisti) o verso la Religione (clericali) o verso il Progresso (socialisti). In effetti la distinzione è scolastica e di comodo perché i tre tipi coesistevano nella stessa persona e se ne accentuava uno a seconda dell’età, dell’ambiente, del momento storico.

 

 

PRESENZA UBIQUITARIA – Va considerato a parte il periodo fascista a regime unico perché tutta la borghesia venne iscritta quasi d’ufficio al P.N.F. Invece i due periodi di studio interessanti per vedere gli orientamenti politici della media e piccola borghesia scledense sono gli inizi del Novecento (età giolittiana) e gli anni dell’avvento del Fascismo.

 

 

Giolitti, un politico di razza, diede fiato ai borghesi sia mantenendo l’ordine sociale con i suoi terribili Prefetti ( a Schio in piena crisi liberale nel 1907 vi fu una gestione del Commissario prefettizio), sia impegnandoli nelle riforme amministrative, tributarie, assistenziali, scolastiche, dove la borghesia aveva buon gioco per competenza tecnico-amministrativa (aumentò gli impiegati statali da 98.000 a 260.000).

 

 

Ma, costretto a navigare in un mare agitato dai socialisti e dai cattolico-liberali, non riuscì a coagulare gli Italiani in un Grande Ideale e, perplesso sulla guerra di Libia e più portato alla distillazione politica che all’entusiasmo immaginifico, Giolitti non sfruttò il “Tripoli bel sol d’amore”, anche perché l’Italia entrò poco dopo nel clima tragico della Prima Guerra Mondiale.

 

 

Allo stato attuale della ricerca mi sembra di poter affermare che il medio borghese giolittiano era a Schio ubiquitario, cioè presente in tutte le ideologie del momento (liberali, cattolico-clericali, radicali, socialisti), naturalmente con percentuale prevalente nei liberali e nei cattolico-clericali.

 

 

D’altronde l’aspirazione quasi congenita a Grandi Ideali e la sua oscillazione pendolare prima detta portava di frequente il borghese, o i suoi figli, a simpatizzare per ideologie anche in contrasto con i suoi interessi economici e siccome a Schio a quel tempo erano presenti e discusse tutte le ideologie possibili, compreso un buon nucleo anarchico, non fa meraviglia di trovare il borghese presente anche dove non ce lo aspettiamo.

 

 

Per poco che ci spostiamo alla vicina Thiene, cittadina allora priva di un consistente ed effervescente mondo operaio, il borghese è già cristallizzato quasi esclusivamente nei liberali e soprattutto nell’”ambiente cattolico”.

 

 

AGGETTIVO “CATTOLICO” – Mi trovo sempre perplesso nell’uso dell’aggettivo “cattolico” (borghesia cattolica, movimento operaio cattolico) perché dice ben poco in area veneta, in quanto qui da noi esiste una secolare tradizione reverenziale verso la Chiesa anche da parte di molti Comunisti agguerriti (subito dopo la Liberazione i garibaldini scledensi della GAREMI con fazzoletto rosso al collo parteciparono in Duomo di Schio ad un Te Deum di ringraziamento officiante l’Arciprete, salvo pentirsene amaramente nel 1948).

 

 

Nei Veneti mi sembra di notare sempre un arcaico sottofondo “cattolico” che porta spesso gli atei e gli anti-clericali in situazioni di paradosso molto curiose e saporite, per sopravvenuta malattia o per imminenza di morte. Mi pare quindi giusto, nel caso di argomenti storico-politici, distinguere alcuni comportamenti.

 

 

Vi erano i cattolici-clericali, i quali si identificavano con quelle persone che frequentavano assiduamente le canoniche, erano attivisti o dirigenti nelle associazioni cattoliche, esprimevano con poche varianti il pensiero dell’Arciprete o del Parroco. Secondo alcuni si tratta di degnissime persone che godevano di un’ottima opinione pubblica, e questi estimatori non usano mai l’aggettivo “clericale” per il suo tono spregiativo; secondo altri le persone anzidette erano dei “basabanchi” privi di senso critico e succubi del Clero, e questi detrattori tendono spesso ad identificare tutti i cattolici con la categoria sopradetta.

 

 

Ma la conoscenza dell’ambiente ed una certa obiettività consentono di differenziare anche la categoria ben più numerosa dei cattolici-praticanti animati pur essi di genuino sentimento religioso ma che nei rapporti con il Clero mantenevano una loro discreta autonomia di pensare e di agire.

