QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Marzo 1978 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
Volume III
S. CATERINA DI TRETTO
Autunno 1943 - Primavera 1944
Inchiesta di E. Trivellato
Il « Tretto » (tretum = sentiero dei pascoli verso il monte Novegno), che fino al 1969 faceva Comune a sé, comprende tre frazioni geografiche: S. Ulderico, la più antica ed un tempo sede comunale, S. Rocco verso il Summano ed infine S. Caterina verso il monte Pasubio. Gli abitanti di S. Caterina hanno sempre dimostrato la tendenza di fare repubblica a sé rispetto a S. Ulderico ed anche se, nella sostanza, non vi sono vere e proprie discordie tuttavia si nota ancor oggi un certo spirito indipendentistico.
Esso risale molto indietro nel tempo – addirittura al 9 febbraio 1483 – quando un abitante della vecchia « contracta Buca de Noxano » (ora S. Caterina), poco prima di morire, lasciava 25 lire per la costruzione di una chiesetta campestre dedicata a S. Caterina, al fine di evitare ai suoi 400 compaesani il disagiato percorso fino a S. Ulderico.
Si creò subito un movimento secessionista capeggiato da Zanella, Bogotto, de Marsilii, de Facci, Gonzato, Bonolo, Dalla Piazza, Costeniero, Cerbaro e che nel giro di 200 anni riuscì ad ottenere un cappellano stabile nel 1613. La gente viveva di agricoltura montana, di allevamento delle pecore e di artigianato laniero casalingo. Nel 1936 c’erano a S. Caterina 586 abitanti, che diminuirono a 570 nel 1951 ed a 339 nel censimento del 1971, nel quale risultarono così ripartiti: S. Caterina centro: 79 - Marsili: 83 - Corobolli: 56 - Costenieri: 52 - Rossi: 54 - Gecchelletti: 52 - Zausa: 38 - Bogotti: 28 - Case sparse: 128.
I. IL RITORNO DEI MILITARI.
Dopo l’8 settembre 1943 tornarono in famiglia parecchi giovani e di alcuni abbiamo le seguenti testimonianze:
RIGHELE PRIMO (« Bixio »). Figlio di Riccardo - agricoltore - e di Nervo Maria. Nato a S. Caterina di Tretto (Schio) il 3-11-1923. Fratello di Piero (« Adrio »). Il padre venne fucilato dai Tedeschi e Fascisti il 30 aprile 1944.
« All’8 settembre 1943 mi trovavo in servizio alla Stazione di Padova nell’arma dei Carabinieri. Il giorno successivo mi recai presso una famiglia di campagna, alla periferia di Padova, dove ebbi alcuni abiti civili. Mentre ero in viaggio verso casa fui bloccato alla stazione di Thiene da un ufficiale tedesco, che mi portò in sala d’aspetto con la pistola alla nuca; malgrado la stazione fosse tutta circondata di Tedeschi riuscii a fuggire ed a raggiungere Santorso attraverso la campagna ed infine S. Caterina. Tre giorni dopo vennero a casa a cercarmi ed anche in seguito fui continuamente ricercato, per cui mi diedi alla macchia ed entrai subito nelle prime pattuglie di giovani militari sbandati che si erano rifugiati nella zona dei Tretti ».
MARSILIO PIETRO (« Omero »). Figlio di Francesco, agricoltore. Nato a S. Caterina nel 1919, operaio.
« Ero sergente a Postumi a nell’Artiglieria Guardia frontiera e tornai a casa in borghese assieme a Giovanni Santacaterina di Poleo, Giovanni Dalla Costa di S. Caterina ed altri; poi entrai nelle pattuglie partigiane ».
MARSILIO GIOVANNI (« Stalin »). Fratello di Pietro. Nato il 27-9-1921, operaio tessile.
« Dopo la sfortunata campagna di Russia ero uscito dalla sacca del Don (per questo ebbi il nome di battaglia “Stalin”) ed ero stato ricoverato ad Arezzo. Dopo un mese di convalescenza fui mandato a Gorizia ed all’8 settembre mi trovavo a Bocuva di Piedicolle verso Caporetto, nel 9° Rg.to Alpini Btg.ne “Vicenza”. Tornai a casa a piedi da solo percorrendo quasi 200 km. in soli 2 giorni e poi entrai nelle pattuglie partigiane ».
DELL’OTTO GIUSEPPE. Nato a Valli d. P. il 24-9-1923, agricoltore in contrada Giotti.
« Ero a Capriva, una decina di Km. fuori di Gorizia, ed il sabato 11 settembre fuggii in divisa (30 Artiglieria montagna); mi cambiai in borghese a Cavazzale ed arrivai il giorno 13. Poi entrai nelle prime pattuglie ».
ROSSI ALFONSO (« Burasca »). Figlio di Gregorio - agricoltore - e di Santacaterina Pia in contrada Marsili. Fratello di Leone (CI. 1925), studente e di Pio (CI. 1931), Alfonso è del 1922, operaio tessile.
« Si trovava nel 57° Fanteria a Caserta e si portò a dorso di un asino fino a Firenze, subendo sparatorie da parte di Tedeschi. Da Firenze ritornò a piedi e giunse a S. Caterina dopo circa un mese, entrando subito nella pattuglia ».
ZANELLA LINO (« Churchill ») della contrada Zausa. Cl. 1922. Artiglieria Alpina, uscito dalla sacca del Don e ricoverato in Ospedale. Dopo l’8 settembre fu l’unico della zona a tornare a casa con un mulo.
Altri « Militari », che tornarono a S. Caterina dopo 1’8 settembre 1943 e non sono stati qui riportati, verranno citati in occasione delle varie azioni partigiane. In quel periodo si trovavano invece in paese, per vari motivi, i seguenti:
BONOLLO PIETRO (« Dorigano »). Figlio di Antonio, agricoltore. Nato a S. Caterina il 26-9-1923, studente al Liceo classico di Schio.
COSTA PIETRO (« Delo »). Nato il 19-12-1919. Agricoltore- operaio. Contrada Valbona. Esonerato, operaio al Caolino Panciera.
