GERARDO MAURISIO, VICENZA
E LA MARCA EZZELINIANA
Illustrazione di Aldo Capitanio apparsa sulla rivista "Storia Vicentina" versione cartacea nell'anno 1994 raffigurante la città nell'alto Medioevo (dal 1000 al 1200)
I principali avvenimenti dell’ultima metà del XII secolo sono narrati da Gerardo Maurisio, nato a Vicenza prima del 1173, contemporaneo di Ezzelino III da Romano, nell’opera “Cronaca ezzeliniana”, edita da Neri Pozza nel 1986. Appartenente ad una famiglia vicentina nobile e di grande prestigio, uomo di legge, il Maurisio per tutta la sua vita sarà sempre un sostenitore dei da Romano. In questa scheda seguiremo lo sviluppo degli avvenimenti così come il Maurisio li narra nella sua “Cronaca”.
1183 – Ezzelino il Balbo podestà di Vicenza. Durante il suo governo i figli del nobile Ganselmo uccisero Gastone di Talia e vennero perciò banditi dalla città. Le loro case furono abbattute come le loro torri. I beni furono confiscati e dati alla famiglia dell’ucciso.
1194 – Ezzelino in alleanza con i da Vivaro cercò di ottenere la carica di podestà in Vicenza. Ma non ci riuscì poiché Pilio di Vincenzo e la fazione del Conte di Vicenza, con sotterfugi, riuscirono ad eleggere un loro uomo, il bolognese Giacomo di Bernardo.
1195 – Nel territorio vicentino un tale governo non riuscì a controllare la situazione politica che ben presto diede luogo a scontri violenti, rapine, uccisioni. Fino all’intervento dei Veronesi che, deposto il podestà bolognese, elessero Ottonello dei Turrisendi e Vermiglio dei Crescenzi, rispettivamente per la fazione dei da Vivaro e per quella del Conte di Vicenza. In questo periodo il conte Uguccione dei Maltraversi, proprio come un volgare bandito da strada, fece prigioniero un pellegrino facoltoso che si recava a Venezia. Condotto nel castello di Meda (località della Valdastico nei pressi di Arsiero) lo mise ai ferri. Questo fatto scatenò le ire del governo vicentino che, aiutato dai Veronesi, mise sotto assedio la rocca di Meda. Ma Uguccione aveva le spalle coperte e non si riuscì ad imporre la legge. Il conte riuscì a godersi il riscatto del prigioniero alla faccia del governo vicentino. Ma il conte Uguccione, annusata la debolezza degli avversari, tentò la conquista del castello di Altavilla, possedimento del vescovo di Vicenza. La cosa gli riuscì anche questa volta ma Pistore, il vescovo guerriero, a sorpresa la riprese.
1196 – Nuovo podestà Goffredo da Milano. Sorsero contrasti con Ezzelino. E per appianarli Goffredo non trova altra soluzione che accendere altri fuochi. Da avventuriero qual’era si portò a Marostica che venne incendiata. Naturalmente con un tipo come Ezzelino c’era da aspettarsi il peggio. Le ostilità scoppiarono e coinvolsero il territorio con scorribande e piccole azioni militari. Nonostante questa situazione di pericolo la fazione ezzeliniana preferì non abbandonare Vicenza poiché il vero problema era quello di poterci rientrare.
1198 – Altro podestà, Bonapace da Brescia. Che fece oltrepassare all’esercito il Brenta, ma nei dintorni di Bassano trovò un ostacolo formidabile nelle truppe di Ezzelino. Questi raccolse un esercito formato da vari signori, tra cui Azzo d’Este, con rinforzi padovani. Il podestà di Padova, Giacomo Stretto da Piacenza, fece una proposta di pace ai Vicentini: se quest’ultimi liberavano cinque cavalieri padovani fatti prigionieri a Bassano avrebbe liberato sei Vicentini catturati nella stessa occasione. Se il patto fosse stato accettato il podestà di Padova si sarebbe impegnato a liberare altri ventotto prigionieri che languivano nelle carceri di Ezzelino a Bassano. Tali proposte presentate dallo stesso Maurisio (l’autore di questa cronaca) vennero respinte all’unanimità dal Consiglio vicentino. Così i Padovani ruppero gli indugi e mossero l’esercito in aiuto di Ezzelino. A Carmignano ebbero luogo i primi scontri che volsero a sfavore dei Vicentini. Circa duemila furono i prigionieri condotti a Padova. Vicenza sconfitta chiese allora l’aiuto di Verona che interpellò Padova per la restituzione dei prigionieri. Il rifiuto arrivò secco e allora con il carroccio arrivarono pure le truppe veronesi che, sostenute dalle restanti milizie di Vicenza, mossero contro Ezzelino e i Padovani distruggendo castelli e incendiando i borghi di pianura. I Padovani si rifugiarono in città e, di fronte al pericolo della coalizione avversaria dovettero rilasciare tutti i prigionieri (tra i quali si trovava pure il Maurisio). Così il confronto si interruppe e le milizie se ne tornarono a casa loro. Ma Ezzelino infuriato per la viltà dei Padovani che avevano ceduto ai Veronesi e ai Vicentini cercò di patteggiare direttamente con il podestà di Verona, il conte Guelfo, offrendo ostaggi e il libero possesso dei castelli di Bassano e Angarano. Pochi giorni dopo la pace fu conclusa. Ma i Padovani a loro volta infuriati per il voltafaccia di Ezzelino, occuparono i possedimenti di Onara. Da quel momento – dice il Maurisio – Ezzelino non potè più chiamarsi Ezzelino da Onara ma dovette ripiegare sul borgo di Romano. Di qui il “cognome”.
1199 – Il podestà a Vicenza è Giacomo de’ Vialardi. Poi gli successero i consoli, durante il cui governo Ezzelino e il conte Uguccione dei Maltraversi congiurarono contro i da Vivaro. Uguccione organizzò una spedizione contro Schio con il sostegno degli uomini di Ezzelino giunti da Bassano. Ma il vescovo Pistore portò rinforzi alla città. Nonostante l’intervento del vescovo il castello di Torrebelvicino venne conquistato da Uguccione che lo tolse ai Vivaresi. Naturalmente vi fu una contromossa: i Vivaresi assediarono Torrebelvicino. Il vescovo che ne sosteneva l’azione fu colpito dalla freccia di un difensore e morì. L’eco dei fatti spinse una delegazione di Verona a recarsi nei pressi di Schio per imporre la pace ai contendenti. Infatti, grazie all’autorità di Verona, il castello fu riconsegnato ai Vivaresi, gli eserciti furono congedati e ognuno tornò alle proprie case.