 

 

Volendo proprio riunire le due categorie ho preferito usare la dizione “ambiente cattolico”. Più in là vi sono i cattolici-indifferenti per i quali la religione viene praticata per consuetudine formale cittadina, ma che manifestano una assoluta libertà nelle loro scelte ideologico-politiche. Ancora più in là troviamo i “laici”, che pur rispettosi del Clero si fanno un punto d’onore il distinguere ciò che è di Cesare.

 

 


SCELTE DELLA MEDIA E PICCOLA BORGHESIA – Il medio ed il piccolo borghese ambizioso e quello dei Grandi Ideali sono portati naturalmente all’attivismo sociale ed eventualmente all’incarico politico. E’ ovvio che le sue scelte sono condizionate da quello che dà il mercato in un dato momento storico.

 

 

Ad esempio a Schio dal 1900 al 1905 c’erano due sole possibilità ragionevoli per entrare nell’Amministrazione civica: con l’appoggio degli industriali e dei liberali oppure tramite il Clero e l’”ambiente cattolico” che simpatizzava ed appoggiava la classe dominante. Solo un po’ più tardi si aprì un’alternativa concreta con l’Amministrazione bloccarda radical-socialista del Sindaco avv. Anzi (1908-1912) ed è in questi Consigli comunali che dobbiamo ricercare i nomi di una certa borghesia “laica” o “cattolico-indifferente” esistente a Schio a quel tempo e che si è affiancata ai Socialisti.

 

 

Poi vi fu la riscossa nel 1913 del gruppo liberal-cattolico-clericale capeggiato dal Barone Alessandro Rossi (junion) ed è in questi Consigli comunali che possiamo identificare la borghesia liberale e dell’”ambiente cattolico”; scompaginata dalla bufera della Prima Guerra Mondiale, riemerge con altri nomi (ad esempio l’Ing. Domenico Greselin) nel 1920 (1). L’altro periodo interessante per lo studio della borghesia scledense e dei suoi comportamenti è quello dell’avvento del Fascismo, sul quale recentemente ha aperto uno spiraglio Ezio Maria Simini (“Il nostro signor Capo”, Odeonlibri, Vicenza, 1980) con una raccolta di documenti d’archivio che merita attenzione.

 

 


BORGHESIA SCLEDENSE E FASCISMO – Con le Leggi eccezionali per la difesa dello Stato (1926) e con l’affermazione violenta del P.N.F. la borghesia volente o nolente (niente tessera= niente lavoro) ebbe un’unica scelta e, tutto sommato, trovò comodo adattarsi alla nuova situazione nei precisi limiti imposti dall’alto.

 

 

A parte qualche eccezione che sentiva mordere il freno, nella maggioranza il Fascismo acquistò credibilità e consenso, e non solo presso la borghesia. Quest’ultima però fu privilegiata. Infatti Mussolini rappresenta, a mio avviso, un maestro nell’uso politico della borghesia, perché stabilì l’ordine sociale in modo autoritario e fece contenti i borghesi tranquilli, poi distribuì cappelli e fettuccine dorate ai borghesi ambiziosi e infine sacralizzò con la sua voce rituale gli immancabili Destini italiani, ruspando nella storia ogni buon pretesto, e tenendo così sullo spago i borghesi dei Grandi Ideali.

 

 

Non ho dubbi sul fatto che Mussolini ebbe l’immaginazione creativa necessaria per rendere felici e quindi per governare un popolo mediterraneo che nella maggioranza è sostanzialmente ludico e che antepone i problemi calcistici a quelli politico-economici. Il Maestro inoltre cercò di non interferire con mano troppo pesante nell’uso della borghesia che fa la Chiesa, perché in questo la Chiesa lo menava a scuola.

 

 

Difatti il Vaticano si era già trovato con l’”ambiente cattolico” in uno stato ansioso a causa del “non expedit” che tagliava le gambe nell’accesso alle cariche pubbliche; il Vaticano era riuscito un po’ alla volta a calmarli, con pazienza ecclesiastica nel giro di una quarantina d’anni, prima con i richiami papali autoritari, poi con l’attivismo e le cariche associative nell’Opera dei Congressi, poi con la Crociata anti-socialista ed infine, quando la pera fu matura politicamente, inserendoli nell’agone pubblico con il Patto Gentiloni. Direi: una tecnica da manuale.

 

 

A Schio durante il Fascismo la maggior parte dei professionisti, commercianti, impiegati cercò di dedicarsi al proprio lavoro con l’operosità tradizionale degli Scledensi e fu quindi assunto l’abito del borghese tranquillo, professionalmente serio e corretto. Non mancarono naturalmente gli infatuati dell’ideologia fascista oppure i maniaci della divisa come rivalsa per meriti inconsistenti, né mancarono quelli che approfittarono del Fascismo per i propri interessi suscitando l’irritazione anche di qualche fascista intransigente; naturalmente qualcuno mescolava in varia dose tutti questi comportamenti.

