QUADERNI DELLA RESISTENZA
Edizioni "GRUPPO CINQUE" Schio - Gennaio 1978 - Grafiche BM di Bruno Marcolin - S.Vito Leg.
Volume II
TRIBUNALE SPECIALE
Arresti e condanne nella zona di Schio
Inchiesta di E. Trivellato
Negli anni che vanno dall’istituzione del Tribunale Speciale (25 novembre 1926) alla sua soppressione (29 luglio 1943) numerosi cittadini di Schio o dei Comuni limitrofi (Torrebelvicino, Santorso, Piovene, Marano, Malo) furono arrestati per antifascismo e condannati a vari anni di carcere e di confino politico in applicazione delle Leggi « eccezionali » per la difesa dello Stato. La serie ebbe inizio con la sentenza del 3 marzo 1928 a carico di Antonio Gheno, nativo di Schio ma residente a Brescia e qui accusato di cospirazione comunista.
Il secondo scledense coinvolto in un’istruttoria del Tribunale Speciale, tuttavia contumace, fu Pietro Tresso, accusato con Paolo Ravazzoli, Enea Fasani ed altri di ricostitu¬zione clandestina della C.G.L., avvenuta a Milano nel « Convegno del 20 febbraio 1927 » in spregio alle Leggi eccezionali che impedivano il riformarsi di qualsiasi partito o associazione o sindacato. Due mesi dopo si ebbe la sentenza del 10-11-1928 contro Riccardo Salvador, nativo di Piovene ma di adozione scledense, il quale era stato arrestato con Girolamo Li Causi, il giornalista Edoardo D’Onofrio ed altre 15 persone con l’imputazione di cospirazione e propaganda sovversiva; la condanna fu pesante per quasi tutti e Riccardo ebbe 12 anni e 6 mesi.
L’anno 1928 vide anche la condanna di Domenico Marchioro (4) di Torrebelvicino (Pieve) nel famoso « processone » al Comitato centrale del Partito comunista: Terracini (22 anni), Gramsci (20 anni), Scoccimarro (20 anni), Roveda (20 anni)’ ed altri 17 imputati; Domenico fu condannato a 17 anni e 4 mesi (sent. del 4-6-1928). Una ventina di giorni dopo comparve davanti al Tribunale speciale anche il fratello Isidoro Marchioro a causa dell’arresto a Pisa da parte di funzionari della Questura di Bologna di due « corrieri »; ebbe una condanna a 9 anni e 10 mesi.
L’infausto 1928 venne a chiudersi (sent. del 10-12-1928) con il processo allo scledense Silvio Canova ed a Gaetano Grotto di Santorso che avevano distribuito in fabbrica dei volantini a carattere sindacale e furono pertanto condannati a 3 anni il Canova ed a 2 anni il Grotto. In rapporto alla situazione d’oggi appare quasi inconcepibile che a quel tempo venisse istruito un processo a Roma per fatti di tale modesto rilievo; d’altronde nella storia del Tribunale Speciale troviamo spesso il carcere ed il confino all’operaio che cantava «Bandiera rossa» nell’ebbrezza del sabato sera oppure al contadino che inveiva in osteria contro il regime usando espressioni quanto mai colorite.
È il caso di Attilio Tessanti di Torrebelvicino che finì in carcere a Venezia per frasi oltraggiose; analogamente in un’osteria di Thiene furono arrestati e processati dal Tribunale Speciale nel 1939 sei persone della zona per grida contro la guerra e tra questi vi fu Giuseppe Balasso di Piovene. Dello stesso paese è anche Agostino Girardin che a Torino fu coinvolto in una retata di comunisti che stampavano il giornaletto clandestino « Contrattacco ».
Abbastanza simile è l’imputazione ai due braccianti di Malo Francesco Baio e Giuseppe Calcara che operavano a Milano. Particolarmente curioso è invece il processo del Tribunale Speciale contro i « Testimoni di Geova », tra i quali fu condannato ad 8 anni un Girolamo Sbalchiero di Malo. Ritornando però all’ambiente scledense, nel 1931 venne processato e poi assolto Riccardo Walter con sentenza dell’1l-3-1931, in quanto implicato nelle attività di un gruppo di comunisti veneti. Nel giugno del 1932 si ebbe l’arresto alla frontiera di Luigi Sella (« Rino »), fuoruscito in Francia dal 1924.
È invece quasi ignoto un Luigi Dal Santo, nativo di Schio, che fu condannato a 4 anni dal Tribunale Speciale perché appartenente ad un gruppo torinese di Giustizia e Libertà che nell’ottobre 1936 reclutava volontari per le Brigate Internazionali. In tema di « miliziani rossi », come li definiva il Tribunale Speciale, è da ricordare che Eugenio Piva fu imputato nel 1938 di espatrio clandestino per motivi politici e che, dopo aver combattuto in Spagna, al suo rientro in Italia nel giugno del 1940 venne arrestato e condannato a 12 anni. Tradotto a Fossano, tornò a Schio dopo il 25 luglio 1943.
Analogo arresto e confino a Ventotene ebbe il fratello Igino Piva al suo rientro dalla Spagna. Anche Oscar Casetto era stato processato in contumacia nel 1938 ed imputato, con Antonio Tessaro di Marano Vicentino, di trafugamento dei Bollettini delle Ricerche e di espatrio clandestino per la Spagna, dove combatté; dopo il rientro in Francia, si sposò e qui rimase durante l’ultima guerra. Un caso particolare e curioso è quello di Romano Faccin, il quale finì al confino con processo sommario per una frase Ingiuriosa al Cinema Centrale, mentre si proiettava il film Luce con la figura di Mussolini. A Santorso vennero infine arrestati e confinati a Ponza i due fratelli Dalla Vecchia, Giovanni e Carlo.
Gli arresti e le condanne finora riportate riguardano in sostanza singole persone, nativi di Schio e dei Comuni limitrofi. Ma nel periodo di storia scledense che va dall’istituzione del Tribunale speciale alla sua soppressione, l’avvenimento più clamoroso fu il « processone » di Schio che – negli anni 1937, 1938 e 1939 – coinvolse 18 nostri cittadini e 5 non di Schio, per un totale di 23 persone, le quali furono arrestate, processate a Roma e condannate.
