QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Novembre 1980 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
Volume XII
[da pag. 603 a pag. 609]
PARTITO D’AZIONE
UNA MISSIONE DA ROMA “CONTE”
di E. TRIVELLATO
In precedenti Quaderni, ricercando notizie sulla Missione inglese “FRECCIA”, era emerso il nome di “Conte” un giovane identificato poi con l’avv. Costante Armentano Conte di Roma (pg. 47). Nella lettera in inglese di “Dardo” a “Victor” egli viene nominato (pg. 156) ed in nota avevo scritto: “risulterebbe aggregato alla Missione inglese ma non sono ben chiari i suoi rapporti con essa. Dal testo della lettera sembra vi sia più un rapporto di collaborazione che di effettiva dipendenza. Forse “Conte” apparteneva all’O.S.S. americano”.
Di recente mi è stato possibile mettermi in rapporto con lui a Roma in una amichevole corrispondenza. Dalle informazioni ricevute è risultata esatta l’interpretazione di un rapporto di collaborazione più che di dipendenza dalla Missione inglese, mentre era inesatta l’ipotesi di un suo rapporto con gli Americani, suggerita da alcune voci in loco. Per l’immediatezza del testo riporto qui la sostanza di una sua lettera del 6.6.1980, nell’augurio che il tempo gli consenta di stilare un memoriale più circostanziato.
COSTANTE ARMENTANO CONTE. Di Luigi (Uff.le Guardia di Finanza) e di Ielpo Giulia. Nato ad Alessandria il 3.4.1925, si trasferì con la famiglia a Roma nel 1936. Studente liceale, fu in contatto con ambienti antifascisti di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione. Dopo l’8 settembre 1943 entrò nella Resistenza. Attualmente è avvocato in Roma e patrocinante in Cassazione.
“Affinchè tu abbia un quadro iniziale, ti riassumo qui di seguito i dati essenziali. Innanzitutto sgombriamo il campo dalle ipotesi: io non ero collegato con gli Americani con i quali non ho mai avuto rapporti, e – quantunque ti possa sembrare strano – neppure collegato con gli Inglesi, con i quali avevo solo rapporti operativi (ovviamente essendo in missione con loro) ma non politici.
La mia provenienza era esclusivamente il PARTITO D’AZIONE e le Formazioni “Giustizia e Libertà”, con le quali avevo fatto il partigiano a Roma ed alle quali rispondevo del mio operato. Dopo la Liberazione di Roma il mio gruppo, che si era abbastanza qualificato nella guerra partigiana a Roma, fu invitato dal C.L.N. dell’Italia Centrale e per esso da RICCARDO BAUER, che era l’esponente del P. d’A. Nel Comando militare, a proseguire la guerra partigiana lanciandosi in paracadute dietro le linee tedesche aggregati alle missioni che venivano inviate dagli Inglesi. Accettammo una decina, facemmo un breve corso di addestramento – piuttosto intensivo – fummo lanciati in sei e siamo tornati in due.
Io fui aggregato alla missione del maggiore John Wilkinson (Freccia) che era già stato lanciato circa 15 giorni prima sull’altopiano di Asiago con l’allora tenente Christopher Woods (Colombo). Con me fu lanciato l’altro ufficiale della missione, il tenente John Orr-Ewing (Dardo) ed altri che poi furono smistati nella zona di Feltre. Della missione, lanciato insieme a me, faceva parte anche un ufficiale dei guastatori, ritengo proveniente dal S.I.M. di nome Quarzè, con il quale ho perso i contatti alla fine della guerra fino allo scorso anno, quando ne ho avuto notizia tramite dei partigiani di Rovereto.
Il mio nome di battaglia era “Quercia”, ma spesso mi chiamavano “il romano” oppure “Conte”, dal mio secondo cognome. Sono stato lanciato in paracadute in Granezza, nei pressi del monte Kaberlaba sull’altopiano di Asiago la notte del 31.8.1944. Subito dopo ci fu il rastrellamento e le formazioni che ci avevano ricevuto furono abbastanza provate. Seguì il rastrellamento del Grappa che fu un duro colpo per quelle formazioni.
