QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Marzo 1978 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
Volume III
(da pag. 149 a pag. 156)
LA MISSIONE INGLESE FRECCIA
Inchiesta di E. Trivellato (continuazione)
ARRIVO DI « FRECCIA » IN ASIAGO
Nel 1° Quaderno è stata riportata la testimonianza di Angiolina Costaganna vedo Ing. Ervy Perrone, nella cui abitazione in contrada Ganna in Val Posina (Vicenza), il Maggiore J.P. Wilkinson stabilì una base di appoggio dal settembre del 1944 a marzo del 1945, allorché restò ucciso in un’imboscata della polizia trentina.
Proseguendo nelle ricerche sulla Missione inglese abbiamo sollecitato notizie da parte di altre persone che lo conobbero. Qui infatti riportiamo una testimonianza che ci è sembrata interessante: l’arrivo di « Freccia » in Asiago.
Il maggiore inglese era stato preannunciato dal Comando alleato da un radiomessaggio alla Missione M.R.S. e la frase di conferma doveva essere « Bill ama Maria ». Infatti arrivò in Val Carriola (Asiago) nella notte fra l’11 ed il 12 agosto 1944 (così pare accertato) ed erano con lui Christopher Wood (« Colombo ») ed un marconista inglese; nel secondo giro di aereo furono paracadutati il maggiore Ferazza ed il suo giovane nipote, destinati a nord del Lago di Garda.
Sul campò di arrivo erano ad attendere gli « Inglesi» gli uomini della « 7 Comuni» ed intorno alla Val Carriola il Cap. Dal Sasso (« Cervo») aveva predisposto una cintura di sicurezza. Nel lancio « Colombo» ebbe difficoltà di arrivo a terra, mentre il magg. Ferazza si fratturò il femore ed in seguito morì di embolo.
Più avanti, in quell’agosto del 1944, giunsero in Asiago anche il Capt. Brietsche e il Major H.W. Tilman, i quali si spostarono prima sul Grappa e poi nel Bellunese. Invece il Capt. ].E.H. Ore-Ewing (« Dardo»), dopo il suo arrivo, fu aggregato a « Freccia » ed a « Colombo ».
CICOGNA Dr. GIAN PAOLO (« Giampa ») - capo-assistenza della « 7 Comuni ». Intervista in Vicenza del 14 settembre 1977.
D. - Perché nel 1944 ti sei trovato sull’Altopiano di Asiago?
«Dal settembre 1943 ero in collegamento con la Resistenza che si stava organizzando. Un giorno mi si disse che anche uno studente in medicina sarebbe stato molto utile sull’Altopiano con i partigiani: a quel tempo medici non ce n’erano, ma feriti e malati sì. Decisi così di raggiungere Asiago e di là un amico mi accompagnò dove erano accampati quelli che allora venivano chiamati i “ribelli”».
D. -Come avvenne il primo incontro con « Freccia »?
L’arrivo della Missione inglese “Freccia” fu per noi un grosso evento e forse merita che ti introduca un po’ nell’atmosfera di quella notte. Un’attività insolita di staffette, un paio di giorni prima, aveva fatto capire che un lancio era prossimo. Era sempre un po’ una festa per noi l’attesa e il recupero di un lancio. Gli ordini venivano dati poche ore prima, ma già da pochi giorni aspettavamo il messaggio, quello buono. A volte si era ai posti di guardia sulle strade di accesso, a volte si restava al campo base: il bello era quando si era comandati al campo di lancio, alle squadre ricupero.
Era un’attesa emozionante, in parte presa dai preparativi di disporre fuochi, luci, uomini, ma in gran parte attesa pura, nella notte serena, ai margini tra bosco e prato. Il silenzio era un vuoto enorme, grande come il nostro isolamento, e le nostre orecchie erano tese a percepire il rombo lontano che idealmente ci avrebbe agganciato al fronte, à quella linea dove incominciava l’Italia già liberata. Il lancio era, prima di tutto, un concerto di magnifici rumori: l’aereo che incerto si avvicinava, si allontanava, tornava, poi girava una, due volte; il motore era là intorno, invisibile, si allontanava appena, tornava frusciante in discesa: era la passata buona, un rotolare di coni sopra la testa, ritmato di plaf-plaf dei paracaduti che si aprivano. E via tutti a inseguire, cercare, trasportare, raccogliere.
