QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Luglio 1980 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
 
 
Volume XI
[da pag. 574 a pag. 580]


GLI EBREI A SCHIO

Appunti di Giovanni Meneghini dalle testimonianze di Remo Grendene, Domenico Baron, Edi Maraschin

 

 

 


Ricordiamo qui di seguito alcuni nomi di ebrei (1) che si trovarono a Schio o perché residenti o di passaggio, nel periodo bellico, accennando alla vicenda che vissero, per quanto è stato possibile raccogliere nomi e fatti da testimonianze o da documenti. Di un primo gruppo esiste, presso Remo Grendene, un epistolario che arriva fino ai nostri giorni, non essendosi interrotta la corrispondenza per i legami di amicizia instauratisi.

 

 

Di un secondo gruppo si hanno sintetiche notizie, lasciate scritte dalla signorina ebrea, convertitasi al cattolicesimo, Ernestina Steif. Questo primo contributo di ricerca sarà possibile in seguito ampliarlo su segnalazione; comunque ecco il risultato riguardante il primo gruppo.

 

 

Nell’aprile 1941 avvenne l’avanzata italiana in Jugoslavia mentre sul confine opposto avanzavano le truppe germaniche. Molti jugoslavi si presentarono volontariamente alle truppe italiane e, dopo che queste erano scese lungo il litorale, furono imbarcati per Ancona, dove furono accolti in qualità di internati civili. Le destinazioni furono varie ma si sa che alcuni furono collocati anche ad Arsiero, Posina e Valli del Pasubio.

 

 

A Valli ce n’era una ventina e tra questi va ricordata la signora Olga SPIEGEL di Zagabria con 2 ragazzi: Felice di 12 anni e Mladen di 14 anni. Alloggiavano all’Albergo Alpi, gestito allora dai coniugi Filippi. Nell’albergo alloggiava pure una ungherese di nome RIGONI che ebbe a sposarsi a Valli. Tutti gli internati di Valli furono aiutati dalla popolazione nelle loro prime necessità per una loro sistemazione.

 

 

I due ragazzi Spiegel, seppure in giovane età, furono occupati al lavoro da Attilio Sberze e dal farmacista dr. Guido Tessari. All’occasione ebbero assistenza medica dal dr. Pontivi. Rimasero nella legalità domiciliati a Valli dal novembre 1941 fino all’ottobre 1943.

 

 

Altra famiglia, a Valli, era composta dalla signora Manzi STERN col marito Bandi FRIEDMAN e la figlia Branca. In contatto con questa famiglia viveva quella della signora Livia Sterna (classe 1912) sorella di Manzi, col marito Miroslav OBERSOHN di Tel Aviv; costui e il Friedman, per la loro professione, possedevano degli strumenti musicali.  Miroslav si faceva chiamare Fritz e Livia Lilly. Oltre che dalle ristrettezze del soggiorno, come internati civili, non ebbero a subire molestie. Dalla coppia Obersohn il 20 aprile 1943 nacque il figlio Gerard; nascita che venne registrata all’Ospedale di Schio.

 

 

L’8 settembre si ebbe il proclama di Badoglio. I nostri tre gruppi familiari pensarono allora di entrare nell’illegalità poiché, quali ebrei, sentivano vicina la minaccia antisemita hitleriana. E che la situazione fosse realmente mutata lo conobbe subito il 9 settembre 1943 la signora Olga la quale fu convocata, assieme agli altri jugoslavi, dal Brigadiere (o Maresciallo) dei Carabinieri che comandava la stazione di Valli del Pasubio; egli fece vedere un ordine di arresto per tutti gli ebrei, informandoli però che, per quanto stava in lui, avrebbe considerato di aver ricevuto quell’ordine nel giorno seguente (2).

 

 

Olga Spiegel non se lo fece ripetere e con l’aiuto dei coniugi Zucchi-Zuliani, che aveva conosciuti in precedenza, trova rifugio nella contrada dei Corobolli nel mulino sul Gogna sopra Poleo nella località della “Bojaoro”.