1200 – Ai consoli succede il podestà Marchesino de’ Mainardi. Che non perse tempo: memore dei recenti litigi conquistò la borgata di Sassuolo nei dintorni di Schio e la fece incendiare. A mò di ammonimento verso il conte Uguccione dei Maltraversi!
1202 – Il podestà è Vitaclino da Costa e poi Martinello dei Benincasa. Durante questo governo il conte Alberto uccise Manno di Portanuova.
1203 – Podestà è Oliviero Enselbardo da Pavia. Il 30 ottobre 1204 morì a Lonigo Andrea da Sarego mentre combatteva quel comune per conto di Castignoncolo e Monticello.
1204 – Podestà è Bernardo Vessillifero da Pavia. Sotto il suo governo iniziò la vita dell’università vicentina: lo Studio degli Scolari che durò poi fino alla podesteria di Drudo.
1205 – Come podestà governano il conte Uguccione e poi Guido da Vivaro.
1206 – Succede Lombardo da Cremona. Alla fine del mandato una cospirazione di Uguccione e dei da Vivaro impose a mano armata il governo della fazione. Ma l’accordo durò poco: si accese infatti un contrasto tra il conte Guido e Corrado da Vivaro. Ne approfittarono i popolani che con un colpo di mano elessero in loro vece il milanese Guglielmo da Pusterla. Intanto in Verona scoppiò la guerra civile: il marchese Azzo d’Este si schierò contro il marchese Bonifacio. Da tutte le città del Veneto affluirono soldati. Pure Ezzelino mosse i suoi uomini, ma ebbe la peggio a Verona. L’unico successo Ezzelino lo riportò rifornendo di viveri gli assediati della rocca del Garda che era minacciata dalle truppe di Azzo d’Este (e che poi capitolò nel 1208).
1208 – Cambia il podestà di Vicenza, entra in scena Drudo Buzzaccarini da Milano, che per sua sicurezza prese come ostaggi molti figli di nobili vicentini e li inviò a Milano. Artusio da Vivaro, figlio di Corrado, Alberto da Sossano, figlio di Pilio di Vincenzo, e molti altri. Il marchese e il conte Bonifacio ricercarono l’appoggio del conte Guido e di Corrado da Vivaro per rovesciare il podestà e ucciderlo. Ma costui sicuro dei suoi ostaggi non si curava della congiura. Il venerdì 3 aprile 1209, di mattino, i congiurati colsero di sorpresa il Buzzaccarini e lo misero in ceppi. Il potere venne assunto dai da Vivaro e dal conte Guido, le case dei fautori di Ezzelino vennero tutte abbattute. Ora Ezzelino aveva perso peso e prestigio sia a Verona, che a Vicenza. Ma pochi giorni dopo, usciti di città per dare la caccia ai fuoriusciti, nei pressi di Sandrigo, i due “podestà” furono sconfitti in modo totale, le loro milizie volte in fuga e loro stessi fatti prigionieri. A contribuire al successo della fazione ezzeliniana fu il conte Alberto, Giacomino Guidotti da Treviso, uomini di masnada di Breganze e Bassano. I congiurati furono così trasportati nel castello di Breganze e messi in prigione. Il marchese di San Bonifacio alla notizia della sconfitta corse ai ripari mobilitando tutti i suoi alleati e cercando di portare la minaccia militare addirittura al cuore del dominio ezzeliniano: Bassano e il castello di Breganze. Alla notizia di questa offensiva nemica Ezzelino, che era ammalato a Brescia, se ne ritornò a Bassano e il Maurisio, che fu testimone oculare del fatto, parla della deferenza ricevuta dagli uomini di masnada. Intanto, onori a parte, il “nemico”, nelle vesti del marchese Azzo d’Este e del conte di San Bonifacio, con truppe vicentine e veronesi, stava per assalire Bassano.
Ezzelino decise di chiedere aiuto a Treviso e ottenne l’invio di un grosso esercito. Intanto Ferrara cadeva nelle mani di un amico di Ezzelino, Salinguerra da Ferrara, con la conseguente rottura degli equilibri militari. Azzo d’Este e il conte di San Bonifacio dovettero interrompere la spedizione e correre in fretta ad arginare la nuova minaccia. Ezzelino potè così tirare un sospiro di sollievo ma non rinunciò ad inseguire i resti dell’esercito nemico fino a Bolzano (Vicentino) che incendiò completamente. Secondo il Maurisio due degli uomini di Ezzelino inseguirono i fuggitivi fino alle porte della città, al ponte Pusterla. Furono il padre del Maurisio, Pietro, e Grimaldello da Bolzano.
Non si potè procedere oltre poiché il ponte era stato danneggiato nella ritirata. Così il Maurisio (op.cit. pag.24): “…E mentre i nemici li osservavano dall’alto delle mura, deposti gli elmi, bevvero dell’ottimo vino in un bicchiere di vetro offerto loro da un borghigiano; e per questo fatto il conte condannò il borghigiano a una multa di dieci lire; ma mio padre poi lo rimborsò, non volendo che ne subisse un danno…”. Ezzelino avrebbe potuto conquistare Vicenza se avesse voluto, ma l’arrivo di un messo dell’imperatore Ottone molto probabilmente gli fece capire che sarebbe stato più politico un comportamento moderato. Ottone si trovava già ad Ossaniga ed Ezzelino vi si diresse dopo aver congedato le milizie di masnada e quelle trevigiane.
Il Maurisio parla della magnificenza della accoglienza di Ottone verso Ezzelino: “Ora Ezzelino sta a corte tra pompa ed onori, sotto la tenda più grande e più bella di tutto il campo, che ben presto cedette all’arcivescovo di Spira, e più degli altri principi sembra godere del favore del re, cavalcando e stando sempre vicino a lui con grande familiarità. Frattanto venne a corte il marchese Azzo, e anche lui sembrava godere del favore del re”.
“Un giorno, in cui si trovavano entrambi col loro seguito davanti al re, saltò fuori Ezzelino che, lagnandosi del marchese, tra le altre cose che disse, lo accusava di tradimento nei suoi confronti. Legati infatti da non poca amicizia, senza che vi fossero stati in precedenza torti od offese, si trovavano entrambi a Venezia e passeggiavano insieme per piazza San Marco, tenendolo il marchese per mano, quando armati di spada sopraggiunsero correndo dei sicari per ucciderlo. Mentre egli cercava di sfuggire alla morte e di darsi alla fuga, il marchese gli strinse la presa e non voleva lasciarlo e, se con forza non avesse svincolato la mano dalla sua, non avrebbe potuto evitare la morte. Nel trattenerlo perché non fuggisse, il marchese tanto lo ostacolò che i sicari raggiunsero la scorta di Ezzelino, ossia Busnardo, figlio di Martinello dei Benincasa di Pitocco, cittadino vicentino, che ferirono gravemente lasciandolo mezzo morto, ed uccisero un altro cavaliere, Bonaccorso da Treviso. E così Ezzelino era riuscito a salvarsi a fatica malgrado il marchese, che accusava come responsabile di così grave delitto, dicendosi pronto a provare subito in duello al marchese che tutto ciò era avvenuto per suo deliberato piano…”.