In quegli anni le perquisizioni domiciliari e gli arresti furono ben più numerosi ed alcuni « individui sospetti », per i quali mancavano prove concrete, non finirono a Roma ma vennero ugualmente incarcerati e confinati per anni a giudizio insindacabile di una Commissione Politica Provinciale, senza l’intervento di avvocati di difesa. Questo « processone » fece scalpore anche al di fuori delle mura cittadine, se ne scrisse sulla stampa antifascista del tempo, a Parigi. È sembrato quindi interessante riportare nella presente Inchiesta sia l’istruttoria di parte fascista, per cognizione dei fatti, sia le vicende dei singoli e delle loro famiglie. Anche perché tale raccolta di notizie fa luce e si inserisce nel panorama storico più generale di quegli anni.
IL « PROCESSONE » DI SCHIO
Da una copia della Sentenza n. 18 del Tribunale Speciale (R. Gen. n. 17 - Roma, 2 settembre 1938) riportiamo in breve la RELAZIONE della Commissione Istruttoria costituita da Guatteri Co. gr. Uff. Filippo Luogoten. gen., presidente - Lanari comm. Avv. Pietro Vice Avv. Militare, G. Relat. - Borri gr. Uff. Avv. Aldo console, giudice - Aqua Dr. Antonio 1° seniore, giudice.
I. I « FATTI »
l. - Scritte comuniste a Schio e Malo.
« L’organo speciale di Pubblica Sicurezza, tutore dell’ordine pubblico del settore della Venezia Giulia, aveva dovuto occuparsi in modo particolare della zona industriale di Schio, perché aveva avuto sentore che vi si andavano riprendendo attività sovversive. Infatti qualche iscrizione muraria con falce e martello era comparsa a Schio il 28 settembre 1936 e ripetuta il 5 e 16 ottobre dello stesso anno; la diffusione di stampa comunista a Malo verificatasi il 2 aprile 1936 ed il rinvenimento nel maggio 1937 di una scritta sovversiva nello spogliatoio del Lanificio Cazzola di Schio, fecero subito intuire che vi doveva essere una vasta organizzazione segreta e che essa già esplicava la sua opera deleteria in una zona dove lavoravano migliaia di operai, ad esempio nei grandi Lanifici Rossi e Marzotto. Perciò vennero intensificate pazienti indagini per poter individuare i responsabili e così stroncare ogni pericolosa attività. Operatosi il 2 aprile 1937 il primo arresto di Bressan Pietro, operaio della ditta Escher-Wyss, perché autore di una scritta murale comunista, fu trovato in possesso di un pennello da lavoro, sul cui manico egli aveva impresso a fuoco le parole «W Lenin ». I di lui compagni allora segretamente fecero una colletta per aiutare la di lui famiglia, raccogliendo la somma di L. 120 ».
2. - Stampa comunista.
« L’organizzazione sovversiva aveva cominciato a funzionare fin dall’estate 1932 in seguito a riunioni ed accordi presi fra Sandro Cogollo, Lievore Alfredo, Saggin Evaristo e Cavaliere Giambattista. E fu subito creata una biblioteca per poter preparare lo spirito antifascista specie negli elementi giovanili. Oltre a svolgere attività propagandistica con la stampa si raccolse anche denaro pro soccorso rosso ». « A mezzo del fuoruscito Giovanardi Eugenio (di Milano, ma residente a Parigi ed espatriato clandestinamente a scopo politico) veniva importata e fatta circolare a Schio stampa propagandistica, spedita dalla Francia – in mezzo a figurini di moda – alla moglie di Peder Aldo (di Breganze). Costui la passava al compaesano Ferronato Secondo il quale a sua volta la dava a Cavedon Giuseppe che la consegnava a Lievore Alfredo, perché la desse al Cavaliere, avendo quest’ultimo il compito di smistarla, parte al Cogollo che la passava poi a Pegoraro Gaetano, parte al Pedrazza Claudio che la dava a Conforto Antonio ed al Lievore, ed altra parte al Saggin Evaristo che la consegnava a Manea Gino. L’organizzazione stessa provvide poi alla riproduzione di tale stampa, possedendo a tale scopo un poligrafo passato dal Tessaro Antonio di Isola (segretario comunale e segretario del Fascio locale) ad Oscar Casetto e da quest’ultimo al Pedrazza ». « Il Pedrazza, milite della M.V.S.N. ammise di aver ricevuto in deposito dal Casetta un poligrafo, che la sorella del Pedrazza, al momento dell’arresto gettò in un canale ».
3. - Riunioni segrete.
L’organo speciale di Pubblica Sicurezza «venne altresì a conoscere i principali posti segreti di ritrovo abituale dei vari sovversivi e precisamente seppe che si riunivano al Caffè Svizzero ed al Caffè alla Stazione ». « Dopo il periodo di intensa attività propagandistica per conseguire una buona preparazione spirituale si iniziarono vere e proprie riunioni di partito con la partecipazione dei soli compagni di fede. La prima fu tenuta a Monte Magrè, in località detta « Raga » – il primo maggio 1936 – e vi intervennero Sandra Cogollo, il Cavaliere, Alfredo Lievore, Oscar Casetto e Baron Natalino. Una seconda avvenne nel giugno 1936 in località Bosco dei Tretti, con la partecipazione di quelli prima nominati oltre a Livio Cracco, Giuseppe Frinzi, Bortolo Ronda ed altri non potuti individuare. Una terza riunione poi si verificò il l° maggio 1937 in località Santorso con l’intervento di Cogollo, Conforto, Baron Natalino ed altri ».
4. - Detenzione di una bomba da guerra.
« Il Cogollo – dinnanzi alla Pretura di Schio – doveva rispondere di illecita detenzione di una bomba da guerra, perciò fu richiesto il relativo fascicolo e per connessione unito agli atti. Al proposito il Cogollo, pur ammettendo la detenzione della bomba, contrariamente al giudizio del perito, ha dichiarato trattarsi di ordigno che il tempo aveva reso inservibile ».