 

 

Le famiglie Friedman e Obersohn trovarono rifugio momentaneo presso gli stessi coniugi Zucchi i quali decisero di rivolgersi all’arciprete di Schio mons. Tagliaferro per un qualche suggerimento; vennero infatti alloggiati per una notte in canonica e poi avviati anche loro ai Corobolli dove trovarono aiuto dai vicini sig. Bertoldo e figli e dal sig. Cerbaro, il quale aveva il figlio Cesare cieco.

 

 

Entrò in questo punto in azione l’operato della sig.ra Edi Tomielllo Maraschin e di suo padre i quali, avvertiti di quanto stava accadendo, dal loro cugino Domenico Perazzo, si prodigarono nel postare ai Corobolli dei viveeri per i rifugiati. Fondi per aiuti vennero raccolti da allora da Remo Grendene e da Domenico Baron interessando industrie locali e privati.

 

 

Non mutò l’opinione pubblica al sorgere della Repubblica di Salò che, fondata il 12 settembre, al 27 novembre dava il via allo Stato fascista repubblicano.

 

 

Il popolo è ormai profondamente avverso a ogni corrente filo-nazista e quel tentativo di restaurazione non fa che peggiorare le cose, in assenza del Re trasferitosi al sud nell’Italia occupata.

 

 

Al delinearsi della primavera 1944 iniziarono i rastrellamenti dei militi della R.S.I.  Avendone avuto sentore, per evitare la cattura i rifugiati,  aiutati dalla sig.ra Edi, trovarono un nascondiglio a Poleo e là si trasferirono tempestivamente.

 

 

Solo la signora Olga, avendo dimenticato ai Corobolli dei valori, che vi aveva nascosti, ritornò sui suoi passi per riprenderseli cadendo nel rastrellamento che si stava svolgendo nella zona. Catturata dagli ucraini, che erano stati incorporati nelle bande nazifasciste venne imprigionata a Schio, iniziando una detenzione di cinque settimane.

 

 

Fu necessario allora provvedere ai figli di Olga che Don Michele Carlotto di Valli, avendo l’appoggio di Don Giuseppe Molon di Vicenza, ottenne fossero accolti presso l’Istituto San Gaetano di Vicenza. L’organizzazione parrocchiale si dimostrò in quel tempo una preziosa rete di collegamento per trovare residenze provvisorie di nascondiglio per molti ebrei e politici ricercati. 

 

 

Nel maggio 1944 avvenne uno scontro a fuoco a Corobolli (descritto a pag.144) e in luglio l’incendio delle due case nella vicina contrada detta Bojaoro, oltre a rastrellamenti con morti e feriti.

 

 

Prolungandosi la detenzione della sig.ra Olga, venne concertato fra Domenico Baron e Remo Grendene, che ormai collaboravano in copia, come poter liberarla. Fu deciso che il sig. Grendene chiedesse l’intercessione all’avv. Ruggero Rizzoli, per quella donna madre di due figli bisognosi, accolti provvisoriamente dall’Istituto vicentino.

 

 

La cosa riuscì poiché, senza approfondire, l’avv. Rizzoli rilasciò una lettera con la quale il Grendene potè ottenere la rimessa in libertà di Olga. La signora venne accolta in Casa Panciera, presso le Suore Giuseppine, con la raccomandazione di non uscirvi per nessun motivo.

 

 

Le famiglie Friedman e Obersohn si sottrassero al rastrellamento ai Corobolli, di cui abbiamo detto sopra, rifugiandosi in casa del sig. Domenico Baron che ottenne di alloggiarle in seguito nella casa Donadelli al Castellon di Magrè. Là vissero qualche tempo ma, venuto meno sicuro l’abitarvi, vennero accolti in casa del sig. Remo Grendene, da dove poi si trasferirono a Milano, e da quella città scrissero il 2 luglio, per poi passare in Svizzera da dove scrissero il 27 agosto.

 

 

In una brutta situazione si mise la sig.ra Olga quando, nel febbraio del 1945, volle uscire da Casa Panciera per delle compere. Arrestata, venne nuovamente imprigionata, nell’impossibilità questa volta di venire nuovamente liberata per l’inasprirsi della situazione politico-militare.