Ezzelino rincarò la dose, accusò pure il Marchese d’Este di aver tradito Drudo, il podestà di Vicenza, e molte altre cose, lo sfidò a duello dove avesse voluto, ma lontano dalla corte dell’imperatore Ottone. Il quale stette ad ascoltare in silenzio questo confronto tra i suoi due vassalli (almeno in teoria), poi impose loro di smetterla. Il giorno seguente mentre Ottone era a caccia con Ezzelino arrivò Salinguerra da Ferrara con cento cavalieri armati “ciascuno dei quali aveva un vessillo e l’armatura nuova..”
Il Salinguerra in spregio al marchese Azzo d’Este passò davanti alle sue tende con tutti quei cavalieri e si diresse alla tenda dell’imperatore. Qui espresse le sue lagnanze accusando Azzo di molte iniquità. Azzo rispose per le rime e ne nacque una gran rissa subito sedata dai soldati di Ottone che faticarono non poco per separare i contendenti.
Così continua il racconto di questo importante episodio, il Maurisio che, è bene ricordarlo, fu testimone oculare dell’avvenimento: “…Il marchese, oltre a smentire, cercando sempre di evitare lo scontro, rispose che aveva molti suoi fedeli, più nobili dello stesso Salinguerra, pronti a combattere contro di lui al suo posto se avesse voluto farlo; e su ciò si accese una gran rissa tra loro…Il giorno dopo, mentre il re cavalcava in compagnia del marchese e di Ezzelino, che gli stavano uno a destra e l’altro a sinistra, il re disse a Ezzelino in francese: “Ser Ezzelino, saluta il marchese”. Ezzelino, toltosi di capo il berretto, con un inchino disse al marchese: “Signor marchese, Dio vi salvi”. Visto e udito ciò, il re disse ancora al marchese: “Ser Marchese, saluta Ezzelino”, e il marchese, sempre col berretto in capo, salutò Ezzelino dicendogli: “Dio vi salvi”; e questi, toltosi di nuovo il berretto, di nuovo gli rispose: “Dio vi salvi”.”
La commedia andò avanti ancora per un pezzo poiché il Maurisio racconta nei particolari l’avvenimento. In sintesi i due fieri avversari stipularono una tregua formale alla presenza dell’imperatore. Nel mondo dei simboli medioevale, in cui i gesti assumevano un grande valore anche la cortesia formale assumeva significati importanti. In ogni caso i due nemici si avviarono a cavallo assieme per un lungo tratto e rimanendo soli parlottarono a lungo. Che si dissero? Dovette chiederselo anche l’impensierito Ottone, anche perché non era raro di quei tempi che due nemici si rappacificassero all’istante per combattere il terzo incomodo. E Ottone interrogò con cura sia l’uno che l’altro per sapere che cosa si erano detti. Poi congedò Azzo d’Este e lo mandò ad Ancona e Ezzelino se lo tenne stretto portandoselo fino a Roma perché assistesse alla sua incoronazione. Il fatto avvenne il 4 ottobre del 1209. Di ritorno da Roma Ottone cercò di mettere ordine in casa affidando ad Ezzelino il governo di Vicenza, a cui furono concessi i pieni poteri.
1210 – Ezzelino entrò così in città, a Vicenza, e entrambe le partes, le fazioni, gli giurarono obbedienza. I partiti feudali intanto contavano le loro forze. Quello di Ezzelino poteva contare su Vicenza, alleata a Ferrara tramite il fido Salinguerra. Il marchese d’Este, per parte sua, con l’alleato conte di San Bonifacio controllava Verona e Mantova. Restava il problema dei prigionieri di guerra. Alcuni morirono in galera, nelle mani di Ezzelino, come il conte Guido, Pilio di Vincenzo, Oldraco e altri vicentini. Per di più da Vicenza vi fu una vera emigrazione. Nonostante le belle parole le fazioni si diedero battaglia ed Ezzelino ordinò la confisca dei beni dei fuorusciti.
Il castello di Grancona, dove si erano rifugiati i ribelli ad Ezzelino, fu posto sotto assedio e distrutto. I superstiti fuggirono a Verona, e in senso inverso i fautori di Ezzelino residenti a Verona percorsero la stessa strada in direzione di Vicenza. A Verona intanto venne eletto podestà Bartolomeo da Palazzo. Uomo del marchese Azzo VI d’Este e del conte di San Bonifacio mosse guerra a Vicenza. Per l’occasione arrivarono rinforzi da molte città dell’Italia settentrionaloe. Da Mantova, Cremona, Reggio, Brescia, Pavia arrivarono milizie. Da Verona arrivò tutto l’esercito pure con il carroccio. Lonigo fu tosto attaccata e conquistata. Poi, assediato e conquistato pure il castello si avviarono verso Ponte Alto dove fu posto il campo. Ad Ezzelino non erano rimasti molti uomini, c’era sì la sua fazione, ma erano qualche centinaio di uomini di masnada, poteva contare sulla milizia vicentina e su un contingente di fanteria e di cavalleria di Treviso. Ma per necessità si dovette sfoderare il coraggio ed Ezzelino tentò l’attacco di sorpresa contro l’esercito dei coalizzati.
Il tentativo riuscì, Azzo d’Este e il San Bonifacio furono volti in fuga, molti cittadini di Verona furono fatti prigionieri e così pure molti militi delle altre città. Un mese dopo questo aspro scontro i due tenaci avversari di Ezzelino morirono entrambi di morte naturale a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Ne conseguì lo scomporsi delle alleanze: i Padovani mossero guerra al marchse d’Este, il figlio di Azzo VI, Aldobrandino. E, ovviamente, chiesero aiuto ad Ezzelino, l’unico nel territorio ad avere un suo esercito personale sempre pronto per le necessità. Ezzelino rispose positivamente alla richiesta di aiuto dei Padovani e con l’esercito e con le macchine d’assedio, aiutato anche da milizie vicentine, attaccò il castello di Este. La fortificazione venne letteralmente sbriciolata e il marchese dovette capitolare.