 

 


25 LUGLIO 1943 – Con il Fascismo la borghesia scledense ottenne l’ordine sociale necessario per lavorare in pace, ma nello stesso tempo venne a mancare sul piano politico e culturale quello scontro di opinioni che rende combattiva e vitale una categoria sociale e quel libero scambio di idee con l’esterno e con le correnti internazionali che sprovincializzano un ambiente.

 

 

Le nuove generazioni si trovarono a scegliere fra l’adesione ideologica al Fascismo e la discussione o la lotta intestina all’ordine del Partito oppure l’inserimento nelle iniziative a-politiche ed asettiche dell’”ambiente cattolico” (Salesiani e Canonica) oppure lo sterile isolamento di provincia, salvo qualche studente che portava a Schio dei fermenti dall’Università di Padova.

 

 

Per questi motivi e per il clima di guerra che poi seguì, la borghesia si trovò impreparata ad affrontare il 25 luglio 1943 e la drammatica situazione che seguì: 45 giorni sono pochi per recuperare politicamente anni di governo a partito unico.

 

 

Al 25 luglio il mondo operaio scledense, indaffarato a toglier fregi ed a cantare Bandiera Rossa, non rinvangò colpe e addebiti a quelli che avevano portato le fettuccine dorate e non si verificarono episodi violenti, nemmeno contro i Fascisti di poca specchiata virtù, malgrado in questo le classi subalterne abbiano una memoria da elefante, poiché, per ricordare meglio le canaglie, si suddividono il ricordo in tanti.

 

 

Fu chiuso il prima del 25 luglio e si aprì un nuovo libro di conti dopo l’8 settembre 1943, sommando in tal caso l’eventuale comportamento in periodo fascista (manganellate, emigrazioni forzate, soprusi) con quello tenuto durante l’occupazione tedesca (delazioni, uccisioni di partigiani, deportazioni), su cui l’ambiente della Resistenza aveva un suo controspionaggio, con informazioni derivanti dallo stesso ambiente della G.N.R. e del P.F.R.

 

 


8 SETTEMBRE 1943 – Nella maggioranza della borghesia di Schio fu assunto immediatamente l’abito del borghese molto tranquillo (trovare da mangiare al mercato nero, niente fare paura non avere, portare fuori la pelle e la famiglia dalla guerra).

 

 

Il motto “Credere, obbedire, combattere” dei tempi delle parate diventò SOPRAVVIVERE. I commercianti continuarono negli scambi di merce e nel mercato nero, di solito per necessità, qualcuno con intento speculativo; per gli insegnanti e gli impiegati a stipendio fisso fu un periodo nero da sottoproletariato ed anche i professionisti tirarono la cinghia.

 

 

Però, a differenza del mondo operaio che per le tante batoste subite manifesta in questi momenti una forte solidarietà di classe, il piccolo e medio borghese si chiuse in se stesso per paura di compromettersi e diffidò anche a livello di parenti.

 

 

A Schio, fra tutte le categorie sociali, aderirono al nuovo P.F.R. solo 167 persone di varia età, come risulta da una Relazione della Sezione di Schio datata 12 dicembre 1943, e sulle quali sarebbe storicamente interessante conoscere le motivazioni individuali.

 

 

Da notizie raccolte con discrezione mi risulta che parecchi lo feceroi per necessità di conservare uno stipendio fino alla fine della guerra, alcuni per paura di ritorsioni da parte dei Fascisti chiaramente minacciate anche da Mussolini, alcuni per fedeltà ideologica e simpatia verso un Duce perdente, qualcuno per nostalgia delle squadre di azione che erano state messe in doppiopetto, qualcunaltro perché il 25 luglio aveva spazzato via i Fascisti profittatori ed ora c’erano solo i pochi ma buoni, in un caso perché il nuovo Partito era repubblicano, in buona parte per giustificata reazione al comportamento di Badoglio e della Casa regnante, alcuni altri perché si illudevano di poter fare da cuscinetto fra l’arroganza tedesca e la cittadinanza, altri infine per non essere tacciati di viltà abbandonando il Partito nel momento critico dopo vent’anni di regime, altri per un ritorno alle radici socialiste.