 

 

Nel marzo 1945 l’Italia venne liberata fino alla linea Gotica, Marzabotto-Rimini mentre il Veneto si avviava ad avere la guerra in casa. Finalmente il 21 aprile è liberata Bologna, il 28 avviene la fucilazione di Mussolini, il 29 avviene la liberazione di Schio e il 30 il suicidio di Hitler. La guerra è terminata ed Olga può finalmente essere rimessa in libertà, ottenere a Schio una regolare carta d’identità e andare a riprendere i suoi due figli a Vicenza. Rimasero a Schio per tutto luglio.

 

 

Le famiglie Friedman ed Obersohn intanto attraverso l’Austria erano ritornate a Zagabria giungendovi verso la metà del 1945. Tutti si salvarono ma Livia Sterna, al ritorno, non trovò più la sua mamma e nemmeno la moglie e il bambino di suo fratello, che erano stati deportati e morti ad Auschwitz.

 

 

Per riprendere la loro professione, le famiglie Friedman ed Obersohn abbisognavano di riavere i loro strumenti musicali, lasciati a Poleo dal sig. Perazzo e qualche baule lasciato all’Albergo Alpi presso i coniugi Filippi. Per le difficoltà ferroviarie ciò fu possibile solo nel maggio del 1947 quando la sig.ra Livia ritornò personalmente nei luoghi del suo internamento.

 

 

Ritornò non solo per riprendere la sua roba ma anche per riabbracciare le tante persone che avevano aiutato lei e i suoi cari a superare le molte necessità quotidiane e le situazioni di pericolo. Anche Spiegel Mladen, ora ingegnere a Zagabria, viene saltuariamente ogni 3-4 anni a Schio presso la famiglia Pozzer.

 

 

Per brevità del racconto non ci è accaduto di accennare ad altre persone che pure parteciparono a soccorrere gli ebrei e le citiamo per dovere storico. Della città di Schio i sig. Fulvio Veghini, Vittorio Pontarin, Rag. Vittorio Dalle Molle e, per la sua importantissima prestazione, il sig. Igino Rampon, impiegato all’anagrafe comunale, che compilava i documenti per gli ebrei usando dei nomi falsi.

 

 

Per curiosità possiamo aggiungere che ad Olga Spiegel venne dato il nome di Spiller; ai Friedman quello di Massignan e ai Obersohn quello di Farma. Della città di Valli del Pasubio fu importante l’opera del sig. Rigoni.

 

 

Poco si sa dei 45 ebrei di Ferrara e di Trieste accolti da Mons. Tagliaferro ed alloggiati nella Casa della Provvidenza e dalle Suore nella Parrocchia del S. Cuore. Era norma dell’Arciprete, in quel tempo, di non lasciare mai nulla di scritto sull’argomento (3).

 

 

Per il secondo gruppo di ebrei ci basiamo sulle note manoscritte della signorina ERNESTINA STEIF di cui parliamo subito. La signorina Steif si trovava a Schio in qualità di interprete presso la Fonderia De Pretto-Escher Wyss, dal primo dopoguerra. Viveva con il nipote dr. Ing. Foelkel ed aveva abbracciato la religione cattolica.

 

 

Al delinearsi della minaccia razziale fu in un primo tempo ospite della famiglia Gasparini e poi ricoverata presso le Suore Giuseppine, ma quando l’Arciprete Mons. Tagliaferro avvertì tutte le Case religiose di Schio che sarebbe stata fatta una perquisizione presso di loro, la Steif si trasferì ad Isola Vicentina.

 

 

Il nipote fu ospitato prima presso l’Istituto Salesiano e poi all’Ospitale Baratto dove, data la sua infermità, poteva passare veramente per un degente. La signorina Steif e suo nipote furono costantemente aiutati dalla Fonderia D.P.E.W per tutto il periodo della loro latitanza. Vissero sotto falso nome e riuscirono a sfuggire alla cattura. Lei sopravvisse al nipote e morì molto anziana nel 1974.