Quella notte di agosto sentivamo tutti che c’era un lancio più importante. Lo attendevo vicino alle “casare” adiacenti al campo dove gli uomini del recupero avrebbero accompagnato i paracadutisti, gli uomini decisi a scendere tra di noi, a venire a vivere la nostra vita perché credevano nelle nostre scelte. Rammento che pensavo a loro – pronti allo sportellone dell’aereo – in attesa di gettarsi nel buio della notte sul nero del bosco per unirsi a gente sconosciuta con la quale per giunta avrebbero avuto grossi problemi di comprensione. Intanto l’aereo era sopra di noi e lanciava, un secondo passaggio un po’ discosto, poi ancora lanci di materiale. Una pausa. Già i primi uomini cominciavano ad arrivare alla “casàra”. Lui, “Freccia”, entrò nella flebile luce della cucina, accompagnato da qualche partigiano.
Fu subito evidente il suo rango, la sua qualità di militare selezionato e specializzato: arrivava fresco fresco dall’altro mondo e, impeccabile, corretto e distaccato, già ci stava studiando. Si presentò elegante nella divisa kaki, giubbotto, camicia di lana, cravatta, i lunghi calzoni chiusi negli stivaletti da paracadute. Allo stinco destro aveva il pugnale a due tagli e al fianco la pistola Colt 45. “Giulio” (Alfredo Rodeghiero) – il nostro vicecomandante della “7 Comuni” – aveva fatto preparare sulla tavola una polenta e pezzi di formaggio Asiago, il nostro cibo quotidiano. Presentazioni ... saluti. Poi subito a cercare quelli che ancora mancavano nonchè il bagaglio agganciato a tre paracaduti rossi che “Freccia” voleva assolutamente recuperare prima di partire per il nostro campo ».
D. - Che cosa contenevano i 3 bagagli?
« C’erano la radio rice-trasmittente, la macchina a pedali per produrre la corrente necessaria alla radio, un cinturone contenente denaro e infine uno dei soliti contenitori cilindrici con il bagaglio personale di “Freccia”. Questo cilindro aveva una prolunga laterale per contenere un mitra Beretta ».
D. - Quali armi aveva portato con sé?
« Innanzitutto il mitra, che aveva richiesto una speciale custodia e che mi indusse un giorno a chiacchierare con lui sulle sue armi. Egli aveva voluto il mitra, e non il solito Sten, perché lo riteneva una delle migliori armi disponibili in questo genere. Poi si era portato la Colt 45 e non un calibro 9 perché l’esperienza in Estremo Oriente aveva dimostrato che era molto importante una pistola che mettesse fuori combattimento l’avversario in maniera istantanea ».
D. - Che « tipo » era Wilkinson?
« Ebbi soprattutto l’impressione che fosse “un uomo costruito per la guerra” e di un coraggio eccezionale. Due ricordi mi sono ancora vivi. Un giorno ci trovavamo in pattuglia con lui e udimmo rumori di un gruppo che stava avvicinandosi: lui si avviò deciso con la pistola in pugno e per fortuna si trattava di nostri amici partigiani. Una sera stavamo discutendo della guerra e ognuno di noi manifestava un gran desiderio che finisse al più presto. Lui invece uscì tranquillo a dire che – finita la missione in Italia – ne avrebbe avuto un’altra in qualche posto, forse in Giappone. Ne restammo allibiti perchè un’uscita del genere era del tutto estranea alla nostra mentalità ».
D. - Ha manifestato interesse a problemi politici delle formazioni partigiane?
« Non ero a livello di comandi per poter giudicare ma ritengo che difficilmente un militare del suo tipo, e per di più inglese, avrebbe lasciato trasparire qualcosa. In Asiago si interessò prima di tutto della eventuale difesa delle vie di accesso, delle fortificazioni e poi dei lanci e dell’organizzazione ».