MARSILIO CARLO (« Roosevelt » poi « Jonio »).
II. LA COMPOSIZIONE DELLA PATTUGLIA DI S. CATERINA.
Le testimonianze sulla prima pattuglia che operava nella zona di S. Caterina di Tretto sono state raccolte in due riunioni del febbraio 1978 presso la Trattoria del «Barba» (Marsilio Pietro - «Omero») ed alle quali hanno partecipato: Santacaterina Angela, Righele Ida, Marsilio Maria, Righele Primo, Bonollo Pietro, Marsilio Giovanni, Mantoan Ferruccio, Costa Silvio, Dell’Otto Giuseppe, Dal Medico Franco, Rossi Pio, Giordan Antonio. Dalla discussione collettiva è risultata la seguente composizione:
A. - ELEMENTI « LOCALI » DI S. CATERINA 1. Righele Primo (« Bixio ») - 2. Marsilio Pietro (« Omero ») - 3. Bonollo Pietro (« Dorigano ») - 4. Marsilio Giovanni (« Stalin ») - 5. Marsilio Carlo (« Roosvelt » poi « Jonio ») - 6. Zanella Lino (« Churchill ») - 7. Rossi Alfonso (« Burasca ») - 8. Dell’Otto Giuseppe - 9. Costa Pietro (« Delo ») - 10. Rossi Pio (« Staffetta»).
B. - ELEMENTI DI « SCHIO-POLEO » 1. Giovanni Garbin (« Marte ») - 2. Germano Baron (« Turco ») - 3. Luigi Marzarotto (« Treno ») - 4. Gino Bellotto (« Spagnolo ») - 5. Zanella Pietro (« Mercurio ») - 6. Silvio Casarotto (« Silvio») - 7. Bruno Redondi (« Brescia ») - 8. Franco Dal Medico (« Tom ») - 9. Mantoan Ferruccio (« Marco ») - 10. Lorenzo Tecchio (« Keno ») - 11. Antonio Bille, presente anche al Festaro.
C. - ELEMENTI DA « S. VITO » 1. Carlo Cortiana (« Luganega ») - 2. Gelindo Visonà (« Salsiccia ») - 3. Ceolato (« Franz ») - 4. « Venere » - 5. « Giove » -6. « Nettuno » - 7. « Saturno ».
D. - ELEMENTI DA « S. ULDERICO » 1. - Aldo Santacaterina (« Leone ») da Cerbaro.
E. - ELEMENTI DA «VALLI DEL PASUBIO» 1. - Giuseppe Dell’Otto dalla contrada Giotti.
F. -ELEMENTI «FORESTI» 1. Nicolò Mattina (« Turiddu ») - 2. « Bari ».
G - EX PRIGIONIERI ALLEATI Nessuno.
APRILE 1944
III. IL PRIMO AVIOLANCIO IN VAL LEOGRA: METÀ APRILE 1944.
Il primo aviolancio alleato nel Vicentino avvenne sull’Altopiano di Asiago nella notte del 19-20 marzo 1944, dopo mesi di attesa e di solleciti da parte della Missione M.R.S. in zona; ad esso ne seguirono altri. Invece il primo aviolancio nella zona di Schio, sui monti della Val Leogra, si ebbe verso la metà di aprile ed i paracaduti finirono su di un pianòro detto Cagneòle al piedi del monte Novegno fra Vallortigara e S. Caterina: tutti i materiali furono recuperati faticosamente ma senza incidenti. La data di questo primo aviolancio è testimoniata con buona approssimazione da Franco Dal Medico di Schio, da Pietro Bonollo, da Ferruccio Mantoan e da Carlo Cortiana.
IV. IL SECONDO AVIOLANCIO: 23-24 APRILE.
La notizia di un secondo lancio arrivò alla pattuglia proprio all’ultimo momento ed in gran fretta si cercò di arrivare per tempo nel luogo stabilito per le segnaIazioni luminose. Purtroppo capitò un incidente. La pattuglia si trovava nel Bocche, un baito sopra S. Caterina, che serviva anche da deposito per le armi e gli esplosivi; il gruppo di 15-20 partigiani stava cenando tranquillamente su di un solaio al primo piano quando entrò « Turco » ed alcuni altri ad avvisare dell’imminenza del lancio.
Ne seguì allora un gran trambusto e ... le tavole del solaio non ressero al peso di tutta quella gente: finirono tutti al pianoterra. Bastava l’innesco di una sipe per far saltare in aria sia il baito che la pattuglia. Così, contusi e rabberciati, si misero in marcia in ritardo, mentre l’aereo era già passato una prima, una seconda ed una terza volta senza notare alcun segnale. Sembra accettabile l’ipotesi che il pilota abbia intravisto qualche piccola luce verso S. Ulderico, forse le fiammelle delle lampade ad acetilene di qualche operaio delle cave di caolino, e che abbia quindi aperto i portelloni e sganciato il carico. Questo spiegherebbe la caduta del materiale a S. Ulderico invece che sul Novegno, dove era già avvenuto il primo lancio. Dal momento che i paracaduti toccarono terra si svolsero due azioni contemporanee che alla fine si scontrarono.
V. LA BATTAGLIA ALLE NOGARE: 24 APRILE.
In basso i Tedeschi ed i Fascisti avranno probabilmente udito il ripetuto ronzare dell’aereo e forse avranno anche visto la discesa dei paracaduti; fatto sta che piombarono nella zona di S. Ulderico. In alto invece « Marte », « Turco », « Bixio » e tutta la pattuglia erano scesi dal Novegno senza risultato e quindi pensarono di portarsi a S. Ulderico per recuperare il materiale lanciato. Ma appena giunti verso « i Munaretti » e « Nogare » incontrarono i Fascisti. Ne venne fuori una battaglia violenta che, secondo testimonianze dei protagonisti, durò quasi un’ora e mezzo. Nel frattempo giunsero rinforzi da Schio e la pattuglia, che non poteva sostenere uno scontro frontale per molto, si trovò costretta a ripiegare in alto verso S. Caterina. Tutto il lancio finì quindi in mano dei Fascisti ad eccezione di una cassetta di munizioni che una famiglia era riuscita a nascondere. Purtroppo in quel giorno venne preso un abitante del luogo, Marco Santacaterina, che fu torturato e fucilato in piazza a Santorso.