In quel periodo, e per qualche tempo dopo, rimasi sull’Altipiano di Asiago assieme a “Brocca” ed organizzammo con partigiani di Camporovere il sabotaggio del ponte sulla ferrovia della Val Sugana all’altezza di Marter-Roncegno (ove stava un distaccamento di SS.), ponte che riuscimmo a far saltare in condizioni romanzesche la notte – se mal non ricordo – del 22.10.1944. Di questo episodio è testimone, come me, il compagno Rino Tessari (Montagna) di Camporovere.
Successivamente la missione si spostò nella zona di Tonezza e poi a Laghi e, per quello che è stato fatto dopo, gli amici di Schio debbono ricordarsi meglio di me.
Spero di avere il tempo di rimettermi in contatto con te e lo farò quanto prima con molto piacere al più presto”.
Nella lunga storia della Resistenza a Schio ed in Val Leogra ci siamo imbattuti negli inviati del P.C.I. da Milano, nella Missione jugoslava “Berto” (Anton Vratusa, presidente della Slovenia si è dichiarato disponibile ad un incontro a Lubiana), nella Missione Inglese di John Wilkinson (Freccia), in una Missione giapponese eliminata in Malunga), ora anche in una Missione del Partito d’Azione inviata da Roma da Riccardo Bauer. E forse la rete delle relazioni potrebbe riservare qualche altra sorpresa.
A Costante Armentano Conte mi è sembrato opportuno chiedere un parere alla Missione inglese “Freccia”, dopo una sua lettura dei Quaderni. La risposta (Roma, 2.9.1980) è stata la seguente: “Non c’è da meravigliarsi che le notizie circa la missione “Freccia” ed i suoi componenti siano così scarse ed incomplete. Il carattere proprio della “missione” richiedeva, allora, notevole riservatezza per motivi di sicurezza nostri e delle stesse formazioni partigiane con le quali operavamo.
La morte di Freccia, la dispersione dei componenti della missione – originari ed aggregati – e forse anche motivi personali di carattere hanno fatto il resto, con il risultato che – a distanza di trentacinque anni – quasi nulla si è scritto su una delle missioni più importanti che siano state lanciate in Italia, perché operava in una zona ove si controllano le strade che portano in Germania, cioè le vie di comunicazione più diritte per il nemico.
Tuttavia il ricordo di Freccia e della sua missione è rimasto molto forte nella zona, per le particolari qualità di alcuni suoi componenti e per il tipo di rapporti che si erano creati tra la missione ed i partigiani sia quelli che operavano intorno al Pasubio sia quelli dell’Altipiano di Asiago.
Rapporti particolari, cioè di totale e assoluta collaborazione che senza dubbio sono stati facilitati, dopo qualche iniziale titubanza dovuta anche alla necessità di conoscersi, dal fatto che le esigenze militari, nella zona, erano senza dubbio prevalenti sui calcoli politici, proprio per l’utilità di poter controllare le strade del Brenero, bloccando le principali valli all’altezza delle prealpi. Non secondaria, inoltre, la opportunità di rafforzare le formazioni partigiane italiane in una zona non troppo distante da quelle ove operavano i partigiani slavi.
In questo quadro, succintamente esposto, e con questi intendimenti ha operato la missione Freccia, tra Schio, Trento e Bassano, tra la Val Lagarina e la Val Sugana.
La missione era comandata dal Magg. IOHN WILKINSON, che era un ufficiali di carriera dell’esercito inglese, tenente effettivo, capitano di guerra e maggiore per l’incarico, secondo le regole di quell’esercito per cui i gradi e gli stipendi sono in funzione delle mansioni che effettivamente si svolgono. Aveva passato circa cinque anni in India. Ritengo, ma non ne sonocerto, che fosse nipote dell’allora ministro della pubblica istruzione del governo britannico. Non era sicuramente un conservatore. Era un uomo ed un comandante di notevoli qualità e capacità, militari, politiche ed umane. Si deve essenzialmente a lui se nella zona i partigiani furono riforniti di armi, esplosivi e munizioni in abbondanza, indipendentemente dall’orientamento politico delle loro formazioni.
Non era sicuramente né un avventuriero, né un mercenario.