Dopo questo lavoretto Ezzelino se ne tornò con i suoi a Vicenza. Per motivi politici i Padovani chiesero ad Ezzelino di concedere la grazia ai fuorusciti vicentini e veronesi e di concedere loro il permesso di rientro nelle rispettive città. Artefice del compromesso il podestà di Padova Marino Zeno da Venezia che fu poi eletto podestà a Vicenza.
1214 – Ezzelino ebbe un po’ di tregua e se ne tornò nelle sue terre, a Bassano. Contento di come erano andate le cose vendette addirittura Marostica per sessantamila lire al comune di Vicenza alle condizioni che i Vicentini non fortificassero il castello lasciandolo spianato com’era. Ma i Vicentini non rispettarono l’accordo e intrapresero subito opere di fortificazione.
1215 – Il nuovo podestà è il conte Alberto aiutato da Guido da Vivaro. Insieme governarono discretamente la città e il territorio.
1216 – Succede Rambertino da Bologna. Costui invece organizzò un governo anti-ezzeliniano. Due terzi delle cariche comunali finirono in mano alla sua fazione, il terzo alla pars di Ezzelino. In queste condizioni governò due anni di seguito.
1218 – Era vecchia consuetudine che le cariche fossero spartite per metà tra le due fazioni. Albertino da Castelnuovo, podestà entrante, evitò la prepotenza del suo predecessore.
1219 – E’ podestà Alberto Tetavecchia da Vercelli. Uguccione di Pilio con il sostegno della sua fazione diede l’assalto al palazzo comunale costringendo il podestà alle dimissioni e togliendo alla pars ezzeliniana il terzo delle cariche. Alcuni sostenitori dei da Romano dovettero fuggire di città e riparare a Bassano.
1220 – Uguccione di Pilio gettò tutto il suo peso politico sull’assemblea comunale e fece eleggere podestà nuovamente Rambertino da Bologna. Quale uomo di Uguccione, Rambertino cercò di limitare al massimo l’assegnazione di cariche a uomini della pars ezzeliniana. A causa di ciò Ezzelino organizzò una rappresaglia e piombò con i suoi uomini nel territorio di San Pietro in Gu e poi a Bolzano con seguito di incendi e saccheggi, per recar danno ai Vicentini. Ma le milizie del podestà attesero l’occasione per attaccarlo di sorpresa e per ucciderlo. L’imboscata però fallì perché Ezzelino, avvisato in tempo da uomini di sua fiducia, mosse all’assalto con le sue truppe pur se inferiori di numero. Il valore e l’audacia del capo diedero l’esempio e i soldati di masnada ebbero la meglio sulle milizie del podestà di Vicenza. Per risolvere o appianare il contrasto ci si mise di mezzo pure Padova che riuscì a mitigare gli animi. La pars ezzeliniana ritornò a Vicenza e i prigionieri vennero rilasciati. Miracolo causato dai rovesci militari o esempio di voltafaccia politico, fatto sta che Uguccione di Pilio chiese di far parte del partito ezzeliniano. Alle parole seguirono i fatti: Uguccione addirittura combattè contro il podestà Rambertino, sua creatura. Vicenza fu incendiata in gran parte e si combattè nelle strade.
1221 – All’arrivo del nuovo podestà, Guglielmo Amato, la città di Vicenza era in pieno marasma. Per sedare i continui scontri tra fazioni dovettero intervenire anche i Padovani. Alla fine il podestà riuscì a giurare e il suo governo potè governare pacificamente. Il Maurisio nel suo racconto narra pure di Alberico da Romano, fratello di Ezzelino III il Tiranno, che deflorò la sposa all’interno del palazzo comunale. “Pure Ezzelino (sul finire della podesteria di Guglielmo, che non si capisce se abbia portato fortuna o sventura ai due da Romano, ndr.) si sposò con Zilia, sorella del conte Rizzardo di San Bonifacio, e il conte Rizzardo si sposò con Cunizza, sorella dei da Romano…”.
1222 – Podestà è Lorenzo da Brescia, che si appoggiò alle classi mercantili (i “populares”), assegnando loro un terzo delle cariche. Era troppo per i nobili che, come dice il Maurisio, iniziarono a cospirare. Alberico, il conte Alberto, Alberto da Sossano e altri signori. Costoro furono convocati dal podestà ma non si fecero vedere. Perciò furono banditi. In soccorso Lorenzo chiamò da Brescia duecento cavalieri. La guerra stava per scoppiare quando su pressioni di fra Giordano e di altri nobili si venne ad un accordo di compromesso. I ribelli avrebbero pagato una multa di settemila lire, pagata dai Padovani. Così Lorenzo riuscì a governare fino alla fine del suo mandato.
1224 – Succede ponzio Amato da Cremona, fratello di Guglielmo. Il suo governo si resse sulla parte anti-ezzeliniana, mentre i seguaci dei da Romano furono tenuti ai margini.
1225 – Ritorna il fratello Guglielmo. Stessa politica verso i da Romano.
1226 – Succede Ottone Mandello, di Milano. Che non cambiò la politica dei precedenti podestà. A Verona però si produssero grandi novità. Ezzelino dopo aver sventato un attentato alla sua persona, mentre ritornava a Bassano nelle sue terre, riuscì con l’aiuto dei Monticoli ad essere eletto podestà della città, inducendo alla fuga il conte Bonifacio.
1227 – Viene eletto podestà Albrighetto da Faenza, nemico personale dei da Romano e di Salinguerra da Ferrara. Non fidandosi dei vicentini fece custodire le torri e le mura da soldati padovani. Alberico vedendo gli effetti della podesteria dell’Albrighetto si accordò con il fratello Ezzelino III per organizzare un’azione militare onde riconquistare l’agibilità politica e fisica in Vicenza, spodestando l’odiato podestà. Un giorno avvenne così che Artusio da Vivaro con l’aiuto degli armati di Ezzelino potette riconquistare la sua torre. Contemporaneamente apparvero anche le milizie di Alberico e del conte Uguccione di Pilio. Si accesero aspri scontri in tutta la città di Vicenza. Le truppe padovane corsero in aiuto del podestà, mentre da Porta Nuova Ezzelino entrò in città con truppe veronesi. La battaglia fu aspra ma alla fine, fatti molti prigionieri (che furono tutti spogliati, dice il Maurisio), Ezzelino risultò vincitore. Il podestà catturato fu rilasciato ed espulso da Vicenza.