NOTA
Nella Riunione al Pornaro (22-2-1978) GIOVANNI SANTACATERINA di S. Ulderico riferisce: « II mattino del 24 aprile, poco prima delle 6, mi avviai al lavoro all’Industria Saccardo, dove le operaie raccontarono che nella notte era awenuto un lancio: la cosa fu discussa con Gaetano Garbin e con Attilio Dalla Vecchia ».
GIULIO SANTACATERINA dice: « Dopo la discussione partii in bicicletta ed a Santorso parlai con le due sorelle dell’Osteria dalle Polde; la Nella andò a Schio e tornò dopo un’oretta ».
In Riunione è anche risultato che una persona di Cerbaro si sarebbe recata ad avvisare « Marte » del lancio. Per quanto riguarda l’arrivo dei Fascisti, la versione corrente è che una famiglia del luogo abbia ricevuto un bidone sul tetto della casa con sfondamento di tegole e travature e che – preoccupata di possibili conseguenze – abbia ritenuto come il male minore quello di avvisare le autorità per telefono, in modo da liberarsi di ogni responsabilità.
Il primo camion di Fascisti arrivò, sembra da Piovene, verso le ore 11-12 e si scontrò con la pattuglia di partigiani sulla curva dopo il Pornaro, verso le Nogare. Duello che iniziò l’attacco, così si racconta, fu ALDO SANTACATERINA (« Leone ») da Cerbaro, il quale era entrato fra i primi nella pattuglia che operava a S. Caterina con « Marte », « Turco » e gli altri. Secondo i testimoni di S. Ulderico-S. Rocco furono sparati vari caricatori ed i Fascisti ebbero (un paio di morti e) qualche ferito; scesi dal camion, si attestarono nella latteria e, con il binocolo, sparavano nel bosco.
Nel primo pomeriggio arrivò di rinforzo un secondo camion. Nella Riunione al Pornaro è stato molto discusso il fatto di Marco Santacaterina, poi fucilato in piazza a Santorso; il cugino ANTONIO ZAFFONATO (« Libertà ») dicesi convinto che i Fascisti non trovarono alcun materiale di lancio in casa di Marco Santacaterina ed è rimasto sorpreso che i presenti alla Riunione abbiano invece accennato alla voce corrente che sia stato trovato un pezzo di paracadute. Anche nella Riunione a Santorso (1-3-1978) il problema è rimasto insoluto, per discordanza di versioni, come si dirà più innanzi.
VI. IL TERZO AVIOLANCIO: 29-30 APRILE.
I due lanci precedenti, il violento scontro a fuoco ai Munaretti, la fucilazione di Marco Santacaterina convinsero i tedeschi dell’esistenza nella zona dei Tretti di un consistente gruppo di ribelli e della necessità di una ripulitura. Infatti verso la fine di aprile cominciarono a concentrare truppe ed automezzi a Schio ed a Poleo.
Tale movimento non passò inosservato e quindi, a mezzo staffette, la base cittadina informò « Marte », « Turco », « Bixio », « Tom » e tutta la pattuglia. Il rastrellamento era quindi atteso di giorno in giorno, però non era possibile un trasferimento altrove perché poteva giungere un terzo lancio. Inizialmente mancava un’organizzazione efficiente dei lanci (ascolto continuo, messaggi negativi, messaggio positivo, staffetta, segnale codificato) ed i piloti, per non tornare con il carico, sganciavano press’a poco nella zona appena scorgevano qualche lumicino.
Vi è accordo fra i componenti della pattuglia nel dire che non ebbero alcuna comunicazione di questo terzo aviolancio e quando udirono l’aereo e videro scendere i paracaduti furono costretti ad andare in parecchie case per buttare già dal letto un po’ di gente valida che desse una mano per la raccolta. Il discorso fu molto semplice: « O facciamo sparire tutto o domani i Tedeschi vengono su con un rastrellamento e, se trovano qualcosa, bruciano le case e mettono tutti al muro!».
L’argomentazione fu così valida che il giorno dopo i rastrellatori non riuscirono a scovare nessun materiale lanciato. La maggior parte dei paracaduti cadde verso i Marsili, ma qualcuno più leggero andò a finire molto in basso, verso Poleo. La notazione del Parroco don Luigi che un po’ di materiale sia stato nascosto nella cella del Cimitero ha suscitato una protesta, in quanto infondata: in primo luogo la cosa non è a conoscenza dei componenti la pattuglia, in secondo luogo la cella non ha ripostigli ed è il luogo meno adatto, infine sarebbero venuti in qualche modo a saperlo nella fase di recupero dai vari nascondigli. Rimane solo l’ipotesi improbabile che qualche abitante del luogo si sia preso una tale iniziativa e che poi al Parroco sia stata riferita la faccenda.
VII. LA STRADA MINATA E LA SPARATORIA CONTRO I TEDESCHI.
Il Parroco scrive: «Le autorità tedesche e fasciste di Schio, avendo osservato nella notte i voli dell’aeroplano, ebbero il sospetto di qualche lancio di materiale da parte del medesimo e la domenica 30 aprile per tempo con una macchina si recarono dapprima a S. Ulderico. Non avendo in quel paese rintracciato nulla, la macchina si diresse a S. Caterina e si fermò alla casa Fazi; frattanto i partigiani avevano terminato di nascondere il materiale e si disponevano a tornare alle loro case o ai loro rifugi. Quando uno di essi, giunto sul portone della rimessa, accortosi delle autorità appena scese dall’auto, ritornò precipitosamente ad avvertire i compagni, i quali, attraverso i prati, si diedero alla fuga.