L’organizzazione inglese che presiedeva alle missioni, si avvaleva piuttosto di uomini molto qualificati culturalmente e politicamente, cui veniva fornita, poi, adeguata preparazione militare e specifica. L’ambiente di provenienza era Cambridge o Oxford, e chi non vi era stato prima, come Colombo, vi era stato dopo.
Non ritengo esatto il commento riferito a Freccia che avrebbe desiderato andare a combattere contro i giapponesi dopo la fine della guerra in Europa. Quel suo riferimento, riportato in un precedente quaderno, va intesonel senso che “sapeva” o meglio si aspettava di essere mandato dal suo comando in estremo oriente (cosa che non lo esaltava affatto ma che accettava per obbligo di disciplina), proprio per l’esperienza che si era fatto con i partigiani italiani e per la conoscenza – che aveva – delle lingue orientali.
La previsione di Freccia, comunque, era esatta. Infatti dopo la fine della guerra in Europa, Colombo – Christopher Woods -, che era un ufficiali di complemento, fu spedito in Indonesia, quale addetto militare presso quel governo, nella giungla a combattere contro i giapponesi.
“Colombo”, finitala guerra, tornò a fare lo studente a Cambridge, poi entrò al ministero degli esteri e da allora fa il diplomatico. E’ stato due volte residente in Italia, nel 56/57 a Milano come vice-console, poi nel 66/67 a Roma come primo segretario dell’ambasciata.
“Dardo” – John Orr-Ewing – invece, non era inglese, ma scozzese e ciò spiega anche le differenze di carattere. Dopo la guerra entrò nel “colonial service”, e so che è stato per molti anni in Rhodesia.
“Archi” che è il diminutivo di Arcibaldo era uno dei radiotelegrafisti della missione. Si occupava solo di quello. Mi sembra di ricordare che fosse anche lui scozzese. So che è tornato da allora alla vita civile e che ogni tanto si vede con Colombo.
“Mario” – di cui non ho mai saputo il vero nome – era l’altro radiotelegrafista della missione, anche lui lanciato in paracadute. So che fu catturato in Val Leogra e non ho più avuto sue notizie. Era un sottufficiale della nostra marina. Infatti, gli inglesi sovente formavano delle missioni miste di italiani ed inglesi: gli italiani li sceglievano tra i partigiani indicati dai C.L.N. e i militari del S.I.M. o del SIOS (marina).
“Pio 2°” o Pioppo al secolo Giovanni Querzè era il terzo componente italiano della missione. Era un ufficiale dei guastatori. Credo faccia il giornalista in una agenzia presso il Vaticano.
Alla missione avevamo aggregato due ex prigionieri inglesi.
“Bill Deugnan”, neozelandese. Di professione era un corrispondente dell’Agenzia Reuter. Poichè, proprio per la sua professione sapeva telegrafare, gli fu insegnata la cifra e affidata una delle radio. Dopo la perdita di “Mario” fu prezioso, altrimenti la missione sarebbe rimasta con un solo telegrafista. Era stato fatto prigioniero in Egitto nella prima fase della guerra ed era scappato dopo l’otto settembre rifugiandosi nella zona.
“Victor”, di cui non ricordo il cognome, era un londinese con un orribile accento dialettale “Cocnej”, che faceva inorridire gli oxfordiani. Anche lui prigioniero in Egitto, scappato l’8.9. Era un soldato semplice, ma molto intelligente e con molto spirito d’iniziativa. Lui si divertiva a dire che in Inghilterra, prima della guerra, faceva di professione il ladro, ma non credo sia vero, perché era corretto e onesto. Forse aveva avuto una vita irrequieta, ma nulla di più. Ho saputo da Colombo, che per qualche tempo si era tenuto in contatto con lui, che ormai faceva una normale vita, quasi da impiegato. (NdA: Victor Night: la base partigiana ha di lui un pessimo ricordo).
Mi pare di non aver dimenticato nessuno. Neanche so molto di più, perché alla fine dei conti, avevamo altro da pensare e subito dopo la liberazione non abbiamo avuto più occasione di riunirci. Gli unici che siamo rimasti in rapporti siamo io e Colombo.