1227 – Sale alla carica di podestà Alberico da Romano. Così i due fratelli governarono le due città, di Vicenza e di Verona. Molti fuggiaschi si diressero verso altri centri del contado. Il vescovo di Vicenza si ritirò a Brendola, nella rocca. Alberico distrusse il castello di Grancona poi assediò a lungo il castello di Valeriano da Breganze presso Mason. La città fu da lui governata per ben ventinove mesi. Intanto Ezzelino si impadronì del castello di Fonte catturando il figlio di Gerardo da Camposampiero. Il fatto fece scoppiare un’altra guerra. Truppe padovane e trevigiane unite mossero contro i da Romano giungendo fino a Bassano, incendiando le case e tagliando le vigne. Giunse il padre dei fratelli da Romano, Ezzelino (il Monaco) che scongiurò il figlio Ezzelino III di restituire il castello di Fonte e rilasciare il figlio di Gerardo da Camposampiero. Il giovane da Romano cedette alle suppliche del padre e restituì tutto. Così gli eserciti avversari si ritirarono. Gravi danni però erano stati arrecati al territorio bassanese. Intanto Ezzelino ritornato a Verona lasciò che la carica di podestà venisse assunta dal conte Bonifacio di Redaldesco, sostenuto dalla comunanza di Zuliano, figlio di Rinaldo ostiere, esponente delle classi mercantili e popolari.
1228 – A Verona succede Pruino de’ Incoardi, seguìto (1229) da Raniero Zeno da Venezia che tenne saldamente il controllo del castello di San Bonifacio.
1230 – Podestà in Verona viene nominato Matteo Giustiniani. Sotto il suo governo vi fu una rissa tra i Monticoli e il figlio di Aleardino. Il conte di San Bonifacio fu messo in carcere. Per alleviare le sofferenze dei prigionieri si mosse pure il padre dei due fratelli da Romano, Ezzelino il Monaco. Intanto per appianare i contrasti che minacciavano di trasformarsi in una nuova sanguinosa guerra civile in Verona e di conseguenza probabilmente anche in Vicenza, i Lombardi riuscirono ad organizzare una lega di città a cui aderirono Brescia, Mantova, Verona, Vicenza, Padova, Treviso e Ferrara. Scopo della lega mantenere la pace e impedire che le fazioni fossero cacciate dalle città in questione. Concluso l’accordo Ezzelino consegnò i prigionieri ai rappresentanti lombardi della Lega e accettò che venisse eletto come podestà di Verona Guido da Rho. Ma Ezzelino fece subito pressione sui Lombardi perché mantenessero i patti. Il castello di San Bonifacio doveva tornare sotto il controllo del comune di Verona. Le cose andarono per le lunghe. Fu perfino fatto un convegno a Bologna per discutere della cosa. Ma non si arrivò ad un accordo. Alla fine, inviperito per gli escamotage sollevati, lo stesso Maurisio, impegnato come ambasciatore, intervenne duramente. Ma lasciamo alle sue parole il compito di raccontarci i fatti.
“Allora io, in preda a violenta collera, gridai davanti ai Lombardi che mi faceva meraviglia che non volessero accogliere le richieste dei da Romano rinviando ogni decisione, perché la potenza dei da Romano, in virtù delle loro forze e di quelle dei loro amici di Verona, era ancora tanta che in qualsiasi momento, se avessero voluto, avrebbero potuto cacciare la fazione del conte e impadronirsi della città come prima; e Galvano dei Turrisendi, con gli ambasciatori che si trovavano lì a rappresentare quei signori, rispose ammettendo che era tutto vero alla presenza di quelli che si opponevano. Aggiunsi anche argomenti più gravi: se infatti i da Romano volevano appoggiare l’imperatore, da soli avevano tanta forza che potevano condurlo per le loro terre fino alla Marca, anche se i Lombardi si fossero opposti, tanto più che in Verona era ancora così grande la loro potenza, come avevo detto prima; per cui non dovevano essere disprezzati e offesi dai Lombardi, visto che essi volevano realmente fare il bene della Lombardia. E in quanto procuratori poi non volevamo più oltre attendere e, adirati, davvero stavamo per andarcene, senza prender congedo dai Lombardi. Essi allora, chiamatici indietro, ci risposero che avrebbero fatto qualsiasi cosa volessimo; e così fummo accolti nella lega a loro nome, lega che giurammo di osservare sull’anima loro a titolo di procuratori, come garantivano i nostri atti pubblici…” (Gerardo Maurisio, Cronaca Ezzeliniana, Neri Pozza, Vicenza 1986, pagg.45-46).
Continuò poi la politica dei compromessi e delle ambascerie: si cercò cioè di evitare gli scontri anche i più piccoli per evitare la deflagrazione generale. I Lombardi, prosegue il Maurisio, volevano far entrare nella lega un po’ tutti, anche il conte di San Bonifacio, nemico giurato dei da Romano, per avere il controllo della situazione. Il conte infatti venne rimesso in libertà e gli vennero restituiti il possesso del castello di San Bonifacio e tutti i suoi beni. Questo però all’insaputa di Ezzelino.
La trama dei Lombardi mandò sulle furie i da Romano che intervennero a Verona e, visti inutili i tentativi pacifici, sequestrarono il podestà imponendogli di far ritornare gli ostaggi che aveva inviato a Milano per garantirisi il buon proseguimento del mandato. Ezzelino lo tenne ovviamente in prigione finchè questi giovani rampolli delle famiglie sue sostenitrici non furono tutti riconsegnati. In questa fase convulsa della vita politica di Verona Ezzelino si schierò apertamente con l’imperatore. E’ evidente che la guerra fu una conseguenza logica.
1229 – Filippo Zuliani viene eletto podestà a Vicenza. Sotto il suo governo Ezzelino dovette affrontare una ribellione addirittura in Bassano. Le truppe dei da Romano entrarono in città e sconfissero i ribelli che si rifugiarono da Tisone di Camposampiero, presso il conte di San Bonifacio e presso il marchese d’Este. Il podestà Zuliani impose ai due fratelli da Romano e all’altra parte, i Bonifacio, ecc. di presentarsi al suo cospetto e di consegnare una grossa somma come pegno. Fu convocata un’assemblea e la sentenza definì che la giurisdizione di Bassano spettava ad Alberico, e condannò Ezzelino ad una multa di seimila lire in denari veronesi, la parte avversa a duemila lire. Ma gli avvenimenti poi precipitarono ugualmente. La guerra ritornò ad infierire nel territorio vicentino. Padova, Vicenza e Mantova mossero contro Verona e contro i possedimenti di Ezzelino. Porto e Legnago furono assaliti, si ebbero incendi e saccheggi ed Ezzelino fu costretto a rifugiarsi a Verona.