 

 


La promulgazione delle leggi razziali del 1938 aveva fatto perdere il posto di capo, all’ufficio telefoni di Schio, all’ebreo GRAZIANI che però rimase in città lavorando privatamente come elettricista. Alle prime avvisaglie della discriminazione razziale si era convertito, con la moglie e i figli, al cattolicesimo, forse nell’illusione di sfuggire al peggio.

 

 

Fu solo dopo il 1° dicembre 1943 che venne accolto, come altri, all’Ospitale Baratto dove continuò a prestare internamente il suo lavoro, invece di fingersi, ammalato. Di là fu prelevato dalle “forze dell’ordine e sparì senza lasciare traccia.

 

 

Un ebreo, di forse nome RAVENNA, fu in un primo tempo accolto in casa del negoziante Grendene (morto circa nel 1960) e poi anche lui all’Ospedale Baratto; presso l’Ospedale si comportò stranamente, forse non rendendosi conto del pericolo che correva lui stesso e chi lo ospitava.

 

 

Fuggita da Trieste, sotto la minaccia di un bombardamento di cui correva voce, si rifugiò a Schio la signora Medea BRUCHNER con 2 figli e i genitori. Suo padre Eppinger, ebreo religioso, era proprietario delle 2 maggiori pasticcerie di Trieste. La signora Medea col marito e i figli erano passati al cattolicesimo. A Schio la Medea fu accolta presso le suore del S.Cuore; il figlio 14enne dai Salesiani; la figlia 17enne dalle suore di Priaforà e i genitori ottantenni al Baratto.

 

 

Tre sorelle ebree religiose, non più giovani, di nome MORPURGO, provenienti anche loro da Trieste, si erano fermate e Vicenza; la maggiore aveva bisogno di cure che le furono fatte dal prof. Pototschnig. Nel dicembre 1943 il professore le inviò a Schio. Qui furono accolte al S.Cuore dalla Superiore Suor Carmelita Avigo la quale trovò per loro qualche difficoltà solamente perché, nella loro qualità di ebree, non potevano mangiare certe qualità di canre ed altri cibi.

 

 


(1) – NOTE SULLA “QUESTIONE EBRAICA” – La gente in genere, e non solo quella di Schio, incominciò ad interessarsi della questione degli ebrei dagli ultimi mei del 1943, quando col sorgere della Repubblica Sociale di Salò, i tedeschi in Italia ebbero mano libera nelle deportazioni. Prima di allora la questione, propagandata dal regime fascista con leleggi razziali del 1938, aveva lasciata la gente turbata ma mancante di motivi allarmanti.

 

Turbatone era stato, anche lo stesso Mussolini, verso metà marzo 1943, quando apprese la verità della “soluzione finale” come veniva intesa ed attuata in Germania; infine esplose l’allarme generale col grande rastrellamento degli ebrei a Roma il 16 ottobre ‘43. Dopo di allora l’aspetto tragico dello sterminio rimase ancora sconosciuto ai più, tanto che costituì una terribile scoperta anche per le truppe anglo-americane quando arrivarono ad aprire i campi di concentramento germanici.

 

Quelli che se ne erano interessati prima del 1943 appartenevano o a una ristretta categoria dirigente del fascismo o, per uno scopo opposto, a cuna categoria di persone pensose della sorte di amici o conoscenti ebrei. Quindi verso la fine del 1943 molti cercarono di rendersi conto della persecuzione degli ebrei.

 

Nel secolo precedente si era formata una opinione contraria agli ebrei sia in certi settori politici ma ancor più economici, che trovano l’appoggio della Chiesa. Bisognava quindi risalire ancora nel tempo. Risvegliando certi ricordi di catechismo, ricevuti nell’infanzia, si poteva trovare formulata una incriminazione del popolo ebreo.