 

 

Ritengo ingiusto un giudizio “grossolano”, alla boscaiola, sul P.F.R. di Schio, perché l’elenco delle buone intenzioni potrebbe continuare nelle giustificazioni e sfumature più varie. Tuttavia occorre sottolineare che questi propositi iniziali vennero frustrati ben presto dal clima di odio che si instaurò nel 1944 a causa delle continua uccisioni di partigiani da una parte e di fascisti dall’altra.

 

 

La lotta si inasprì in maniera imprevista e spietata e spesso, per la durezza del Comando tedesco, oltre le intenzioni del locale P.F.R. A ciò si aggiunga l’arrivo a Schio di ufficiali e di aguzzini foresti dell’Ufficio Politico e della G.N.R.

 

 

Mi sembra quindi più equa una valutazione “ad personam”, caso per caso, tenendo tuttavia presente che le informazioni in possesso dei partigiani erano più approfondite e puntuali di quanto si pensi. Naturalmente il tempo breve trascorso non permette di pubblicare, in una storia locale, le testimonianze singole a causa del comprensibile riserbo dei protagonisti di ambo le parti.

 

 

Nel contesto generale comunque, tenendo presente lo scarso numero di aderenti al P.F.R. (alcuni non scledensi da sempre ma foresti immigrati) e l’altrettanto scarso numero di persone della media borghesia che si inserirono nella Resistenza, credo si possa affermare che la borghesia scledense si tenne fuori dalla lotta per quanto fu possibile e che in sostanza questa categoria sociale èpiù idonea nel suo insieme ai tempi di pace che alla violenza di una guerra di scontro ideologico, come si profilò a Schio in quei venti mesi. Questo il tessuto cittadino, un discorso diverso ed altrettanto comp’lesso va fatto per l’ambiente militare sostanzialmente a-politico della R.S.I.

 

 


BORGHESIA E RESISTENZA – Il discorso sulla sopravvivenza applicato alla borghesia, valido sotto altra connotazione anche per buona parte del mondo operaio, nulla toglie al movimento resistenziale, anzi esalta quelle poche persone della borghesia, e non altre, che ad un certo momento sentirono degli impulsi soprattutto patriottici (per il Grande Ideale Patria), in parte antitedeschi per antico rancore, in alcuni per motivazione ideologica di varia natura, persone le quali misero coraggiosamente in pericolo sé e le famiglie inserendosi nella Resistenza armata e civile accanto al mondo operaio ed agricolo-montanaro, superando ogni barriera di classe e condividendo i disagi ed i pericoli di una guerriglia “in accerchiamento permanente”, come ho sottolineato in altra occasione.

 

 

Sono quei pochi della piccola e media borghesia di Schio, che oggi forse non intendono apparire molto, ma che allora salirono con entusiasmo in montagna o operarono in pianura o furono attivi nell’infido ambiente cittadino o perirono nei campi di sterminio nazisti.

 

 

Pochi, perché, rispetto al numero degli operai, la consistenza numerica della borghesia non è molta. Un altro problema inerente a questa categoria sociale riguarda il fatto che a Schio ed in Val Leogra l’organizzazione resistenziale fu per la maggior parte presa in mano dai Comunisti (Brigate d’assalto GAREMI), per cui le presenze di giovani e meno giovani di estrazione borghese si disperdono nel contesto generale.

 

 

Ma quale fu l’impatto o il rapporto di questi giovani con l’ideologia marxista? Da quanto mi risulta alcuni aderirono non solo militarmente ma anche ideologicamente al Partito Comunista, che nei 45 giorni e subito dopo l’8 settembre 1943 si dimostrò il più pronto e preparato, in quanto anche durante il Fascismo non aveva mai rinunciato alla battaglia in posizione attendista e quindi inserì subito nella Resistenza sia i militanti locali sia i quadri politici usciti dal confino sia i garibaldini di Spagna sia alcuni personaggi foresti inviati appositamente in un’area operaia come Schio dal terreno propizio.

 

 

Alcuni altri giovani di estrazione piccolo-medio-borghese entrarono nella GAREMI (l’unica formazione esistente nella nostra zona montana) però conservarono una loro a-politicità di fondo oppure i loro precedenti punti di vista, facendo prevalere l’istanza patriottica e trovandosi a volte in contrasto con i Comunisti.

 

 

Ma particolarmente interessante è l’ingresso nella GAREMI di persone dell’”ambiente cattolico” e le situazioni che si vennero a creare in quei venti mesi. Teniamo presente che nella zona non esisteva l’alternativa di una formazione “autonoma” scledense che accogliesse questi “cattolici” sia della borghesia che del mondo operaio e sul tipo di quelle che si costituirono invece a Thiene e nel Vicentino.