1230 – Succede Guido da Rho nella podesteria di Vicenza. Costui pensando di poter governare più facilmente inviò in esilio in Lombardia un gran numero di nobili vicentini appartenenti alle due fazioni con l’ordine tassativo di non tornare senza il suo permesso. Tra questi uguccione di Pilio, il conte Pietro, Sigifredo da Arzignano, Paninsacco da Trissino, Ugolino di Amistà, Artusio da Vivaro. Ma parecchi fuorusciti non accettarono la situazione e iniziarono a cospirare contro il podestà. Questi, venuto a conoscenza della trama, ordinò che venissero al suo cospetto. Nessuno venne e, anzi, il gruppo dei ribelli si rifugiò con Uguccione nel castello di Montecchio. S’interposero i soliti Padovani che indussero i nobili a concedere il loro consenso al podestà a patto di restare impuniti. Ma Guido da Rho voleva la punizione, soddisfazione che non potè togliersi poiché i Padovani dovettero rispettare i patti. Nessuno venne punito. Il risultato politico e militare di questa scaramuccia fu che le milizie padovane avevano messo sotto il loro controllo molti castelli a spese dell’autonomia del comune vicentino.
1231 – Succede Guglielmo Sivoleto. Sotto il suo governo si ebbero feroci scontri a Lonigo ove il conte Rizzardo di San Bonifacio abbattè la torre della fazione ezzeliniana e si impossessò del castello. Alberico alla notizia inviò sul posto Bonifacio da Urbana che assieme ad Erro da Lonigo entrarono in città. Ma Lonigo era occupato dalle milizie del conte Rizzardo e i due dovettero precipitosamente fuggire. Lo scudiero del Bonifacio da Urbana fu fatto prigioniero e perse l’armatura, il cavallo e ventisei soldi grossi veneti. Altri due della scorta furono catturati e decapitati. Il castello però fu ripreso dalla fazione ezzeliniana. Subito fu posto uno stretto assedio attorno alla rocca. Si mise in azione un mangano (poderosa macchina da lancio), per scagliare grosse pietr, ma gli assediati con un’azione improvvisa uscirono dal castello e misero in fuga gli assedianti. Il podestà di Vicenza dopo questi fatti impose agli ezzeliniani la consegna del castello. La fazione dovette concederlo e il castello di Lonigo fu occupato e tenuto da una guarnigione di soldati padovani.
Ma anche il Maurisio venne coinvolto suo malgrado per le conseguenze prodotte da questi continui scontri tra fazioni. Ecco il suo racconto: “In seguito, mentre i miei buoi, che erano i migliori di tutto il paese, si trovavano nei prati di Lonigo a caricare fieno con garanzia del capitano del castello, il conte, su consiglio dei suoi seguaci, mandò dei cavalieri a requisirli e li fece dare a colui cui appartenevano i buoi che tiravano il mangano di cui ho parlato prima. Guglielmo poi condannò Tisone (figlio di Alberico di Lanfranco, capo di una delle due fazioni di Lonigo, ndr.) a restituirmeli e gli pose un bando, per cui non poteva uscire di Bassano, se prima non mi risarciva il danno secondo la sentenza; ma questa sentenza non è stata ancora messa in esecuzione perché Tisone ha troppo potere in giunta…” (G.Maurisio,op.cit.)
Nel momento in cui la guerra tra le fazioni sembrava in una fase di stanca arrivò a Pordenone l’imperatore. Alberico da Romano fu ricevuto con grande pompa e splendore, e nel corso dei colloqui fu prospettata da Alberico l’ipotesi di impadronirsi completamente di Verona, città che il fratello Ezzelino stava controllando in opposizione al conte di San Bonifacio e alla Lega Lombarda. Ma l’imperatore non aveva così tanti uomini per impegnarsi nell’operazione e l’idea venne accantonata per la prossima venuta in Italia.
1233 – Succede Enrico da Rivoli subito in urto con Alberico da Romano. I nobili si schierarono, Alberico dovette allearsi con i Trevigiani e con le truppe mosse contro Cittadella. Attorno alle porte avvennero aspri scontri, seguiti da incendi e saccheggi. Poi Alberico ritornò a Bassano. Forti della lettera di protezione con cui l’imperatore Federico II da Apricena in Puglia il 3 dicembre del 1232 testimoniò il suo favore nei confronti dei da Romano, i due fratelli Alberico e Ezzelino apparivano quasi intoccabili. Ma era solo un’impressione poiché una coalizione di forze presto attaccò i da Romano proprio nel loro feudo. Truppe vicentine e padovane irruppero nel Bassanese mettendolo a ferro e fuoco. In aiuto dei da Romano corsero i Trevigiani. Vi fu un’aspra battaglia al di fuori delle mura di Bassano, e furono catturati molti nobili padovani.
I prigionieri furono custoditi prima dagli Ezzelini e poi dai Trevigiani che li misero ai ceppi. Vicentini e Padovani, sconfitti, dovettero ritirarsi. Uno strascico di questa vittoria fu l’assalto al castello di San Bonifacio che in parte fu incendiato e distrutto. Testimone dei fatti il Maurisio così riporta alcuni particolari della guerra:
“Nella battaglia combattuta a Bassano, su mia richiesta, militava sotto Alberico un certo Bonifacio da Urbana, a cui io fornivo cavalli ed armatura; ed egli, per amor mio, anche contro il volere del suo signore, il marchese d’Este, serviva i da Romano in ogni loro impresa; per cui il marchese lo aveva in grand’odio. Costui, durante la battaglia, con tale forza colpiva di lancia cavalieri e cavalli nemici che ne restò alla fine tutto indolenzito. Gettata quindi la lancia e sguainata la spada, si avventò in mezzo ai nemici, dove più fitta era la mischia, e afferrò per il collo Samaritano, cavaliere nobile, grande e forte, e a forza lo trascinò tra i suoi, senza badare agli innumerevoli colpi infertigli dai nemici, e lo consegnò ad Alberico. Dopo che l’ebbe catturato, lo riconobbe come suo stretto parente; ma questo non gli servì, perché non poteva rilasciarlo senza suo disonore dopo la cattura; e così ciononostante lo consegnò ad Alberico. In tale occasione, mentre lo trascinava, un certo Bonaccorso da Folzase con tanta forza per invidia colpì posteriormente il cavallo del prigioniero che, se sano valeva oltre cento lire, così ferito fu venduto per quindici. Il cavallo di Bonifacio fu poi ferito alla zampa di dietro, né in seguito ebbe più alcun valore. Pure allo stesso modo egli rovinò in quei giorni un altro destriero, che io gli avevo comprato per quell’impresa, sicchè l’animale non valse più a nulla ed io non ci potei ricavare alcunchè. Anche di questo attendo ancora la ricompensa. Bonifacio poi rinunciò al mondo e, servendo il Signore, scelse il partito migliore…” (G.Maurisio,op.cit.;pagg.58-59).