D. - Era un uomo cordiale?
« All’infuori del suo lavoro che svolgeva in modo serio ed efficiente, si presentò come un tipo che apprezzava la buona bevuta e si divertiva moltissimo a sentirci cantare: “gobo so pare, goba so mare ... “, al punto che in un radiomessaggio inserì la frase: “la vacca di sua sorella”. Però dormiva appartato nella sua tendina fatta con tela di paracadute ed aveva un senso tutto inglese della privacy; usava un suo gavettino in lega speciale, che a noi abituati all’autarchia sembrava argento; gli piaceva farci dentro lo zabajone ».
D. - E « Colombo »?
«Era un uomo diverso. Pur essendo un militare inglese in missione mi sembrava più affine alla nostra mentalità, meno rigido, senza contrasti violenti tra il suo lavoro di militare ed il comportamento privato, un uomo più vicino a noi, più umano. Di lui ricordo il sorriso cordiale. Inoltre gli occhi estremamente espressivi erano di grande aiuto nella laboriosa reciproca comprensione. Vorrei dire che “Colombo” era un uomo troppo civile per essere un militare fino in fondo ».
D. - E il capitano Brietsche e il major Thilman?
« Li ricordo poco. Passarono con noi solo pochi giorni in attesa delle staffette che dovevano accompagnarli in altre zone».
D. - Quali furono i rapporti che avete avuto con il Prof. Alfredo Campiglio della Clinica di Mezzaselva? ¬
« Per noi era il consulente medico-chirurgico nei casi più gravi e si mostrò sempre disponibile. Quando gli chiedemmo come si poteva ricompensarlo per la sua preziosa opera di assistenza, volle che gli regalassimo un mitragliatore Sten completo di caricatore. Di fronte alla nostra sorpresa, precisò: “Non si sa mai!” e cosi lo si accontentò ».
A conclusione della nostra intervista con « Giampa » è da rammentare che durante il mese di permanenza di « Freccia » in Asiago (12 agosto-5 settembre 1944) egli ebbe vari incontri, con il Col. Alessandro Cugini consulente militare del C.R.V. di Padova, con il Tenente Renato Marini della Missione M.R.S. in zona fin dall’ottobre 1943, con i comandanti delle formazioni «autonome» della divisione alpina «Monte Ortigara» come « Cervo » e « Leo » ed altri, infine con i comandanti delle formazioni « garibadine » della « Garemi », colà convenuti. Del suo successivo trasferimento a Laghi e Posina e della sua permanenza in zona garibaldina (5 settembre 1944 -marzo 1945) si è già detto nel 1° Quaderno.
Inchiesta di E. Trivellato (continuazione)
UNA LETTERA AUTOGRAFA IN INGLESE
DEL CAPT. ORE EWING (« Dardo »)
IN DATA 26 APRILE 1945
Si è avuta l’opportunità imprevista di venire in possesso di una lettera, tutta manoscritta in inglese, che era rimasta dimenticata in un cassetto per 33 anni, assieme ad altre carte, senza che il possessore abbia provveduto a tradurla e quindi sia venuto a conoscenza del contenuto.
Vi è in giro, negli Archivi della Resistenza o presso singole persone, molta corrispondenza edita o inedita della Missione « Freccia », però in italiano ed attinente a problemi di conduzione della guerra, di lanci, di disposizioni varie ai Comandanti delle formazioni partigiane: un materiale interessante ma, tutto, sommato, abbastanza prevedibile. Invece la lettera qui riportata e tradotta dopo tanti anni costituisce un « documento interno » della Missione inglese e la sua importanza sta proprio nella possibilità di penetrare nei « problems » degli Inglesi senza il filtro dell’ufficialità o del riserbo.