 

E’ l’incriminazione di deicidio, formulata dalla Chiesa all’inizio del suo potere temporale, al fine evidente di assicurarsi la preferenza nelle relazioni con l’Impero rispetto al popolo eletto. Quella taccia di popolo deicida superò i secoli, anche se a un esame storico critico perdeva ogni sua consistenza. Essa rimase passivamente accettata fino ai giorni nei quali la persecuzione nazista, facendola sua, ne aveva posto il problema anche alle menti più svagate.

 

Premesso ciò, sembrerebbe di trarne la conclusione che nel 1943 la Chiesa meno di tutti si sarebbe mossa in favore degli ebrei. Vero è che invece, prima dell’inizio delle ostilità, il Papa Pio XII si adoperò per far emigrare persone di stirpe “non ariana” come è documentato nell’Opera della Santa Sede per la pace (Testi e documenti – Istituto cattolico per la stampa – Milano 1940).

 

Cosa fece in seguito è rimasto controverso, certo rifuggì da una protesta papale, ritenuta inefficace, se non probabile causa di un inasprimento contro i non ariani. In specie dopo il 1943, e ancor più dopo la fine della guerra, quella condotta lasciò perplessa la risvegliata coscienza popolare che si sarebbe aspettata che avrebbe potuto avere ripercussioni di risononanza mondiale. Ma Pio XII non era né Gregorio Magno né S.Ambrogio, né Gregorio VII o Innocenzo III, legato com’era ai Patti firmati dal suo predecessore.

 

Tacciare il popolo d’Israele di deicidio è l’estendere a tutto un popolo la colpa che fu invece di un esiguo gruppo di Farisei. Costoro erano di una corrente di Giudei entrati in compromesso con la religione idolatra dei re ellenici, senza però divenire pagani. Israele (lottatore con Dio) è il nome che Dio aveva assegnato a Giacobbe, figlio di Isacco, 2000 anni prima della nascita di Cristo. La lunga storia delle 12 tribù, deportate a Ninive e a Babilonia, disperse e, dopo le loro guerre d’indipendenza, riunite, registrò l’affermarsi della profezia della nascita del Messia sotto al loro primo re non ebreo, Erode il grande, salito al trono nel 40 a.C. 

 

Gli ebrei si aspettavano un Messia guerriero e liberatore del popolo d’Israele ma le profezie dicevano invece che il Mesia sarebbe stato il Salvatore di tutti e non solo degli ebrei. Gesù predisse la distruzione del Tempio degli ebrei e per questo essi furono i primi persecutori del cristianesimo, con una guerra di religione conclusasi con la loro dispersione nel 70 d.C.

 

Per motivo politico e religioso anche l’Impero Romano fu ostile ai Cristiani fino al 313 d.C. con l’avvento di Costantino il Grande, ma verso i discendenti dei romani non permasero accuse discriminanti. Verso gli ebrei invece si tramandarono, essendo rimasti fedeli al loro credo religioso e di qui l’estendersi a tutto il popolo l’accusa di deicidio riguardante i Farisei.

 

Caduto l’Impero Romano e sopravvenuta la calata dei barbari, la Terra Santa fu occupata nel VII secolo dai mussulmani. Le crociate non riuscirono a liberare il S.Sepolcro ma risvegliarono una rinascita religiosa popolare e apersero l’epoca dei traffici marittimi.

 

Conseguenza delle condizioni di quei tempi fu il costituirsi di un potere temporale dei Papi che fece loro quasi abbandonare la missione di spirituale sovranità della Chiesa, tanto che questo potere ebbe bisogno della conferma tutta terrena di Carlo Magno.

 

Alla decadenza politica del Papato che seguì, si oppose la Riforma protestante, che venne corretta ma non cancellata dal Concilio di Trento (1545-1563). Rimase comunque il potere temporale che aperse un nuovo campo di contrasti col mondo; in modo particolare con gliEbrei, che davanti all’espandersi del Cristianesimo, dopo Costantino, avevano dovuto ritirarsi a vivere di commercio, conservando per sé la religione giudaica, fino a quando Paolo IV, nel 1556, istituì il ghetto di Roma ad imitazione di Venezia, privandoli dei privilegi che avevano di commerciare e possedere ed inoltreobbligandoli ad uscire contraddistinti da un drappo giallo, con inasprimento dei rigori e dei divieti attuati già nel 1215 da Innocenzo III.