La cronaca dei fatti del 1232 continua con l’apparizione di fra Giovanni dell’ordine dei predicatori, vicentino, figlio dell’avvocato Marnelino. Di fra Giovanni, che ebbe un grande ascendente sulle genti di quel tempo il Maurisio racconta cose meravigliose. Moltitudini di donne, uomini e fanciulli accorsero ovunque ad ascoltare la parola del religioso. Molte città del nord Italia prestarono attenzione alla sua predicazione. Così forte era il suo carisma che anche i nobili e pure Alberico ne restarono in parte affascinati. Fra giovanni celebrò pure il matrimonio tra Rinaldo, figlio del Marchese d’Este e Adelaide, figlia di Alberico da Romano.
Ma in seguito la storia di fra Giovanni diventò una cosa già vista: la brama di potere dette alla testa al povero frate e fra Giovanni si impose al governo cittadino di Vicenza e poi anche a quello di Verona, volle essere nominato duca e conte. Tutto gli fu concesso. Richiamò in città le fazioni, volle degli ostaggi, controllò strettamente le fortificazioni della zona di Illasi e Verona. Ma a Vicenza fra Giovanni incontrò i primi ostacoli. La fazione ezzeliniana lo attaccò nel palazzo comunale e disperse la folla dei suoi seguaci. Il motivo politico era alla base dello scontro, ormai apertosi tra i da Romano e il religioso. Anche a Verona vi fu un sussulto contro il regime di fra Giovanni. Le fazioni nobili vanificarono in breve ogni sforzo di pacificazione tentato dallo strano religioso. E così, in fretta come era venuto, fra Giovanni dovette allontanarsi dalla città per trasferirsi a Bologna, senza più far parlare di sé.
Ovviamente la guerra tra le fazioni, soffocata dal clima di misticismo religioso, riprese più violenta di prima. Tolto di mezzo il frate Ezzelino ritornò in forze a Verona per dare soccorso ai suoi amici, mentre il fratello Alberico rimase a Bassano, e negli altri suoi possedimenti, pronto a tutto con un esercito ormai sperimentato e professionale.
1234 – A Vicenza viene eletto podestà Ardizzone da Vercelli, avvocato. Continuarono ovviamente le congiure. Alberico riunì parecchi nobili vicentini, tra cui il solito Uguccione di Pilio, il conte Guido, Alberto da Sossano, e altri. La congiura, il cui obiettivo dichiarato era contro gli usurai, fu scoperta. I ribelli dovettero allora riunirsi compatti a Montecchio e si ebbe il solito copione: l’arrivo dei Padovani che costrinse tutti ad un compromesso. I ribelli dovettero giurare obbedienza al podestà di Vicenza e in cambio non fu inflitta loro alcuna punizione. Il governo di Vicenza restò nelle mani del podestà, regolarmente eletto, e in quelle più capienti ed efficaci degli usurai e dei loro amici. La politica in Vicenza non era cosa molto diversa da oggi. Prova ne sia che le fazioni si combattevano anche a suon di soldi. La fazione degli usurai cercò prima il sostegno di Alberico, contro il quale si erano schierati. Obbiettivo era quello di mantenere le usure secondo le leggi e le consuetudini di Vicenza. Ma Alberico non volle abbandonare Uguccione di Pilio con cui aveva stretto un patto di alleanza. Allora gli usurai dovettero comprare Alberto da Sossano, che per una somma di denaro ruppe gli accordi presi con la fazione dei nobili filo ezzeliniani.
Al momento dell’elezione del podestà il peso di un altro religioso molto importante in città, fra Giordano, cadde sulla bilancia della politica e delle sue manovre oscure. Fu eletto con l’appoggio della fazione anti-Ezzelino il marchese Azzo, d’accordo addirittura con lo stesso Uguccione a parole amico di Ezzelino e Alberico.
1235 Azzo diventa podestà di Vicenza. Guerricciole contro i Veronesi per ragioni di traffico sulle vie d’acqua. Arrivarono puntuali i pacieri, questa volta papali, i vescovi Nicola di Reggio e Tisone di Treviso. La loro opera diede frutti, poiché la fazione del conte ritornò in città, furono restituite case e torri, anche quelle dei Monticoli. Ma la tregua durò poco poiché il marchese con i suoi alleati, tra i quali l’ex amico degli Ezzelini Uguccion di Pilio, combattè duramente Alberico. Il comune di Padova si intromise nuovamente e cercò di mediare tra i da Romano e le classi dirigenti vicentine sostenute dal marchese d’Este. Un compromesso alla fine fu raggiunto. I Padovani pagarono quindicimila lire ai da Romano e altrettanto fecero i Trevigiani con i da Camino. L’imperatore Ottone definì poi la misura del pagamento dell’usura, e per ultimo Ezzelino si fece cittadino di Padova diventando “amico” del marchese d’Este.
1236 – Il marchese d’Este si fa eleggere podestà per la seconda volta. Con una mossa a sorpresa relegò in un’isola di Venezia i vecchi amici dei da Romano, Olderico Carnaroli, Tommaso di Vincenzo, Bonifacio da Santorso e altri. Ordinò poi ai figli di Meglioranza da Trissino di non uscire dalla città. Ma costoro fuggirono a Trissino. Fu posto il bando e il marchese invase le loro terre procurando gravi danni. Per tutta risposta i figli di Anselmo da Breganze diventarono amici dei da Romano, per ripicca probabilmente, ma le loro terre subirono devastazioni per mano delle truppe del marchese, che non voleva “ribelli”. Infatti Azzo d’Este fece venire più di cinquecento soldati da Padova e dai suoi possedimenti. Non contento di ciò volle impossessarsi della città di Verona che era allora retta pacificamente.
D’accordo con il solito Uguccione di Pilio, con il conte di San Bonifacio e la fazione che aveva in Verona mobilitò un esercito e lo condusse a Montebello aspettando le mosse dei suoi seguaci all’interno della città. Ma la sommossa scoppiata ad arte non produsse gran danno poiché Ezzelino, informato della cosa, corse a Verona e represse la rivolta impedendo al marchese di muoversi. Verona fu consegnata al messo imperiale. I Trevigiani però, vista rotta l’ennesima tregua, intimarono ai da Romano di fermarsi. Ricevutone un rifiuto invasero le terre di Ezzelino provocando dei veri disastri. Azzo d’Este e la sua fazione di fatto si schierò contro l’impero. Verona era con Ezzelino invece, a fianco dell’imperatore. Infine arrivò l’imperatore per davvero con uil suo seguito e occupò Verona. Come esploratori arrivarono a Vicenza i suoi messi, i giudici Cipriano e Ranifreddo. Azzo però non li volle ricevere anzi impose a tutti i cittadini di non parlare con i messi imperiali.