Ma i Tedeschi ed i Fascisti irruppero tosto nel cortile e spararono contro i fuggiaschi senza colpirne alcuno, poi, perquisita la casa, senza scoprire il segreto (NdA -In un buco era stato nascosto del materiale di lancio), ritornarono a Schio. Però compirono l’idea che quella casa fosse un covo di partigiani e di lì a tre ore due camions carichi di truppa tedesca e fascista saliva alla volta di S. Caterina per compiere qualche atto di rappresaglia o per un rastrellamento.
Giunti i camions poco più in su della contrada Corobolli, furono attaccati da un gruppo di partigiani nascosti: nell’attacco trovò la morte un soldato tedesco ed un altro rimase ferito. I tedeschi e fascisti fecero macchina indietro e giunti a Schio, credendo che in S. Caterina, ci fossero grosse bande di partigiani, chiamarono rinforzi ».
Ciò che l’anziano Parroco non sapeva era il fatto che i partigiani avevano minato la strada di S. Caterina, in modo da recuperare il lancio prima dell’arrivo di automezzi tedeschi da Schio. Giovanni Garbin (« Marte ») e Pietro Bonollo (« Dorigano ») erano scesi ai Calesiggi a cercare un certo Bicenero, un minatore, portando gli micce ed esplosivo per un lavoretto ben fatto nei pressi di Ravagno.
Purtroppo il nostro minatore, invece di costruire un fornello da mina in roccia, sistemò la carica sottoterra. Quando più tardi arrivarono i Tedeschi per il rastrellamento, l’esplosivo sollevò gran terriccio e fece una buca buona al massimo per spegnervi la calce.
Anche la sparatoria, sopra i Corobolli, di un gruppetto di partigiani contro i camions dei rastrellatori intendeva bloccare l’accesso a S. Caterina. E tali precedenti – uno scontro a fuoco, un tedesco morto ed uno ferito – spiegano il terrore degli abitanti di S. Caterina per l’imminente rappresaglia.
Il Parroco scrive di non aver intuito il pericolo e di essersi recato verso Enna per l’inaugurazione di due nuovi dipinti del pittore Zanetti di Verona: lungo la strada fu raggiunto dal Casaro, che lo invitò a ritornare. I nostri testimoni sono del parere che fosse più un uomo di penna che un cuor di leone. Comunque sia, il rastrellamento della zona era già pronto e quindi l’operazione scattò immediatamente.
VIII. IL RASTRELLAMENTO CON I CARRI ARMATI: 30 APRILE 1944.
Alle ore 14 di quella domenica 30 aprile 1944 cominciarono a salire da Schio e da Poleo, verso S. Caterina, due carri armati (Pio Rossi li ha riconosciuti come due « Tigre»), cannoncini trainati, mitragliatrici ed un forte contingente di truppa.
Nella cronistoria di don Antonio Morandi è scritto: «I tedeschi e i fascisti avevano bloccato le strade, sparavano su per i monti con cannoni e mitraglia, ed alcuni di essi, saliti alla casa Fazi (NdA - di Riccardo Righele in contrada Facci o Fassi) cacciarono tutti i familiari sul piazzale della Chiesa, dove pure furono ammassati tutti gli abitanti delle contrade vicine, uomini, donne, adulti, bambini. Poi fu appiccato il fuoco alla stalla ed alla rimessa aziendale della casa Fazi, con l’intenzione che si propagasse alla casa di abitazione contigua. (. . .), alcuni coraggiosi abitanti della contrada Costenieri, inosservati si adoperarono per spegnere il fuoco alla casa Fazi, affinché venisse salvata la casa di abitazione e soprattutto perché non avesse a prendere fuoco il deposito di munizioni costituito nel segreto di essa: se ciò fosse avvenuto poteva avere un effetto disastroso, sia perché potevano saltare in aria le case delle contrade vicine e sia perché lo scoppio poteva far esasperare più ancora le belve tedesche, le quali avrebbero commesso altri atti bestiali ».
Costa Silvio (Cl. 1915 - agricoltore) testimonia: « Poco dopo che le fiamme si erano sviluppate nella stalla dei Righele, giunse una pattuglia di Tedeschi, i quali prelevarono cinque uomini (Angelo Costa, Riccardo Costa, Francesco Costeniero, Pietro Costeniero, Virginio Righele); furono poi trasferiti a Thiene ed i familiari non ne ebbero notizia per oltre una settimana. Con la promessa di Angelo Costa che si sarebbero arruolati nella Flack (contraerea) vennero rilasciati ».
IX. LA FUCILAZIONE DI RICCARDO RIGHELE.
Il Parroco scrive: « Sul piazzale della Chiesa le autorità nazifasciste fecero un sommario processo a Righele Riccardo, capo di quella famiglia sospetta, e alla presenza della popolazione e della moglie Nervo Maria, che teneva un tenero bambino in braccio, lo fucilarono. Durante questo pseudo-processo il Righele Riccardo fu accusato di favoreggiamento ai partigiani anche da un fascista, che prima era stato tra le file dei partigiani ed era stato ospitato ed assistito in casa sua ».
Ida Righele (Cl. 1925) ed Angela Santacaterina, maestra, (Cl. 1913) riferiscono che la Maria teneva in braccio il figlio Rino, nato nell’agosto del 1942, e che restò impietrita dall’uccisione del marito; la Ida, allora diciannovenne, era stata tolta a forza dalle braccia del padre e, dopo gli spari, restò svenuta per quasi un’ora.
L’accusa a Riccardo fu di essere il padre di un capopartigiano ed un favoreggiatore dei ribelli. Infatti, all’inizio del suo racconto, il Parroco scrive: « Era una casa sospetta ai tedeschi e fascisti perché il figlio maggiore Righele Primo di Riccardo, dopo l’8 settembre 1943, era fuggito dal suo reparto del Corpo dei Carabinieri, era rientrato in famiglia e nonostante i vari inviti a ripresentarsi in servizio, rimase renitente. Anzi, per il suo ardimento, fu messo a capo di un gruppo di partigiani locali e dei paesi vicini per costituire un piccolo fronte di resistenza ».