 

Anche altre città istituirono poi il ghetto, sull’esempio di Venezia dove nel ‘700 Andrea Tron provvide nuove restrizioni contro gli ebrei che cominciavano ad essere temibili sul piano economico.

 

Nell’Ottocento Pio IX allentò le restrizioni ma intanto gli Ebrei, che non erano formati solo dai poveri del ghetto, avevano esteso il loro potere economico, amministrando banche, industrie e commerci. L’influenza giudaica e l’influenza cristiana entrarono in conflitto particolarmente in Austria quando il movimento sociale cristiano si volse alla difesa sociale contro il liberalesimo e le dottrine materialiste.

 

I cristiano sociali divennero allora il braccio secolare della Chiesa, che con gli ebrei manteneva ancora una profonda separazione. Per controbattere gli Ebrei, questa corrente cristiana non risparmiò le insinuazioni polemiche, considerandoli tutt’uno con i framassoni, i comunisti, i liberali, gli atei ed inoltre alieni dal lavoro manuale, viziosi ed usuruai. Dopo di essere stati intenzionalmente separati nei ghetti, furono accusati di aver loro volutamente rifiutato la fusione con gli altri popoli per un loro orgoglio di sangue, religioso e storico.

 

Da parte laica l’antisemitismo era diffuso e ce ne dà una prova un opuscolo pubblicato da Osman-Bey, ufficiale turco, che nel 1880 ebbe a polemizzare col giornale “Il tempo” di Venezia, pubblicando: Gli ebrei alla conquista del mondo – IX edizione Internazionale e II Italiana; presso Luigi Favai – Venezia 1883.

 

Anche quando la rivoluzione francese aveva fatto cadere le barriere dei sistemi nazionali e religiosi, e gli Ebrei furono visti allearsi con i rivoluzionari, furono accusati di sola astuzia per gettare disordine nelle file nemiche, al fine di impossessarsi della situazione finanziaria. A prova venne ricordato un ebreo di Francoforte, Rotschild, solito ad imperare sulla massa circolante del denaro del capitale israelita, fino ad essere arbitro della pacificazione  fra Prussia e Francia.

 

Furono accusati di avere quasi un monopolio nelle cattedre universitarie e nella stampa, che li aveva portati a cqonquistare i diritti politici entrando alla fine nella diplomazia di Inghilterra, Francia ed Austria, dove tatticamente avevano rappresentanti in tutti i partiti.

 

Uniti nell’Alleanza Israelitica Universale, regolavano la finanza e la politica mondiale, rendendo temibile la loro scomunica che metteva i malcapitati fuori della Borsa. Per tutto ciò, si diceva, si poneva una “questione di difesa sociale” della quale il movimento sociale cristiano si metteva alla testa pur dichiarando di non voler promuovere l’odio di classe, ritenendo l’Ebreo non pericoloso.

 

Il divisamento dei cattolici verso gli ebrei appare chiaramente configurato nel testo “Il movimento sociale Cristiano, nella seconda metà di questo secolo” per il Sac. Dott. Tiziano Veggian, edito a Vicenza nel 1899. Il Veggian aveva frequentato a Roma i corsi di economia politica all’Accademia pontificia e partecipava all’Unione cattolica per gli studi sociali in Italia, che si era costituita in Vicenza.

 

Risulta subito evidente che l’ebraismo non è più una questione religiosa ma, sul terreno molto più pericoloso per la pace, quello dell’economia politica. Per ciò se veniamo al periodo fra le due guerre mondiali, specialmente in Austria, troviamo un humus preparato per l’avversione al semita, anche in senso di contario alla razza ariana. “Hitler era austriaco e può ben aver sfruttato quell’humus per far sbocciare l’idea razziale, come vendetta per non aver potuto disporre del capitale israelita che poi rapinò come sappiamo nel modo permesso solo a una “razza superiore”.