5. - Il collegamento Schio-Parigi.
« Altro esponente pericoloso – incaricato da Parigi al reclutamento Pro Spagna Rossa – era il fuoruscito Tessaro Antonio, nato a Marano Vicentino, espatriato nel maggio 1937, e che fino a tale epoca era segretario Comunale di Isola Vicentina e Segretario locale del Fascio ». « Nel maggio 1937 Oscar Casetto e Antonio Tessaro erano riusciti – prima del loro espatrio – a trafugare al Comando di Stazione dei Reali Carabinieri di Marano Vicentino le annate dal 1930 al 1937 dei «Bollettini delle Ricerche» del Ministero dell’Interno, per farle pervenire alla Centrale comunista di Parigi. La raccolta fu poi custodita dal Cogollo e dal Cavaliere e rinvenuta nell’abitazione di costui, in quanto i detti Bollettini avrebbero dovuto trovarsi al sicuro essendo egli bidello delle Scuole Elementari ». Questi Bollettini avrebbero permesso ai fuorusciti italiani a Parigi di sapere se erano ricercati o meno dalla Polizia; in caso negativo avrebbero potuto rientrare in Italia senza pericolo.
6. - Attività « Pro Spagna Rossa ».
« Nell’ottobre 1937 la Questura di Schio venne a sapere che gli imputati Oscar Casetto ed Eugenio Piva erano espatriati clandestinamente per arruolarsi nelle milizie rosse spagnole, mantenendosi in contatto – nei giorni precedenti la loro partenza – con Sandro Cogollo, Alfredo Lievore e Giuseppe Scala. Il 18 novembre 1937 si allontanarono da Schio anche Livio Cracco e Carlo Marchioro, diretti nella Spagna rossa, varcando clandestinamente il confine svizzero presso Tirano (Sondrio). Però, arrestati dai gendarmi svizzeri, furono consegnati alla nostra polizia ». « Sandra Cogollo ed Alfredo Lievore erano i capi del locale movimento sovversivo e fornivano i mezzi necessari e gli incoraggiamenti per reclutare compagni di fede e farli andare in Spagna a combattere con i miliziani rossi, mantenendosi in collegamento con la Centrale Comunista di Parigi ».
II. LE IMPUTAZIONI E LE CONDANNE
Nella fase istruttoria furono tutti imputati di « avere in Schio ed altrove partecipato ad ASSOCIAZIONE SOVVERSIVA (comunista) diretta a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre » ed in secondo luogo di avere, in epoche diverse ma in un unico disegno criminoso, fatto PROPAGANDA COMUNISTA verbalmente e a mezzo diffusione stampa sovversiva ed altre manifestazioni di partito ». Altre imputazioni furono le seguenti:
l. - Organizzazione e direzione di associazione sovversiva per Cogollo, Lievore, Cavaliere, Saggin Evaristo;
2. - Espatrio clandestino per motivo politico (Spagna) per Casetto, Giovanardi, Piva Eugenio, Tessaro, Cracco, Marchioro Carlo (i due ultimi arrestati alla frontiera).
3. - Incidenti ed aiuti agli espatri per Rinaldi, Cogollo, Lievore Alfredo, Scala;
4. -Sottrazione ai Reali Carabinieri dei Bollettini delle Ricerche (ricercati politici antifascisti) per Tessaro e Casetto;
5. -Occultamento dei Bollettini trafugati per Cogollo e Cavaliere;
6. -Detenzione di una bomba da guerra carica per Cogollo.
Casetto, Giovanardi, Piva Eugenio e Tessaro Antonio si erano resi latitanti espatriando ed erano poi passati in Spagna a combattere nelle Brigate Internazionali; quindi, dopo una diffida a presentarsi, furono giudicati in contumacia. Di Giovanardi, milanese, non si ha notizia; Antonio Tessaro mori in Spagna nella battaglia dell’Ebro; Oscar Casetto restò per molti anni in Francia, mentre Piva Eugenio nel tentativo di rimpatriare venne arrestato «condannato dal Tribunale Speciale nel 1940 a 12 anni di confino a Fossano, donde usci dopo il 25 luglio. Nei confronti di Evaristo Saggin vi fu la sospensione del procedimento per malattia ed in parte anche per Giambattista Cavaliere. Tutti gli altri finirono a Roma davanti al Tribunale Speciale, che il 17 gennaio 1939 emise la sentenza.
BARON NATALINO. n. Schio (Magrè) il 23-12-1909 - tessitore. Arrestato il 15 febbraio 1938 a Taruna in Libia, dove prestava servizio militare, fu trasferito in Italia nella stiva di una nave e condannato a 4 anni sotto l’accusa di aver preso parte a riunioni clandestine e di aver versato denaro sia per la biblioteca che per la famiglia di Pierin Bressan. Tradotto a Castelfranco Emilia ritornò nel 1941 e riprese il suo lavoro di tessitore a Pieve.
BRESSAN PIETRO. n. S. Maria delle Quercie (Francia) il 16-2-1909 - fonditore. Arrestato per primo il 2 aprile 1937 fu condannato dal Trib. Speciale a 5 anni e tradotto a Castelfranco Emilia, dove restò 3 anni; venne trasferito a Formia poi a Gaeta ed infine a Ventotene, donde tornò a Schio dopo il 25 luglio 1943; subì quindi un detenzione superiore alla condanna. Dopo l’8 settembre entrò subito nella Resistenza armata.
CAVALIERE GIO. BATTISTA. n. Schio il 19-3-1907, bidello. Da Vicenza fu tradotto a Ve¬nezia e di qui a Roma. Dopo l’istruttoria fu accolto per circa un anno in una casa di cura e lavorò poi in una fabbrica di manufatti cementizi fino al 1942; rimase presso il fratello a Lecco lavorando in uno stabilimento metallurgico fino al 1946.