Dopo il tragico fatto, Primo Righele (« Bixio ») raccolse alcune notizie dal sagrestano Pasquale, il quale disse che, durante il processo, un fascista biondino confermò l’accusa con queste parole: « Come puoi negare di dare alloggio ai ribelli, quando sono venuto anch’io a casa tua a mangiare e dormire! ». In seguito « Bixio » andò in giro a cercarlo, ma senza risultato; solo più tardi venne a sapere che fu ucciso a Bassano.
Sono state infine raccolte notizie per un breve profilo di RICCARDO RIGHELE: figlio di Pietro e di Zordan Maria, era nato a S. Caterina di Tretto il 13 febbraio 1896. Agricoltore. Fu chiamato alle armi il 3 dicembre 1915 nel 2° Rg.to di Artiglieria montagna ed inviato al fronte a Cima Undici, Cima Dodici, a Campomolon e nel combattimento del giugno 1916 nei pressi di Cogollo fu ferito ad una mano da un proiettile nemico; venne congedato il 15 dicembre 1919 con il grado di caporale. Era alto 1,78, capelli biondi e lisci, naso aquilino ed occhi celesti. Dal matrimonio con Maria Nervo di Valli del Pasubio nacquero 7 figli: Primo (1923), Ida (1925), Piero (1926). Mistica (1929), Pierina (1932), Mario (1934), Rino (1942); dei quali 3 parteciparono attivamente alla guerra partigiana: Primo (« Bixio »), Piero (« Adrio ») e la Ida come staffetta. Nel foglio matricolare di Riccardo del Distretto di Vicenza vi è la seguente indicazione: «Deceduto nel Comune di Tretto per fucilazione da parte di forze armate nazifasciste il 30 aprile 1944 ».
X. L’INCENDIO DELLA TRATTORIA DEI SANTACATERINA.
Nel 1944 Erminia Rossi, vedova di Pietro Santacaterina deceduto nel 1931, gestiva la trattoria con vendita di alimentari e generi di monopolio, situata nel gruppo di case poste sul retro della Chiesa, arrivando in paese; Pietro ed Erminia avevano avuto 8 figli: Caterina, Maria (1905), Elisabetta (1907), Teresa (1909), Angela maestra (1913) – Giuseppe (1911) morì nel 1941 per malattia durante il servizio militare – Arturo (1922) fu partigiano nella zona.
Sull’incendio vi è la descrizione di don Antonio Morandi: « Poi fu annunciato al Parroco, che per dare una lezione al paese, si doveva bruciare la trattoria di Rossi Erminia; s’interpose il Parroco dicendo che si trattava di gente quieta, innocente, che non favoriva affatto i partigiani, ma la sua supplica non fu ascoltata. E fu tosto eseguito l’iniquo divisamento: così andarono distrutte le case e tutti gli effetti di mobilio, biancheria, vestiario, utensili di casa e dell’esercizio di trattoria e vendita di generi alimentari e di monopolio. Il danno fu ingentissimo. (. ..) Prima di far ritorno e di licenziare la popolazione il Parroco fu costretto ad ammonire tutti i presenti a non favorire i partigiani, a far sì che tutti gli obbligati alle armi si ripresentassero in servizio, a denunciare quanti sostenessero il movimento di resistenza ».
Il fatto viene così testimoniato dalla maestra Angela: « Mentre ero in casa vidi passare due Tedeschi con i mitra spianati: erano convinti che la trattoria fosse piena di ribelli. Un tedesco disse: “Adesso bruciare casa, portare fuori qualche cosa”. Invece un fascista ci impedì di entrare. Cosparsero di benzina e buttarono dentro qualche bomba a mano, per cui in un attimo il fuoco divampò con violenza. Ci portarono verso la Chiesa e, dopo l’interrogatorio di Riccardo, mi fecero entrare ed accusarono la mia famiglia di dare vitto e alloggio ai partigiani. Ad un certo punto sentii gli ufficiali che dicevano: “Schio! Schio!”; infatti una parte se ne andò in tutta fretta perché, a quanto mi è stato poi riferito, si era avuto un assalto ad una Caserma di Verona. Nell’incendio vennero bruciati anche i generi alimentari e di monopolio, che potevano invece essere distribuiti alla popolazione; ma i fascisti dissero che erano “contaminati” dai ribelli. Dopo l’incendio fummo accolti in casa di Matteo Righele in contrada Costantine. Nel gruppo dei fascisti vi erano elementi che parlavano il nostro dialetto e mi è stato detto che c’era anche un ufficiale di Schio ».
XI. LA DEPORTAZIONE DI FEDERICO INDOVINO (« ANTONINO GRILLO »).
La maestra Angela Santacaterina racconta che, verso ottobre-novembre 1943, era capitato a S. Caterina un militare sbandato, nativo di Enna, il quale, essendo maestro elementare, aveva preso servizio nelle nostre scuole che dipendono dal Circolo didattico di Piovene. Si chiamava Federico Indovino e dopo la fine della guerra l’Angela ebbe infatti corrispondenza con la sorella Teresa Indovino e con la madre (aveva anche un fratello Cristoforo). Come secondo nome usava però quello di Antonino Grillo.
Si trattava di una persona molto buona e gentile. La sera del 30 aprile si trovava in Chiesa nella prima fila, entrò un ufficiale tedesco, lo vide e con l’indice gli fece cenno di seguirlo. Abbiamo poi saputo che fu tradotto a Carpi e di qui a Mauthausen, dove morì nei giorni della Liberazione.
A questo punto si inserisce la narrazione di Antonio Giordan (vedi dopo), rastrellato il 18 maggio, il quale a Verona trovò l’Antonio Grillo: « Ma tu non sei il maestro di S. Caterina?! » ed insieme finirono a Carpi e poi a Mauthausen. Qui si separarono. Federico Indovino diede sicuramente ai Tedeschi il nome di Antonio Grillo, poiché cosÌ appare nel libro di Valeria Morelli (I deportati italiani nei campi di sterminio, Milano, 1975) a pg. 372: « Grillo Antonio, matricola n° 82384, nato Valguarnera il 24-2-1921, morto a Gusen il 23-4-1945 ». I familiari Indovino non figurano invece nella G.U. n° 130 del 22-5-1968.