Il magg. “ROSSI” di cui si parla nei Quaderni è il maggiore inglese John Littleross. Fu lanciato alla fine di febbraio o ai primissimi di marzo sopra Laghi. Lo ricordo bene perché fui io ad improvvisare il ricevimento del suo lancio ed ariceverlo personalmente. Non apparteneva alla N.I. Special Force, come noi della missione ma allo Special Air Service S.A.S. Fu lanciato insieme ad un sergente, un caporale e otto paracadutisti, per un incarico estremamente delicato ed in un momento molto importante. La sua cattura, e la morte di Freccia, che avvennero a distanza di pochi giorni, federo annullare la maggior parte degli ambiziosi programmi ormai riservati alla missione. Ma di questo e di altre cose, ti scriverò la prossima volta”.
La testimonianza ed il giudizio di “Conte” sulla Missione inglese tendono a sottolineare soprattutto il suo compito militare di sostegno alla guerriglia partigiana e di raccolta diinformazioni sulle truppe tedesche. Ciò potrebbe far pensare che da parte del Maggiore Wilkinson, e per esso daparte dei Comandi Superiori Alleati, vi fosse un minore se non modesto interesse agli aspetti “politici” della guerriglia (anche quando le formazioni erano garibaldine, a direzione comunista come appunto nella nostra zona).
Presumo invece che il problema politico, presso la Missione inglese, abbia assunto importanza specialmente nei primi mesi del 1945 quando fu chiara l’imminenza della fine della guerra, e da parte degli Alleati e dei partiti italiani, vi fu la necessità e l’urgenza di pensare al dopoguerra.
In merito al Maggiore Wilkinson questa ipotesi sembra trovare conferma in una strana riunione “di assaggio” avvenuta in Posina nel gennaio del 1945 e nella quale vennero convocati Valerio Caroti (Giulio) e Bruno Stocco (Braccio). I due avevano in mano le formazioni partigiane della Val Leogra (Brigata Martiri della Val Leogra con 4 battaglioni ed uno territoriale), che controllavano l’importante zona di Schio: ambedue erano giovani ufficiali, attenti in primo luogo agli aspetti militari della guerriglia, privi di antica militanza comunista. All’insegna del “tentar non nuoce” il Maggiore Wilkinson li convocò in contrada Ganna e mandò in avanscoperta Dardo e Colombo per tastare il terreno. Lo svolgimento e l’esito della riunione sono così riferiti da “Giulio” e confermati da “Braccio”.
“Ai primi di gennaio del 1945, fui invitato dal maggiore Wilkinson (Freccia) ad un colloquio presso la casa dell’ing. Perrone a contrà Ganna in Val Posina. Venne con me Bruno Stocco, capo di stato maggiore e ci accompagnò Giovanni Cavion fidatissimo comandante di battaglione. Con moltasorpresa non trovammo Freccia che pure ciaveva invitato: egli presentava le sue scuse perché un improvviso impegno l’aveva costretto ad assentarsi, ma comunque il colloquio sarebbeavvenuto ugualmente con i Capitani Colombo e Dardo (Christopher Wood e Orr Ewing) i due vice della missione.
Il colloquio avviato con l’aiuto di un bicchierozzo di grappa versato da una fiasca che avevamo portato con noi, ebbe luogo pressochè a porte chiuse. Io e Stocco ci eravamo già fatti un’idea dell’argomento, idea ora confermata dall’improvvisa assenza di Freccia: Colombo e Dardo avrebbero dovuto saggiare il terreno. I due, specialmente Colombo, erano nostricari amici e il colloquio sarebbe potuto filare liscio senza infingimenti e perifrasi.
Fu Dardo, almeno a quanto ricordo, a fare la premessa: si stava avvicinando il momento cruciale della lotta e perciò si stava ravvisando l’opportunità di una maggior coesione tra le varie formazioni anche di diverso orientamento e di puntare tutto su una migliore efficienza operativa.
Ci trovammo tutti e quattro d’accordo su questo punto e sottolineammo l’unanimità dei consensi con una gagliarda sorsata di grappa parlando molto delle reciproche esperienze. Venne fuori infine il discorso che la nostra formazione appariva essere molto numerosa, molto efficiente e bene organizzata e perciò essa poteva diventare quell’elemento decisivo di coesione e di validità operativa in tutto l’ambiente partigiano auspicato dal comando alleato.