Il Maurisio, testimone della vicenda precisa: “…E a dire il vero, su ordine del marchese l’ufficiale del comune, sotto bando di una multa di mille lire, mi proibì di recarmi al vescovado, dove alloggiava Cipriano. Così, non essendomi azzardato a salire al vescovado, lo feci chiamare dabbasso e gli consigliai quanto mi sembrava giusto dovesse fare ad onore della maestà imperiale, e per consigliarlo di nuovo gli inviai anche una lettera a Bassano, dove si era trasferito. Il marchese in quei giorni mi relegò a Padova: ma poiché io allora ero gravemente ammalato, per le preghiere dei miei amici, considerata l’infermità, mi permise di tornare; minacciava tuttavia di relegarmi in un posto più lontano e scomodo..” (G.Maurisio,op.cit.; pagg.70-71).
Intanto l’imperatore saggiò la consistenza della Lega Lombarda. Dopo alcuni scontri di piccolo rilievo entrò in Lombardia. Padovani, Trevigiani e Vicentini, uniti, marciarono nello stesso periodo contro Verona. Il marchese infatti aveva entrare pure Vicenza nella Lega Lombarda, all’insaputa però di molti cittadini. L’imperatore, saputo dell’attacco alle sue spalle contro la ghibellina Verona, fece fare dietro front al suo esercito che in breve giunse ad accamparsi nei dintorni di San Bonifacio. La mossa degli imperiali provocò il panico nell’esercito della Lega e all’indomani il contingente padovano si squagliò velocemente senza dire parola a Vicentini e Trevigiani.
Quest’ultimi, vistisi scoperti o perduti, abbandonarono le macchine d’assedio e fuggirono a gambe levate. Ma il marchese Azzo che intendeva difendere Vicenza dalle truppe tedesche non riuscì nel suo intento. Ezzelino, infatti, aveva consigliato all’imperatore di stare accorto e di sorprendere in velocità il podestà ribelle. Vicenza era compromessa: ormai nulla poteva arrestare la “punizione” esemplare che si andava profilando. La volontà di una rappresaglia era nell’aria anche se il Maurisio nella sua cronaca cerca di sfumare le conseguenze addossando la responsabilità al comportamento di Azzo d’Este:
“L’imperatore benigno e pietoso desiderava entrare pacificamente in città senza danneggiarla, perché sapeva bene che i Vicentini erano stati indotti alla ribellione loro malgrado; chiese perciò alle guardie e a quanti si trovavano dentro la città e sopra le mura di lasciarlo entrare senza opporre resistenza. Ma dopo il loro netto rifiuto, per esortazione di Ezzelino, combattendo con ira, dopo aver scalato le mura, gli imperiali irruppero dentro sbaragliando le guardie del marchese e gli altri difensori, e misero a fuoco tutta la città, arraffando e saccheggiando ogni preda, sia ad uomo che a donna, e l’oro e l’argento e tutto quanto si poteva trasportare. In quel frangente molti furono anche fatti prigionieri, e pure io, nonostante la mia fedeltà all’imperatore, fui preso e legato con gran vergogna dai tedeschi..” (G.Maurisio,op.cit.; pagg.74-75).
Vicenza per la quasi totalità, essendo una città con molte abitazioni dai tetti di paglia e con le strutture di legno, arse a lungo e le distruzioni superarono ogni immaginazione. Pure il palazzo del comune fu distrutto e molte torri e case signorili. Gli imperiali, commessi i soliti saccheggi, non infierirono oltre il normale (per l’epoca) contro la popolazione. D’altronde c’era poco da aggiungere al disastro. L’economia cittadina era da ricostruire e le abitazioni dovettero essere alienate e rifatte di sana pianta.
Il vero e proprio azzeramento della situazione politica compiuto con fredda determinazione militare non fu segnato però dallo sterminio del ceto dirigente o della popolazione, come si potrebbe arguire dato il delitto di “lesa maestà”. Poco alla volta gli imprigionati furono rilasciati, Ezzelino stesso che doveva governare quel territorio e che da quel territorio doveva trarre sostentamento per sé e le sue masnade, aveva interesse a che la situazione si normalizzasse, nominò infatti come podestà Guglielmo Vicedomini da Mantova. Le torri dei nobili ribelli all’impero vennero abbattute, così quella del famoso Uguccione di Pilio e dei suoi compari.
L’imperatore poi, continuò la sua campagna d’Italia facendo un’incursione contro i Padovani e i Trevigiani, bruciacchiando un po’ di borghi e di raccolti. Ai da Romano l’imperatore lasciò anche un contingente di soldati tedeschi con un capitano, il conte Gavardo, con l’ordine di ubbidire a Ezzelino. Il capitano per la verità trovò subito lavoro poiché i da Romano lo impegnarono all’istante contro i Trevigiani e i Padovani ribelli. A Cartura in uno scontro quest’ultimi ebbero la peggio, oltre cento cittadini importanti di Padova furono catturati e ridotti in catene nel castello di Monselice.
Alla notizia della disfatta la popolazione padovana implorò la grazia a Ezzelino che con il suo esercito si apprestava ad attaccare la città. Ezzelino si fece consegnare degli ostaggi che trasferì nel Bassanese e acconsentì a che un messo imperiale governasse la città di Padova. Pure i Trevigiani inviarono messi al conte Gavardo e ai da Romano; la resa era senza condizioni, le due città si diedero in mano alla signoria ghibellina senza ulteriori resistenze. Davanti a sé Ezzelino aveva ora tutta la Marca, pochi gli oppositori ancora in piedi. Tra questi quell’Uguccione di Pilio che asserragliato nel castello di Montorso venne assediato per ben quaranta giorni dalle truppe di Alberico.
Bombardato da mangani, baliste e trabucchi il castello di Uguccione alla fine capitolò. Fortunati furono i difensori perché per intercessione del vescovo ebbero tutti salva la vita. Ezzelino cercò allora di saldare qualche vecchio conto in sospeso. Fece catturare fra Giordano, un religioso che aveva avuto il vizio della trama politica. Lo tenne prigioniero nei suoi possedimenti. Saputa la notizia il vescovo di Padova, seguito da una gran folla di preti e frati si presentò al cospetto di Ezzelino, nel suo palazzo e chiese a gran voce che fra Giordano venisse immediatamente rilasciato. Ezzelino, udite queste richieste non controllò più la sua collera, che già doveva essere tanta, e impose al vescovo una multa di duemila marche d’argento intimandogli il silenzio sulla vicenda. Da Padova dopo questo avvenimento fuggirono molti frati forse presentendo tempi duri per la chiesa nella Marca ezzeliniana.