MAGGIO 1944
XII. LE PERLUSTRAZIONI FASCISTE.
« Fino al 17 maggio dello stesso 1944 » – scrive il Parroco – « calma relativa in paese; tuttavia nell’animo degli abitanti c’è sempre un incubo di trepidazione, perché si teme una qualche imprudenza dei partigiani ».
Appare chiaro però che, dopo quanto era successo il 30 aprile, il Comando fascista aveva segnato S. Caterina sul libro nero ed inviava spesso i propri uomini a controllare la situazione, sperando soprattutto di catturare quel Primo Righele che era ricercato fin dalla metà di settembre del 1943. In una di queste perlustrazioni fasciste capitò un altro di quegli incidenti che di solito acceleravano un rastrellamento.
Sentiamo il racconto di «don Luigi» (don Antonio Morandi): « Il 17 maggio 1944, sul mattino, il Parroco ha appena terminato la processione di rogazione e si vede entrare in Canonica, con spavalderia un sergente dei bersaglieri del battaglione M (Mussolini), il quale lo rimprovera perché ha tenuto la processione. Il Parroco si scusa dicendo che ciò si è fatto anche in altri paesi, che la processione ha tenuto un percorso molto breve, e, benché processioni siano vietate, tuttavia non è stato per nulla turbato l’ordine pubblico. Promette che in seguito seguirà le disposizioni superiori. Il sergente sembra rappacificato, ma poi dice al Parroco di ascoltare la confessione di un partigiano, che è stato preso in contrada Costenieri e che deve essere fucilato.
Era il giovane COSTA SILVIO fu Floriano, appartenente all’Ass.ne Gioventù maschile di Azione Cattolica,, custodito fuori della Canonica da altri quattro soldati dello stesso Battaglione. Forse il giovane, che non era soggetto al servizio militare, perché riformato, si è lasciato sfuggire una qualche parola a carico di un certo Gasparini Luigi da Bassano, che per un certo periodo di tempo fu proprietario del Forte Enna e delle case situate in quel monte. Il sergente era proprio figlio degno di quel galantuomo, che fu il Gasparini.
Il Parroco fa opera di persuasione presso il sergente, affinché prima di fucilarlo, il giovane sia condotto al Comando militare di Schio e interrogato. Ottenuto ciò la pattuglia dei bersaglieri scende alla volta di Schio, scortando il Costa. Ma quando giunse al di sopra della contrada Corobolli viene attaccato da un gruppo di partigiani, che avevano intenzione di liberare il loro compagno. Due soldati restano morti e il sergente ferito, anche il Costa resta ferito. Il sergente viene assistito dagli abitanti della contrada Corobolli e poi, con autoambulanza, trasportato all’Ospedale di Schio, dove viene anche portato il Costa con un carretto. Di qui uscì dopo un mese, guarito. Il Comando militare di Schio pensò a recuperare le salme dei due soldati ».
XIII. LO SCONTRO A FUOCO SOPRA I COROBOLLl.
Il racconto del giovane catturato quel giorno (COSTA SILVIO, n. a S. Caterina il 17-3-1915, agricoltore, riformato alla leva per infermità permanente alla mano) è il seguente: « Nella primavera del 1944 lavoravo in latteria come aiutante del casaro Francesco Meneghello di S. Tomio (Malo) ed il sergente Gasparini, che veniva abbastanza spesso in perlustrazione nella zona, conosceva varie persone. Quel giorno egli mi arrestò e mi minacciò di fucilazione se non avessi rivelato i nascondigli di alcuni ribelli, tra i quali conosceva i nomi di Primo Righele e di Pietro Bonolli. Intervenne il Parroco e così fui avviato verso Schio; giunti in contrada Marsili il sergente fece un nuovo tentativo di avere informazioni (“Se non parli ti portiamo sotto il Cimitero e ti fuciliamo”) ed al mio rifiuto cominciò una perquisizione in casa di Antonio Zanella (Toni Mola), senza esito. Allora mi fecero portare le munizioni e si proseguì il cammino lungo il sentiero per il “Mulin”, quando ad un tratto il sergente mi fece una proposta (“Scappa al di là della valle e noi ti spariamo addosso. Se ti va bene, ti salvi”), che non accettai.
Più innanzi vi fu l’intimazione dei miei amici partigiani di lasciarmi libero e poi lo scontro a fuoco, nel quale rimasi ferito alle scapole da una pallottola. Rimasi sulla strada una buona mezz’ora, finché giunse mia sorella Maria, la quale sistemò un materasso su di un carrettino e mi portò a Poleo, perché all’Ospedale non si erano fidati di venire su con l’autoambulanza. A Poleo venne subito Gildo Baron, il padre di “Turco”, che mi accolse in casa sua in attesa dell’autoambulanza. All’Ospedale di Schio rimasi in cura del Dr. Andriolo per circa un mese e fui più volte interrogato dai Fascisti, i quali inoltre volevano che, prima di dimettermi, il Comando repubblicano fosse avvisato dal Dr. Andriolo. Questi invece li mandò a quel paese ed una sera Gildo Baron e mia sorella vennero a prendermi e mi portarono a Pale o in casa di Gildo ».