CAVEDON GIUSEPPE MICHELE. n. Sarcedo il 9-8-1901 - esercente. Residente a Schio dal 1929, gestore di una trattoria in via Fusinieri. Arrestato a Sarcedo nella casa paterna fu condannato dal Tribunale Speciale a 4 anni, dei quali due trascorsi in carcere e 2 in domicilio coatto a Sarcedo. Dopo un difficile reinserimento al lavoro (magazziniere presso le Officine Bottenel, fu colpito da grave enfisema polmonare ed è deceduto il 26-11-1976.
COGOLLO ALESSANDRO. n. Schio il 10-7-1905 - panettiere. Arrestato il 29-11-1937 e tra-sferito prima a Vicenza e poi a Padova, fu condannato a 15 anni – la pena più elevata ¬– in quanto ritenuto con Alfredo Lievore tra i capeggiatori del gruppo; fu anche imputato di favoreggiamento all’espatrio clandestino e di detenzione di una bomba da guerra. Venne trasferito a Portolongone, dove conobbe Zaniboni l’attentatore a Mussolini. Qui Sandro Cogollo imparò il tedesco, il francese ed il lavoro a maglia. Sembra che dopo il 25 luglio sia stato l’unico ad uscire da Portolongone, perché gli altri detenuti furono deportati dai Tedeschi in campo di sterminio.
CONFORTO ANTONIO. n. Schio (Poleo) il 6-6-1910 - cardatore. Arrestato nel novembre del 1937 ed imputato di riunioni clandestine, di sussidi alla famiglia Bressan e di diffusione di stampa clandestina, fu condannato a 4 anni di detenzione e tradotto a Civitavecchia, donde tornò per un’intervenuta amnistia. È deceduto nel 1964.
CRACCO LIVIO. n. Schio il 14-11-1911 - pizzicagnolo. Catturato alla frontiera svizzera, assieme a Carlo Marchioro, mentre stava espatriando per la Spagna; tradotto a Vicenza fu poi condannato dal Trib. Speciale a 10 anni. Tornò a Schio dopo il 25 luglio da Fossano. È deceduto a Mauthausen nel 1945.
FERRONATO SECONDO. n. Breganze 1’1-9-1903 - barbiere. Arrestato il 9-12-1937.
FRINZI GIUSEPPE. n. Schio il 14-1-1902 - elettricista. Dopo l’arresto nel novembre del 1937 fu trasferito a Treviso e poi condannato a 4 anni con l’imputazione di aver partecipato a riunioni clandestine. Fu detenuto prima a Venezia e poi tradotto a Castelfranco Emilia; all’uscita dal carcere trovò sistemazione presso la SADE a Bassano del Grappa, dove la sua casa fu luogo di aiuto e di sussistenza durante la guerra partigiana.
LIEVORE ALFREDO. n. Schio il 29-5-1907 - falegname. Fin dal 1924, ma in particolare dopo il 1929, era stato promotore con altri amici dell’organizzazione di una biblioteca e della diffusione di stampa propagandistica. Imputato di essere, con Sandro Cogollo, il capeggiatore dell’organizzazione, fu condannato a 10 anni di reclusione e tradotto a Castelfranco Emilia, donde uscì dopo il 25 luglio 1943.
MANEA GINO. n. Schio il 25-8-1913 - meccanico. Coinvolto negli arresti per aver versato denaro in soccorso della famiglia Bressan, fu arrestato il 9 dicembre 1937, condannato a 4 anni e tradotto a Civitavecchia; favorì dell’amnistia per la nascita di Gabriella di Savoia e tornò in famiglia dopo circa 3 anni. Fu riassunto alla De Pretto Escher-Wyss ma nel 1945 venne colpito da nefrite gravissima. Dopo l’esperienza del carcere e più volte ammalato, Gino si dedicò in seguito al lavoro ed alla famiglia.
GIOVANARDI EUGENIO. n. Milano il 21-1-1913, ivi residente.
MARCHIORO CARLO. n. Petropolis (Brasile) il 19-9-1900, residente a Pieve. Fratello di Domenico e di Isidoro. Diretto in Spagna per arruolarsi nelle Bg.te Internazionali – assieme a Livio Cracco – venne fermato nel 1937 alla frontiera svizzera e consegnato alla polizia italiana, che lo trasferì prima a Vicenza e poi a Treviso. Nel 1939 fu condannato a Roma dal Trib. Speciale a 10 anni e venne tradotto a Civitavecchia. Uscì dal confino nell’agosto del 1943.
PEDER ALDO. n. Vicenza il 13-3-1902, residente a Breganze - meccanico. Arrestato l’8-12¬1937. Condannato a 6 anni.
PEDRAZZA CLAUDIO. n. Schio il 6-8-1911 - meccanico. Arrestato l’8 dicembre 1937 fu trasferito a Vicenza e di qui a Treviso. Imputato di aver stampato materiale di propaganda con un poligrafo, che in effetti usava per arrotondare le modeste entrate, fu condannato alla pena esorbitante di 12 anni e tradotto, invece che al confino, nell’impressionante fortezza di Civitavecchia, che accoglieva anche gli ergastolani. Qui morì nel 1941 all’età di 30 anni.
PEGORARO GAETANO. n. Schio il 28-12-1902 - follatore. Arrestato a Schio il 21 dicembre 1937 e trovato in possesso di materiale di propaganda, fu trasferito a Vicenza ed in seguito a Padova, Bologna, Firenze ed infine a Roma dove il Trib. Speciale lo condannò a 2 anni. Tradotto a Castelfranco Emilia, tornò a Schio nel 1939.
RINALDI GIUSEPPE. n. Tirano (Sondrio) il 20-11-909, residente a Roncaiola. Arrestato l’8-12-1937. Condannato a 3 anni.
RONDA BORTOLO. n. Schio il 28-11-1903 - pittore decoratore. Coinvolto negli arresti del 1937 fu arrestato, trasferito a Vicenza e di qui a Castelfranco Emilia. Venne poi condannato dal Tribunale Speciale a 2 anni e 1 mese e tradotto alle Isole Tremiti; tornò a Schio presso la sorella Maria al termine della detenzione. È deceduto recentemente, il 28-10-1977.
SAGGIN EVARISTO. n. Schio il 16-10-1907 - falegname. A causa delle bastonature in carcere durante la fase istruttoria fu colpito da grave malattia invalidante.