 

Per ciò che riguarda l’Italia si può leggere il lavoro letterario di Renzo De Felice: “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo”, edito dalla Mondadori nel 1961 e ristampato nel ‘72 e ‘77.

 


L’opinione sugli ebrei rimase di sorda ostilità, serpeggiante nelle sfere cattoliche e finanziarie, in fine nelle popolari per il plagio che poteva ottenere la propaganda. A Schio, ma con scarso successo, venne pubblicato un libretto a cura del Sac. Don Eugenio Vallega, presso la tipografia G.Bozzo, nel 1926. Sotto al titolo: Gesù Cristo e l’Araldo del suo regno, si legge un poemetto in versi la cui seconda parte è intitolata “Satana e Giuda” decisamente antisemita.

 

Lo precede una dedica al ministro fascista della pubblica istruzione, che allora era Pietro Fedele, chiedente di non sospettare come nemici gli aderenti all’Azione Cattolica, e una prefazione plaudente al governo in carica, per la suaazione contro le “sette”. In quell’anno erano incominciate le trattative per la Conciliazione, che si sarebbe conclusa nel 1929, mentre le leggi razziali sarebbero arrivate nel 1938.

 

Quelle leggi furono introdotte in Italia con la motivazione della difesa della razza nei contatti con le genti dell’Etiopia, che da poco era stata conquistata con la guerra. In seguito, le leggi si allargarono ad includere gli Ebrei, sotto l’influenza degli accordi con la Germania Hitleriana, sebbene in contraddizione con l’aiuto parziale che gli ebrei avevano dato al sorgere del fascismo.

 

Nella questione razziale, allo scoppio della guerra, si trovarono molte componenti anche extrarazziali che andavano dall’anticomunismo, implicito nella formulazione concordataria, alla riduzione del controllo ebreo sulla stampa e nell’economia; dalle dichiarazioni naziste all’obbligo imposto dall’Asse in questa materia e in fine la probabilistica dottrina della non ingerenza della Chiesa in questioni politiche.

 

Era tutto un groviglio dal quale era pericoloso estraniarsi ed uscire, sia per Mussolini che per Pio XII, il quale, salendo al soglio pontificio, aveva trovato una situazione non creata da lui. Implicati vi si trovarono poi quanti erano legati al fascismo o alla Chiesa per un motivo o per l’altro. Bisogna ammettere che se ci fu adesione di popolo, alle direttive antisemite fasciste e della gerarchia ecclesiastica, questa non fu se non una scappatoia dettata dal quieto vivere, sotto la minaccia di provvedimenti che giustamente preoccupavano.

 

Pochi infatti erano quelli che determinatamente avevano eletto il Duce, mentre la maggior parte se lo erano trovato imposto. Egualmente i cattolici non se la sentivano di opporsi alla gerarchia ecclesiastica, temendo di essere considerati filocomunisti, filoebrei o addirittura anticattolici, se avessero azzardato ardite richieste di sconfessione di quel fascismo che aveva risolto la questione romana.

 

Per salvare la coscienza si trattò allora di dichiararsi per una delle grandi potenze che miravano al governo mondiale e in quel momento vi si trovavano la Chiesa, gli Ebrei, i nazisti e i comunisti, mentre l’America attendeva di inserirsi fra i litiganti al momento giusto. Intanto la mala erba del razzismo, sotto diverse motivazioni, aveva messo profonde radici e chi si fosse proposto per primo di estirparle si sarebbe esposto alla rappresaglia di una parte o dell’altra. La soluzione non poteva venire che dal risolversi del complesso dei molti problemi concatenati e incancreniti.

 

Ancor prima della caduta della Germania il fascismo era già sparito, ma la Repubblica Sociale Italiana aveva portato in Italia il Nazismo, attuando la caccia agli Ebrei non più con le parole ma con ladeportazione. Fu l’ultimo sussulto di una perversa dittatura.