Interessante è poi la « descrizione della battaglia » del « Barba » (MARSILIO PIETRO « Omero »), il quale vi partecipò:
« Quel giorno arrivò una staffetta presso la nostra pattuglia per avvisarci che i Fascisti avevano preso Silvio; li aspettammo sopra i Corobolli e quando giunsero ad un centinaio di metri abbiamo cercato di spaventarli dicendo che noi eravamo un migliaio e che quindi rilasciassero Silvio. Niente da fare. Allora ebbe inizio la sparatoria. Con me c’erano “Marte”, il marinaio Bruno Viola, “Brescia” e mi sembra anche Silvio Casarotto ed uno di Sanvito; in quel periodo Primo Righele (“Bixio”) si trovava in Asiago. All’inizio lo scontro fu incerto, perché eravamo arroccati in una casetta abbandonata e scoperchiata, sulla quale un fascista sparò varie raffiche, colpendo “Marte” ad una gamba; Viola rimase quasi senza cartucce ed una “Balilla”, lanciata contro di noi poteva farci fuori tutti se non fosse finita fuori della casetta. Però, ad un certo punto, la situazione si risolse a nostro favore, in quanto Bruno Viola falciò un fascista, un altro fu ucciso nella sparatoria ed anche il sergente restò ferito dai nostri colpi. In seguito sopraggiunse anche Lino Zanella (“Churchill”) dei Zausa e ci ritirammo, con “Marte” ferito, presso la Guizza sotto Cerbaro ».
PIETRO BONOllO (« Dorigano »), che era stato comandato a posto di blocco, così riferisce:
« Prima che la nostra pattuglia attaccasse i Fascisti avevo avuto l’ordine di appostarmi in basso sulla strada per bloccare qualcuno che fosse fuggito verso Poleo. Purtroppo uno di loro salì invece verso il monte e probabilmente raggiunse Schio. Dopo la battaglia, la pattuglia si riunì a Cerbaro sotto la Guizza, portandosi dietro Giovanni Garbin (“Marte”) ferito alla gamba. Si doveva decidere il da farsi. Intanto Germano Baron (“Turco”) volle provare una pistola cal. 7,65 portata via ai fascisti, ma nel maneggio parti un colpo che lo ferì alla gamba. Così, di feriti ne avevamo due, “Marte” e “Turco”. Restammo lì fino a sera, perché sapevamo da Cappelletti e dalle staffette che i Tedeschi avevano in programma un rastrellamento; poi ci portammo in una galleria sopra le Aste per passare la notte ».
XIV. Il RASTRELLAMENTO DELL’ASCENSIONE: 18 MAGGIO 1944.
Dopo il grande rastrellamento del 30 aprile 1944, con impiego di mezzi corazzati, il Comando tedesco ne aveva predisposto un secondo per la fine di maggio. Il famoso « bando di chiamata » scadeva improrogabilmente il 25 maggio e quindi un movimento di truppe e di mezzi corazzati nei vari paesi avrebbe fatto prospettare agli eventuali renitenti i pericoli a cui andavano incontro.
Questo è documentato da un articolo in prima pagina, datato 23 maggio, del quotidiano fascista del mattino « IL POPOLO VICENTINO », che è un chiaro monito ai renitenti e che riportiamo testualmente:
«Dopo il 25 maggio il ribellismo sarà stroncato con inflessibile energia. È stato predisposto che a partire da mezzanotte del 25 corrente venga iniziata una severa azione militare per stroncare definitivamente l’attività di quei nuclei di sbandati che alla data suddetta non avranno raccolto l’invito a presentarsi per riprendere il loro posto nella vita civile. Tale azione sarà rapida e risolutiva. Pertanto notevoli forze, fortemente armate, sono già state mobilitate e dislocate nei punti prestabiliti, pronte a iniziare un movimento, coordinato di totale rastrellamento, che sarà appoggiato dall’aviazione e da gruppi di artiglieria ippo- e autotrainata. La repressione del ribellismo avrà un carattere di inflessibile energia ».
Lo scontro a fuoco con i ribelli, avvenuto sopra i Corobolli, convinse il Comando tedesco ad iniziare il rastrellamento con le forze ingenti che erano già state ammassate in quei giorni nell’Alto Vicentino. Si agiva prontamente contro i ribelli della vasta area dei Tretti e nel contempo si dava una dimostrazione dI forza e di inflessibilità.
Se consideriamo il documento cronistorico del Parroco di S. Caterina appare indubbio che il rastrellamento dell’Ascensione del 18 maggio fu il più importante di tutto l’Alto Vicentino, sia per vastità che per il contingente di truppa e di mezzi impiegati: «Il terrore invase la popolazione, per timore di rappresaglie; infatti molti, anche uomini maturi e forti, si allontanarono dalle loro case e si portarono in paesi vicini o si rifugiarono in qualche nascondiglio sui monti.
Il Parroco aveva fatto avvertire l’arciprete di Valli Don Pietro Bicego, perché si compiacesse di venire a fargli compagnia, e questi ben volentieri si prestò a questo atto di carità. Il giorno successivo, 18 maggio, festa dell’Ascensione, giornata di rastrellamenti e di terrorismo. Veramente il rastrellamento era stato preordinato già prima dei fatti successi, il giorno antecedente, ma nessuno lo sapeva e perciò tutti erano in grande trepidazione.
"Il rastrellamento di quel giorno ha avuto un carattere un po’ generale, perché fu battuta tutta la zona tra S. Rocco, Enna e Valli del Pasubio. Furono impiegati reparti tedeschi, fascisti, polizia di pubblica sicurezza e polizia ausiliaria. Su tutta la zona operò un contingente di circa 5000 uomini e furono battuti i monti fino al Novegno e al Summano, furono perquisite le case; la sede della Latteria fu saccheggiata e da essa furono asportate n° 52 forme di formaggio e circa 90 Kg. di burro. Molte altre case furono saccheggiate o perquisite commettendo furti di insaccati di maiale, di orologi, di danaro e di oggetti d’oro. In quello stesso giorno la Canonica fu perquisita quattro volte. Dopo la Latteria, la famiglia che maggiormente soffrì pel saccheggio fu quella di RIGHELE MATTEO, sarte, dalla quale furono asportati vari effetti di biancheria, di vestiario, d’oro, ecc. Però non fu scoperto alcun partigiano, non fu trovata nessuna arma, non fu preso alcun ostaggio. La mano di Dio protesse visibilmente coloro che si nascosero.