SCALA GIUSEPPE. n. Schio il 31-5-1913 - tessitore. Arrestato il 7 dicembre 1937 ed imputato di concorso in espatrio clandestino, venne condannato dal Tribunale Speciale a 6 anni e tradotto nel carcere di Civitavecchia.
Altri Scledensi furono coinvolti ed arrestati nella retata del novembre-dicembre 1937 ed alcuni subirono il carcere ed il confino, senza processo, unicamente perché indiziati di atteggiamento o di attività antifascista. Tra questi ricordiamo:
BARON DOMENICO. n. Schio il 30-4-1899 - impiegato. Ebbe un primo arresto nel 1927 e subì la vigilanza domiciliare per 2 anni. Nel 1930 fu nuovamente arrestato e confinato a Ponza fino al 1932. Nella retata del 1937 venne tradotto a Vicenza per il deferimento al Tribunale Speciale; pur in assenza di elementi di prova fu ugualmente confinato a Ventotene, dove rimase fino al 1941.
CAUDURO GIUSEPPE. n. Schio (Magrè) il 28-5-1891 - tessitore. Coinvolto negli arresti fu trasferito a Vicenza; in mancanza di elementi di prova venne considerato « elemento » da trattenere al confino e quindi tradotto, senza processo, alle Isole Tremiti nell’aprile del 1938. Venne rilasciato in permesso per malattia del padre, ma nel giorno del suo ritorno a Schio – il 1° ottobre 1939 – morirono a poche ore di distanza sia il padre Florindo che il fratello, Enrico di 38 anni. Dopo 2 anni di permanenza in famiglia fu riammesso al lavoro di tessitore, in sostituzione della figlia Lelia. L’esperienza del carcere ed i dolorosi eventi familiari lo tennero poi lontano da ogni attività politica.
GRESELE ANTONIO. n. Schio. Arrestato e trasferito a Vicenza venne poi confinato a Ponza.
LIEVORE SILVANO. n. Genova il 12-8-1916 - operaio tessile. Arrestato – con il fratello Alfredo – nel novembre del 1937 fu tradotto a Vicenza e qui ritenuto « elemento » sovversivo, per cui – pur in mancanza di prove e senza processo – fu avviato nell’aprile 1938 al confino politico alle Isole Tremiti per 5 anni. Con il rientro a Schio ebbe difficoltà di sistemazione al lavoro e fu accolto nell’Officina meccanica Borgo.
MARTINELLO LUCIANO. n. Schio il 2-11-1912 - meccanico. Il padre Luigi, manovale, era oriundo del Padovano. Luciano venne arrestato il 16 agosto 1932, assieme ad una quindicina di giovani amici, perché a Magrè era stata issata una bandiera rossa; subì oltre 3 mesi di carcere e fu amnistiato per la celebrazione del Decennale. Fu poi arrestato il 27 gennaio 1938 e trasferito prima a Vicenza e poi a Venezia; infine la Commissione politica provinciale decise per 2 anni di sorveglianza a Schio. Ha lavorato alla De Pretto ed all’Italcementi.
MOLENA SERAFINO. n. Schio. Arrestato nel novembre del 1937 e trasferito a Vicenza per interrogatori venne poi confinato alle Isole Tremiti.
Nel 1939 è infine da ricordare l’arresto di: TORRICELLI VIRGILIO UGO. n. Roma il 16-1-1890, oriundo modenese. Invalido della guerra 1915-18, si stabilì a Schio nel 1922 ma, per motivi politico-economici, emigrò in Francia (dipart. Lione) nel 1924, donde tornò nel 1931. Operaio tessile al lanificio Rossi di Pieve, poliglotta. In occasione di una gita dopolavoristica estiva a Monaco e Norimberga conobbe un antinazista con il quale intrattenne poi corrispondenza, che, censurata, lo portò all’arresto nell’ottobre del 1939. La commissione politica lo inviò al confino coatto a Cariati (Cosenza), dove morì nell’ottobre del 1940 per trauma cranico da causa non accertata.
Sono ormai passati quarant’anni dai primi arresti di quel novembre 1937 eppure il ricordo di quei giorni è ancor presente e vivo nei sopravvissuti: Oscar Casetta, Eugenio Piva, G.B. Cavaliere, Alfredo Lievore, Gaetano Pegoraro, Domenico Baron, Silvano Lievore, Luciano Martinello.
Nei familiari di quelli invece che oggi non sono più tra loro, in famiglia, il ricordo di quei mesi ed anni di angoscia è ancor più sentito e sempre doloroso. Nessuno ha avuto l’animo di porre mano ai pochi oggetti o cartoline o lettere personali di allora ed è apparsa solo qualche foto ingiallita dagli anni. Non vogliono dimenticare, perché non possono e perché sanno che non è nemmeno giusto il « posarvi una pietra sopra » per lasciare spazio e gioia alla vitalità dei giovani. Nei familiari più intimi il ricordo del marito o del padre o del fratello sembra quasi attutito nella vicenda politica in sé, mentre appare più vivo, l’aspetto umano e tragico di sofferenza vissuta, l’aspetto d’altronde che rimane sempre ben più radicato nel fondo e nel tempo di ogni famiglia rispetto alle situazioni politiche del momento.
Esiste però un dovere quasi sociale di non disperdere le vicende di un paese e le memorie di coloro che vi parteciparono più o meno modestamente. E questo non per somma fiducia che la storia scritta insegni qualcosa ai più, ma perché rimanga perlomeno la coscienza nei giovani che, tra i cosiddetti valori, la libertà dell’uomo ha il prezzo più caro.
La presente Inchiesta ha inteso fornire un panorama degli Scledensi condannati dal Tribunale Speciale o coinvolti in arresti, carcere o confino. È evidente come l’argomento sia di particolare rilievo nella storia locale e nazionale, non solo per il numero dei cittadini colpiti ma anche, e soprattutto, per la « qualità politica » di alcuni personaggi. Dalle interviste e dalle ricerche svolte è inoltre apparso chiaramente che ognuno di questi arresti ha costituito un « caso umano » a sé, e personale e familiare; purtroppo, di tutti, non è possibile dare notizia. Ma, a completamento dell’Inchiesta, si è ritenuto interessante presentare tre « situazioni » viste da vicino, molto diverse fra loro, però significative, ovviamente ad una lettura nelle righe e fra le righe.