 

 

L’”ambiente cattolico” di Schio non ne ebbe forse l’intenzione o mancò della prontezza di organizzazione necessaria o più probabilmente delle persone adatte per avviare a Schio ed in Val Leogra una Resistenza armata e civile in parallelo a quella presa in mano dai Comunisti. Si optò per un fronte comune con essi. Il tema è troppo stimolante e complesso per affrontarlo in questo già lungo capitolo di Appunti.

 

 

 

 

NOTE . Avviso ai lettori: Alla fine di questo articolo di Trivellato sulla borghesia scledense l’autore aggiunge molti elenchi di consiglieri eletti nel 1913, chiarendone le tendenze poolitiche.  Poi pubblica la seduta del 16 aprile 1919 riportando i nomi dei consiglieri presenti. Riporta pure la seduta del 29 ottobre 1920 e i nomi di tutti gli eletti. Lo stesso per la seduta del 26 dicembre 1920 e i nominativi dei responsabili di tutte le commissioni comunali.

 

Trivellato aggiunge alla fine di questa documentazione (gli studiosi interessati la possono leggere in biblioteca) un’altra

 

NOTA. Questa la pubblichiamo integralmente.

NOTA – Per una Storia della piccola e media borghesia scledense, a far bene, occorre risalire alla situazione professionale, (dati catastali, cariche pubbliche) del Lombardo Veneto, quale risulta dall’anagrafe 1850 e da altri Archivi. Ad ogni modo, anche i primi anni del Novecento (1900-1903), per la evidente cristallizzazione degli incarichi politici, possono essere un buon punto di partenza (studio in corso di prossima pubblicazione).

 


A partire da questi anni la classe dirigente degli industriali e dei possidenti locali venne posta brutalmente di fronte al pericolo socialista con l’ammministrazione bloccarda radical-socialista Anzi (1908-1912) e quindi ricorse all’”ambiente cattolico” per concretare una riscossa (1913).

 

Dopo la Prima Guerra Mondiale nuove generazioni rientrarono dai fronti e premevano per entrare nelle cariche pubbliche. Gli industriali (di riflesso anche i possidenti), nelle elezioni del 1920, non si presentano per le massime cariche (Sindaco ed Assessori) a causa degli impegni di fabbrica, sia gestionali che conseguenti agli scioperi.

 

Il legame con l’Amministrazione civica viene mantenuto con presenze in Commissioni (Barone Alessandro Rossi nelle Scuole – Alvise Conte, Lora Luigi e Silvio Cibin nelle Imposte dirette – Guido Cibin nella Comm.ne elettorale – De Pretto Ing. Silvio nella Comm.ne edilizia e nella Scuola Arti e Mestieri), in pratica restando nelle quinte.

 

Con la vittoria dei Popolari scledensi l’amministrazione civica viene presa in mano completamente dall’”ambiente cattolico” di Schio (Sindaco Greselin Ing. Domenico, Assessori: Alessandro Dalla Ca, Gustavo Dal Pozzolo, Maule Ing. Sillo, Santacatterina cav. Rag. Alessandro).

 

E’ l’antica alleanza del 1900-1903 e del 1913 (Industriali il Sindaco e la Giunta, “cattolici” in appoggio in Consiglio), ma nel 1920 capovolta (“Cattolici” il Sindaco e la Giunta, Industriali nelle Commissioni). Le dimissioni dei Socialisti nel 1920 fanno mancare in Consiglio comunale qualsiasi opposizione.

 

Con la vittoria dei Popolari scldensi la nuova piccola e media borghesia post-bellica, in parte solo genericamente cattolica, conquista l’Amministrazione civica e si infiltra in tutte le Commissioni tecniche. In pratica ha in mano tutto il tessuto cittadino.

 

Un ulteriore studio nell’argomento dovrebbe chiarire, a livello di singole persone, quanti Popolari locali furono poi “soppiantati” durante l’avvento del Fascismo avvenuto in sede nazionale, quanti dei “cattolici” restarono nelle cariche pubbliche durante il periodo fascista, quanti inoltre, fra quelli della scalata del 1920, furono ben presto fautori del nascente Fascismo.

 

Un analogo studio potrebbe chiarire la posizione assunta dagli industriali. Da queste ricerche sarà così possibile capire meglio il comportamento della piccola e media borghesia, cattolica e laica, di fronte agli eventi del 1943-1945 (Resistenza, attendismo, R.S.I.). Dopo il 1945 si apre un altro interessante capitolo di Storia scledense della piccola e media borghesia.