Ma nel giorno dell’Ascensione nessuna persona si arrischiò di venire alla Messa, la quale fu celebrata a tarda ora dal Parroco e dall’Arciprete di Valli, servendosela l’un l’altro ». MARSILIO MARIA (n. 1925, sorella di Carlo « Roosevelt e nipote di Silvio Costa) testimonia: « Durante il rastrellamento entrarono dei Tedeschi in casa e videro un vestito tutto sporco di sangue. Si misero a gridare: “Ribelli! Ribelli!”.
"Mandarono a chiamare un interprete, al quale spiegammo che il vestito era di Silvio, ferito ai Corobolli e ricoverato in Ospedale. Allora i Tedeschi si calmarono e addirittura volevano rilasciarci un lascia-passare per andare a trovarlo in Ospedale a Schio ».
E « Marte » e « Turco »? PIETRO BONOLLO (« Dorigano ») così riferisce: « Dopo aver pernottato in una galleria sopra le Aste, in previsione del rastrellamento, ci siamo spostati verso il Tombon. Qui “Marte”, che era più anziano ed esperto, suggerì di tenerci subito a monte del sentiero nel sottobosco, perché i rastrellatori, nel passare lungo il sentiero, avrebbero eventualmente lanciato bombe verso il basso. Eravamo in 5-6: Marte, Turco, Brescia, Dorigano e qualche altro che non ricordo. Dal nascondiglio abbiamo cominciato a contare la prima trentina di automezzi e seguimmo tutta l’operazione senza essere scoperti: “Marte” ci impedì di usare il binocolo per evitare riflessi".
In conseguenza del rastrellamento venne arrestato e trasferito in campo di concentramento GIORDAN ANTONIO di Pio (n. ai Bogotti il 20-7-1914, agricoltore) che all’8 settembre si trovava a casa ed aveva un fratello Pietro caduto nella campagna di Russia, nell’8° Alpini della Julia; appunto per tale motivo era in licenza limitata. Rastrellato, fu portato alle Scuole Marconi di Schio, poi a Vicenza, a Verona ed a Carpi, dove ricorda che il campo fu anche mitragliato da aerei alleati. Verso la fine di giugno-primi luglio il Giordan fu tradotto a Mauthausen, con il quadro rosso, e di qui smistato in un altro campo, del quale non ricorda bene il nome. Fu liberato il 7 maggio dagli anglo-americani. Egli ricorda di aver incontrato Indovino Federico, il maestro siciliano che morì a Gusen, ma in seguito, tra le migliaia di deportati, lo perse di vista.
Anche MANTESE AGOSTINO (n. 28-9-1921) di Poleo fu catturato, trasferito a Carpi e di qui deportato a Mauthausen ed altrove; tornò dopo la fine della guerra.
APPENDICE
« SANTACATARINEIDE »
Poema dialettale di Maria Santacaterina
M. Santacaterina, poetessa locale, abitava nel 1944 ai Marsili con la sorella Pia. quest’ultima sposata a Gregorio Rossi. il padre di Alfonso (« Burasca ») e di Pio Rossi. Questi ci ha consegnato un quadernetto a righe di 26 facciate dove la zia Maria, nel 1946, ha messo in versi alcuni eventi dei quali fu spettatrice. Motivi di spazio non consentono la pubblicazione integrale del « poema » e quindi riportiamo alcuni passi più di rilievo sotto il profilo storico e lessicale. a documento di una civiltà montana tuttora viva.
1. RASTRELLAMENTO DEL TRENTA APRILE 1944 IN S. CATERINA DI TRETTO.
Del quarantaquatro l’ultimo de avrile
Ve recordèo i spaventi ca ghen ciapà
Te quel rastelamento in grande stile,
Che par miracolo sen ancor quà.
Oh! che brutto temporale che tompesta
Che brutte spaventose tragedie ca ghen passé
Che nà drissà i cavigi sulla testa
Come sul monte sinai con mosé.
. . .
La contrà dei Marsili se tutta brusà
E tutto el paese piantonà dai fascisti,
Figurève allora che bel complimento,
Mi a sentir cussì me mancava el fià
E quasi quasi nasèa in svanimento.
Quei birbi i ga fatto gran danni
Le case dei Fassi, l’osteria i gà brusà,
Parché i ga allogià i partigiani.
M’inbato poco dopo col toso
Frabello, Dirne cossa gai fatto quei anchristi,
Rivolgo la domanda anca a quello,
Ricardo dai Fassi fusilà dai fassisti.
Bison ca credì che in poche ore
A svalisar le famegie i ga laorà a contrato,
Essendo tutti dacordo par far le malòre
Pensava mi che lo scopo principale
Se quelo de vegner su par robare.
. . .
I ga un bel dir i prete che bisòn portar pazienza
E per amor de Dio bison tutto perdonare
E anca coi fassisti bisogna usar clemensa
E per comando del Signore anca i nemici amare:
Vorìa ben mi farli montar sull’altalena
E con un vergolòto farghe passar el morbìn
E al diàulo giutargheli sulla schena
Chel se li porte in compagnèa de Mussolin.
II. IL GRANDE RASTRELLAMENTO DEL 18 MAGGIO 1944.
Del quaranta quattro una mattina de 18 maggio,
Mentre se stava in letto cocolà,
Un gran tambaramènto de cariaggio,
Ne ga tutti improvisamente svegià.
Ghen visto fassisti, todischi, repubblicani,
Canon, mitralie arme, d’ogni colore.
Indemonià e rabiosi come cani,
Parea i volesse magnarne el sangue el core.
Mi al vedre sti brutti diaolassi,
Ve conto la storia proprio dal bon,
Scapando no vedéa gnanca i sassi,
Me scondo te la Madéga tun siesòn.
Intanto passava la strìa te quel momento,
Mi pensava a quei pori can scunti ti busi,
Gesumaria! adesso i fa rastelamento!
Vergine santa salvé i nostri tusi.
(segue un racconto personale della sua fuga
a Torrebelvicino ed a Schio).
NOTA
Il testo integrale della « Santacatarineide » sarà oggetto di un apposito studio in altra sede. in quanto esso costituisce un documento « genuino » delle opinioni e delle impressioni di molta gente semplice di montagna sul periodo 1943-1945 e sulla guerra partigiana.