1. BIOGRAFIA DI UN FUORUSCITO
Luigi Sella (« Rino »), operaio tessile, figlio di Giuseppe e di Elisa Gavasso, nato a Torrebelvicino il 21-1-1902, ivi residente (Pieve). La figlia Elisa in Dalla Vecchia ci ha cortesemente fornito una biografia autografa di « Rino ».
1921: SCIOPERO DEI TESSILI. « A quel tempo avevo 19 anni ed ero collettore sindacale e componente della Commissione interna del Lanificio Rossi di Torrebelvicino; avendo partecipato attivamente allo sciopero della categoria, fui licenziato per rappresaglia ed inoltre – per attentato alla libertà del lavoro – arrestato il 26 settembre 1921. Subii perquisizioni domiciliari, interrogatori e schiaffi dal Commissario di P.S. di Schio, in via Fusinato. Trattenuto in carcere fino a Natale, in assenza di specifiche imputazioni di reati commessi, venni scarcerato per scadenza dei termini di legge ».
1922: MARCIA SU ROMA. « Per obbligo di leva fui mandato a Roma all’81° Fanteria nella caserma Principe Umberto ed il 30 ottobre 1922 mi trovavo comandato in servizio di cordone di protezione alla tomba del Milite Ignoto mentre il nuovo Capo del Consiglio dei Ministri deponeva un corona d’alloro. Fui congedato il 15 febbraio 1923 ».
1923: RIASSUNZIONE AL LAVORO. « A causa di impedimenti delle autorità fasciste locali perché fossi riassunto al lavoro, dovetti recarmi dal Commissario dell’Ufficio politico della Questura di Vicenza, il quale m’inviò dal Tenente dei Carabinieri di Schio; appena giunto in stazione trovai due Carabinieri ad accompagnarmi ed il Tenente mi spedì dal Collocatore per il nullaosta. Iniziai il lavoro di attaccafili il giorno dopo, il 30 aprile 1923, presso il Lanificio Pietro Cazzola di Schio ».
1924: FUORUSCITO IN FRANCIA. « Il podestà di Torrebelvicino, l’ufficiale daziario ed il direttore di allora del Lanificio di Torrebelvicino erano stati i fondatori ed organizzatori del fascio locale; nel settembre del 1924 mi convocarono e mi imposero, assieme ad Alessandro Tomiello, di emigrare in Francia con passaporto della Questura di Vicenza, nel quale vi era il nome di « Luigi Stéla ». Nella stazione di Bardonecchia mi furono praticate delle vaccinazioni ed il 2 ottobre 1924 passai la frontiera a Modane. Qui un funzionario dell’impresa che aveva in appalto l’allargamento dello scalo ferroviario mi ritirò il passaporto senza più restituirmelo ».
1924-1932: PERIODO FRANCESE. « Dal 1924 al 1932 restai in Francia ». (Il fratello riferisce che, in questo periodo, « Rino » fu inviato in Russia alla Scuola di partito di Mosca, sulla quale cfr. Amerigo Clocchiatti, Cammina frut, Milano, Van¬geli sta Editore, 1973).
1932-1938: ARRESTO E CONFINO POLITICO. « Al mio rientro in Italia fui arrestato dalla polizia il 23 giugno 1932 e tradotto prima in carcere per 18 mesi e poi trasferito al confino a Ponza ». (Viene riferito che qui fece da testimonio di nozze ad Amendola, quando questi si sposò al confino). « Venni rilasciato il giorno di Natale del 1938 ».
1938-1939: DISOCCUPAZIONE. « A causa del continuo intervento delle autorità fasciste di Torrebelvicino e del podestà del tempo, che era direttore della tessitura del Lanificio Rossi di Pieve, restai disoccupato per un anno; infine il Podestà mi inviò all’Ufficio politico di Vicenza e ciò mi consentì la riassunzione al Lanificio Cazzola il 13 dicembre 1939 ».
1940-1943: LAVORO - RICHIAMI ALLE ARMI. « Il 15-3-1941 fui richiamato al 2320 Fanteria Bolzano e congedato il 3-10-1942».
1943-1945: LA RESISTENZA. « Dopo l’occupazione tedesca di Schio fui subito ricercato dalle S.S., poi arrestato dalla Feldgendarmeria e tradotto nel carcere di Forte Mattia a Verona, donde uscii il 18 febbraio 1944. Entrai quindi nella Resistenza della zona di Schio ».
1945-1973: GIORNALAIO. A 43 anni, concluso il lungo e movimentato periodo della sua vita, Luigi Sella si sposò il 12 giugno 1945 con Gina Egarni; dopo un breve inserimento nel sindacato vicentino gestì una piccola edicola vicino all’ingresso del Lanificio Rossi di Pieve. È deceduto il 6 novembre 1973 ed Amendola inviò alla famiglia un telegramma.
II. IL PADRE DEI FRINZI
Nei primi anni del secolo nacquero a Schio, uno dopo l’altro, i cinque fratelli Frinzi: Giuseppe (1902), Giovanni (1903), Luciano (1905), Cesare (1909), Amedeo (1916). I genitori ebbero sicuramente i loro problemi ad allevare una simile pattuglia, ma si racconta che il capofamiglia Giovanni avesse una voce ed una corpulenza tali da tenerli tutti a bada. Nato a Verona nel 1872 ed orfano in giovane età, Giovanni Frinzi aveva imparato ben presto a far da sé, trovando lavoro come tenditore alla De Pretto di Schio; grande come un monumento egli era cresciuto in quell’ambiente di fabbri e di meccanici forzuti, dov’è di regola trattare a « sganassoni» e insulti i garzoni recalcitranti: un sistema così imperativo fu trasferito da Giovanni anche in famiglia, tanto che i suoi figli lo ricordano e lo definirono ancora come un « rustico autoritario ».