Non c’era stata fino allora la possibilità di realizzare tale obiettivo considerato di massima importanza a causa anche di divergenze politiche, ma soprattutto a causa di inadeguatezze di comando sul piano militare essendo alcuni comandanti più propensi a pensare al dopoguerra che in grado di guidare la guerriglia. Ma ora sembrava venuto il momento.
Il discorso per gli addetti ai lavori era estremamente chiaro.
Tutti quattro ci guardammo in faccia in silenzio e Stocco rispose per primo dichiarando che nel corso di molti mesi di lotta erano sorte amicizie che non potevano essere ignorate o cancellate e che i legami affettivi, ben più di una affinità ideologica, erano molto importanti per la guerra partigiana, almeno a suo avviso.
Poi intervenni io dicendo che se era vero che certi comandantinon erano stati e non erano all’altezza di guidare la guerriglia, tuttavia era altrettanto vero che un improvviso mutamento organizzativo sarebbe stato estremamente dannoso alla guerriglia in quel momento cruciale, giacché di sicuro sarebbe avvenuta una frattura con conseguenze imprevedibili.
Vi era inoltre una questione di lealtà da cui non volevamo assolutamente decampare. La soluzione migliore era che noi si facesse sempre più del nostro meglio in seno allo stato di cose esistente in modo da costituire in ogni caso un elemento trainante senza traumi per nessuno, tanto più che sul piano organizzativo e operativo eravamo totalmente autonomi e la dipendenza dal cosiddetto comando superiore era solo nominale; perciò assicuravamo alla missione alleata la massima lealtà e collaborazione come già ne avevano avute le prove. (Infatti qualche settimana dopo, ai primi di febbraio, la missione si trasferì nelle immediate vicinanze di Schio, in contrà Marsigli a stretto contatto con il nostro comando e, in confronto con tutte le altre formazioni, i lanci si poterono dire abbondanti).
I due capitani convenirono sulla validità del nostro atteggiamento e scrutandoli ebbi la esatta percezione che nel loro intimo fossero veramente contenti della nostra risposta.
Era già pomeriggio inoltrato quando smettemmo i discorsi seri; fuori nevicava fitto a mulinello e tornare alla nostra base sarebbe stato improbo. L’ing. Perrone e la sig.ra Angelina insistettero affettuosamente che ci fermassimo per la notte. Ci mettemmo a tavola a mangiare polenta, latte e formaggio e dopo cenato, Archie, il radiotelegrafista inglese, tirò fuori un mazzo di carte per un pokerino. Fu uno spasso: i nostri amici inglesi erano sconcertati dal nostro modo di giocare e non ne indovinavano una soprattutto per merito di Bruno Stocco in forma smagliante. Buon per loro che la posta era costituita da fagioli da tramutarsi in bicchieri di vino o bicchierini di grappa. Noi vicentini mettemmo tutto il monte a disposizione e fu un’allegria generale e incontenibile al di fuori di ogni divisa e di ogni missione segreta perché tutti eravamo di poco sopra i 20 anni, salvo Giovanni Cavion che ne aveva più di trenta ma che per l’occasione aveva smesso l’aria ascetica che gli era abituale.
Il giorno dopo mentre arrancavamo su per il monte sotto il turbinio con la neve fino al ginocchio, Stocco fu preso da un fortissimo mal di stomaco, fastidio che ogni tanto lo colpiva, e potei ammirare la sua grande forza d’animo. Era sicuramente un residuo della sera prima aggravato dal freddo ma un po’ di latte caldo, bevuto all’ultima contrada, calmò i dolori.
A sette lustri dalla fine della guerra credo di poter affermare che tra noi e i capitani inglesi vi fu autentica amicizia e fiducia che prevalsero su ogni altro rapporto e diversa considerazione; 25 anni dopo la fine della guerra Colombo e Dardo vennero a casa mia a trovarmi con la loro moglie e davanti ad una tavo9la imbadita, resa allegra da ottimi vini, ricordammo adeguatamente quella lontana sera nevosa, omettendo ovviamente di rievocare i discorsi seri fatti in quella occasione, che in piccolo già preludevano la successiva divisione del mondo in due blocchi” (Valerio Caroti “Giulio” – 8.10.1980).