Si tratta di un foglio di comune carta da lettere (formato cm. 20 x 14,5), molto ingiallito dal tempo, riempito nelle sue quattro facciate di una scrittura inglese ad inchiostro nero, che ha presentato qualche difficoltà di interpretazione calligrafica per la scrittura del tutto personale di « Dardo »; vi sono alcune sigle o passaggi di difficile traduzione, ma prima di riportare il testo italiano è bene inquadrare la lettera nel clima del momento in cui fu scritta. Siamo al 26 aprile 1945, tre giorni prima della Liberazione di Schio, ed il capitano Ore-Ewing (« Dardo »), che con Christopher Wood (« Colombo ») è al comando della Missione inglese dopo la morte del maggiore Wilkinson (« Freccia »), sa indubbiamente dalla rice-trasmittente che gli Anglo-americani ai primi di aprile avevano sferrato l’offensiva finale (Operazione Grape Shot) contro i Tedeschi, che l’8a Armata era giunta a Bologna e infine che il 23 aprile reparti americani avevano attraversato il Po.
D’altronde a Schio le prime colonne di Tedeschi in ritirata erano riunite lungo le strade della zona fin dal 20 aprile. In sostanza per gli « Inglesi » la guerra poteva considerarsi finita e la loro missione « compiuta ». Alla liberazione di Schio avrebbero provveduto i partigiani locali che, in fatto di guerriglia, si erano dimostrati fin troppo esperti ed aggressivi per i gusti degli Inglesi; alla spinosa questione di disarmarli avrebbero pensato le truppe ed i comandanti alleati ormai in arrivo. Non era problema per « Dardo » e « Colombo ».
Tra i loro vari compiti, prima di sbaraccare, c’era invece quello di sistemare adeguatamente ogni singolo componente della Missione inglese a seconda dei propri meriti e delle proprie inclinazioni. « Dardo » era un professionista di missioni speciali e quindi la « Casa » lo avrebbe spedito in Giappone o a Panama o in qualche luogo caldo, perché per lui e per Wilkinson, se non fosse morto, la seconda guerra mondiale non era stata che uno « special » un po’ più lungo degli altri: uomini sempre allo sbaraglio.
« Dardo » infatti andò a finire in Rhodesia. Di ben altra pasta era invece « Colombo », temperamento più portato alle sfumature dei rapporti umani e che diventò prima console inglese a Milano e poi entrò al Foreign Office a Londra. L’aggregato dell’ultimo momento era invece « Victor », prigioniero sfuggito ai Tedeschi, e che si era dato da fare in Posina e in Tonezza per acquisire dei meriti agli occhi di Wilkinson prima, di « Dardo » poi ed infine del Governatore di Schio, dopo la Liberazione.
Questo « Victor », in quei giorni di fine aprile 1945, era incerto sulle sue scelte postbelliche ed aveva chiesto consiglio al suo comandante « Dardo ». La lettera in esame costituisce appunto la risposta di « Dardo » ai problemi personali di «Victor ». A parte l’interesse psicologico del modo cauto del « dire e non dire» di « Dardo », tipico di una mentalità inglese, il documento lascia trasparire qua e là alcune notizie importanti, che hanno un buon valore storico per essere autografe, in inglese e firmate. Per una migliore comprensione del testo abbiamo riportato in calce alcune note esplicative e di commento. La lettera di « Dardo » è la seguente:
A Victor da Dardo Sul campo, 26 aprile
Caro Victor,
Ieri ho ricevuto la tua lettera del 22 aprile, e oggi ho ricevuto quella del 23 aprile. Molte grazie. Per quanto riguarda la discordia fra Marte e i 7 Comuni, io ho ricevuto lettere da ambedue le parti ed ho anche scritto ad ognuno di loro. In aggiunta Colombo ha visto un dipartimento dei 7 Comuni ed ha spiegato loro tutta la situazione.
Sul fatto che io possa sopraggiungere, è del tutto impossibile; Colombo è sul piede di partenza e vi sono almeno due posti dove io dovrei essere nello stesso tempo, inoltre mi trovo quasi senza idee, così temo proprio che sia completamente impossibile.
In merito al tuo futuro, Conte mi ha indotto a ritenere che tu sia stato definitivamente ammesso come un membro del S.A.S.. In questo caso presumo che tu abbia ricevuto ordini di andare in Jugoslavia con lui. Poiché non è il tuo caso, io certamente non vorrei forzarti ad andarci dal momento che intendo continuare la politica del Maggiore Wilkinson di non forzare nessuno ad andare in Jugoslavia o in Svizzera se loro stessi non lo desiderano.