Che poi il Frinzi non fosse uomo facile e remissivo, dentro e fuori casa, lo dimostra la sua assidua ed accesa presenza nella « Sala rossa » di Schio, che agli inizi del secolo funzionava da Circolo operaio al Sociale ed era la spina nel fianco del clero e della borghesia del tempo. Ma di Giovanni Frinzi vi è un fattaccio che merita un cenno.
Subito dopo la Grande Guerra i due Frinzi, marito e moglie, accettarono in casa a mezza pensione un giovanotto intraprendente che lavorava anche lui alla De Pretto e che fece amicizia con Giovanni Junior, allora diciottenne, trascinandolo in compagnie allegre e baldorie. Fin qui, niente di eccezionale. Ma quando il padre Frinzi venne a sapere che i due zerbinotti frequentavano la Villa Rosa, noto ambiente di donnine facili, prese da parte il Mefistofele e lo diffidò a trascinargli il figlio in siffatti luoghi di malcostume.
Per un certo tempo i due amici infatti se ne restarono lontani, ma alla fine il canto delle maliose sirene della Villa Rosa ebbe la meglio, sicché il padre Frinzi, ch’era rimasto all’erta, diede prima una bella « passata » al figlio suo scapestrato e poi aspettò al varco l’altro compare « verso i muri », in via S. Giovanni Bosco, dove sollevò il giovanotto da terra con una mano e gli levò due denti con l’altra.
La cosa non si chiuse lì, perché, alcune sere dopo una squadra di fascisti andò a prelevare in via Fra Giovanni il nostro omaccione e lo portò al Sociale, dove quel momento funzionava la mescita di olio di ricino e di olio da macchine; sul posto, a disporre per le bevande, si trovava un noto fascista scledense della prima ora, il quale volle udire dal Frinzi stesso i motivi di quel regolamento dei conti; ma quando seppe che in sostanza erano in ballo faccende di donne e problemi di moralità familiare, fece rilasciare il Frinzi all’istante con l’ammonimento di essere in futuro un po’ meno drastico e manesco. Nessuno dei cinque fratelli Frinzi conservò il carattere autoritario e rustico del padre, ma restò ugualmente in famiglia il vecchio clima socialista, che divenne poi antifascista e portò Giuseppe davanti al Tribunale Speciale.
MORTE IN CARCERE
Antonio Pedrazza – il capofamiglia – era nato a Schio nel 1878 ed aveva sposato nel 1905 una Teresa Lievore, dalla quale ebbe il primogenito Claudio il 6.8.1911, una figlia Maria Stella nel ’14 ed infine l’Assunta nel 1917, che morì di ustioni in tenera età. Dopo la Grande Guerra Antonio aveva trovato impiego nell’Ufficio tecnico del Comune e risiedeva allora verso l’alta via Pasubio, al n. 364, nella casa dei Marin; qui venne improvvisamente a morte per embolia, a soli 48 anni il 2 febbraio del 1927, seguito due anni dopo dalla zia di Claudio, la Maria Lievore, ed infine dalla moglie. Teresa il 14 marzo del 1931.
Fu così nominato un tutore fino alla maggiore età dei due orfani, Claudio (19 anni) e la Maria Stella (17 anni). Il ragazzo, che aveva frequentato le elementari « in campagna » e la prima Avviamento « al Castello » interruppe lo studio, fu assunto prima in una tipografia da Vasco Pegoraro, poi in Fonderia De Pretto ed infine in tintoria al Lanificio Cazzola, dove lavorava già la sorella nel reparto « campioni ». Claudio fin da giovane era un assiduo dei « Salesiani », giocatore di calcio nella « Speranza » e filodrammatico nella « Concordia » ai bei tempi di Doro De Munari & C.
Lo si ricorda ancora come un temperamento vivace e dotato di « grinta ». Una crisi di lavoro in fonderia lo portò a trovarsi disoccupato per mesi ed a cercare quindi una modesta entrata nella rilegatura di libri e nel ciclostilare qualche stampato per conto terzi, in modo da non essere del tutto a carico della sorella Maria. Probabilmente, a giudizio della sorella, una situazione così precaria venne ad influire sulle sue scelte, abbandonò l’ambiente dei Salesiani e cominciò a stabilire nuove amicizie, tra le quali alcune già politicamente impegnate.
A Schio la condizione operaia di allora non era certo florida e la condizione poi di Claudio era in quel momento senza grandi prospettive; di qui forse in lui una reazione antifascista che trovò il terreno più adatto nelle idee di quei suoi nuovi amici « politici », che avevano avversato il Fascismo fin dall’avvento. E dire che Claudio, dopo il premilitare e forse per le sue doti sportive, era stato iscritto d’ufficio alla Milizia, com’era d’uso allora per molti (ad esempio vari ginnasti della Fortitudo furono iscritti con la prospettiva di poter partecipare ai concorsi nazionali).
Il ciclostile di Claudio cominciò quindi a stampare anche materiale di propaganda antifascista. Vennero poi l’arresto ed il carcere, dei quali abbiamo il racconto della sorella Maria: « Era il mattino dell’8 dicembre 1937 e Claudio, che aveva ripreso il lavoro in tintoria, si trovava a casa dopo il turno di notte; lo caricarono su di un camion già pieno di arrestati e qualcuno mi telefonò in fabbrica perché tornassi subito a casa. Qui trovai due questurini che avevano perquisito dappertutto senza comunque trovare la scatola con il ciclostile ed i rulli, in quanto sistemata sopra un alto armadio; il pomeriggio la portai con me al lavoro e nel tragitto la buttai dentro la roggia che passa vicino al Lanificio Cazzola.
Il giorno dopo venni arrestata e trasferita in Questura a Vicenza per un interrogatorio che durò fino a sera: in effetti ero all’oscuro di tutto ed avevo solo notato che il fratello tornava a casa tardi e sempre agitato. Nel gennaio 1938 trasferirono Claudio a Treviso, ma non mi fu permesso di vederlo; si interessò invece il vescovo mons. Mantiero il quale non solo recapitò un mio pacchetto con alcuni indumenti ma aggiunse anche venti lire, una somma notevole, alle mie cinque; lo seppi da Claudio appena mi scrisse.