 

Sotto all’avanzata anglo-americana e russa in fine anche la Germania hitleriana rimase schiacciata. La situazione si schiarì. In fine con decreto del 19 maggio 1959 della Sacra Congregazione dei Riti, in punta di piedi, sono state eliminate, dal messale per la celebrazione del rito cattolico, le praole “perfidis” e “Judaicam perfidiam”. Da pochi mesi Papa Roncalli aveva instaurato una nuova Chiesa di fronte agli oltre cinque milioni di vittime ebraiche per stragi razziali.

 

In conclusione questo razzismo da dove nasce, qual’è il motivo che muove i razzisti? Non si può indicarne uno di preciso, prescindendo dagli altri, perché nascono tutti da una cattiva inclinazione dell’istinto umano: ma si può indicare la tendenza di base.

 

Essa ha modo di manifestarsi quando un uomo crede di avere sufficiente autorità per permettersi di tentare di modificarea proprio vantaggio la parità che lo lega agli altri uomini. Nel Diritto romano veniva legalizzato come Diminutio capitis, e veniva applicato agli schiavi. Diminuire la testa allo schiavo, cioè imporre ai popoli l’inerzia dell’intelligenza o togliere loro la libertà, non è solamente attentare alla loro vita morale ma è un degradare in essi organi fisici e facoltà che non sarà più loro permesso di esercitare.

 

Il dispotismo è l’assassinio in grandi proporzioni, la mutilazione fisica dell’umanità. Le prime vittime furono le SS tedesche, il popolo germanico e il suo esercito; da noi allo stesso modo i sottoposti al fascismo e l’effetto fu quello di eseguire passivamente da schiavi degli ordini tendenti ad imporre la diminutio capitis a tutti gli uomini delle terre occupate.

 

Questa tendenza così esecreabile si può trovare anche a livello quotidiano nei rapporti personali, non meno detestabili, quando chiunque sfrutti la propria posizione reale oda impostore, anche solo per orgoglio. Si ingigantisca questa tendenza e si veda a quali conseguenze si può arrivare. Il despota, razzista,avviata dal Diminutio capitis, ispira le proprie leggi a puntello della propria posizione anomala e, come unica testa pensante, parla lui solo, in nome dei sudditi plagiati.

 

Ecco allora che tutto ciò che tocca i suoi propri interessi o quelli della sua cerchia, viene rappresentato come un pericolo, non suo ben inteso, ma del popolo che di solito, giunto a questo punto di degradazione, applaude senza sapere che cosa. All’opposto non c’è l’anarchia ma l’educazione al vivere in società, dove ognuno si preoccupa anzitutto della libertà degli altri, rispettando norme fraternamente convenute,

 

(2) Secondo notizie fornite da Amanzio Pozzer di Schio ad E.Trivellato a Valli del Pasubio si trovava anche un certo SHEFFER di27-28 anni, giocatore della Nazionale di Calcio jugoslava, il quale si aggregò ai partigiani ed alla fine della guerra acquistò una moto, ottenne timbri e documenti in Pretura di Schio e partì per la Jugoslavia; inoltre il Pozzer ricorda anche un partigiano “LEO”, ebreo jugoslavo, che restò ucciso, ma del quale finora non si hanno notizie.

 

(3) In una Relazione di Igino Rampon (archivio E.Trivellato), questi scrive: “Un particolare rilievo merita il riconoscimento verso Mons. Tagliaferro degli “Ebrei d’Italia”, i quali a mezzo del dr. Mario Stok, presidente della Comunità Israelitica di Trieste, inviarono all’interessato la seguente comunicazione: “ Il Comitato per la celebrazione del Decennale della Liberazione ha deciso di iscrivere il Suo nome fra quelli dei benemeriti che negli anni 1943-1945, con grave rischio, soccorsero in varia guisa i nostri correligionari perseguitati. Mi compiaccio con la S.V. per tale doveroso riconoscimento ed ho il gradito incarico d’includere il relativo diploma. Trieste, 3 ottobre 1955”.

 

 

"Il riconoscimento si riferiva  ad una trentina di perseguitati di razza ebraica; parecchi erano triestini, tra i quali le tre sorelle MORPURGO, il cui fratello rag. Gino, segretario della Sinagoga, scomparve in campo di sterminio”.