Qualunque cosa tu decida vi sono queste cose da considerare con attenzione: in primo luogo, tu vorresti, io penso, provare a condurre il S.A.S. a Belluno, ma io lascio la decisione a te. Se non vuoi andare, non andarci. Non appena però tu decidessi di recarti colà, il Capt. Brietsche, io lo so, ha un passaggio per andare in Jugoslavia in 4 giorni, e in aggiunta colà c’è un membro del « P.O.W. Escape Club », così per parlare, nell’area del Capt. Brietsche. Tu potresti anche andare a Belluno e poi ritornare se hai l’impressione che non ti piace, ma ciò mi sembra uno spreco di tempo e di energia.
Io specialmente non voglio che tu vada con « Conte », poiché lui va in giro in abiti civili ed è quasi sempre « in paese ».
E per questa ragione non voglio che si sappia degli Inglesi in quell’area. Io voglio « Conte » lasciato da solo dove è al momento. Se non vai in Jugoslavia tu hai due alternative (a) unirti con un corpo di « pzws », chi ti vuole, il dipartimento che ti voglia; (b) tornare alla tua famiglia e se noi abbiamo bisogno di un qualche incarico speciale, potremmo mandarti a chiamare. lo ho l’impressione che vi sia una abbondanza di cose nella linea attiva di questi tempi. Vi è una grande quantità di fuochi artificiali in molte aree. Con me al momento temo proprio che non vi sia alcun posto poiché ho deciso di mantenere le persone della mia Missione al di sotto del minimo.
Noi siamo tutti nelle migliori condizioni di spirito e molto ottimisti sulla situazione bellica.
Ti ho scritto tutto ciò che penso. Spero che tu stia bene e non trovi la vita troppo infame. Molti saluti da Colombo, Bill, Archie, Thino e da me.
tuo Dardo
To VICTOR The Field
From DARDO 26 ApriI.
Dear Victor,
Yesterday, I received your letter of 22 April, and today I received that of 23 April.
Many thanks. As regards the discord between Marte and 7 Comuni I have received letters from both sides and also written to both of them. In addition COLOMBO has seen a dep of 7 Comuni and explained the whole situation to them. As to coming over, it is quite impossible; Colombo is in the move and there are at least 2 places where I should be at the same time, besides being nearly idealess, so I fear it is quite im¬possible. Regardins your future, CONTE had led me to believe that you have had definitely en¬rol/ed as a member of the S.A.S. In that case I naturally presumed that you had re• ceived orders to go to Jug with them. As that is not the case, I certainly wouldn’t compel you to go as I intend continuing Maj. Wilkinson’s policy of not forcing anyone to go Jug or Switzerland if they don’t want to. As to what you do, there are these to worring: Firstly, you would, I think, prove very useful in conducting the S.A.S. as far as BELLUNO, but I leave that to you. If you don’t want to go, you don’t have to. Once you had got as far as there, Capt Brietsche had, I know, a rente troo’ to Jug in 4 days, and in addition there is a member of the « P.O.W. Escape Club» so to speak, in Capt Brietsche’s area. You could too go to Belluno and then return if you felt like it, but that seems to me to be an ardfu! waske of time and energy. I especial/y do not want you to go with Conte as he wanders about in ciwi’s and is nearly always in «paese ». I therefore do not want it known of « Inglaise» in that area. I want Conte left on his own where he is at present. If you ou do not go to Jug you have twoo alternatives - Attach yourself to a body of pzows who want dpt want to have you. Go back to your family, and if we have need of you for anything special, we can send for you. I do feel however that there is plenty to be don e in the active Hne these days. It is one mass of fireworks in many areas. With me at present ram afraid there just isn’t a piace as I have got to keep the numbers of my Mission with me down to the minimum. We ali are in the best of spirits and are very optimistic about the war situation. That I think is ali. I hope you are wel/ and not findinglife too bado Many regards from Colombo, Bill, Archie, Thino and myself.
Yours Dardo