In seguito fu mandato a Roma a Regina Coeli e qui gli feci visita cogliendo l’occasione di una gita dopolavoristica. Il Tribunale Speciale lo condannò a 12 anni, una pena che mi sembra tuttora molto pesante; forse fu un’aggravante l’iscrizione alla Milizia o forse Claudio, per orgoglio giovanile o per carattere o per coerenza con le sue idee antifasciste, mantenne un atteggiamento poco remissivo durante gli interrogatori.
Anche la sua richiesta di trasferimento in alta Italia non venne accolta e finì nell’orribile fortezza di Civitavecchia, dove in un’ala si trovavano gli ergastolani per reati comuni. Circa un anno dopo, nel gennaio del 1941, ebbi comunicazione dal messo comunale che il fratello era gravemente ammalato, ma quando giunsi a Civitavecchia mi si informò tramite un questurino, in sala d’aspetto, che il fratello era morto e che non potevo nemmeno vederlo perché la cassa era stata già chiusa. Non mi fecero parlare con il direttore del carcere e potei solo acquistare da un fioraio un mazzo di fiori per la sua sepoltura nel Cimitero di Civitavecchia. Quando ritornai a Schio, dopo 22 ore di viaggio, mi si fece avviso che, se avessi parlato di ciò che avevo visto e non visto a Civitavecchia, sarei finita al confino. Ottenni la riesumazione nel 1950 e lo trasferii a Schio. Quando morì, e non so ancora per quale causa, non aveva trent’anni ».
« TRIBUNALE SPECIALE ... Mussolini aveva detto chiaramente alla Camera: « II potere lo abbiamo e lo teniamo. Lo difenderemo contro chiunque. Qui è la rivoluzione: in questa ferma volontà di mantenere il potere » (15 luglio 1923).
Negli anni subito successivi vennero infatti promulgate alcune leggi che consentirono a Mussolini di governare l’Italia con un partito unico. quello fascista. e che furono giustificate agli occhi dell’opinione pubblica con la necessità di un immediato ritorno all’ordine ed alla legalità. Il 24 giugno 1925 fu varata la legge « sulle attribuzione e prerogative del Capo del Governo », al quale in pratica veniva consentito di scavalcare il potere legislativo.
Il 31 dicembre dello stesso anno vi fu la « Riforma della legge sulla stampa» ed i giornali si trovarono in balìa dell’autorità governativa, che poteva sopprimerli al terzo ammonimento. Infine – con il Regio Decreto n. 1848 del 6 novembre 1926 – i Prefetti furono autorizzati a sciogliere quei partiti che, a loro giudizio, svolgevano azione contraria all’ordine nazionale dello Stato ed in effetti vennero sciolti tutti i partiti d’opposizione, fu istituito il confino di polizia e vietato l’espatrio.
Nella stessa seduta iI Consiglio dei ministri approvò un disegno di legge del Guardiasigilli Rocco per la « difesa dello Stato » ripristino della pena di morte, condanne penali ad ogni opposizione al regime sia di partito che individuale, istituzione di un Tribunale Speciale. Con procedura d’urgenza si ebbe l’approvazione del Parlamento il 9 novembre 1926 e, dopo undici giorni di discussione al Senato e con 40 voti contrari, la nuova Legge n. 2008 del 25 novembre 1926 entrò in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (n. 281 del 6-12-1926).
Nell’art. 1 e 2 veniva ripristinata la pena di morte e nell’art. 4 era previsto che « chiunque ricostituisce, anche sotto forma o nome diverso, associazioni, organizzazioni o partiti disciolti per ordine della pubblica autorità, è punito con la reclusione da 3 a 10 anni, oltre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ». Infine l’art. 7 stabiliva che « la competenza per i delitti preveduti dalla presente legge è devoluta ad un Tribunale Speciale» e che « le sentenze non sono suscettibili di ricorso né di alcun altro mezzo di impugnativa, salva la revisione ».
All’inizio i Presidenti del Tribunale Speciale furono generali dell’Esercito ma ben presto vennero sostituiti dai Luogotenenti generali della Milizia, mentre i membri del Collegio giudicante non venivano scelti tra gli uomini di legge ma tra i Consoli della Milizia, noti squadristi; essi appartenevano in genere a conosciute famiglie borghesi o nobiliari. Gli effetti di questa legge eccezionale si fecero sentire anche in Provincia di Vicenza poiché, dal 1926 al 1943, il Tribunale Speciale processò una cinquantina di vicentini ai quali comminò 264 anni di carcere o confino.
Di Vicenza capoluogo furono processati: Gino Morelato, Aldo Penazzato, Giuseppe Bettero, Domenico Baggio, Renato Nardin, Massimiliano Vezzaro, Bruno Tosin, Omero Righetto, Luigi e Giulio Boaretti, Aldo Peder, Maria Maddalena Pizzato, Domenico Cavedon, Sigfrido Meneghetti, Maddalena Rossi. Di Bassano: Fortunato Pegoraro e Pietro Rosati. Di Thiene: Giacomo e Domenico Balasso, Gaetano Savio. Di Zugliano: Giuseppe Dal Maso. Di Sarcedo: Luigi Busatta: Di Breganze: Secondo Ferronato. Di Rotzo: Catterino Pretto. Di Conco: Romano Predebon. Di Recoaro: Giuseppe Facchin.
Nella sola zona di Schio e Comuni limitrofi venne processata dal Tribunale Speciale una metà del totale provinciale, cioè 25 persone, ed inoltre con 163 anni di carcere o confino politico. Tale rilievo giustifica la presente Inchiesta e chiarisce uno degli aspetti del clima antifascista scledense che, radicato nel passato, venne poi a travasarsi in buona parte nella Resistenza armata e civile della Val Leogra. (Per la documentazione sul Tribunale speciale in Italia cfr. « Aula IV » op. cit.).
Il presente Quaderno è stato stampato nel mese di gennaio 1978 per i tipi delle Grafiche BM di Bruno Marcolin -S. Vito Leg. in 1310 esemplari numerati.